Con la sentenza 10 ottobre 2024, n. 8140, il Consiglio di Stato si è pronunciato sulla questione relativa all’inammissibilità di un gravame riassunto a causa di un errore nell’individuazione del giudice competente. La controversia ha avuto origine dall’impugnazione, nel 2015, da parte di alcuni dirigenti regionali delle determinazioni della Giunta, adottate tra il 2010 e il 2012, relative alla riduzione del fondo destinato al pagamento delle indennità di posizione e di risultato. Le determinazioni impugnate riguardavano decisioni di “macro-organizzazione”, ovvero di indirizzo politico-amministrativo, pertanto, secondo l’orientamento consolidato, la giurisdizione era del Giudice amministrativo, e non del Giudice ordinario, come inizialmente ritenuto.

Il Giudice del lavoro, infatti, aveva declinato la propria giurisdizione e rinviato la causa al Giudice amministrativo. Nonostante la riassunzione del giudizio nel termine di tre mesi, come previsto dall’art. 59 della L. n. 69/2009 (oggi art. 11 c.p.a.) in caso di translatio iudicii, il Consiglio di Stato ha dichiarato inammissibile il gravame riassunto, ribadendo che, nel caso di azione concernente un interesse legittimo, il ricorso per l’annullamento di provvedimenti di “macro-organizzazione” deve essere presentato entro il termine decadenziale di sessanta giorni. Il ricorso, inizialmente proposto erroneamente davanti al Giudice del lavoro nel 2015, era pertanto tardivo, essendo stati i provvedimenti adottati già tra il 2010 e il 2012.

La decisione si fonda sulla considerazione che la tardività originaria del ricorso non poteva essere sanata dalla riassunzione del giudizio, neppure alla luce dell’istituto dell’errore scusabile, che consente la rimessione in termini in caso di “oggettiva incertezza di diritto”. Il Consiglio di Stato ha escluso che nel caso in esame vi fosse tale incertezza, poiché il criterio di riparto della giurisdizione tra Giudice amministrativo e Giudice ordinario, desunto dalla natura degli atti impugnati, era pacificamente noto e, comunque, conoscibile sin dall’inizio del giudizio.

Il Consiglio di Stato ha inoltre richiamato l’orientamento giurisprudenziale consolidato secondo cui, in presenza di un errore scusabile, la rimessione in termini può essere disposta solo in situazioni in cui l’impedimento sia determinato da ragioni oggettive di incertezza, come l’oscurità del testo normativo, contrasti giurisprudenziali, o errori commessi da enti competenti all’applicazione della normativa. Nel caso in esame, tuttavia, l’errore non era stato causato da alcuna difficoltà interpretativa o da ragioni di forza maggiore, ma piuttosto dalla scelta di adire un giudice diverso da quello competente, nonostante la chiarezza dei criteri giuridici.

La giurisprudenza amministrativa, come ribadito dal Consiglio di Stato, ha delimitato rigorosamente l’ambito di applicazione dell’errore scusabile, escludendo che l’interpretazione delle norme sulla giurisdizione, ormai consolidata, possa giustificare una rimessione in termini. Pertanto, la decisione in commento ha confermato l’impossibilità di sanare un ricorso tardivo, anche attraverso la riassunzione del giudizio, in presenza di un errore nell’individuazione del giudice competente.

Pubblicato il 10/10/2024

  1. 08140/2024REG.PROV.COLL.
  2. 00376/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 376 del 2023, proposto da
– OMISSIS -, tutti rappresentati e difesi dall’avvocato Carmine Medici, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Regione Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Tiziana Monti, Maria Filomena Luongo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Terza) n. 0- OMISSIS -/2022, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Regione Campania;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 ottobre 2024 il Cons. Massimo Santini e preso atto delle richieste di passaggio in decisione, senza preventiva discussione, depositato in atti di parte dagli Avvocati Medici e Monti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

  1. Gli odierni appellanti sono tutti dirigenti della Regione Campania i quali impugnano le determinazioni della giunta regionale con cui, per gli anni 2010 – 2012, viene ridotta la misura del fondo destinato al pagamento dell’indennità di posizione e di risultato.
  2. Tali provvedimenti, tutti pubblicati tra il 27 dicembre 2010 e il 31 dicembre 2012, venivano originariamente impugnati dinanzi al giudice del lavoro (deposito ricorso 24 settembre 2015, notifica il successivo 7 dicembre 2015) il quale, dopo ordinanza delle sezioni unite della Corte di Cassazione n. 27285 del 17 novembre 2017 (appositamente investita mediante regolamento di giurisdizione), declinava la giurisdizione in favore del GA in quanto trattasi di atti di macro organizzazione.
  3. Il TAR Campania, dinanzi al quale il giudizio è stato riassunto in applicazione dell’istituto della translatio iudicii, ha tuttavia dichiarato inammissibile il ricorso in quanto tardivamente introdotto, ab origine, dinanzi al giudice del lavoro. A tale riguardo, neppure sussistevano i presupposti per l’applicazione dell’istituto dell’errore scusabile ossia per la rimessione in termini ai fini della proposizione dell’originario gravame.
  4. La sentenza di primo grado formava oggetto di appello per i motivi di seguito indicati:

4.1. Erroneità nella parte in cui il giudice di primo grado ha ritenuto non applicabile l’istituto dell’errore scusabile, di cui all’art. 37 c.p.a., ai fini della rimessione in termini;

4.2. Riproposizione dei motivi di ricorso di primo grado ossia violazione dell’art. 26 del contratto collettivo per gli enti regionali nella parte in cui non prevede la possibilità di applicare tali riduzioni del suddetto fondo.

  1. Si costituiva in giudizio l’appellata amministrazione regionale per resistere all’appello.
  2. Alla pubblica udienza del 3 ottobre 2024 la causa veniva infine trattenuta in decisione.
  3. Tutto ciò premesso, le conclusioni del giudice di primo grado si rivelano condivisibili dal momento che:

7.1. Quanto al rispetto dei termini della translatio iudicii, per giurisprudenza costante di questo Consiglio di Stato (cfr. sez. III, 21 febbraio 2012, n. 940):

  1. a) l’art. 59 della legge n. 69 del 2009, poi trasfuso nell’art. 11 c.p.a., prevede che la translatio è sì possibile ma “ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute”;
  2. b) dunque nel caso di specie, trattandosi di interesse legittimo (il provvedimento impugnato è stato infatti qualificato dalla Cassazione alla stregua di atto di macro organizzazione) la causa civile avrebbe dovuto essere introdotta nello stesso termine previsto per il ricorso davanti al giudice amministrativo, ossia entro 60 giorni;
  3. c) ciò per evitare elusioni e aggiramenti del termine decadenziale il quale viene posto a presidio della speditezza e della celerità del processo amministrativo, ossia ancora più a monte della certezza delle posizioni giuridiche di diritto pubblico;
  4. d) nel caso di specie i provvedimenti adottati tra il 2010 e il 2012 sono stati impugnati, dinanzi al giudice ordinario, soltanto nel 2015 (quindi ben oltre il termine decadenziale di 60 giorni a tal fine prescritto): di qui l’originaria tardività del ricorso e dunque l’inammissibilità di tale gravame.
  5. e) tale indirizzo è stato di recente confermato da questa stessa sezione (Cons. Stato, sez. V, 18 luglio 2024, n. 6456) nella parte in cui si è affermato che: “La disciplina della cd. translatio iudicii comporta la salvezza degli effetti, sostanziali e processuali, della domanda avanzata innanzi al giudice sfornito di giurisdizione; tale salvezza non può spingersi fino al punto di rimettere nei termini un ricorrente che fosse già incorso in una decadenza; infatti, la rituale riassunzione del giudizio nel termine di tre mesi decorrenti dal passaggio in giudicato della prima sentenza, benché astrattamente idonea alla conservazione degli effetti sostanziali e processuali dell’originaria domanda, non impedisce al giudice amministrativo di verificare se l’originaria pretesa, azionata per errore dinanzi al giudice ordinario, sia stata proposta entro il termine di decadenza (Consiglio di Stato sez. III, 14 novembre 2023, n. 9744)”.

7.2. Quanto invece all’invocato errore scusabile:

7.2.1. Va innanzitutto rammentato che, secondo la giurisprudenza costante anche di questa stessa sezione (Cons. Stato, sez. V, 18 luglio 2024, n. 6456, cit.): “la rimessione in termini per errore scusabile è un istituto di carattere eccezionale, posto che esso delinea una deroga al principio cardine della perentorietà dei termini di impugnazione (Consiglio di Stato sez. III, 20 febbraio 2024, n. 1691). La rimessione in termini è un istituto di stretta interpretazione la cui operatività deve ritenersi limitata alle ipotesi in cui sussista effettivamente un impedimento oggettivo ovvero un errore scusabile in cui sia incorsa la parte processuale, determinato da fatti oggettivi, rappresentati – di regola – dall’oscurità del testo normativo, dalla sussistenza di contrasti giurisprudenziali o da erronee rassicurazioni fornite da soggetti pubblici istituzionalmente competenti all’applicazione della normativa violata; infatti, un uso eccessivamente ampio della discrezionalità giudiziaria, che esso presuppone, lungi dal rafforzare l’effettività della tutela giurisdizionale, potrebbe comportare un grave vulnus del pariordinato principio di parità delle parti relativamente al rispetto dei termini perentori stabiliti dalla legge processuale (Consiglio di Stato sez. III, 6 ottobre 2023, n. 8726)”. Ed ancora (Cons. Stato, sez. V, 26 aprile 2024, n. 3833): “l’errore scusabile, disciplinato dall’art. 37 c.p.a., è istituto di carattere eccezionale – e come tale di stretta interpretazione – che può trovare applicazione (a prescindere dalle ipotesi di “gravi impedimenti di fatto” che qui non rilevano) solo qualora, nel singolo caso, sia apprezzabile una qualche giustificata incertezza in ordine agli strumenti di tutela utilizzabili, poiché, diversamente opinando, la concessione del rimedio si risolverebbe in un’assoluzione indiscriminata dal termine di decadenza, con gravi riflessi sulla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico (Cons. Stato, Sez. VI, 12/1/2024, n. 406; 3/1/2019, n. 81; Sez. II, 18/10/2022, n. 8889; Sez. III, 10/5/2021, n. 3640)”. Più da vicino: “per consolidata giurisprudenza, l’incertezza che giustifica la rimessione in termini per errore scusabile può riscontrarsi unicamente laddove dipenda: dall’oscurità del quadro normativo, da oscillazioni giurisprudenziali, da comportamenti ambigui della pubblica amministrazione, idonei a ingenerare convincimenti inesatti, dall’ordine del giudice di compiere un determinato adempimento processuale in violazione dei termini effettivamente previsti dalla legge (ex plurimisCons. Stato, Sez. VI, 22/10/2021, n. 7091; 17/7/2020, n. 4617; Sez. III, ; 6/10/2023, n. 8726; 10/8/2017, n. 3992)”;

7.2.2. Tanto doverosamente premesso, nella fattispecie non è ravvisabile alcuna delle elencate condizioni richieste per la concessione del suddetto beneficio, ossia i presupposti della “oggettiva incertezza di diritto” di cui all’art. 37 c.p.a., e ciò dal momento che:

  1. a) la riduzione del Fondo per il finanziamento della retribuzione di posizione e di risultato costituisce misura strettamente consequenziale alla diminuzione degli uffici dirigenziali e della connessa dotazione dirigenziale;
  2. b) trattasi dunque di intervento intimamente legato ad atti di natura organizzativa previsti, a tal fine, proprio dall’art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 165 del 2001 (nella parte in cui si stabilisce che simili atti organizzativi siano adottati, tra l’altro, anche per la individuazione degli “uffici di maggiore rilevanza” nonché per la determinazione delle “dotazioni organiche”);
  3. c) gli atti della giunta regionale qui impugnati, d’altro canto, non riguardano direttamente i singoli rapporti di lavoro (cfr. art. 63, comma 1, del decreto legislativo n. 165 del 2001, circa le attribuzioni del giudice del lavoro in materia di pubblico impiego privatizzato). In altre parole, gli stessi non hanno natura gestionale ma piuttosto, per le ragioni sopra evidenziate, carattere evidentemente ordinamentale;
  4. d) tanto che essi sono stati adottati non da organi della PA di livello dirigenziale nella qualità di datore di lavoro ma, al contrario, da un organo titolare di funzioni di indirizzo politico – amministrativo (ossia la giunta regionale);
  5. e) ne deriva da quanto detto la chiara assenza sia di possibile oscurità del testo normativo (si vedano i citati art. 2 e 63 del testo unico sul pubblico impiego) sia di eventuali contrasti giurisprudenziali (che infatti non sono stati citati dalla difesa di parte appellante) oppure di decisioni di segno contrario rispetto all’ordinanza adottata dalla Cassazione nel caso specifico;
  6. f) tutti elementi, quelli appena individuati, che denotano la indiscussa portata generale (e giammai particolare) degli atti in questa sede impugnati e dunque la loro palese riconducibilità, sin da subito ossia sin dalla proposizione del giudizio dinanzi al giudice del lavoro nel 2015, nell’alveo della macro organizzazione della PA:

7.2.3. Pertanto, alla luce di quanto sopra considerato: il criterio di riparto tra la giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo e la giurisdizione del giudice del lavoro, criterio individuato nella distinzione tra atti di macro-organizzazione, concernenti le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, ed atti di micro-organizzazione, adottati per il loro concreto funzionamento e finalizzati al raggiungimento degli obiettivi prefissati dagli organi di indirizzo politico-amministrativo, era pacificamente noto e comunque conoscibile già al momento dell’instaurazione del giudizio, come correttamente osservato dal primo Giudice.

  1. In conclusione il ricorso in appello è infondato e deve dunque essere rigettato. Con compensazione in ogni caso delle spese di lite stante la peculiarità delle esaminate questioni.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 ottobre 2024 con l’intervento dei magistrati:

Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Presidente

Valerio Perotti, Consigliere

Alberto Urso, Consigliere

Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere

Massimo Santini, Consigliere, Estensore

 

 

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Massimo Santini

Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO