Il Consiglio di Stato, sezione IV, con la sentenza n. 8854 del 5 novembre 2024, ha stabilito che il versamento dell’imposta sostitutiva di affrancamento da parte di un privato non vincola il Comune nella successiva attività pianificatoria, né limita la discrezionalità dell’ente nell’attribuire una nuova classificazione urbanistica a un’area che escluda l’originaria edificabilità. La controversia riguardava un terreno per il quale il privato, al fine di rimuovere i vincoli di prezzo massimo di cessione, aveva corrisposto l’imposta prevista dall’art. 7 della legge n. 448/2001, calcolata sulla base di una perizia giurata che assumeva il valore edilizio del bene. Successivamente, il Comune, nell’esercizio della propria potestà di pianificazione urbanistica, aveva approvato un nuovo piano regolatore generale che attribuiva al terreno una destinazione incompatibile con l’edificabilità.

Il Collegio ha ritenuto che la scelta dell’amministrazione fosse conforme ai principi che regolano la pianificazione urbanistica, sottolineando che il versamento dell’imposta di affrancamento non crea un vincolo stabile sull’uso del suolo, né configura una legittima aspettativa alla conservazione della destinazione edificatoria originaria. La decisione del Comune di modificare la destinazione del terreno è stata giustificata dalla necessità di contemperare gli interessi pubblici, in particolare quelli legati alla riduzione del consumo di suolo e al razionale sfruttamento delle risorse territoriali, mediante l’adozione di un criterio logico e temporale nello stralcio delle aree edificabili.

Il Consiglio di Stato ha inoltre escluso che tale attività pianificatoria fosse in contrasto con il principio del “fair and equitable treatment” previsto dai trattati bilaterali di investimento. Questo principio tutela le legittime aspettative degli investitori stranieri, vietando misure che riducano o annullino significativamente il valore degli investimenti privati senza un risarcimento adeguato. Tuttavia, il Collegio ha chiarito che tale principio non trova applicazione nel caso di specie, in quanto la modifica della destinazione urbanistica è stata adottata nell’esercizio della discrezionalità amministrativa per finalità di interesse pubblico e non ha comportato un intervento qualificabile come espropriativo o equivalente, né sussisteva un obbligo di indennizzo.

La sentenza evidenzia, dunque, come la pianificazione urbanistica, pur incidendo sui diritti dei privati, sia guidata da logiche di interesse collettivo che prevalgono sulla tutela delle aspettative individuali, purché le scelte dell’amministrazione siano sorrette da motivazioni razionali e proporzionate, come avvenuto nel caso di specie.

Pubblicato il 05/11/2024

  1. 08854/2024REG.PROV.COLL.
  2. 09961/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9961 del 2021, proposto da – OMISSIS -, rappresentati e difesi dagli avvocati Stefano Zunarelli, Andrea Giardini, Vincenzo Cellamare, con domicilio digitale come da pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Vincenzo Cellamare in Roma, piazza dei Santi Apostoli 66;

contro

Comune di Cesena, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Benedetto Ghezzi, rappresentato e difeso dall’avvocato Fiammetta Zoffoli, con domicilio digitale come da pec da Registri di Giustizia;

nei confronti

– OMISSIS -, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna (Sezione Seconda) n. – OMISSIS -/2021, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Cesena;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 luglio 2024 il Cons. Riccardo Carpino e uditi per le parti gli avvocati delle parti come da verbale.

FATTO e DIRITTO

  1. La questione controversa riguarda due delibere del Consiglio del Comune appellato mediante le quali sono state adottate e successivamente approvate Disposizioni di salvaguardia territoriale ed urbanistica nel periodo di redazione dei nuovi strumenti urbanistici comunali e recepimento di prescrizioni cogenti di cui alla L.R. 30.7.2013 n. 15 di variante normativa e cartografica al P.R.G. n. 1/2014.

In particolare si tratta delle delibere del Consiglio Comunale del Comune di Cesena n. 7 del 6 febbraio 2014 e n. 36 del 9 aprile 2015 mediante le quali l’amministrazione ha stralciato dal PRG l’area 05/22-AT4b, in cui ricadono i lotti di proprietà degli appellanti, attribuendo alla suddetta area l’originaria “zonizzazione di territorio rurale” disciplinata dagli artt. 63 ss. delle n.t.a. del p.r.g. del 2000, così azzerandone la capacità edificatoria.

Come emerge dagli atti di causa, con la delibera del Consiglio comunale n. 133 del 21 dicembre 2011 e con la successiva delibera 71/2012 si è provveduto ad uno sdoppiamento dell’area 05/11 -AT4b di proprietà degli appellanti che è stata suddivisa in due: 05/11 -AT4b e 05/22-AT4b.

Avverso le delibere n. 7/2014 e n. 36/2015 aventi ad oggetto lo stralcio dal PRG del 2000 delle due richiamate aree (05/11 -AT4b e 05/22-AT4b) per la parte di interesse non ancora utilizzate a scopi edificatori, hanno proposto ricorso gli appellanti odierni (unitamente ad altri non presenti in questo giudizio) innanzi al Tar per l’Emilia – Romagna che lo ha dichiarato inammissibile e comunque infondato nel merito.

  1. In particolare il giudice di primo grado ha ritenuto preliminarmente che il ricorso avverso le disposizioni di un P.R.G. doveva essere notificato, a pena d’inammissibilità, anche alla Provincia in considerazione della natura complessa dell’atto impugnato e del concorso della volontà di entrambi gli Enti alla sua formazione definitiva essendo la Provincia ente sovraordinato e quindi da qualificarsi quale “Amministrazione emanante”; ad avviso del giudice di prime cure quindi il ricorso era inammissibile ma comunque lo ha esaminato nel merito.

In particolare, quanto al merito, ritiene il giudice di primo grado che l’obiettivo dello stralcio è stato quello di riportare alla destinazione agricola ambiti di trasformazione di risalente approvazione per i quali i rispettivi proprietari non avevano mai manifestato alcun interesse attivo; nel caso specifico sulla scorta della delibera della Giunta provinciale n. 95 del 29 marzo 2005 l’area in questione era stata classificata come Area di Trasformazione Polifunzionale a prevalenza commerciale.

Inoltre il giudice di primo grado ha rilevato che:

– il pagamento di cui si lamentano gli appellanti dell’imposta di affrancamento sul valore edificabile del terreno costituisce adempimento di un mero onere fiscale;

– le indicazioni circa una disparità di trattamento sono generiche ed in ogni caso non dimostrano l’irrazionalità delle scelte operate dall’amministrazione.

  1. Avverso la decisione del giudice di primo grado propongono ora appello alcuni dei ricorrenti in primo grado per i seguenti motivi:
  2. Erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto inammissibile il ricorso presentato in primo grado per omessa notifica alla Provincia di Forlì-Cesena in quanto asserita Autorità emanante il provvedimento amministrativo impugnato. – Errore sui presupposti – Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione degli artt. 15, comma 4 e 21 L.R. Emilia-Romagna 7 dicembre 1978 n. 47.
  3. Erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il primo ed il secondo motivo di ricorso.

III. Erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il terzo ed il quarto motivo di ricorso.

  1. Preliminarmente occorre dare atto di quanto affermato nella memoria del 7 giugno 2024 da parte dell’amministrazione appellata in ordine alla intervenuta approvazione, con efficacia del 15 marzo 2023, del  nuovo PRG con conseguente improcedibilità del ricorso di primo grado; sulla base di detto nuovo strumento urbanistico l’area degli appellanti ha destinazione di territorio rurale di pianura e per la sua utilizzazione, a scopi edificatori, sarebbe necessaria la redazione di un accordo operativo.

Sulla scorta dell’adozione di detto nuovo strumento urbanistico l’appello sarebbe improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse; come si vedrà in appresso, prescindendo da tale profilo in rito, essendo infondato, sarà esaminato nel merito,.

Il Comune appellato, inoltre, nella medesima memoria avanza una ulteriore eccezione circa l’assenza di un reale interesse ai fini risarcitori in considerazione del fatto che era rimasto non impugnato il capo della sentenza che ha respinto la domanda risarcitoria.

Al riguardo invero nell’atto d’appello non è stato proposto il risarcimento facendosi ad esso un generico riferimento solo in sede di riscontro all’ordinanza presidenziale n. 214/2024 del 1° febbraio 2024; in sede di ricorso di primo grado la questione era stata affrontata anche mediante una quantificazione in relazione al terzo motivo di appello che come si vedrà in appresso è comunque infondato.

La sentenza pronunciata dal TAR merita conferma, seppur con diversa motivazione, nella parte in cui ha respinto il ricorso avanzato in primo grado.

  1. Con il primo motivo (rubricato: Erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto inammissibile il ricorso presentato in primo grado per omessa notifica alla Provincia di Forlì-Cesena in quanto asserita Autorità emanante il provvedimento amministrativo impugnato. – Errore sui presupposti – Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione degli artt. 15, comma 4 e 21 L.R. Emilia-Romagna 7 dicembre 1978 n. 47) l’appellante censura la dichiarazione di inammissibilità del ricorso di primo grado per la mancata notifica alla provincia in quanto ritiene che la variante in esame rientra nella tipologia delle varianti minori di cui all’articolo 15, comma 4, della legge regionale Emilia-Romagna, 7 dicembre 1978, n. 47, in base a detta disposizione le varianti di cui al comma 4 sono trasmesse, contemporaneamente al deposito, alla Giunta provinciale, la quale, entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data del ricevimento, formula nei casi indicati dai commi 2 e 4 dell’art. 14, come sostituito, osservazioni alle quali i Comuni sono tenuti, in sede di approvazione, ad adeguarsi ovvero ad esprimersi con motivazioni puntuali e circostanziate. Trascorso il termine di sessanta giorni la variante si considera valutata positivamente dalla Giunta provinciale.

Detta variante, ad avviso dell’appellante, differirebbe rispetto a quella prevista dall’art 14 della l.r. 47/1975 che invece (comma 8) prevede l’approvazione da parte della Provincia.

Il motivo è fondato.

Nel caso specifico non si è avuto alcuno spostamento di competenze né una codeterminazione della decisione tra provincia e comune atteso che, come prevede il comma 5, la determinazione finale è del Comune che in quanto tale è autorità emanante; alla Provincia non è attribuito, nell’ambito del procedimento, alcun potere decisorio, né di conseguenza è necessario notificare ad essa l’impugnazione della deliberazione del Consiglio comunale che approva la variante.

  1. Con il secondo motivo (rubricato: Erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il primo ed il secondo motivo di ricorso) l’appellante rileva che lo sdoppiamento con la creazione dell’area AT-4b 05/22, intervenuto con la delibera n. 71/2012, conseguiva alle originarie osservazioni degli appellanti del 20 maggio 2011, secondo le quali la grandezza dell’area (circa 117 mila mq. complessivi) e la frammentazione delle proprietà (22 soggetti diversi) rendevano molto difficili accordi tra i proprietari a scopo di sviluppo edificatorio; meno di 18 mesi dopo, però, lo stesso Comune decideva di inserire detta AT tra quelle che dovevano essere oggetto della Variante n. 7/2014 per lo stralcio in misure di salvaguardia ed il ritorno a zona rurale.

Detta soluzione sarebbe in contrasto con il criterio A.7 richiamato dalla stessa delibera 7/2014 che è il criterio che il Comune si è dato per escludere dallo stralcio, e quindi mantenere edificabili, le “AT inserite con varianti urbanistiche di recente approvazione che non abbiano avuto ancora a disposizione un tempo ragionevole per avviare l’iter di attuazione” atteso che il Comune, proprio invocando tale criterio, aveva escluso dallo stralcio mantenendola edificabile la diversa AT-4a 05/01, anche quest’area creata con la Delibera n. 71/2012, ingenerando una disparità di trattamento.

Il motivo è infondato.

Secondo giurisprudenza consolidata le scelte di pianificazione urbanistica, sono caratterizzate da ampia discrezionalità e costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità, con la conseguenza che non devono essere congruamente motivate (cfr. da ultimo Consiglio di Stato, IV, 13 ottobre 2022, n. 8731). In occasione della formazione dello strumento urbanistico generale, le decisioni dell’Amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree non necessitano infatti di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali – di ordine tecnico discrezionale – seguiti nell’impostazione del piano stesso (cfr. Consiglio di Stato, IV, 26 aprile 2022, n. 3170).

Nei predetti limiti del sindacato di questo Giudice, la scelta del Comune appare razionale in quanto rimette ad una valutazione ancorata al criterio temporale che dimostri l’interesse alla presentazione del piano attuativo; nel caso specifico sono decorsi due anni tra lo sdoppiamento e lo stralcio che appare un tempo congruo, anche sulla base di analoga procedura seguita per AT-4a 05/01 secondo quanto riferisce la relazione tecnica agli atti di causa prodotta dal Comune appellato.

Nello specifico il criterio temporale deve essere collegato anche alla situazione precedente allo sdoppiamento; infatti anche in detta situazione, che iniziava dal 2005, non era intervenuta alcuna attività volta allo sfruttamento edilizio né l’intervenuto sdoppiamento ha modificato detta situazione di inerzia atteso che in quel frangente non sono né richiamate né dimostrate da parte appellante iniziative volte alla soluzione della questione.

Né possono trarsi elementi di irrazionalità – come sostiene l’appellante – nel comportamento che l’ente appellato ha adottato nei confronti della zona AT-4a 05/01; in quel caso, come emerge dalla relazione tecnica depositata dal Comune appellato in data 31 maggio 2024, la 05/01 AT 4a è stata inserita ex novo per realizzare un’area logistica al servizio della distribuzione elementare ed al momento dell’approvazione della Variante di salvaguardia 7/2014 adottata il 6 febbraio 2014 era già stato approvato il Piano attuativo rendendo superfluo uno stralcio dal p.r.g. come quello operato per le aree dell’appellante.

Da ciò ne deriva che non vi è stata alcuna disparità di trattamento atteso che, secondo giurisprudenza consolidata, l’eccesso di potere per disparità di trattamento, a fronte di scelte discrezionali dell’Amministrazione, è riscontrabile soltanto in caso di assoluta identità di situazioni di fatto e di conseguente assoluta irragionevole diversità del trattamento riservato, situazioni la cui prova rigorosa deve essere fornita dall’interessato (cfr. Consiglio di Stato sez. V, 8 gennaio 2024, n. 256)

Nel caso specifico le due situazioni non sono paragonabili proprio atteso lo sviluppo dell’iter per l’utilizzo edilizio in questa seconda fattispecie a fronte dell’assenza di idonee iniziative degli appellanti, sostanzialmente dal 2005 in poi.

  1. Con il terzo motivo (rubricato: Erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il terzo ed il quarto motivo di ricorso) l’appellante richiama il fatto che ha provveduto a versare € 438.838,11 a titolo di imposta sostituiva di affrancamento, prevista dall’art. 7 della Legge 28 dicembre 2001, n. 448; detta imposta consentiva ai proprietari di “terreni edificabili” ad una certa data (1° gennaio 2002), la possibilità di versare una “imposta sostitutiva (…) ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta di registro e dell’imposta ipotecaria e catastale” (la c.d. imposta di affrancamento), calcolata assumendo, “in luogo del costo o valore di acquisto” del terreno, “il valore a tale data determinato sulla base di una perizia giurata di stima”.

Gli appellanti a tal proposito fanno richiamo al principio del fair and equitable treatment, recepito nei trattati bilaterali di investimento che include il divieto per lo Stato ospite dell’investimento di adottare, senza previsione di indennizzo, misure che anche solo indirettamente interferiscano con gli investimenti effettuati dai privati riducendone in modo significativo, o annullandone, il valore nonché l’obbligo di rispettare le legittime aspettative degli investitori con riferimento al loro legittimo investimento. In detto obbligo – che l’appellante ritiene applicabile sul territorio nazionale anche verso i propri cittadini – rientrerebbe anche il divieto di adozione di misure indirettamente espropriative o di effetto equivalente, benché sorrette da un interesse pubblico, se non venga contestualmente previsto un risarcimento adeguato al ‘fair market value’ dell’investimento annullato.

Come ulteriore censura richiama la disparità di trattamento tra gli appellanti che hanno corrisposto la citata imposta in considerazione del fatto che solo loro, quali proprietari di terreni agricoli, hanno subito il più gravoso regime fiscale cui sono soggetti i proprietari di terreni edificabili senza però poter beneficiare come questi ultimi del maggior valore del terreno.

Il motivo è infondato.

Nello specifico occorre solo fare riferimento al fatto che detti beni possedevano la qualifica di edilizi ed erano soggetti al loro sfruttamento in quanto tali; in base ad una successiva scelta – da ritenersi razionale nel contemperamento degli interessi connessi alla riduzione del consumo di suolo ed al suo razionale sfruttamento – il Comune nella sua potestà pianificatoria ha fissato un criterio logico di cui sub A.7 – quello temporale per lo stralcio – che ha comportato una modifica della destinazione.

Ma da ciò non ne può conseguire altro restando i singoli proprietari soggetti al pagamento delle imposte in relazione alle potenzialità edificatorie, sebbene non sfruttate.

Quanto poi alla disparità di trattamento la censura proposta è generica in quanto non individua le situazioni analoghe dalle quali dedurre l’eventuale trattamento deteriore.

In considerazione della complessità delle questioni rappresentate sussistono idonei motivi per una compensazione delle spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge nei sensi di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2024 con l’intervento dei magistrati:

Vincenzo Neri, Presidente

Silvia Martino, Consigliere

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Luigi Furno, Consigliere

Riccardo Carpino, Consigliere, Estensore

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Riccardo Carpino Vincenzo Neri
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO