Con la sentenza n. 183 del 21 novembre 2024, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lettera i), della legge della Regione Umbria n. 17 del 1994, che richiedeva ai conducenti di taxi e noleggio con conducente (NCC) la residenza in uno dei comuni della regione per l’iscrizione nel relativo ruolo professionale. La norma è stata ritenuta in contrasto con gli artt. 3, 117, secondo comma, lettera e), e primo comma della Costituzione (nella formulazione precedente alla riforma del Titolo V del 2001). Tale requisito era stato censurato dal T.a.r. Umbria, con ordinanza del 13 febbraio 2024, n. 96, per la sua incompatibilità con i principi di ragionevolezza e con l’esigenza di favorire la libera concorrenza nel mercato degli autoservizi pubblici non di linea.

La Corte ha sottolineato che, anche prima della riforma del Titolo V, la tutela della concorrenza rappresentava un principio fondamentale del diritto nazionale e dell’Unione europea, imponendosi come vincolo alla potestà legislativa regionale. Ha inoltre evidenziato che la concorrenza costituisce un valore cardine della libertà di iniziativa economica tutelato dall’art. 41 Cost., influenzando l’ambito normativo regionale già nella previgente configurazione costituzionale. In questo contesto, la legge quadro n. 21 del 1992 privilegia criteri di capacità professionale e idoneità tecnica, rendendo sproporzionato il requisito di residenza. La Corte ha giudicato irragionevole vincolare la localizzazione territoriale all’idoneità professionale e alla conoscenza del territorio, obiettivi che possono essere raggiunti con strumenti meno restrittivi della libertà economica e della concorrenza.

SENTENZA N. 183

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lettera i), della legge della Regione Umbria 14 giugno 1994, n. 17 (Norme per l’attuazione della legge 15 gennaio 1992, n. 21, in materia di trasporto di persone mediante mezzi di trasporto pubblici non di linea), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, sezione prima, nel procedimento vertente tra D. G. e Provincia di Perugia, con ordinanza del 13 febbraio 2024, iscritta al n. 29 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2024, la cui trattazione è stata fissata per l’adunanza in camera di consiglio del 15 ottobre 2024.

Udita nella camera di consiglio del 29 ottobre 2024 la Giudice relatrice Antonella Sciarrone Alibrandi;

deliberato nella camera di consiglio del 29 ottobre 2024.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 13 febbraio 2024 (reg. ord. n. 29 del 2024), il Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, sezione prima, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lettera i), della legge della Regione Umbria 14 giugno 1994, n. 17 (Norme per l’attuazione della legge 15 gennaio 1992, n. 21, in materia di trasporto di persone mediante mezzi di trasporto pubblici non di linea), nella parte in cui prevede, tra i requisiti necessari per l’iscrizione nel ruolo regionale dei conducenti di veicoli adibiti a servizi pubblici non di linea, quello «di essere residente in uno dei Comuni della Regione Umbria», per contrasto con gli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera e), e terzo comma, della Costituzione, e con l’art. 117, primo comma, Cost. nella formulazione antecedente alla riforma di cui alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), «per violazione della norma interposta di cui all’art. 6 della l. n. 21 del 1992».

2.– Il rimettente espone che D. G. ha agito per l’annullamento del provvedimento del 27 aprile 2023 con cui l’apposita commissione provinciale – istituita ai sensi della legge reg. Umbria n. 17 del 1994 – ha respinto la domanda proposta dal ricorrente al fine di sostenere l’esame per essere iscritto nel ruolo dei conducenti di veicoli adibiti ad autoservizi pubblici non di linea della Provincia di Perugia, di cui all’art. 6 della legge 15 gennaio 1992, n. 21 (Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea), in quanto privo del requisito della residenza in uno dei comuni della Regione Umbria, previsto appunto dalla disposizione di legge regionale censurata e dall’art. 2, comma 2, lettera b), del regolamento approvato dalla Provincia di Perugia per la disciplina dell’attività della suddetta commissione provinciale (atto parimenti impugnato innanzi al giudice a quo).

3.– Il TAR Umbria dubita della legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lettera i), della legge reg. Umbria n. 17 del 1994.

4.– In punto di rilevanza, il rimettente ritiene che il giudizio principale non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, dal momento che è solo per il mancato possesso del requisito della residenza in uno dei comuni dell’Umbria che la domanda del ricorrente non è stata accolta dall’amministrazione competente.

5.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente ricostruisce dapprima il quadro normativo di riferimento.

A questo proposito, rileva che il trasporto di persone con autoservizi non di linea è disciplinato, a livello nazionale, dalla legge quadro n. 21 del 1992, il cui art. 6 prevede l’istituzione di apposito ruolo dei conducenti presso le camere di commercio (comma 1) e, come requisito indispensabile per il rilascio della licenza per l’esercizio del servizio di taxi e dell’autorizzazione per l’esercizio del servizio di noleggio di autoveicoli con conducente (d’ora innanzi: NCC), l’iscrizione nel suddetto ruolo (comma 5). A tale ultimo fine, il comma 2 prevede come necessario il possesso del «certificato di abilitazione professionale» previsto inizialmente dall’art. 80 del d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393 (Testo unico delle norme sulla circolazione stradale) – disposizione richiamata dal citato art. 6 della legge n. 21 del 1992 – e, successivamente, dall’art. 116 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada).

Per l’iscrizione nel ruolo dei conducenti, ricorda ancora il giudice a quo, occorre superare un esame da svolgersi innanzi ad apposita commissione regionale, che «accerta i requisiti di idoneità all’esercizio del servizio, con particolare riferimento alla conoscenza geografica e toponomastica» (comma 3 dell’art. 6 della legge n. 21 del 1992).

Ancora, il rimettente evidenzia che la Regione Umbria, nell’ambito delle competenze regionali fatte salve dall’art. 4 della legge n. 21 del 1992, ha disciplinato la materia con la legge reg. Umbria n. 17 del 1994, il cui art. 4 prevede che l’esame per l’iscrizione nei ruoli dei conducenti avvenga davanti ad apposita commissione provinciale, la quale, tra l’altro, è tenuta a valutare che i candidati siano anche in possesso degli specifici requisiti di iscrizione al ruolo.

Questi ultimi sono indicati dal comma 1 dell’art. 6 della legge reg. Umbria n. 17 del 1994, il quale, alla lettera i), include anche quello di «essere residente in uno dei Comuni della Regione Umbria».

Tale previsione risulta ribadita anche dal regolamento di disciplina dell’attività della suddetta commissione provinciale – pure impugnato in parte qua nel giudizio principale – emanato in attuazione della citata legge regionale.

6.– Tanto premesso, il TAR Umbria, scartata la possibilità di una interpretazione costituzionalmente conforme (alla luce dell’univocità del tenore testuale della disposizione censurata), dubita della legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lettera i), della legge reg. Umbria n. 17 del 1994, che introduce, quale requisito per l’iscrizione al ruolo dei conducenti di veicoli adibiti ad autoservizi pubblici non di linea (e conseguentemente per l’accesso al relativo esame di ammissione), la residenza in un comune dell’Umbria.

6.1.– Osserva il giudice a quo, in primo luogo, che tale requisito non è previsto dalla legge nazionale e che esso introduce una limitazione alla concorrenza, ledendo la competenza legislativa esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

La disposizione censurata, in particolare, precluderebbe a tutti i non residenti in Umbria la possibilità di accedere all’iscrizione al ruolo dei conducenti di veicoli adibiti ad autoservizi pubblici non di linea, requisito indispensabile per il rilascio sia della licenza per l’esercizio del servizio di taxi sia dell’autorizzazione per l’esercizio del servizio NCC.

Richiamando a sostegno giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 265 e n. 30 del 2016), il rimettente afferma che la previsione regionale si tradurrebbe in una limitazione al libero ingresso di lavoratori o imprese «nel bacino lavorativo regionale», comportando una compressione dell’assetto concorrenziale del mercato degli autoservizi pubblici non di linea.

6.2.– Per il TAR Umbria, sarebbe altresì violato l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione alla materia «professioni»: imponendo «un requisito di accesso all’iscrizione nel ruolo della figura professionale in esame ulteriore e non contemplato dalla norma interposta» di cui all’art. 6 della legge n. 21 del 1992, la disposizione regionale censurata si porrebbe in contrasto con i principi fissati dalla legge quadro statale.

Richiamando giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 209 del 2020 e n. 98 del 2013), il rimettente sostiene che, «per il suo carattere necessariamente unitario», spetterebbe esclusivamente allo Stato l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, rientrando nella competenza legislativa delle regioni soltanto la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale, circostanza che non ricorrerebbe nel caso in esame.

6.3.– La disposizione oggetto del dubbio di legittimità costituzionale risulterebbe, ancora, contrastante con l’art. 117, primo comma, Cost., nella formulazione antecedente alle modifiche apportate dalla legge cost. n. 3 del 2001 e, quindi, nella versione vigente al momento dell’aggiunta della lettera i) al comma 1 dell’art. 6 della legge reg. Umbria n. 17 del 1994 ad opera dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Umbria 3 marzo 2000, n. 15 (Integrazione della legge regionale 14 giugno 1994, n. 17. Norme per l’attuazione della legge 15 gennaio 1992, n. 21 in materia di trasporto di persone mediante mezzi di trasporto pubblici non di linea).

In particolare, il legislatore regionale sarebbe intervenuto in una materia all’epoca considerata di competenza concorrente – «tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale» – e in cui la legislazione statale ricomprendeva «i servizi pubblici di trasporto di persone e merci» (ai sensi dell’art. 84 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, recante «Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382»), violando i principi fondamentali stabiliti dalla legge quadro statale n. 21 del 1992, con particolare riferimento all’art. 6 di quest’ultima, che non annovera la residenza tra i requisiti di idoneità per l’iscrizione al ruolo dei conducenti di veicoli adibiti ad autoservizi pubblici non di linea, ma ricollega l’accesso al suddetto ruolo esclusivamente a requisiti di affidabilità e professionalità.

6.4.– Infine, la disposizione censurata lederebbe l’art. 3 Cost., in quanto contrastante con il canone di ragionevolezza e proporzionalità.

Per il rimettente, il requisito della residenza in un comune dell’Umbria perseguirebbe una finalità disomogenea rispetto agli altri requisiti richiesti dal comma 1 dell’art. 6 della legge reg. Umbria n. 17 del 1994, tutti volti all’individuazione, in capo al conducente di veicoli adibiti a servizi pubblici non di linea, di caratteri di sola affidabilità e professionalità.

Il fine di garantire uno stabile collegamento con la dimensione territoriale del servizio stesso – che pure sarebbe meritevole di tutela – sarebbe stato perseguito con un mezzo sproporzionato ed eccessivamente gravoso (comportante per l’interessato una pluralità di conseguenze civili, amministrative e tributarie), mentre la medesima esigenza avrebbe potuto essere soddisfatta con la previsione di un requisito alternativo quale l’elezione di domicilio.

7.– La Provincia di Perugia (parte del giudizio a quo) non si è costituita in giudizio e la Regione Umbria, a fronte dell’avvenuta notifica dell’ordinanza di rimessione al Presidente della Giunta regionale, non è intervenuta.

Considerato in diritto

1.– Il TAR Umbria, sezione prima, solleva questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lettera i), della legge reg. Umbria n. 17 del 1994, nella parte in cui prevede, tra i requisiti necessari per l’iscrizione nel ruolo dei conducenti di veicoli adibiti a servizi pubblici non di linea, quello «di essere residente in uno dei Comuni della Regione Umbria».

2.– Nel giudizio principale è richiesto l’annullamento del provvedimento con il quale la competente commissione provinciale ha respinto la domanda del ricorrente di sostenere l’esame per essere iscritto nel ruolo dei conducenti di veicoli adibiti ad autoservizi pubblici non di linea della Provincia di Perugia, per mancanza del suddetto requisito.

3.– In punto di rilevanza, il rimettente osserva che la domanda del ricorrente è stata respinta dall’amministrazione competente solo in conseguenza del mancato possesso del requisito della residenza in uno dei comuni dell’Umbria.

4.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il TAR Umbria osserva che, ai sensi dell’art. 6 della legge n. 21 del 1992, l’iscrizione al ruolo dei conducenti di veicoli e natanti adibiti ad autoservizi pubblici non di linea costituisce condizione indispensabile per il rilascio sia della licenza per l’esercizio del servizio di taxi sia dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività di NCC e che, ai fini di tale iscrizione, la legge statale, al comma 2, si limita a prevedere come necessario il possesso del «certificato di abilitazione professionale» richiesto dal codice della strada.

Il giudice a quo evidenzia, inoltre, che la Regione Umbria ha disciplinato la materia con la legge reg. Umbria n. 17 del 1994, il cui art. 6 prevede, alla lettera i) del comma 1, che gli aspiranti conducenti devono possedere alcuni requisiti per poter essere iscritti al relativo ruolo e, tra questi, quello della residenza «in uno dei Comuni della Regione Umbria».

4.1.– Scartata, alla luce dell’univocità del tenore testuale della disposizione censurata, la possibilità di una interpretazione costituzionalmente conforme, il rimettente ritiene che il requisito della residenza in Umbria, non previsto dalla legge nazionale, determini una limitazione alla concorrenza, precludendo a tutti i non residenti la possibilità di accedere all’iscrizione al ruolo provinciale dei conducenti.

In tal modo, sarebbe invasa la competenza legislativa esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., perché la previsione regionale, traducendosi in una limitazione al libero ingresso di lavoratori o imprese «nel bacino lavorativo regionale», comporterebbe una compressione dell’assetto concorrenziale del mercato degli autoservizi pubblici non di linea.

4.2.– Sarebbe violato, inoltre, l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione alla materia «professioni», per contrasto con i principi fondamentali fissati dall’art. 6 della legge n. 21 del 1992, che non contempla, tra i requisiti di accesso al ruolo dei conducenti, quello della residenza.

4.3.– Il medesimo vizio affliggerebbe la disposizione censurata, anche se raffrontata con l’art. 117, primo comma, Cost., nella formulazione antecedente alla modifica operata dalla legge cost. n. 3 del 2001 e, quindi, nella versione vigente al momento dell’aggiunta della lettera i) al comma 1 dell’art. 6 della legge reg. Umbria n. 17 del 1994 ad opera dell’art. 1 della legge reg. Umbria n. 15 del 2000.

In particolare, il legislatore regionale, intervenendo in una materia all’epoca considerata di competenza concorrente – «tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale» – avrebbe violato i principi fondamentali stabiliti dalla legge quadro statale n. 21 del 1992, nel cui contesto l’iscrizione al ruolo dei conducenti di veicoli adibiti ad autoservizi pubblici non di linea è subordinata esclusivamente al possesso di requisiti di affidabilità e professionalità.

4.4.– Infine, la disposizione censurata lederebbe l’art. 3 Cost., in quanto contrastante con i canoni di ragionevolezza e proporzionalità.

Da un lato, infatti, il requisito in questione sarebbe totalmente eccentrico rispetto agli altri requisiti pure stabiliti dall’art. 6 della legge reg. Umbria n. 17 del 1994, tutti afferenti ai soli caratteri di affidabilità e professionalità in capo al conducente di veicoli adibiti a servizi pubblici non di linea. Dall’altro, la condizione di residenza in uno dei comuni umbri sarebbe sproporzionata ed eccessivamente gravosa per l’interessato, rispetto alla finalità di garantire uno stabile collegamento con la dimensione territoriale del servizio.

5.– Prima di esaminare partitamente le questioni sollevate, è opportuno, allo scopo di segnare i confini della potestà legislativa regionale, procedere a una, sia pur sintetica, ricostruzione del quadro normativo di riferimento, nonché all’individuazione dell’ambito materiale cui ricondurre la normativa censurata.

5.1.– Per quanto qui rilevante, l’attività di trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea è regolata, a livello statale, dalla legge n. 21 del 1992, la quale, all’art. 1, identifica gli autoservizi pubblici non di linea in «quelli che provvedono al trasporto collettivo od individuale di persone, con funzione complementare e integrativa rispetto ai trasporti pubblici di linea […] e che vengono effettuati, a richiesta dei trasportati o del trasportato, in modo non continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta» (comma 1). Lo stesso art. 1 stabilisce poi che «[c]ostituiscono autoservizi pubblici non di linea» i servizi di taxi e di NCC (comma 2).

Di particolare rilievo in questa sede è l’art. 6 della legge statale in esame, che, al comma 1, prevede l’istituzione di apposito «ruolo dei conducenti di veicoli o natanti adibiti ad autoservizi pubblici non di linea» presso le camere di commercio.

Il comma 2 si limita a prevedere espressamente, quale unico «requisito indispensabile per l’iscrizione nel ruolo», il possesso del «certificato di abilitazione professionale», che presuppone il rilascio della patente di guida della categoria richiesta (oggi dall’art. 116 cod. strada) per il tipo di veicolo adibito ai servizi di trasporto.

Ai sensi del comma 3, l’iscrizione nel ruolo avviene previo esame – da tenersi con cadenza almeno mensile – di apposita commissione regionale, «che accerta i requisiti di idoneità all’esercizio del servizio, con particolare riferimento alla conoscenza geografica e toponomastica».

Ancora, il comma 4 del medesimo art. 6, al secondo periodo, stabilisce, tra l’altro, che le regioni «definiscono i criteri per l’ammissione nel ruolo».

Il comma 5 specifica, infine, che l’iscrizione nel ruolo costituisce requisito indispensabile per il rilascio della licenza per l’esercizio del servizio di taxi e dell’autorizzazione per l’esercizio del servizio di noleggio con conducente: tali attività, infatti, non sono liberalizzate, bensì sottoposte ad autorizzazione, rilasciata dall’amministrazione comunale, attraverso un bando di pubblico concorso, ai singoli che abbiano la proprietà o la disponibilità in leasing o ad uso noleggio a lungo termine del veicolo (art. 8, comma 1, della legge n. 21 del 1992).

Nell’ambito delle competenze regionali fatte salve dal sopra menzionato comma 4 dell’art. 6 della legge n. 21 del 1992, la Regione Umbria ha disciplinato la materia con la legge reg. Umbria n. 17 del 1994.

Nella sua attuale formulazione, l’art. 4 di tale legge regionale prevede che l’esame per l’iscrizione nei ruoli dei conducenti avvenga davanti ad apposita commissione provinciale, che, tra l’altro, è tenuta ad accertare il possesso da parte dei candidati di specifici requisiti di accesso, ulteriori rispetto a quello imposto dalla legge statale.

I requisiti di iscrizione al ruolo – e, prima ancora, necessari per sostenere l’esame propedeutico innanzi alla commissione provinciale – sono indicati al comma 1 dell’art. 6 della medesima legge regionale, il quale, alla sua lettera i) (introdotta dall’art. 1 della legge reg. Umbria n. 15 del 2000), include anche la residenza «in uno dei Comuni della Regione Umbria».

Gli altri requisiti richiesti dallo stesso art. 6 della legge reg. Umbria n. 17 del 1994, all’esito della sopravvenuta abrogazione di quelli originariamente previsti dalle lettere a) e h), sono:

«b) non aver riportato una o più condanne irrevocabili alla reclusione in misura superiore complessivamente ai due anni per delitti non colposi o di non risultare sottoposto con provvedimento esecutivo a una delle misure di prevenzione previste dalla normativa vigente. Il requisito si intende soddisfatto quando è intervenuta la riabilitazione;

  1. c) assenza di provvedimenti di revoca di precedenti autorizzazioni o licenze, di cui alla presente legge;
  2. d) non appartenenza ad associazioni di tipo mafioso, di cui alla legge 19 marzo 1990, n. 55;
  3. e) assolvimento dell’obbligo scolastico;
  4. f) possesso dell’abilitazione professionale di cui all’art. 116, comma 8, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, per l’iscrizione alle sezioni riservate ai conducenti di autovetture e motocarrozzette;
  5. g) possesso del titolo professionale, di cui al decreto del Ministero dei trasporti 5 febbraio 1986, per l’iscrizione alla sezione riservata ai conducenti di natanti».

5.2.– Dall’illustrata ricognizione normativa, risulta che sia la legge n. 21 del 1992 sia la censurata lettera i) del comma 1 dell’art. 6 della legge reg. Umbria n. 17 del 1994 – introdotta dall’art. 1 della legge reg. Umbria n. 15 del 2000 – sono state adottate in epoca anteriore alla modifica del Titolo V della Parte II della Costituzione.

Prima di tale riforma, la materia «tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale» era espressamente assegnata alle regioni in regime di potestà legislativa concorrente e la legislazione statale ricomprendeva in essa, in modo puntuale, anche «i servizi pubblici di trasporto di persone e merci» (art. 84 del d.P.R. n. 616 del 1977).

Questa Corte ha già chiarito (sentenza n. 56 del 2020) che la legge n. 21 del 1992 di disciplina organica del settore degli autoservizi pubblici non di linea si poneva come «legge quadro» di definizione dei principi fondamentali, restando assegnato alla competenza delle regioni di disciplinare per il resto la materia ai sensi del richiamato d.P.R. n. 616 del 1977 (art. 4).

In seguito alla modifica del riparto di competenze operata dalla legge cost. n. 3 del 2001, il trasporto pubblico locale continua a essere considerato materia di competenza legislativa regionale, ma è transitato nell’ambito della più ampia competenza legislativa regionale residuale di cui all’art. 117, quarto comma, Cost. (ex multis, sentenze n. 137 e n. 78 del 2018, n. 30 del 2016 e n. 452 del 2007), come è stato affermato proprio con riferimento al settore del «servizio pubblico di trasporto, di linea e non di linea» (sentenze n. 56 del 2020 e n. 5 del 2019).

6.– Questa Corte è stata spesso chiamata a scrutinare leggi regionali emanate prima della citata riforma del Titolo V, ma censurate per violazione dei nuovi parametri di riparto delle competenze, evocati da soli oppure unitamente ai precedenti.

Quando ciò è avvenuto, la giurisprudenza costituzionale, lungi dall’affermare un principio generale in ordine all’applicabilità del vecchio o del nuovo Titolo V, ha privilegiato, piuttosto, un approccio basato sulla verifica della persistenza, nel passaggio dall’uno all’altro sistema di riparto delle competenze, di limiti posti sin dall’origine all’esercizio della potestà legislativa regionale. Ciò che permette di riferire lo scrutinio anche (o soltanto) ai parametri sopravvenuti.

A tal fine, questa Corte ha ritenuto onere dei rimettenti motivare, a pena d’inammissibilità, in ordine alle ragioni dell’evocazione dei nuovi parametri (così, tra le ultime, sentenze n. 8 del 2024 e n. 52 del 2022; ordinanza n. 247 del 2016), ferma restando la riferibilità dello scrutinio ai parametri in vigore al momento dell’emanazione della normativa regionale, nel rispetto del principio di continuità, secondo cui le norme regionali adottate in conformità al preesistente quadro costituzionale mantengono la loro validità fino al momento in cui non vengano sostituite da nuove norme dettate dall’autorità dotata di competenza nel nuovo sistema (tra le ultime, sentenze n. 2 del 2024, n. 189 del 2021 e n. 244 del 2020).

6.1.– La descritta persistenza si attaglia, in particolare, ai limiti trasversali che esprimono l’esigenza di garantire uniformità di disciplina nel territorio nazionale e che, per questo, sono destinati a permanere nonostante l’eventuale ampliamento delle attribuzioni regionali nell’ambito materiale di riferimento, come conseguenza del mutamento (da concorrente a residuale) della configurazione della competenza legislativa delle regioni.

Questa Corte, ad esempio, ha rilevato tale persistenza in riferimento al limite alla potestà legislativa regionale costituito dal divieto di alterare le regole fondamentali che disciplinano i rapporti privati: limite che la giurisprudenza costituzionale ha costantemente ritenuto operante (sentenza n. 132 del 2023), anche prima che esso fosse espresso – ai sensi del nuovo art. 117, secondo comma, lettere l) e o), Cost. – nella riserva alla potestà esclusiva dello Stato delle materie, rispettivamente, «ordinamento civile» (sentenze n. 189 del 2020, n. 265 del 2013 e n. 282 del 2004) e «previdenza sociale» (sentenza n. 244 del 2020).

7.– Ciò premesso, anche nel caso odierno è possibile enucleare un confine che la potestà legislativa regionale non è mai stata abilitata a valicare, né prima né dopo la riforma del Titolo V.

7.1.– Questa Corte, infatti, ha già affermato che la tutela della concorrenza appartiene oggi alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dall’art. 117, secondo comma, lettera e), «a ulteriore presidio della libertà d’iniziativa economica garantita dall’art. 41 Cost.» (sentenza n. 67 del 2011), in tal modo sottolineando lo stretto legame tra le suddette disposizioni costituzionali, che si pongono fra loro in una relazione di vera e propria contiguità.

Altri precedenti (sentenze n. 94 del 2013 e n. 270 del 2010) hanno ricordato, peraltro, come la più risalente giurisprudenza costituzionale, nell’interpretare appunto l’art. 41 Cost., avesse immediatamente posto l’accento sulla «libertà di concorrenza» quale manifestazione della libertà d’iniziativa economica privata, sia pure suscettibile di limitazioni giustificate da ragioni di «utilità sociale» e da «fini sociali» (sentenze n. 97 del 1969 e n. 46 del 1963). In un secondo momento, è stata offerta una nozione più ampia di garanzia della libertà di concorrenza, essendo stata messa in luce la sua «duplice finalità», perché «da un lato, integra la libertà di iniziativa economica che spetta nella stessa misura a tutti gli imprenditori e, dall’altro, è diretta alla protezione della collettività, in quanto l’esistenza di una pluralità di imprenditori, in concorrenza tra loro, giova a migliorare la qualità dei prodotti e a contenerne i prezzi» (sentenza n. 223 del 1982), così ulteriormente connotando la concorrenza come «valore basilare della libertà di iniziativa economica» (sentenza n. 241 del 1990).

A ciò va aggiunto che, come costantemente ricordato da questa Corte, in ambito europeo ha sempre costituito «principio ordinatore quello di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza» (tra le molte, sentenza n. 14 del 2004) e che i principi comunitari si sono sempre imposti al rispetto anche del legislatore regionale (tra le tante, già sentenza n. 182 del 1976 e giurisprudenza ivi richiamata).

L’insieme di queste considerazioni porta a concludere che la tutela della concorrenza costituisce un limite che ha sempre condizionato l’esercizio della potestà legislativa regionale, anche prima della riforma del Titolo V, trovando emersione, sia pure implicitamente, nei principi fondamentali dettati dalle leggi dello Stato nelle materie a legislazione concorrente, che – come si avrà modo di approfondire proprio in relazione al caso concreto – in molti casi vi prestavano sostanziale ossequio.

Con l’ampliamento delle attribuzioni regionali disposto dalla ricordata riforma, infine, il legislatore costituzionale, affidando la «tutela della concorrenza» alla potestà legislativa esclusiva statale, ha avvertito la necessità di esplicitare il suddetto limite alla potestà legislativa regionale, in precedenza deducibile essenzialmente in via interpretativa in particolare dai principi fondamentali relativi alle materie già spettanti alla competenza regionale (come può ricavarsi dalle sentenze n. 129 del 2021, punto 2.2. del Considerato in diritto, e n. 56 del 2020, punto 5.4. del Considerato in diritto).

Ne consegue che è ben possibile evocare questo nuovo parametro anche in relazione a leggi regionali adottate prima della riforma del Titolo V.

8.– Poste queste coordinate essenziali, va rilevato che il giudice a quo motiva adeguatamente in ordine alla ragione che lo ha indotto a prospettare la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., nel testo attualmente vigente, e, al contempo, dell’art. 117, primo comma, Cost., nella versione antecedente alla riforma del Titolo V.

A giudizio del rimettente, infatti, l’art. 6 della legge quadro n. 21 del 1992, pur demandando alle regioni la definizione dei criteri per l’ammissione nel ruolo dei conducenti, ricollega l’accesso a esso a soli requisiti di affidabilità e professionalità, sicché, per il TAR Umbria, «restano validi i già richiamati principi esplicitati dalla Corte costituzionale […], con particolare riferimento alla riserva statale, da un lato, sull’individuazione del punto di equilibrio fra il libero esercizio dell’attività di trasporto e gli interessi pubblici interferenti con tale libertà (con riflessi sulla libertà dell’iniziativa economica privata tutelata dall’art. 41 Cost.) e, dall’altro, sull’individuazione dei profili e titoli abilitanti delle figure professionali».

Nell’indicato passaggio argomentativo, il richiamo operato dal giudice a quo è alle sentenze n. 265 e n. 30 del 2016, nelle quali questa Corte ha scrutinato alcune disposizioni di legge regionale, emanate in epoca successiva alla riforma del Titolo V, in tema di servizio di trasporto pubblico non di linea, affermando che «[d]efinire quali soggetti siano abilitati a offrire talune tipologie di servizi è decisivo ai fini della configurazione di un determinato settore di attività economica: si tratta di una scelta che impone un limite alla libertà di iniziativa economica individuale e incide sulla competizione tra operatori economici nel relativo mercato. Sicché, tale profilo rientra a pieno titolo nell’ampia nozione di concorrenza di cui al secondo comma, lettera e), dell’art. 117 Cost.» (sentenza n. 265 del 2016).

8.1.– Così ricostruita la censura, essa si rivela fondata, alla luce sia del vecchio che del nuovo testo dell’art. 117 Cost., dal momento che il limite alla potestà legislativa regionale consistente nel divieto di incidere sulla concorrenza tra gli operatori economici, oggi espresso nella riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato della materia «tutela della concorrenza», non può dirsi estraneo neppure all’assetto del riparto di competenze precedente alla riforma del Titolo V in tema di trasporto pubblico locale, avendo anzi sempre costituito un limite implicito che innervava direttamente i principi fondamentali dettati dallo Stato con la legge quadro n. 21 del 1992.

Quest’ultima, infatti, pur abilitando le regioni a definire i criteri per l’ammissione al ruolo dei conducenti di veicoli o natanti adibiti ad autoservizi pubblici non di linea, focalizza l’attenzione sulla capacità professionale e sull’idoneità tecnica dell’aspirante – richiedendo come unico requisito indispensabile il possesso del certificato di abilitazione professionale – e valorizza la pura conoscenza geografica e toponomastica del territorio, che, ovviamente, è acquisibile (e dunque riscontrabile) del tutto a prescindere dalla residenza anagrafica del conducente alla quale non è attribuito alcun rilievo.

La legge n. 21 del 1992, dunque, nel dettare i principi fondamentali ai quali le regioni si sarebbero dovute attenere, è stata ben attenta a fissare criteri che non limitassero inutilmente la concorrenza nel mercato degli autoservizi pubblici non di linea.

8.2.– Alla luce di tali premesse, la disposizione censurata difetta di coerenza con gli indicati criteri, come già rilevato in casi similari.

Questa Corte, infatti, ha già scrutinato una normativa analoga, esprimendo argomentazioni che possono condurre, anche in questa occasione, ad una declaratoria d’illegittimità costituzionale.

In particolare, nel caso affrontato dalla sentenza n. 264 del 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri aveva impugnato l’art. 6, comma 1, lettera b), della legge della Regione Molise 13 novembre 2012, n. 25 (Norme per il trasporto di persone mediante servizi pubblici non di linea – Istituzione del ruolo dei conducenti di veicoli o natanti di cui alla legge 15 gennaio 1992, n. 21). Tale disposizione, similmente a quella censurata nel presente giudizio, prevedeva, tra gli altri requisiti per l’iscrizione al ruolo dei conducenti di veicoli adibiti ad autoservizi pubblici non di linea, che i soggetti aspiranti all’iscrizione medesima dovessero «essere residenti in un comune compreso nel territorio della Regione da almeno un anno ed avere la sede legale dell’impresa nel territorio regionale».

Il parametro evocato, in quella occasione, era l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che vieta restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro.

Questa Corte dichiarò l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata, ritenendo che essa si traducesse in una limitazione al libero ingresso di lavoratori o imprese nel bacino lavorativo regionale, in danno dei cittadini dell’Unione europea, «nonché dei cittadini italiani residenti in altre Regioni».

In quella pronuncia si ribadì «il divieto per i legislatori regionali di frapporre barriere di carattere protezionistico alla prestazione, nel proprio ambito territoriale, di servizi di carattere imprenditoriale da parte di soggetti ubicati in qualsiasi parte del territorio nazionale […]» (principio ribadito successivamente, in tema di trasporto di viaggiatori mediante noleggio di autobus con conducente, dalla sentenza n. 129 del 2021).

Inoltre, si ritenne «palese» che la previsione impugnata determinasse «un’ingiustificata compressione dell’assetto concorrenziale del mercato degli autoservizi pubblici non di linea», perché favoriva «(per tale sola loro condizione) quei richiedenti già da tempo localizzati nel territorio regionale».

Tanto premesso, poiché, come già ricordato in precedenza, la giurisprudenza costituzionale (tra le recenti, sentenze n. 44 del 2023, n. 56 del 2020 e n. 83 del 2018) è costante nell’affermare che la nozione di “concorrenza” di cui al secondo comma, lettera e), dell’art. 117 Cost., che è il parametro oggi evocato, non può non riflettere quella operante a livello europeo, le argomentazioni allora spese possono essere utilizzate anche nel presente giudizio, in cui il rimettente ha scelto di prospettare il contrasto solo con parametri costituzionali interni.

Ciò porta a concludere che la disposizione sospettata d’illegittimità costituzionale interviene sull’assetto individuato dal legislatore statale, alterando quell’equilibrio – tra il libero esercizio dell’attività di trasporto di persone mediante servizi pubblici non di linea e gli interessi pubblici interferenti con tale libertà – individuato dalla legge statale nell’esercizio della sua potestà legislativa esclusiva nella materia «tutela della concorrenza» (sentenze n. 36 del 2024, n. 56 del 2020, n. 265 e n. 30 del 2016). Tale assetto è capace di condizionare anche la potestà legislativa che le regioni possono esercitare nelle materie che ora sono di carattere residuale, «potendo influire su queste ultime fino a incidere sulla totalità degli ambiti materiali entro cui si estendono, sia pure nei limiti strettamente necessari per assicurare gli interessi alla cui garanzia la competenza statale esclusiva è diretta» (così, ancora, sentenza n. 56 del 2020).

9.– Pure fondata è la questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost.

La disposizione oggi censurata, infatti, esibisce una contraddittorietà intrinseca tra la regola concernente la residenza che essa introduce, preclusiva della stessa presentazione della domanda di partecipazione all’esame per l’iscrizione nel ruolo dei conducenti, e la “causa” normativa che la deve assistere. Quest’ultima si ricava dall’esame della complessiva legge reg. Umbria n. 17 del 1994, che risulta improntata, conformemente alla legge quadro statale, alla strutturazione dell’esame come momento destinato ad accertare, anche a tutela dell’utenza, le specifiche idoneità tecniche (tra cui anche la conoscenza geografica e toponomastica del territorio) e le attitudini morali del soggetto aspirante al futuro svolgimento dell’attività in questione.

Sono queste, infatti, le finalità che la già citata sentenza n. 264 del 2013 attribuisce all’esame di cui si tratta e alla conseguente iscrizione nel ruolo dei conducenti.

Rispetto a tale ratio, del tutto eccentrica si presenta l’addizione del requisito della residenza in uno dei comuni dell’Umbria, dal momento che tale elemento di “localizzazione” nulla potrebbe aggiungere alla verifica suddetta. Esso, anzi, rischia di escludere dal suddetto ruolo anche aspiranti che, pur non in possesso di tale requisito, presentino caratteristiche di professionalità, onorabilità e conoscenza del territorio magari in grado più elevato rispetto ai residenti. Già in due recenti occasioni, del resto, questa Corte, con specifico riferimento al settore degli NCC, ha rappresentato la necessità costituzionale di un’apertura del mercato, eliminando ogni barriera regolatoria priva di adeguata giustificazione (sentenze n.137 e n.36 del 2024).

Come già ritenuto da questa Corte in altra analoga fattispecie, occorre sempre accertare una «connessione razionale tra il mezzo predisposto dal legislatore […] e il fine che questi intende perseguire» (sentenza n. 8 del 2024).

Nel caso in esame, la verifica restituisce esito negativo.

È senz’altro vero che il servizio di trasporto di persone mediante servizi pubblici non di linea conserva una dimensione territoriale, come risulta dalle stesse previsioni della legge n. 21 del 1992, che agli artt. 2 e 3 ne descrive le caratteristiche.

Come pure è innegabile che, al profilo della territorialità tendenziale di tali servizi si connetta anche quello della competenza delle amministrazioni locali – e, in particolare, della Camera di commercio provinciale che gestisce il ruolo dei conducenti – ad esercitare la vigilanza e il controllo sul mantenimento di tutti i requisiti richiesti per l’iscrizione (sentenza n. 152 del 2017), garantendo gli interessi delle comunità locali.

Tuttavia, se le regioni possono certamente preservare tali profili prevedendo requisiti di iscrizione ulteriori rispetto a quelli contemplati dalla legge statale, esse sono però obbligate a procedere in maniera ragionevole e proporzionata e, comunque, coerente con le prescrizioni della legge quadro.

Quest’ultima prevede semplicemente requisiti volti a garantire adeguata professionalità e conoscenza del territorio da parte degli aspiranti conducenti, mentre – come evidenziato dal rimettente – la previsione dell’obbligo di residenza in uno dei comuni della regione costituisce un mezzo sproporzionato rispetto allo scopo perseguito, in quanto eccessivamente e inutilmente gravoso (peraltro comportante per l’interessato una pluralità di conseguenze civili, amministrative e tributarie), mentre la medesima esigenza di tutelare ulteriori interessi pubblici potrebbe essere semmai soddisfatta con la previsione di un requisito alternativo quale l’elezione di domicilio, sulla falsariga del modello prescelto da altre legislazioni regionali (sentenza n. 152 del 2017 già citata).

10.– Va pertanto dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 6, comma 1, lettera i), della legge della legge reg. Umbria n. 17 del 1994, per contrasto con gli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera e), Cost., nonché con l’art. 117, primo comma, Cost. nella formulazione antecedente alla riforma di cui alla legge cost. n. 3 del 2001.

11.– Resta assorbita l’ulteriore censura con cui si denuncia la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lettera i), della legge della Regione Umbria 14 giugno 1994, n. 17 (Norme per l’attuazione della legge 15 gennaio 1992, n. 21, in materia di trasporto di persone mediante mezzi di trasporto pubblici non di linea).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 ottobre 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Redattrice

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 21 novembre 2024

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

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