La sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 8183 dell’11 ottobre 2024, ha affrontato il tema del risarcimento danni in caso di annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo, stabilendo che tale risarcimento non è automatico, ma subordinato alla prova dei requisiti tipici della responsabilità aquiliana (condotta illecita, colpa, nesso di causalità ed evento dannoso ingiusto) di cui all’art. 2043 c.c. Nel caso esaminato, il ricorrente, titolare di una licenza taxi annullata con sentenza del TAR Veneto e confermata in appello, non ha subito un danno concreto, poiché, pur in presenza di annullamento giurisdizionale della deliberazione, ha potuto continuare a esercitare la propria attività senza interruzioni per i diciotto anni del contenzioso, continuando a beneficiare della validità della licenza.

La decisione del Consiglio di Stato chiarisce che, per ottenere il risarcimento in simili ipotesi, è necessario dimostrare la c.d. “spettanza del bene della vita,” ovvero il diritto al bene o alla situazione lesi da un provvedimento illegittimo. È richiesto quindi che il ricorrente fornisca prova certa o altamente probabile che, in assenza del provvedimento illegittimo, l’amministrazione avrebbe comunque rilasciato il beneficio richiesto. Inoltre, il Collegio ha ribadito che il principio dispositivo (art. 2697 c.c.) si applica pienamente nelle azioni di risarcimento danni contro l’amministrazione, a differenza del metodo acquisitivo usato nelle azioni di annullamento, dove è ammesso un ruolo più incisivo del giudice per bilanciare l’asimmetria informativa tra amministrazione e privato. L’azione risarcitoria, infatti, non trova lo stesso fondamento nell’esigenza di equilibrio informativo, giustificando così una maggiore responsabilità probatoria per il privato richiedente.

La sentenza si è anche soffermata sul risarcimento del danno non patrimoniale, che, in ambito amministrativo, è configurabile solo qualora venga provata la lesione di diritti inviolabili della persona, in accordo con la Cassazione (SS.UU., 11 novembre 2008, n. 26972), la quale esclude il cumulo di risarcimenti tra danno biologico e morale, riconoscendo la sofferenza psichica come elemento intrinseco del danno alla salute. In tale contesto, il Consiglio di Stato ha confermato che non è ammissibile un risarcimento per lucro cessante, poiché l’interessato non ha mai interrotto l’esercizio dell’attività, continuando a beneficiarne senza perdite economiche.

Infine, la pronuncia ha esteso la riflessione alla responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, richiamando l’art. 1, comma 2-bis della L. 241/1990, che stabilisce l’obbligo di buona fede e collaborazione tra pubblico e privato, fondamento di un affidamento del cittadino sulla correttezza degli atti amministrativi e sull’operato lecito dell’amministrazione. Il Consiglio ha quindi sottolineato come l’inosservanza di tali principi da parte della pubblica amministrazione può giustificare un risarcimento nei casi in cui un provvedimento, anche se favorevole al privato, venga annullato a seguito di ricorsi di terzi, richiamando a tal proposito i precedenti della giurisprudenza amministrativa (AP, n. 21/2021; AP, n. 6/05).

Pubblicato il 11/10/2024

  1. 08183/2024REG.PROV.COLL.
  2. 02815/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2815 del 2023, proposto da
– OMISSIS -, rappresentato e difeso dall’avvocato Daniele Turco, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Gattamelata, Antonio Iannotta, Nicoletta Ongaro, Federico Trento, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Stefano Gattamelata in Roma, via di Monte Fiore n. 22;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima) n. 1324/2022.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Venezia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 settembre 2024 il Cons. Roberto Michele Palmieri e uditi per le parti gli avvocati Turco e Feleppa, in dichiarata delega dell’Avv. Gattamelata;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

  1. Con delibera di Giunta Comunale n. 17 del 20 novembre 2003, il Comune di Venezia ha indetto la procedura concorsuale per l’assegnazione di dodici licenze taxi limitate all’area centrale di Mestre.

Il ricorrente ha partecipato alla procedura e all’esito delle operazioni concorsuali si è collocato tra i primi dodici nella graduatoria finale, divenendo titolare di licenza taxi in forza della deliberazione di Giunta Municipale n. 60 del 23 gennaio 2006.

1.1. Gli atti della procedura concorsuale sono stati impugnati da un concorrente non classificatosi in posizione utile innanzi al TAR Veneto, che con sentenza n. 1748/07 ha accolto il ricorso e ha annullato “il bando di concorso e tutti gli atti ad esso consequenziali”, in quanto nella legge di gara non erano stati predeterminati i criteri di attribuzione dei punteggi relativi ai titoli, in violazione dell’art. 13 del Regolamento comunale per la disciplina dei servizi pubblici non di linea.

1.2. A seguito del rigetto, da parte del Consiglio di Stato della domanda di sospensione di tale sentenza, con provvedimenti del 18 gennaio 2008 il Comune di Venezia ha disposto il ritiro delle dodici licenze taxi precedentemente assegnate, compresa quella dell’odierno ricorrente.

1.3. Tali provvedimenti sono stati impugnati dall’odierno ricorrente e dagli altri assegnatari delle licenze taxi innanzi al TAR Veneto, che ne ha disposto la sospensione interinale sino alla decisione n. 6397/09, con cui la Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha respinto gli appelli proposti avverso la suddetta sentenza del TAR Veneto n. 1748/07, confermando l’adeguatezza e la congruità della relativa motivazione.

1.4. A seguito del rigetto degli appelli proposti dagli assegnatari delle licenze, con delibera n.162 del 14 dicembre 2009, convalidata con delibera n. 172 del 21 dicembre 2009, il Consiglio comunale ha deliberato di dare mandato ai competenti Uffici comunali di rilasciare dodici licenze taxi per la Terraferma al ricorrente e agli altri precedenti assegnatari, nell’ambito del contingente di cui all’art. 11 del Regolamento, sul presupposto che “l’art. 59, primo comma, del Regolamento comunale per l’esercizio degli autoservizi pubblici non di linea taxi e noleggio con conducente con autovettura debba trovare applicazione anche oltre il termine annuale da ritenersi meramente acceleratorio, nel senso di provvedere alla regolarizzazione e sanatoria delle 12 licenze taxi rilasciate all’esito del concorso pubblico bandito nel 2003 e poi oggetto di annullamento giurisdizionale, licenze per le quali alla data di entrata in vigore delle ultime modifiche regolamentare era in atto un contenzioso giurisdizionale: in esecuzione di quanto innanzi disposto, dare mandato ai competenti Uffici comunale di rilasciare n. 12 (dodici) licenze taxi per la Terraferma, nell’ambito del contingente di cui all’art. 11 del Regolamento”.

In data 25 gennaio 2010 il Comune rilasciava quindi le dodici nuove licenze taxi al ricorrente e agli altri precedenti assegnatari.

1.5. Anche tali atti sono stati impugnati dal ricorrente controinteressato con ricorso notificato in data 9 febbraio 2010, poi dichiarato inammissibile, per tardività del deposito in Segreteria, dal TAR Veneto con sentenza n. 308/11, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 1547/18.

1.6. Successivamente il medesimo controinteressato, con ricorso notificato in data 8 agosto 2018, ha agito per l’ottemperanza della decisione del Consiglio di Stato n. 6397/09, chiedendo altresì la declaratoria della nullità e/o inefficacia delle Deliberazioni del Consiglio Comunale nn. 162 e 172 del 2009 e dei consequenziali atti di assegnazione delle 12 licenze taxi all’odierno ricorrente e agli

originari precedenti assegnatari per elusione/violazione del giudicato.

Tale ricorso è stato dichiarato inammissibile dal TAR Veneto con sentenza n. 1176/18.

L’appello proposto avverso tale ultima sentenza è stato accolto, e con sentenza n. 3051/2020 il Consiglio di Stato:

– ha dichiarato la nullità delle deliberazioni di Consiglio comunale nn. 162 e 172 del 2009 e delle dodici licenze taxi rilasciate in data 27 gennaio 2010;

– ha ordinato al Comune di Venezia di dare integrale esecuzione alle sentenze del T.A.R. Veneto n. 1748/07 e del Consiglio di Stato n. 6397/09, provvedendo all’approvazione di un atto con il quale l’Amministrazione disponesse, alternativamente: o il rinnovo della procedura di gara per l’assegnazione delle dodici licenze; ovvero, la non assegnazione delle licenze medesime, indicando congruamente le ragioni di tale diversa scelta.

1.7. Il Comune ha impugnato quest’ultima sentenza avanti alla Corte di Cassazione, che con ordinanza n. 25165/21 ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso.

1.8. In esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato n. 3051/2020, con deliberazione della Giunta comunale n. 151 del 4 giugno 2020, il Comune ha quindi disposto l’indizione di una nuova procedura per l’affidamento delle licenze taxi, stabilendo altresì il rilascio, nelle more, di dodici licenze, temporanee e non cedibili, a favore dei medesimi soggetti assegnatari delle licenze rilasciate nel 2010, con efficacia risolutivamente condizionata all’esito della nuova procedura concorsuale.

In data 8 luglio 2020 sono state quindi rilasciate al ricorrente e agli altri precedenti assegnatari le citate dodici licenze temporanee taxi e in data 2 maggio 2022 è stata indetta la nuova procedura concorsuale per l’assegnazione delle licenze definitive.

1.9. Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado il ricorrente ha chiesto la condanna del Comune al risarcimento dei danni da lui subiti in ragione della complessiva condotta del Comune.

Il ricorrente avrebbe in particolare riposto “un affidamento incolpevole nella stabilità e nella certezza del provvedimento ampliativo della propria sfera adottato dal Comune di Venezia, cioè nella concessione della licenza per l’esercizio del servizio taxi, abbia subito una lesione della propria libertà di autodeterminazione nonché un grave vulnus alla propria integrità patrimoniale e non patrimoniale”.

Nella fattispecie sussisterebbero tutti i presupposti per il riconoscimento della responsabilità risarcitoria del Comune per la lesione dell’affidamento riposto dal ricorrente nella correttezza dell’azione amministrativa.

Il Comune avrebbe infatti violato i doveri di correttezza, lealtà e protezione impostigli dall’ordinamento.

L’invalidità dei provvedimenti adottati deriverebbe unicamente da errori del Comune; errori di cui invece il ricorrente sarebbe del tutto incolpevole.

L’annullamento del concorso per l’assegnazione delle dodici licenze, tra cui quella assegnata al ricorrente, sarebbe stato disposto unicamente in ragione della mancata indicazione nella legge di gara dei criteri di valutazione dei titoli, poi illegittimamente definiti dalla commissione giudicatrice.

Parimenti la nullità, per elusione del giudicato della successiva riassegnazione nel 2010 delle licenze taxi ai precedenti assegnatari, sarebbe la conseguenza della decisione dell’Amministrazione di procedere a tale sanatoria senza dare corso contestualmente ad una procedura selettiva.

Ciò non avrebbe comunque impedito “il consolidarsi della posizione del ricorrente tenuto conto del lunghissimo lasso di tempo, ben sedici anni, intercorso dall’attribuzione della licenza alla scelta del Comune di ritirare definitivamente la stessa”.

Per effetto di tali errori il ricorrente avrebbe subito il ritiro della licenza e l’assegnazione di una licenza temporanea risolutivamente condizionata all’esito del nuovo concorso per l’assegnazione delle dodici licenze, con conseguente perdita dell’attività lavorativa e stravolgimento della propria vita famigliare.

1.10. Il ricorrente ha quindi chiesto il risarcimento dei seguenti danni.

  1. a) A titolo di danno emergente:

le rate residue del mutuo per l’acquisto dell’abitazione, corrispondenti alla somma di Euro 160.000,00, sottoscritto dal ricorrente confidando nella stabilità della propria posizione lavorativa;

– al finanziamento richiesto per far fronte all’incertezza relativa alla posizione lavorativa per un importo di 12.000,00 i cui interessi passivi ammontano ad Euro 1.000,00;

– l’impossibilità di trasferire la licenza e quindi l’impossibilità per il ricorrente di monetizzare l’impresa, per un valore di circa Euro 250.000,00;

– il danno conseguente alla mancata percezione dei maggiori introiti derivanti dall’esercizio dell’impresa famigliare, in concreto non esercitabile attraverso una licenza temporanea;

– i mancati introiti derivanti dall’esercizio dell’attività lavorativa – Euro 30.000,00 annui – per tutti gli anni mancanti al raggiungimento dell’età pensionabile (diciassette anni), tenendo conto delle difficoltà del ricorrente, per età e mansioni svolte, nella ricollocazione nel mondo del lavoro, per un totale di Euro 600.000,00;

– la perdita di capacità contributiva del ricorrente con conseguente compromissione del suo trattamento pensionistico;

– la perdita di chances derivante dalle occasioni lavorative mancate in ragione dell’affidamento riposto nella stabilità della licenza in discussione.

  1. c) A titolo di danni non patrimoniali:

– il danno esistenziale e la lesione al diritto alla salute derivante dallo stato di ansia e stress dovuto alla preoccupazione per la propria attività lavorativa per circa venti anni;

– il danno derivante dalla grave compromissione della vita di relazione e familiare per il fatto di non poter contare su un lavoro stabile;

– il danno derivante alla lesione all’immagine del ricorrente in conseguenza dell’annullamento del concorso;

– il danno morale subiettivo per le sofferenze patite a cause delle preoccupazioni.

1.11. Il Comune di Venezia si è costituito in giudizio eccependo, in via preliminare, la carenza di interesse all’azione proposta in quanto il ricorrente avrebbe sempre svolto l’attività di taxi, senza soluzione di continuità, ed evidenziando che, in ogni caso, si tratterebbe di danni ipotetici e futuri.

Nel merito il Comune ha rilevato l’insussistenza dei presupposti costitutivi della propria responsabilità, e comunque la mancata prova dei danni lamentati.

In particolare esso ha evidenziato che i costi sostenuti sarebbero stati già integralmente ammortizzati e che gli acquisti, effettuati in pendenza dei giudizi di impugnazione delle licenze taxi, non potevano essere considerati oggetto di affidamento incolpevole.

1.12. Con sentenza n. 1324/22 il TAR Veneto ha rigettato il proposto ricorso.

1.13. Avverso tale pronuncia il sig. – OMISSIS – ha interposto appello, affidato ai seguenti motivi di gravame, appresso sintetizzati: error in iudicando. Violazione degli artt. 1, 2, 4, 32, 35 e 97 Cost.; travisamento dei fatti. Omessa pronuncia.

Ha chiesto pertanto, in accoglimento dell’appello, e in riforma dell’impugnata sentenza, la condanna del Comune di Venezia al risarcimento di tutti i danni da lui subiti nella vicenda in esame, nei termini sopra descritti. Il tutto con vittoria delle spese di lite.

Costituitosi in giudizio, il Comune di Venezia ha chiesto il rigetto dell’appello, con vittoria delle spese di lite.

1.14. All’udienza pubblica del 26.9.2024 l’appello è stato trattenuto in decisione.

  1. L’appello è infondato.
  2. Premesso che la giurisdizione del giudice amministrativo sulla presente controversia è incontestata e ogni verifica sul punto è preclusa a questo Collegio, si osserva che per pacifica e condivisa giurisprudenza amministrativa, anche di questa Sezione: “Il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo, ma richiede la verifica di tutti i requisiti dell’illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso) e, nel caso di richiesta di risarcimento del danno conseguente alla lesione di un interesse legittimo pretensivo, è subordinato alla dimostrazione, secondo un giudizio prognostico, con accertamento in termini di certezza o, quanto meno, di probabilità vicina alla certezza, che il provvedimento sarebbe stato rilasciato in assenza dell’agire illegittimo della pubblica amministrazione; ed infatti per danno ingiusto risarcibile ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. si intende non qualsiasi perdita economica, ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto; ne consegue quindi la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto od al quale anela, e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l’equivalente economico” (C.d.S., V, 21.8.2024, n. 7195. In termini confermativi, C.d.S., IV, 31.5.2024, n. 4908; C.d.S., IV, 12.9.2023, n. 8282).
  3. In punto di individuazione dei criteri di riparto dell’onere della prova, trova poi piena applicazione il principio dispositivo, il quale non è in questa sede temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento. Quest’ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra Amministrazione e privato, la quale contraddistingue l’esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell’azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella consequenziale di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del principio dispositivo, sancito in generale dall’art. 2697, primo comma, c.c. Ne consegue che sulla parte ricorrente grava l’onere di dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti della domanda al fine di ottenere il riconoscimento di una responsabilità dell’Amministrazione per fatto illecito delineata dall’art. 2043 c.c, nel cui alveo deve essere ricondotta la domanda. È quindi necessario verificare, con onere della prova a carico del (presunto) danneggiato, gli elementi costitutivi della fattispecie aquiliana, così individuabili: il fatto illecito; l’evento dannoso ingiusto e il danno patrimoniale conseguente; il nesso di causalità tra il fatto illecito e il danno subito; la colpa dell’apparato amministrativo.
  4. Così definite le coordinate normative rilevanti ai fini del riconoscimento della responsabilità patrimoniale della pubblica amministrazione per atti o fatti ad essa causalmente riconducibili, e venendo ora alla fattispecie in esame, reputa il Collegio anzitutto l’insussistenza del fatto illecito.

Invero, dalla suesposta esposizione in fatto emerge che: a) l’appellante è titolare di licenza taxi in forza della deliberazione di Giunta Municipale n. 60 del 23 gennaio 2006;

  1. b) tale deliberazione è stata annullata dal TAR Veneto con sentenza n. 1748/07, confermata dal Consiglio di Stato con pronuncia n. 6397/09.
  2. c) durante tutte le vicende succedutesi a tali pronunce giudiziali (sul punto, v. supra, punti n. 1.1 e ss.) l’odierno appellante ha svolto senza soluzione di continuità – per tutti i 18 anni di sussistenza del presente contenzioso (2006-2024) – l’attività oggetto di licenza, e continua tuttora a svolgerla, come dichiarato all’odierna udienza dal suo procuratore costituito.
  3. Orbene, alla luce di tali emergenze fattuali, è evidente se di fatto illecito deve discorrersi (tale dovendosi intendere la condotta del Comune, responsabile di aver indetto una procedura comparativa annullata in sede giurisdizionale amministrativa con sentenza passata in giudicato), nondimeno di esso l’odierno appellante non solo non ha avuto alcun pregiudizio, ma anzi se n’è giovato, tenuto conto che – come sopra esposto – il Comune di Venezia ha sempre mantenuto la validità delle suddette licenze, consentendo all’appellante (e agli altri aggiudicatari) il concreto ed effettivo esercizio dell’attività lavorativa oggetto di licenza.
  4. Per tali ragioni, è di tutta evidenza l’insussistenza del pregiudizio patito a titolo sia di danno emergente che di lucro cessante (per la concreta individuazione e quantificazione di tali danni, cfr. supra, punto n. 1.10): trattasi di pregiudizi del tutto insussistenti, essendo essi correlati – in thesi – alla sussistenza di un presupposto fattuale (la perdita dell’attività lavorativa), assolutamente non verificatosi nel caso di specie.
  5. Ciò detto con riferimento ai danni patrimoniali, ai medesimi risultati (i.e.: assenza di un pregiudizio economicamente risarcibile) si perviene con riferimento all’ulteriore domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali. Ciò in quanto la Corte regolatrice ha da tempo chiarito che: “Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato” (Cass. civ., SS.UU., 11.11.2008, n. 26972).
  6. Orbene, nella specie l’appellante lamenta i seguenti pregiudizi di natura non patrimoniale:
  7. a) il danno esistenziale e la lesione al diritto alla salute derivante dallo stato di ansia e stress dovuto alla preoccupazione per la propria attività lavorativa per circa venti anni;
  8. b) il danno derivante dalla grave compromissione della vita di relazione e familiare per il fatto di non poter contare su un lavoro stabile;
  9. c) il danno derivante alla lesione all’immagine del ricorrente in conseguenza dell’annullamento del concorso;
  10. d) il danno morale subiettivo per le sofferenze patite a cause delle preoccupazioni.

Senonché, non vi è in atti alcun elemento da cui desumersi la grave compromissione dell’equilibrio fisio-psichico dell’appellante. Manca infatti non solo una consulenza medica, ma ogni altro elemento (documenti, testimonianze, dichiarazioni di terzi, ecc.) da cui desumersi la compromissione del fare a-reddituale dell’appellante. Ne consegue che l’allegazione di parte appellante deve ritenersi del tutto apodittica, in quanto non accompagnata da alcun elemento probatorio. Ciò tenuto presente che, come sopra detto, in caso di proposizione di domanda risarcitoria non opera il principio dispositivo con metodo acquisitivo, dovendo invece il privato fornire la prova concreta del pregiudizio economico da lui subito per effetto della condotta illegittima della pubblica amministrazione.

  1. A ciò aggiungasi poi che, con riferimento specifico al pregiudizio descritto sub d) (il danno morale subiettivo per le sofferenze patite a causa delle preoccupazioni), trattasi di inammissibile duplicazione di voce risarcitoria, avendo la Corte regolatrice chiarito che: “è inammissibile, perché costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione … del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica)” (Cass. civ., SS.UU., n. 26972/08).
  2. Esclusa pertanto la ricorrenza dei presupposti normativi richiesti al fine del sorgere di responsabilità extracontrattuale in capo al Comune di Venezia, alle stesse conclusioni deve pervenirsi ove si esamini la fattispecie in esame dal più specifico punto di vista della responsabilità precontrattuale (per la riconducibilità della responsabilità precontrattuale della p.a. nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, cfr. C.d.S., AP n. 7/21).

In astratto, le seguenti voci di danno richieste dall’appellante, e segnatamente:

– il costo sostenuto per l’acquisto di una autovettura, con i necessari allestimenti per il servizio di taxi;

– il costo di ingresso nella Cooperativa Artigiana Radiotaxi;

– le spese di giudizio e di assistenza legale sostenute per la difesa in giudizio dei provvedimenti impugnati,

potrebbero inquadrarsi nell’ambito della responsabilità precontrattuale, derivante dalla lesione del principio di affidamento. Invero, in ambito civilistico tradizionalmente la responsabilità precontrattuale postula che l’affidamento abbia ad oggetto lo svolgimento di trattative che non siano inutili: ciò che accade laddove una delle controparti le intraprende senza avere intenzione di stipulare il contratto o sapendo, o dovendo sapere, di stipulare un contratto invalido, così violando il generale dovere di buona fede.

11.1. Anche in ambito pubblicistico, l’art. 1 comma 2-bis della legge n. 241 del 1990 dispone che i “rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede”, positivizzando una regola generale delle relazioni giuridiche intersoggettive, che, in ambito pubblicistico, oltre a connotarsi per specifiche declinazioni, trae fondamento nei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento (art. 97 comma 2 Cost.).

11.2. A fronte del dovere di buona fede si pone l’affidamento sulla correttezza dell’operato della pubblica amministrazione, la quale – al pari di qualsivoglia soggetto giuridico – è tenuta ad agire nel rispetto delle regole testé richiamate, evitando di coinvolgere il privato incolpevole in trattative inutili, ovvero – come nella fattispecie in esame – in negozi invalidi.

In tal senso, l’affidamento nella legittimità dei provvedimenti dell’amministrazione e più in generale sulla correttezza del suo operato è stato riconosciuto dalla risalente giurisprudenza del Consiglio di Stato come situazione giuridica soggettiva tutelabile attraverso il rimedio del risarcimento del danno (cfr. C.d.S., AP n. 6/05).

11.3. Di recente, questo Consesso, nella sua più autorevole composizione, ha affermato che: “Nei rapporti di diritto amministrativo, inerenti al pubblico potere, è configurabile un affidamento del privato sul legittimo esercizio di tale potere e sull’operato dell’amministrazione conforme ai principi di correttezza e buona fede, fonte per quest’ultima di responsabilità non solo per comportamenti contrari ai canoni di origine civilistica ora richiamati, ma anche per il caso di provvedimento favorevole annullato su ricorso di terzi” (C.d.S., AP n. 21/2021).

  1. Se ciò è vero, non va tuttavia sottaciuto che, nella vicenda in esame, il TAR Veneto, con la citata sentenza n. 1748/07, confermata dal Consiglio di Stato con pronuncia n. 6397/09, ha annullato la Delibera di Giunta Municipale n. 60/06, in forza della quale l’appellante ha iniziato a svolgere l’attività lavorativa in esame.

Ne consegue che il costo sostenuto per l’acquisto di una autovettura, con i necessari allestimenti per il servizio di taxi, nonché il costo per l’ingresso nella Cooperativa Artigiana Radiotaxi, è stato fatto dall’appellante a suo totale rischio e pericolo, essendo egli perfettamente a conoscenza del contenzioso esistente su tale delibera, la stessa costituendo oggetto di un giudizio (intrapreso dal controinteressato) in cui egli rivestiva la qualità di controinteressato. La circostanza poi che i suddetti esborsi economici siano avvenuti allorquando era già intervenuta la sentenza di annullamento della DGM n. 60/06 da parte del TAR Veneto (sent. n. 1748 del 1° giugno 2007), rende evidente l’assenza di affidamento incolpevole da parte del ricorrente: l’appellante ben conosceva la natura precaria del proprio titolo autorizzatorio, e per conseguenza imputet sibi le relative conseguenze economiche (astrattamente) pregiudizievoli.

Il tutto – è appena il caso di ribadire – senza trascurare che trattasi comunque di pregiudizi insussistenti ex se, in quanto totalmente neutralizzati dallo svolgimento di un’attività lavorativa tuttora in essere, come tale fonte di guadagno per l’appellante.

  1. In aggiunta alle considerazioni che precedono, rileva il Collegio che, per quel che attiene specificamente al costo di acquisto di autovettura equipaggiata per il servizio taxi, e a quello occorrente per l’ingresso nella Cooperativa Artigiana Radiotaxi, essi sono stati ampiamente ammortizzati dall’appellante nell’arco di ben 18 anni di esistenza del contenzioso in esame (2006-2024), sicché è di palmare evidenza, anche sotto tale profilo, l’assenza di qualsivoglia pregiudizio economico da lui concretamente subito nella vicenda in esame.
  2. Alla luce di tali considerazioni, l’appello è infondato.

Ne consegue il suo rigetto.

  1. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna il ricorrente alle spese di lite in favore del Comune di Venezia, che si liquidano in euro cinquemila (5.000), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2024, con l’intervento dei magistrati:

Rosanna De Nictolis, Presidente

Sara Raffaella Molinaro, Consigliere

Elena Quadri, Consigliere

Giorgio Manca, Consigliere

Roberto Michele Palmieri, Consigliere, Estensore

 

 

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Roberto Michele Palmieri

Rosanna De Nictolis

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO