Con ordinanza del 4 novembre 2024, n. 28248, la Sezione lavoro della Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa irrogato a una dipendente che aveva fatto timbrare il badge da un collega, attestando falsamente la propria presenza in ufficio. Il caso ha avuto origine da un licenziamento disposto dalla società datrice di lavoro per un comportamento fraudolento, consistente nell’attestazione non veritiera della presenza della lavoratrice, che era entrata in azienda solo alle 9:27, mentre il badge era stato timbrato alle 8:33 da un collega. La Corte d’Appello aveva già confermato la giustificazione del licenziamento, considerando la condotta della dipendente una grave violazione della fiducia, condizione essenziale per la prosecuzione del rapporto di lavoro.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della lavoratrice, affermando che il comportamento descritto rientrava pienamente nel concetto di giusta causa di licenziamento, ai sensi dell’art. 2119 c.c., e che la violazione di una norma contrattuale inesistente, indicata erroneamente nella lettera di licenziamento, non inficiasse la validità della sanzione disciplinare. La decisione ha ribadito che, in casi di condotte fraudolente come quello descritto, la gravità della violazione, che compromette il vincolo fiduciario, giustifica il recesso dal rapporto di lavoro, indipendentemente dalla corretta applicazione della contrattazione collettiva.

In merito agli strumenti di controllo delle presenze, la Cassazione ha richiamato l’art. 4 della L. n. 300/1970, sottolineando che il datore di lavoro deve rispettare le normative relative alla privacy e informare adeguatamente il lavoratore sulle modalità di utilizzo degli strumenti di rilevamento delle presenze, per evitare che le prove raccolte vengano dichiarate inutilizzabili.