Nel provvedimento in esame, il Tribunale ha esaminato la natura giuridica dell’indennità paesaggistica disciplinata dall’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004, chiarendo che essa rientra tra le sanzioni amministrative di tipo ripristinatorio e non afflittivo. Tale qualificazione esclude l’applicabilità delle disposizioni della legge n. 689/1981, incluso il termine di decadenza di 90 giorni previsto dall’art. 14 per le sanzioni amministrative, trovando conferma in consolidati orientamenti giurisprudenziali.

In tema di prescrizione, il Collegio ha stabilito che il termine quinquennale, applicabile ex art. 2947 c.c., decorre dalla data di adozione del provvedimento di sanatoria edilizia, subordinato al parere favorevole della Soprintendenza. Tale momento rappresenta il dies a quo in cui si consolida il diritto dell’amministrazione a riscuotere l’indennità, in quanto il provvedimento di sanatoria non ha natura recettizia e produce effetti dalla sua adozione, a prescindere dalla successiva comunicazione al destinatario.

Il Tribunale ha inoltre definito il procedimento di quantificazione e applicazione dell’indennità paesaggistica come un subprocedimento strettamente connesso al rilascio del nulla osta paesaggistico, necessario per il perfezionamento della sanatoria edilizia. La connessione tra i due procedimenti ribadisce l’essenzialità del pagamento dell’indennità ai fini del rilascio del titolo richiesto, conferendo alla misura una finalità non solo sanzionatoria ma anche riequilibratrice.

Infine, il Tribunale si è pronunciato sugli effetti della normativa emergenziale legata al Covid-19. Richiamando l’art. 103 del d.l. n. 18/2020, convertito con modificazioni nella legge n. 27/2020, ha riconosciuto la sospensione del termine di prescrizione quinquennale nel periodo compreso tra il 23 febbraio e il 15 aprile 2020. Questa sospensione ha avuto l’effetto di prolungare il termine a disposizione dell’amministrazione per esigere l’indennità paesaggistica, tenendo conto delle difficoltà operative derivanti dalla pandemia.

Pubblicato il 05/11/2024

  1. 03022/2024 REG.PROV.COLL.
  2. 00833/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 833 del 2022, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonino Criscì e Andrea Fiore, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

l’Assessorato Regionale Beni Culturali e Identità Siciliana – Dipartimento Beni Culturali e Identità Siciliana – Soprintendenza per i Beni culturali e ambientali di Messina, in persona dell’Assessore pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l’annullamento:

– del D.D.S. n. -OMISSIS-, a firma del Dirigente del competente Servizio “Tutela e Acquisizioni” del Dipartimento regionale dei Beni culturali e dell’Identità Siciliana, notificato a mani dell’odierno ricorrente, a mezzo messo comunale, in data 5 marzo 2022, con il quale è stato ingiunto il pagamento del complessivo ammontare di € 12.156,22 a titolo di “sanzioni pecuniarie irrogate ai sensi dell’art. 167, comma 1, del D. Lgs. n. 42/2004, coma sostituito dall’art. 27 del D.Lgs. n. 157/2006…”;

– di tutti gli altri atti presupposti, connessi e consequenziali, anche allo stato non conosciuti;

Visto il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione regionale intimata;

Visti tutti gli atti della causa e le memorie delle parti;

Relatrice nell’udienza pubblica del giorno 19 luglio 2024 e nella camera di consiglio riconvocata dell’11 ottobre 2024 la dott.ssa Elena Farhat e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

  1. Con l’atto introduttivo, ritualmente notificato e depositato, il ricorrente è insorto avverso il provvedimento, meglio indicato in epigrafe, con il quale l’amministrazione regionale resistente gli ha ingiunto il pagamento della somma di euro 12.156,22, quale indennità dovuta a titolo di sanzione amministrativa comminata “ai sensi e per gli effetti dell’art. 167, comma 1, del D. Lgs. n. 42/2004, coma sostituito dall’art. 27 del D.Lgs. n. 157/2006”, in conseguenza al mantenimento di un fabbricato adibito a civile abitazione di sua proprietà ammesso in sanatoria dal competente Comune di Lipari con la determina dirigenziale n. -OMISSIS-, notificatagli in data 27.3.2017 (cfr. allegato 1 della documentazione depositata il 5.6.2024 da parte resistente). L’ingiunzione di pagamento impugnata è stata notificata al ricorrente in data 5.3.2022.
  2. I motivi di impugnazione sono i seguenti.

2.1. Con il primo motivo di doglianza, parte ricorrente ha eccepito la decadenza dell’amministrazione dall’esercitare il potere sanzionatorio atteso che il periodo di tempo intercorso tra la contestazione della violazione e l’ingiunzione di pagamento è stato superiore ai 90 giorni previsti dall’ art. 14 legge n. 689/1981.

2.2. Con il secondo motivo di doglianza, parte ricorrente ha eccepito la prescrizione quinquennale del potere sanzionatorio e la violazione dell’art. 28 l. n. 689/1981 atteso che somme richieste a titolo di sanzione amministrativa ai sensi dell’art. 167 del D. Lgs. n. 42/2004 e ss.mm.ii. possono essere richieste al privato nel termine prescrizionale decorrente dalla data di rilascio del provvedimento comunale di permesso in sanatoria. Nel caso di specie la sanatoria è stata rilasciata in data 1/3/2017 e il provvedimento sanzionatorio è stato notificato in data 5/3/2022.

2.3. Con il terzo motivo di doglianza, parte ricorrente ha contestato la legittimità del provvedimento impugnato in quanto adottato in “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 17 l.r. n. 4/2003 e dell’art. 167 co. 5 D. Lgs. n. 42/2004 e ss.mm.ii; difetto di motivazione; eccesso di potere per travisamento dei presupposti”, atteso che l’ingiunzione di pagamento sarebbe carente nell’esposizione dei presupposti di fatto e di diritto dell’esercizio del potere sanzionatorio e, comunque nel merito, tali presupposti sarebbero stati travisati dall’Amministrazione.

2.4. Con il quarto motivo di doglianza, parte ricorrente ha contestato la legittimità del provvedimento impugnato perché adottato in “violazione degli artt. 7 e 21-ter legge n. 241/90 e ss.mm.ii”, atteso che non sarebbe stato comunicato l’avvio del procedimento, escludendo così il contraddittorio endoprocedimentale tra p.a. e destinatario del provvedimento.

  1. L’amministrazione regionale intimata si è costituita in giudizio e in data 5.6.2024 ha depositato una memoria con la quale ha chiesto il rigetto nel merito del ricorso. In data 28.6.2024 parte ricorrente ha depositato una memoria di replica con la quale ha ribadito le proprie istanze e pretese.
  2. All’udienza del 19 luglio 2024 la decisione è stata riservata e quindi, riconvocata la camera di consiglio all’udienza dell’11 ottobre 2024, la causa è stata defintivamente trattenuta in decisione.

DIRITTO

  1. Il ricorso va rigettato in quanto i motivi sono infondati per le seguenti ragioni.
  2. 1. Il primo motivo è infondato in quanto il termine di decadenza previsto ai sensi dell’art. 14 della legge n. 689/1981 non può dirsi applicabile al potere di quantificazione e applicazione dell’indennità paesaggistica di cui all’art. dell’art. 167, comma 1, del D. Lgs. n. 42/2004.

Nel caso di specie la prospettazione ricorrente ha dato come presupposta la qualificazione dell’indennità ex art. 167 del d.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 come sanzione di natura afflittiva alla quale, pertanto, debba applicarsi la disciplina della legge n. 689/1981. La recente giurisprudenza ha, tuttavia, affermato una tesi differente sulla natura giuridica dell’indennità paesaggistica ascrivendola alla categoria delle sanzioni amministrative ripristinatorie e non afflittive, escludendo così l’applicazione della legge del 1981. Nel dettaglio dei provvedimenti giurisprudenziali, la sentenza del C.G.A.R.S. n. 95 del 9.2.2021 ha individuato la natura risarcitoria/ripristinatoria dell’indennità paesaggistica nel modo che segue: “Come è noto, più di recente, ha trovato affermazione una linea di tendenza che, è pervenuta a conclusioni almeno in parte difformi, spingendosi sino a sostenere che l’obbligazione prevista ex art. 167 citato abbia natura risarcitoria-ripristinatoria od indennitaria, ed alla stessa non possano applicarsi i precetti di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689.

Ad avviso di tale approccio interpretativo (si veda Cons. St., IV, 31.8.2017 n. 4109 e, più di recente Cons. St., II, 30.10.2020 n. 6678) posto che alle sanzioni pecuniarie sostitutive di una misura ripristinatoria di carattere reale, per consolidata giurisprudenza non si applica la legge 24 novembre 1981, n. 689 (cfr. Cons. Stato Sez. VI 20 ottobre 2016, n. 4400) una volta riconosciuta tale natura a quella sub art. 167 del d.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 citato deve escludersi che i precetti di cui alla citata legge generale sulle sanzioni amministrative possano trovare applicazione a tal riguardo”.

Alla luce di quanto sopra, l’art. 14 della legge del 1981 nel caso di specie non può trovare applicazione e, parimenti, il ricorrente, in suo favore, non può invocare la decadenza del potere di applicazione dell’indennità paesaggistica in quanto questo è sottratto al termine decadenziale.

2.2. Ulteriormente, anche il secondo motivo di doglianza è infondato nei termini che seguono. La prospettazione data dal ricorrente che vorrebbe applicare al caso concreto il termine prescrizionale di cui all’art. 28 della legge n. 689/1981 è esclusa, come esposto al punto 1, vista la natura ripristinatoria/risarcitoria e non sanzionatoria dell’indennità stessa

Ciò scritto, questo non vuole significare che il caso di specie sia privo di un termine destinato alla consumazione del diritto, ma significa, invece, che tale termine non deve essere individuato nel segmento normativo invocato dal ricorrente, poiché esso si trova altrove, e più precisamente nell’articolo 2947 c.c.

Sul punto la sentenza C.G.A.R.S. n. 95 del 9.2.2021 pocanzi citata ha stabilito che “Ora però, nel caso di specie (e tenuto conto della circostanza che l’appellante ha sempre con decisione prospettato la doglianza concernente la avvenuta estinzione della pretesa dell’Amministrazione in quanto estinta per prescrizione) sembra al Collegio irrilevante immorare sulle problematiche concernenti la qualificazione giuridica della fattispecie sub art. 167 citato. … anche a volere ipotizzare l’inapplicabilità alla vicenda in esame dell’impianto di cui alla legge 24 novembre 1981 n. 689, (e per quel che rileva, anche della prescrizione quinquennale ivi prevista ex art. 28), muovendosi dalla natura di sanzione riparatoria alternativa al ripristino dello status quo ante della disposizione di cui all’art. 167, si dovrebbe convenire che essa trova la propria ragione giustificatrice in un fatto antigiuridico, che riposa nella lesione inferta al paesaggio e che trova la propria forza legittimante nel versari in re illicita. Si muoverebbe, cioè da un fatto illecito “a monte” formale o sostanziale riconducibile allo schema tipico dell’art. 2043 cc; che dovrebbe condurre al ripristino previa demolizione; che non sfocia in tale evento a cagione della deliberazione latamente discrezionale, sia sull’an che sul quantum di compatibilità resa dall’Autorità preposta al vincolo; ed è corretto che in tale alveo trovi disciplina la problematica della prescrizione (il tema, all’evidenza, rileverebbe unicamente per questioni sistematiche, posto che la disciplina è identica a quella di cui all’art. 28 della legge 24 novembre 1981, n. 689 che ad essa interamente si rifà). Detto fatto illecito, verrebbe, di norma, sanzionato in via reipersecutoria (id est: ripristino); ma se il ripristino non ha luogo (e non ha luogo perché la responsabile lata discrezionalità tecnica dell’Amministrazione preposta ha irredimibile la lesione al paesaggio ed al vincolo apposto per tutelarlo ex comma V dell’art. 167: “qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica”) allora il ripristino avverrebbe mercè il “pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione”. Una volta che la competente amministrazione abbia deliberato la compatibilità esercitando la propria lata discrezionalità tecnica investente il profilo della non rilevante compromissione del paesaggio ed il quantum che costituisce alternativa all’obbligo del ripristino, pur sempre inizierebbe a prescriversi il diritto della stessa a pretendere il pagamento della somma suddetta”.

In ossequio all’indirizzo giurisprudenziale sopra esposto, entrando nel merito del caso concreto, il Collegio ritiene che la prescrizione quinquennale debba essere applicata nel quadro normativo stabilito dall’art. 2947 c.c..

E sul punto, la differente qualificazione giuridica data dal Collegio ai fatti prospettati da parte ricorrente è consentita in applicazione del principio generale iura novit curia di cui all’art. 113, comma 1, c.p.c., secondo il quale il giudice ha potere-dovere di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in giudizio potendo porre a fondamento della sua decisione disposizioni e principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, purché i fatti necessari al perfezionamento della fattispecie ritenuta applicabile coincidano con quelli della fattispecie concreta sottoposta al suo esame (ex aliis Cons. Stato Sez. III, 18/05/2020, n. 3118).

Così individuato il termine quinquennale a consumazione del diritto, occorre chiarire la corretta individuazione del dies a quo per calcolarne la decorrenza.

E il dies a quo deve essere identificato nel 1 marzo 2017, data dell’adozione della determina dirigenziale n. 18 con la quale il Comune ha concesso la sanatoria edilizia al ricorrente, in base al parere favorevole della Sovraintendenza. In quel momento, infatti, è sorto il diritto per l’Amministrazione di riscuotere le somme dovute a titolo di indennità per le violazioni dichiarare e riscontrate nel procedimento di sanatoria.

Non può essere accolta, invece, l’argomentazione di parte resistente per la quale il dies a quo dovrebbe essere individuato nel 27 marzo 2017, data della notifica al ricorrente del provvedimento di sanatoria, poiché quello che rileva è la favorevole conclusione da parte del Comune del procedimento edilizio (a seguito del rilascio del favorevole parere della Soprintendenza). Questo perché il provvedimento di sanatoria non ha natura recettizia e dispiega i propri effetti (anche nei confronti dell’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo) dal momento in cui si è perfezionata la sua adozione, a prescindere dal fatto che il destinatario (privato cittadino) ne abbia effettiva conoscenza. D’altra parte, il riferimento giurisprudenziale citato da parte resistente nella propria memoria fornisce un approfondimento sul tema generale, chiarendo che un provvedimento favorevole può essere considerato recettizio limitatamente ad alcuni effetti, anche accessori, sfavorevoli al destinatario. Tuttavia, le considerazioni anzidette non sono applicabili al caso di specie poiché, in argomento, la sentenza del Consiglio di Stato n. 3823 del 17 aprile 2023 ha stabilito che “sul punto, si evidenzia che l’art. 21-bis della l. 7 agosto 1990, n. 241, subordina l’efficacia del provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati alla comunicazione dello stesso al destinatario, atteso che, in assenza della predetta conoscenza, l’atto, seppure validamente costituito, risulterebbe inidoneo a produrre l’effetto giuridico voluto. Seppure, infatti, il permesso di costruire non è un titolo limitativo della sfera giuridica del privato, e anzi costituisce un atto ampliativo della stessa, la suindicata regola deve essere applicata a quelli che sono effetti negativi sanciti previsti nell’ambito del provvedimento ampliativo, come nel caso delle decadenze connesse all’inizio dei lavori assentiti, stante l’illogicità di far decorrere i termini di decadenza dall’adozione di un provvedimento può postularsi una natura recettizia del medesimo che non è stato portato a conoscenza del destinatario. Il permesso di costruire ha natura ampliativa della sfera giuridica del richiedente, per cui è idoneo a produrre i suoi effetti fin dal momento dell’emanazione, indipendentemente dal fatto che sia comunicato all’interessato e che questo abbia materialmente provveduto a ritirarlo; solo limitatamente agli effetti pregiudizievoli che possono derivare dal rilascio del titolo edilizio (ad esempio, decadenza per mancato inizio dei lavori nel termine prescritto) può postularsi una natura recettizia del medesimo (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, 21 novembre 2016, n. 5396; C.d.S., Sez. IV, 21 dicembre 2015, n. 5791).”.

E in ragione dell’indirizzo giurisprudenziale sopra esposto, nel caso in esame, la maturazione della prescrizione estintiva del diritto dell’Amministrazione a esercitare il proprio potere di quantificare l’indennità dovuta non è un effetto pregiudizievole per il destinatario dell’atto ampliativo, ma fa parte degli effetti favorevoli del provvedimento, e pertanto non può essere opposta la natura recettizia nemmeno in relazione a questo singolo aspetto di efficacia.

Così correttamente individuato il dies a quo di decorrenza del termine quinquennale di prescrizione, sempre in attuazione del principio iura novit curia, il Collegio ritiene che non possa dirsi prescritto il diritto alla data del 5 marzo 2022 (data di notifica del provvedimento impugnato) in quanto occorre considerare nel calcolo del periodo necessario a prescrivere il diritto l’effetto della sospensione cd. COVID prevista dall’art. 103 decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 in virtù della quale deve aggiungersi il periodo dal 23.2.2020 al 15.4.2020.

A tal proposito, il provvedimento normativo appena citato così recita: “1. Ai fini del computo dei termini ordinatori o perentori, propedeutici, endoprocedimentali, finali ed esecutivi, relativi allo svolgimento di procedimenti amministrativi su istanza di parte o d’ufficio, pendenti alla data del 23 febbraio 2020 o iniziati successivamente a tale data, non si tiene conto del periodo compreso tra la medesima data e quella del 15 aprile 2020.”.

Alla luce di quanto sopra esposto, non residuano dubbi sul fatto che, riguardo al caso di specie, si debba applicare il periodo di sospensione COVID al calcolo del quinquennio necessario a maturare la prescrizione estintiva, con la conseguenza che al momento della notifica del provvedimento impugnato il termine a prescrivere il diritto non poteva dirsi ancora spirato.

E sempre in argomento appare doverosa un’ulteriore precisazione.

Il procedimento di quantificazione e applicazione dell’indennità paesaggistica è un sub procedimento di quello rivolto per ottenere il nulla osta paesaggistico ai fini del perfezionamento della sanatoria edilizia, questo perché il pagamento della somma dovuta a titolo di indennità è presupposto essenziale e necessario per l’ottenimento del titolo richiesto.

Riguardo a quest’ultimo profilo comma 6 bis dall’art. 103 decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (COVID), ha disposto che “Il termine di prescrizione di cui all’articolo 28 della legge 24 novembre 1981, n. 689, relativo ai provvedimenti ingiuntivi emessi in materia di lavoro e legislazione sociale è sospeso dal 23 febbraio 2020 al 31 maggio 2020 e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione”. L’interpretazione uniforme di tale risvolto normativo vorrebbe che la sospensione COVID non sia applicabile alla generalità dei procedimenti di riscossione di somme dovute a titolo di sanzioni amministrative.

Tale deroga al regime di sospensione COVID, come diffusamente trattato al punto 1, non è pertinente al caso di specie poiché il riferimento alla legge del 1981 riguarda le sanzioni amministrative di tipo afflittivo, ontologicamente diverse dall’indennità paesaggistica, sanzione di tipo ripristinatorio/risarcitorio.

2.3. Il terzo motivo, prima di essere infondato, è da qualificarsi come generico in quanto non è dato comprendere quali elementi di fatto fanno propendere per un travisamento dei presupposti del potere da parte dell’amministrazione. Il provvedimento, infatti, risulta adeguatamente motivato e riportante i presupposti di fatto e di diritto che hanno portato all’esercizio del potere di ingiunzione della somma dovuta a titolo di indennità paesaggistica, l’illogicità del percorso “seguito dal Dipartimento in seno al provvedimento impugnato” rimane agli atti come apodittica petizione di principio.

2.4. Da ultimo, infondato è anche il quarto motivo in quanto la partecipazione al procedimento da parte del ricorrente non può essere messa in discussione atteso che il procedimento di richiesta del titolo edilizio in sanatoria è su istanza di parte ed è finalizzato a soddisfare un interesse di tipo pretensivo.

La quantificazione dell’indennità paesaggistica da parte della Sovraintendenza e la successiva ingiunzione per il suo pagamento sono passaggi procedimentali necessari ed essenziali che condizionano l’ottenimento del titolo in sanatoria richiesto. Anche l’appellarsi a un generico e presunto “definitivo consolidamento della situazione giuridica del ricorrente” non è un’affermazione che può cogliere nel segno. Di certo il semplice decorso del tempo non è in grado di far maturare alcun tipo di affidamento tutelabile dall’ordinamento rispetto all’esito di un procedimento che si è consapevoli non sia ancora stato concluso con il provvedimento autorizzativo richiesto.

  1. Per queste ragioni il ricorso va rigettato e le spese di giudizio tra le parti costituite possono trovare compensazione in ragione della novità della questione relativa alla sospensione del termine prescrizionale del potere esercitato.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte ricorrente e la sua proprietà.

Così deciso in Palermo nelle camere di consiglio dei giorni 19 luglio 2024, 11 ottobre 2024 con l’intervento dei magistrati:

Federica Cabrini, Presidente

Antonino Scianna, Primo Referendario

Elena Farhat, Referendario, Estensore

 

 

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Elena Farhat

Federica Cabrini

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.