Con la sentenza del 25 ottobre 2024, n. 18678, il Tar Lazio ha stabilito che è legittimo il diniego di accesso a un parere legale reso dall’Avvocatura Generale dello Stato, qualora tale parere sia stato acquisito nell’ambito di una lite in corso o nella fase precontenziosa, finalizzato alla definizione della strategia difensiva dell’amministrazione. Tale accesso è consentito solo quando il parere sia stato richiesto come parte integrante della fase istruttoria di un procedimento amministrativo.
Il caso in esame riguardava un accordo transattivo per il quale era stato richiesto un parere legale, negato dall’amministrazione a un soggetto richiedente. Il Tribunale ha ritenuto che il diniego fosse conforme alla normativa in materia di accesso documentale, regolata dagli artt. 22 e segg. della L. n. 241/1990, e a quella sull’accesso civico generalizzato di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 33/2013. Ai sensi dell’art. 22, comma 3, della L. n. 241/1990, il diniego si fonda sulla distinzione tra i pareri che costituiscono un passaggio procedimentale istruttorio, accessibili in quanto endoprocedimentali e rilevanti per l’iter amministrativo, e quelli acquisiti per finalità difensive nell’ambito di una lite, sottratti all’ostensione per tutelare la strategia processuale dell’amministrazione.
Per quanto riguarda l’accesso civico generalizzato, il Tribunale ha richiamato l’art. 5-bis del D.Lgs. n. 33/2013, che esclude l’accesso in presenza di divieti previsti dalla legge, inclusi quelli di cui all’art. 24, comma 1, della L. n. 241/1990. Quest’ultimo limita l’accesso per ragioni connesse al segreto di Stato, ai procedimenti tributari e all’attività amministrativa finalizzata all’emanazione di atti normativi o di pianificazione generale, tra cui, per interpretazione giurisprudenziale, rientrano anche i pareri legali resi per una lite attuale o potenziale. La ratio della decisione risiede nel bilanciamento tra l’esigenza di trasparenza amministrativa e la necessità di proteggere gli interessi pubblici e privati prevalenti, in particolare quando l’accesso potrebbe pregiudicare la posizione dell’amministrazione nella controversia.
Il Tar Lazio ha dunque confermato l’infondatezza della domanda di accesso sia documentale che civico, evidenziando come l’amministrazione non sia tenuta a svelare le proprie strategie difensive a soggetti terzi, tantomeno al proprio contraddittore, preservando così la riservatezza necessaria in ambito contenzioso.
Pubblicato il 25/10/2024
- 18678/2024 REG.PROV.COLL.
- 07667/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7667 del 2024, proposto dalla società – OMISSIS -, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avvocati Carlo Colapinto e Filippo Colapinto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
nei confronti
– OMISSIS -, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
per l’annullamento
– del provvedimento di rigetto, in parte qua, emesso in data 13 giugno 2024 dell’istanza di accesso presentata in data 22 aprile 2024 e perfezionata in data 14 maggio 2024;
– nonché per l’accertamento del conseguente diritto della ricorrente all’accesso agli atti, con conseguente obbligo dell’Amministrazione resistente – ai sensi dell’art. 116, comma 4, c.p.a. – di esibizione del parere dell’Avvocatura Generale dello Stato.
Visti ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 ottobre 2024 il dott. Michele Tecchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
- Con il presente ricorso per l’accesso ex art. 116 c.p.a., l’odierna ricorrente – premesso di aver trasmesso in data 22 aprile 2024 all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (nel prosieguo anche “ADM”) una richiesta di accesso agli atti ex art. 24 co. 7 della legge n. 241 del 1990 ed ex art. 5 co. 2 del d.lgs. n. 33 del 2013, avente ad oggetto non soltanto una transazione intercorsa in data 13 maggio 2020 tra ADM, – OMISSIS – S.r.l. e – OMISSIS -, ma anche il «relativo parere dell’Avvocatura Generale dello Stato», nonché di essersi vista notificare in data 13 giugno 2024 un provvedimento di accoglimento soltanto parziale di detta istanza di accesso (limitatamente alla transazione e con esclusione del parere dell’Avvocatura Generale dello Stato) – insorge avverso il summenzionato provvedimento nella parte in cui lo stesso deflette la richiesta di ostensione del parere dell’Avvocatura Generale dello Stato.
- In dettaglio, con l’atto impugnato ADM – premesso di aver ricevuto l’opposizione all’accesso dei soggetti controinteressati – ha disposto quanto segue:
“Lo scrivente ritiene fondata l’opposizione all’ostensione del parere reso dall’Avvocatura generale dello Stato; sul punto, si ricorda quanto recentemente ribadito dal Consiglio di Stato, proprio con riferimento al parere di interesse per la soc. – OMISSIS – srl: “i pareri dell’Avvocatura dello Stato, in quanto assimilabili per natura agli atti espressione del rapporto fra cliente e avvocato, non possono rientrare tra gli atti ai quali si ha diritto ad accesso, essendo per sé relativi a liti in potenza o in atto; la ratio della disposizione trova la sua giustificazione nella naturale riservata che deve essere assicurata alle strategie comportamentali (sostanziali e processuali) dell’Amministrazione che abbia sollecitato ed ottenuto il parere in questione” (v. Sentenza Consiglio di Stato n. 3337/2024, pubblicata il 12/04/2024)”.
- Il nucleo censorio essenziale dell’odierno ricorso è polarizzato, pertanto, sul fatto che il parere dell’Avvocatura Generale dello Stato (di cui è stato negato l’accesso) non avrebbe ad oggetto alcuna “questione suscettibile di esitare in un giudizio o comunque in un procedimento di tipo contenzioso, nell’ esercizio di funzioni di consulenza giuridico-legale propria ed esclusiva dell’Avvocatura Generale dello Stato, nel quadro di un rapporto che è connotato, non dissimilmente da quello tra cliente e professionista del libero foro, da pregnanti e assorbenti aspetti di riservatezza e segreto professionale. Dalla copia trasmessa della transazione (doc. n. 6) risulta, capo R, che “con determinazione dirigenziale del 13 maggio 2020 prot.143030 RU l’ADM ha determinato di addivenire al presente atto di transazione”; dunque, il parere de quo deve considerarsi soggetto all’accesso, in quanto riferito all’iter procedimentale della transazione, che si viene ad innestare, pertanto, nel provvedimento finale, la citata determinazione dirigenziale. Esso non attiene alle tesi difensive in un procedimento giurisdizionale, peraltro, già note alla ricorrente, per esser stata parte, in uno alle altre due ricorrenti davanti alla Corte di cassazione” (cfr. pagg. 6 e 7 del ricorso).
Soggiunge la ricorrente, inoltre, che “nel caso di specie, per contro, si è in presenza di un parere dell’Avvocatura Generale dello Stato, che ha rappresentato e difeso ex lege nel richiamato giudizio davanti alla Corte di legittimità, R.G. n. 30210/2019, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, parere che, giova ribadire, è stato rilasciato nell’ambito del procedimento amministrativo conclusosi con la determinazione direttoriale del 13 maggio 2020 Prot. 143030 RU, con la quale la stessa Agenzia “ha determinato di addivenire al presente atto di transazione” (pagine 9 e 10 doc. n. 6), parere pure richiamato nel capo 1.4 del medesimo atto transattivo (pag. 10 doc. n.10). Dunque, è un parere rilasciato a fini istruttori, che in quanto inserito in un segmento procedurale sostanzialmente si amministrativizza e diviene documentazione accessibile come ogni altro incartamento in possesso della Pubblica Amministrazione” (cfr. pag. 14 del ricorso).
- ADM si è ritualmente costituita in giudizio per resistere al ricorso, instando per la sua reiezione nel merito e, altresì, per la condanna della ricorrente al risarcimento del danno per lite temeraria (cfr. art. 96 co. 1 cpc e art. 26 cpa) e/o al pagamento di una somma equitativamente determinata comunque non superiore al doppio delle spese liquidate (cfr. art. 96 co. 3 cpc e art. 26 cpa).
- Alla camera di consiglio del 23 ottobre 2024, pertanto, il Collegio – previa discussione della causa – ha introiettato quest’ultima in decisione.
DIRITTO
- In limine litis, il Collegio – pur rilevando che l’odierno ricorso non è stato notificato all’intera cerchia dei controinteressati formali e sostanziali (il gravame risulta notificato, infatti, ad una sola delle 2 società che hanno sottoscritto l’atto di transazione a cui è collegato il parere di cui si chiede l’accesso) – osserva tuttavia che si può fare a meno di disporre l’integrazione del contraddittorio, stante la manifesta infondatezza del gravame.
Ciò in ossequio all’art. 49 del codice del processo amministrativo (Dlgs. 2 luglio 2010, n. 104 “Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo”), intitolato “Integrazione del contraddittorio”, a tenore del quale “Quando il ricorso sia stato proposto solo contro taluno dei controinteressati, il presidente o il collegio ordina l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri. L’integrazione del contraddittorio non è ordinata nel caso in cui il ricorso sia manifestamente irricevibile, inammissibile, improcedibile o infondato; in tali casi il collegio provvede con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’articolo 74”.
- Ciò premesso in via pregiudiziale, l’esame del merito dell’odierno ricorso impone di procedere, in apice, alla ricostruzione del contesto in cui è stato reso il parere dell’Avvocatura Generale dello Stato di cui si chiede l’accesso.
Orbene, risulta ex actis che:
- a) con lodo arbitrale sottoscritto in data 12 maggio 2012, è stata definita la controversia insorta tra ADM e alcuni concessionari del gioco del bingo (tra i quali l’odierna ricorrente);
- b) con atto di citazione notificato in data 13 maggio 2013, ADM ha impugnato il summenzionato lodo arbitrale ai sensi dell’articolo 829 cpc;
- c) nelle more del giudizio di impugnazione del lodo arbitrale, quest’ultimo è stato reso esecutivo in data 22 dicembre 2014;
- d) successivamente, avendo i concessionari notificato l’atto di precetto e anche eseguito il pignoramento delle somme dovute, ADM ha chiesto ed ottenuto la sospensione dell’efficacia esecutiva del lodo arbitrale (confermata in sede di reclamo);
- e) successivamente, le società – OMISSIS – e – OMISSIS – sono intervenute nel giudizio di impugnazione del lodo arbitrale;
- f) con sentenza n. 2299 del 12 marzo 2019 (pubblicata in data 4 aprile 1019) la Corte di Appello di Roma ha rigettato le impugnazioni del lodo arbitrale;
- g) ADM ha successivamente proposto ricorso in Cassazione avverso la summenzionata sentenza della Corte di Appello di Roma (numero 30210/2019 del Ruolo Generale della Corte di Cassazione)
- h) nelle more del summenzionato giudizio in Cassazione (di cui è parte anche l’odierna ricorrente), ADM ha definito transattivamente la controversia soltanto con alcune delle parti di detto giudizio, segnatamente con le società – OMISSIS – e – OMISSIS – (ma non anche con l’odierna ricorrente);
- i) il parere dell’Avvocatura Generale dello Stato (di cui viene chiesto ora l’accesso) è stato reso dalla difesa erariale proprio in relazione al suddetto accordo transattivo.
- Non è revocabile in dubbio, pertanto, che il parere legale di cui viene chiesto l’accesso afferisce ad una controversia processuale che – pur essendo stata definita transattivamente con le società – OMISSIS – e – OMISSIS – – è tuttavia ancora pendente in Cassazione con l’odierna ricorrente.
Va da sé che il parere in questione è indubitabilmente collegato ad una lite che è tutt’ora in essere tra l’odierna ricorrente e ADM.
- Tanto basta ad escludere, pertanto, il diritto della ricorrente all’ostensione del parere dell’Avvocatura Generale dello Stato. E ciò sia ai sensi della disciplina sull’accesso documentale ex art. 22 e segg. l. n. 241 del 1990, sia ai sensi della disciplina sull’accesso civico ex art. 5 d.lgs. n. 33 del 2013.
- Quanto all’accesso documentale, infatti, mette conto osservare che l’art. 22, comma 3, legge n. 241 del 1990, dispone che “tutti i documenti amministrativi sono accessibili, ad eccezione di quelli indicati all’articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6”, mentre l’art. 24 comma 2 della stessa legge dispone che “le singole pubbliche amministrazioni individuano le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso ai sensi del comma 1”.
Il DPCM 26 gennaio 1996, n. 200 (“regolamento recante norme per la disciplina di categorie di documenti formati o comunque rientranti nell’ambito delle attribuzioni dell’Avvocatura dello Stato sottratti al diritto di accesso”) indica all’art. 2, comma 1, che, ai sensi del richiamato art. 24, comma 1, in virtù del segreto professionale già previsto dall’ordinamento, al fine di salvaguardare la riservatezza nei rapporti fra difensore e difeso sono sottratti al diritto di accesso i seguenti documenti:
- a) pareri resi in relazione a liti in potenza o in atto e la inerente corrispondenza;
- b) atti defensionali;
- c) corrispondenza inerente agli affari di cui ai punti a) e b).
Rileva il Collegio che il discrimine tra l’ostensibilità o meno dei pareri legali, pertanto, va ravvisato in relazione alla finalità che l’amministrazione persegue con la richiesta del parere, nel senso che il diniego di accesso è illegittimo nel caso in cui il parere sia stato acquisito in relazione alla fase istruttoria del procedimento amministrativo, mentre l’ostensione è legittimamente negata quando il parere richiesto sia stato acquisito in rapporto ad una lite già in atto o ad una fase evidentemente precontenziosa o di lite potenziale al fine di definire la futura strategia difensiva dell’amministrazione (ex multis: Cons. Stato, V, 23 giugno 2011, n. 3812).
Insomma, è sottratto all’accesso solo il documento che attiene alla strategia difensiva della parte, che non è tenuta a rivelare ad alcun soggetto e, tanto meno, al proprio contraddittore (attuale o potenziale) gli argomenti in base ai quali intende confutare le pretese avversarie, sicché i pareri legali sottratti all’accesso sono “quelli che attengono alle tesi difensive, relative ad un procedimento giurisdizionale (cioè quando i pareri legali vengono redatti dopo che è già iniziata una controversia giurisdizionale) o ad una fase precontenziosa e/o ad una lite potenziale che definiscono e/o delineano la relativa strategia difensiva e/o la futura condotta processuale più conveniente per l’Amministrazione, da assumere nella controversia giurisdizionale già instaurata o nella futura, eventuale e probabile lite giudiziaria, che il soggetto leso attiverà” (Cons. Stato, V, 23 giugno 2011, n. 3812 e nello stesso senso Consiglio di Stato, III, 23 giugno 2021, n. 4799, nonché Tar Lazio, I-ter, 1 ottobre 2020, n. 10015; Tar Lazio. I-quater, 31 maggio 2023, n. 9249).
Devono viceversa ritenersi accessibili i pareri legali che, anche per effetto di un richiamo esplicito nel provvedimento finale, rappresentano un passaggio procedimentale istruttorio di un procedimento amministrativo in corso e, una volta acquisiti dall’Amministrazione, vengono ad innestarsi nell’iter procedimentale, assumendo la configurazione di atti endoprocedimentali e perciò costituiscono uno degli elementi che condizionano la scelta dell’Amministrazione (Consiglio Stato, Sezione VI, 30 settembre 2010, n. 7237; Cons. Stato, V, 23 giugno 2011, n. 3812).
- Tracciate le coordinate ermeneutiche essenziali applicabili al caso di specie (con specifico riguardo all’istanza di accesso documentale presentata ai sensi della legge n. 241 del 1990), il Collegio rileva che la richiesta di ostensione del parere dell’Avvocatura Generale dello Stato è infondata, atteso che detto parere – sebbene reso nell’ambito di un procedimento amministrativo finalizzato alla stipula di un accordo transattivo – inerisce all’oggetto di una controversia giudiziaria che è tutt’ora in corso tra ADM e l’odierna ricorrente.
L’ostensione di tale parere consentirebbe alla ricorrente, pertanto, di venire inevitabilmente a conoscenza di valutazioni di strategia difensiva formulate dall’Avvocatura Generale dello Stato in relazione a detta controversia.
Ciò in palese violazione dei limiti normativi – testè enunciati – che rinvengono dal combinato disposto dell’art. 24, co. 1, l. n. 241 del 1990 e del DPCM 26 gennaio 1996, n. 200.
- Fermo quanto precede, la richiesta dell’odierna ricorrente è infondata anche sotto il profilo dell’accesso civico generalizzato (d.lgs. n. 33 del 2013).
La disciplina delle preclusioni all’esercizio del diritto di accesso civico “generalizzato” si ricava, infatti, dall’articolo 5-bis del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, le cui disposizioni contemplano un duplice ordine di cause ostative all’accoglimento dell’istanza di ostensione.
Alla stregua di tale disposizione, infatti, l’amministrazione può negare la divulgazione dei documenti richiesti ove tale misura limitativa risulti necessaria per evitare un pregiudizio concreto alla tutela degli interessi pubblici e privati rispettivamente enumerati dai commi 1 e 2 del citato articolo 5-bis.
L’accesso civico “generalizzato” è, invece, escluso in termini assoluti “nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1 della legge n. 241 del 1990” (comma 3).
A tal riguardo, occorre evidenziare che la disciplina delle nuove forme di trasparenza amministrativa differisce significativamente rispetto all’ordinario regime di ostensione documentale previsto dalla legge 7 agosto 1990, n. 241.
Ed invero, l’accesso civico “semplice” e “generalizzato” – pur consentendo l’ostensione dei documenti richiesti a prescindere dalla dimostrazione di un interesse diretto concreto e attuale – incontra un limite non superabile nelle cause ostative enucleate dall’articolo 5-bis, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33.
Ne deriva che all’ampliamento (rispetto all’accesso documentale) della platea dei soggetti che possono avvalersi dell’accesso civico generalizzato, corrisponde un maggior rigore normativo nella previsione delle eccezioni poste a tutela dei contro-interessi pubblici e privati (rispetto a quanto si prevede con riferimento all’accesso documentale).
Orbene, le cause ostative enunciate dall’art. 5-bis, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, includono anche i casi di cui all’art. 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990 (cfr. art. 5-bis, co. 3, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33) ivi compresi (come visto) i pareri resi dall’Avvocatura Generale dello Stato in rapporto ad una lite attuale o potenziale.
Quanto precede depone, pertanto, nel senso dell’infondatezza della domanda di accesso ai sensi della disciplina di legge in materia di accesso civico generalizzato.
- Per tutto quanto sopra esposto, pertanto, il ricorso va respinto in quanto infondato.
- Per quel che concerne, poi, la richiesta di condanna della ricorrente al risarcimento del danno per lite temeraria (cfr. art. 96 co. 1 cpc e art. 26 cpa) e/o al pagamento di una somma equitativamente determinata comunque non superiore al doppio delle spese liquidate (cfr. art. 96 co. 3 cpc e art. 26 cpa), il Collegio ritiene che entrambe le richieste siano infondate e vadano dunque respinte.
In particolare, quanto alla domanda di risarcimento danni per lite temeraria, non risultano provati i presupposti della mala fede o colpa grave per l’affermazione di tale responsabilità.
Infatti, per la consolidata giurisprudenza, si tratta di una ipotesi di responsabilità aquiliana, per cui incombe sul soggetto che chiede il risarcimento l’onere di provare il dolo o la colpa grave, che non sono integrati dalla mera infondatezza del ricorso o dal contrasto delle prospettazioni del ricorrente con l’orientamento della giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. VI, 23 aprile 2019, n. 2578).
Quanto poi al potere del giudice di disporre anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 26 c.p.a., la condanna della parte soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, o di irrogare la sanzione pecuniaria prevista dal comma 2 dell’art. 26 c.p.a., in caso di azione o resistenza in giudizio “temeraria”, ritiene il Collegio che comunque non sussistano i presupposti per l’esercizio di un tale potere d’ufficio.
La temerarietà richiesta dall’art. 26 comma 2 c.p.a. viene infatti individuata nella “consapevolezza della non spettanza della prestazione richiesta o evidenzi un grado di imprudenza, imperizia o negligenza accentuatamente anormale” (Cons. Stato, Sez. V, 27 agosto 2014, n. 4384).
La condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata prevista anche dall’art. 96, comma 3, c.p.c., in base alla giurisprudenza della Cassazione, se non richiede la domanda di parte né la prova del danno, esige pur sempre, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate; peraltro, sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l’esercizio dell’azione processuale nel suo complesso, attraverso un vero e proprio abuso della potestas agendi con un’utilizzazione del potere di promuovere la lite, di per sé legittimo, per fini diversi da quelli ai quali esso è preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte.
Ne consegue che la condanna al pagamento della somma equitativamente determinata richiede l’accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede (consapevolezza dell’infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell’ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta consapevolezza) (cfr. Cass. civ., Sez. III, 12 luglio 2019, n. 18745).
Presupposti, questi, che non sussistono nel caso di specie.
- Fermo quanto precede, le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in favore della resistente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la ricorrente alla refusione delle spese del giudizio in favore dell’Amministrazione resistente e le liquida nella misura complessivamente pari ad € 2.000,00 (duemila/00), oltre oneri accessori come per legge (se dovuti).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 ottobre 2024, con l’intervento dei magistrati:
Francesco Riccio, Presidente
Giovanna Vigliotti, Primo Referendario
Michele Tecchia, Referendario, Estensore
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L’ESTENSORE |
IL PRESIDENTE |
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Michele Tecchia |
Francesco Riccio |
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IL SEGRETARIO