Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7874 del 1 ottobre 2024, ha chiarito i limiti alla discrezionalità del giudice amministrativo in materia di ripartizione delle spese di lite, sottolineando la necessità di un’adeguata motivazione quando si disponga la compensazione delle spese. Sebbene il giudice di primo grado disponga di poteri discrezionali per decidere l’eventuale compensazione delle spese in casi particolari, tale discrezionalità incontra limiti, tra cui l’obbligo di evitare decisioni irrazionali o abnormi, soprattutto a favore della parte soccombente. La regola generale che le spese seguano la soccombenza, infatti, non richiede motivazione ampia, ma quando si dispone la compensazione in assenza di vittoria in giudizio, il Consiglio di Stato sottolinea un “onere rafforzato di motivazione” per giustificare tale eccezione.

Nel caso specifico, la sentenza di primo grado, qui appellata, aveva disposto la compensazione delle spese giudiziali senza una motivazione adeguata, facendo un generico riferimento alle “peculiarità procedimentali” senza alcun fondamento negli atti di causa o in argomentazioni giuridiche esplicite, come richiesto dall’art. 92 c.p.c., richiamato dall’art. 26 c.p.a. Il Consiglio di Stato ha ribadito che una mancata motivazione rafforzata per la compensazione, oltre a compromettere la trasparenza della decisione, può danneggiare il ricorrente vittorioso, il quale, in assenza di una condanna alle spese a carico della controparte, potrebbe non ottenere il rimborso del contributo unificato, un obbligo espressamente previsto dall’art. 13, comma 6-bis, del D.P.R. n. 115 del 2002.

La pronuncia ha altresì precisato che la mancata costituzione in giudizio dell’amministrazione non esime il giudice dal pronunciarsi sulle spese qualora essa risulti soccombente, non potendo questa scelta processuale rappresentare un “grimaldello” per evitare il pagamento delle spese. Disporre una generica compensazione delle spese nei confronti di un’amministrazione non costituita, ma soccombente, priverebbe infatti il ricorrente della possibilità di recuperare i costi sostenuti per ottenere la soddisfazione della propria pretesa.

Pubblicato il 01/10/2024

  1. 07874/2024REG.PROV.COLL.
  2. 04490/2024 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4490 del 2024, proposto dal signor  – OMISSIS -, rappresentato e difeso dall’avvocato Maria Carmela Mirarchi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;

contro

l’Agenzia delle entrate – riscossione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la cui sede è elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sede di Milano, Sez. III, 17 marzo 2024 n.  – OMISSIS -, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Esaminate le memorie, anche di replica e la nota d’udienza depositati in giudizio con ulteriori documenti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del 26 settembre 2024 e, nel prosieguo, del 30 settembre 2024 il Cons. Stefano Toschei. Si registra il deposito di nota d’udienza del difensore della parte appellante con la quale è stato chiesto il passaggio in decisione della controversia senza la previa discussione;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Premesso che:

– il signor  – OMISSIS -, avendo ricevuto un atto di pignoramento presso terzi dall’Agenzia delle entrate – Riscossione, Direzione regionale Lombardia, Produzione regionale, Procedure presso terzi, per un importo complessivo di € 26.679,02, chiedeva al predetto ente l’accesso a tutti i documenti della procedura che aveva dato luogo all’adozione del suddetto provvedimento afflittivo e in particolare a talune cartelle di pagamento;

– l’Agenzia non adottava alcun provvedimento di risposta nel termine indicato dalla l. 7 agosto 1990, n. 241 sicché il signor  – OMISSIS -, dopo avere inutilmente sollecitato ad una risposta l’Agenzia, proponeva ricorso dinanzi al TAR per la Lombardia affinché venisse disposta l’ostensione della documentazione richiesta in via giudiziale;

– con sentenza 7 marzo 2024 n.  – OMISSIS – il TAR adito accoglieva il ricorso disponendo l’ostensione della documentazione fatta oggetto dell’istanza di accesso, decidendo di compensare le spese di lite “(v)alutate le peculiarità procedimentali”;

Considerato che:

– il signor  – OMISSIS – impugna ora la sentenza 7 marzo 2024 n.  – OMISSIS – del TAR per la Lombardia nella sola parte in cui è stata disposta la compensazione delle spese di lite;

– nel contestare la decisione del giudice di prime cure l’appellante precisa che: a) “per effetto del rinvio operato dall’art. 26, comma 1, cod. proc. amm. agli artt. 91, primo comma e 92, cod. proc. civ., nel giudizio amministrativo è possibile compensare le spese di lite soltanto se vi sia stata soccombenza reciproca tra le parti, ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti(…)” oltre al caso in cui rilevino “altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni”, circostanze tutte che non ricorrono nel caso di specie; b) sebbene vada riconosciuto che “il T.A.R. ha ampi poteri discrezionali in ordine al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali, ovvero per escluderla (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 24 maggio 2007, n. 8); tuttavia detti poteri incontrano il limite delle statuizioni abnormi tra le quali rientra l’ipotesi della condanna alle spese della parte risultata vittoriosa in giudizio”; c) in conclusione “il giudicante amministrativo ove intenda disporre la compensazione delle spese di lite, sulla base della sussistenza di altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni, è tenuto non solo a operare la valutazione circa la loro ricorrenza nel caso scrutinato, ma altresì a indicarle specificamente, ovvero a renderle desumibili sulla base del contesto della decisione, pena l’abnormità e/o illegittimità della stessa”;

– in sintesi, dunque, l’appellante ritiene clamorosamente immotivata la decisione del primo giudice di voler compensare le spese di lite, atteso che quest’ultimo, dopo avere attribuito alle richieste ostensive del ricorrente completa adesione, “dando ampiamente atto sia del fatto che non è revocabile in dubbio il diritto del contribuente all’ostensione degli atti propedeutici a procedure di riscossione” sia della circostanza che, in tema di imposte sul reddito, è previsto un obbligo di custodia minima di detti atti “in capo al concessionario per la riscossione e, correlativamente, un obbligo di ostensione di questi su richiesta del contribuente o dell’amministrazione”, aveva addirittura segnalato come incomprensibilmente l’Agenzia aveva taciuto sulla richiesta di accesso documentale, sottolineando che “l’ausilio di strumenti informatici a disposizione dell’Amministrazione in giudizio rendeva la ricerca e l’individuazione della posizione dell’istante, mediante l’uso dei suoi dati anagrafici, immediata ed intuitiva”;

Rilevato che:

– l’Agenzia delle entrate – riscossione, a differenza di quanto è accaduto nel corso del processo di primo grado, si è costituita in questo giudizio di appello contestando la fondatezza dello stesso e delle critiche rivolte alla sentenza di prime cure;

– in particolare l’ente appellato ha sottolineato come i documenti richiesti dall’odierno appellante con istanza del 29 settembre 2023 erano stati ammessi all’ostensione con provvedimento del 23 gennaio 2024 e quindi in epoca antecedente rispetto alla data di pubblicazione della sentenza, dopo che lo stesso odierno appellante era stato invitato ad accedere direttamente al sito dell’Agenzia in data 2 ottobre 2023 al fine di verificare “la vostra situazione debitoria, i canali di pagamento e conoscere le modalità per presentare l’eventuale istanza di dilazione, in alternativa, potete rivolgervi ad uno degli sportelli dell’Agente di Riscossione della provincia di Lecco che potranno evadere le vostre richiesta”;

Ritenuto che, ad avviso del Collegio, l’appello deve trovare accoglimento in quanto:

– indubbiamente il pronunciamento del TAR Lombardia appare fortemente carente sotto il profilo della motivazione e evidentemente lacunoso, al limite della apoditticità, circa la indicazione delle ragioni che lo hanno indotto a disporre la compensazione delle spese di lite, nonostante un ampio ventaglio di elementi di condivisibilità delle ragioni sostenute in quel grado di giudizio dall’odierno appellante, neppure taciute da quel giudice;

– è comprovato in atti che, a causa della mancata costituzione nel primo grado di giudizio, l’Agenzia non abbia prodotto in quella sede, ma solo in seguito alla costituzione nel presente grado di appello, per la prima volta quindi in questo processo, la documentazione dimostrativa che essa avesse dapprima invitato l’interessato a consultare la propria posizione sul sito web dell’ente fornendo l’indirizzo digitale dedicato e poi, comunque prima della definizione del giudizio dinanzi al TAR per la Lombardia, avesse consentito l’accesso ai documenti richiesti;

– è dunque comprovato in atti che il giudice di prime cure, al momento in cui ha formato il proprio convincimento espresso nella decisione e, quindi, redatto la sentenza n.  – OMISSIS -/2024, non poteva conoscere lo sviluppo procedurale del rapporto tra il ricorrente e l’Agenzia, che aveva – pur sempre tardivamente rispetto al termine previsto dall’art. 25, comma 4, l. 241/1990 – adempiuto all’obbligo ostensivo, sicché il richiamo alla valutazione delle “peculiarità procedimentali”, espresso nel capo della motivazione della sentenza dedicato al riparto delle spese di lite, non poggia su alcun elemento contenuto nel fascicolo del giudizio né su altra riflessione giuridica, che comunque doveva essere manifestata esplicitamente, in ossequio alla previsione dell’art. 92 c.p.c., per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a.;

– d’altronde, come è noto, in materia di definizione in ordine alle spese di lite, la giurisprudenza amministrativa sebbene abbia costantemente affermato (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VII, 1 agosto 2024 n. 6889, Sez. IV, 12 luglio 2024 n. 6262, Sez. II, 9 maggio 2024 n. 4201 e Sez. V, 22 aprile 2024 n. 3589) che il giudice di primo grado ha ampi poteri discrezionali in ordine alla statuizione sulle spese e, se del caso, al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali, ovvero per escluderla, ha parimenti decretato che tale discrezionalità presenta il limite che il giudice non può condannare alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio o disporre statuizioni abnormi, anche sulla compensazione delle spese, ponendo in essere statuizioni manifestamente irrazionali. Nello specifico si è affermato, con indirizzo consolidato, che “nel processo amministrativo se la regolazione delle spese giudiziali non richiede una ampia motivazione, posto che esse, per principio generale, seguono la soccombenza, si pone invece un onere di più specifica motivazione laddove la regolazione delle spese prescinda da una vittoria in giudizio e risponda ad esigenze differenti. In particolare, quando si procede alla compensazione delle spese, l’onere della motivazione è rinforzato, al fine di mantenere inalterato il rapporto di regola ad eccezione esistente tra i principi di condanna del soccombente e di compensazione delle spese” (cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. VII, 18 maggio 2023 n. 4953, Sez. V, 28 febbraio 2023 n. 2093 e Sez. VI, 16 marzo 2020 n. 1850);

Sottolineato che, per completezza di motivazione:

– oltre alla confermata palese insufficienza della motivazione contenuta nella sentenza qui oggetto di appello a sorreggere la decisione di compensare le spese di lite riferite al primo grado di giudizio, non solo per come emerge dalla documentazione in atti ma anche perché il capo della sentenza risulta essere inosservante della previsione normativa e della costante interpretazione giurisprudenziale come sopra ampiamente richiamata, detta decisione non può trovare giustificazione neppure nella mancata costituzione, in quel grado di giudizio, dell’Agenzia resistente;

– è infatti noto che la mancata costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata consente al giudice di non decidere sul riparto delle spese di lite (con la nota espressione “nulla per le spese”) solo nel caso in cui l’amministrazione non costituita non sia soccombente nel giudizio. Nel caso contrario il giudice deve disporre sul riparto delle spese in quanto, diversamente, la mancata presenza in giudizio dell’amministrazione finirebbe per costituire un arbitrario grimaldello processuale per andare esente dal comportamento dalla stessa tenuto sia prima che durante il contenzioso al quale ha costretto il ricorrente per ottenere soddisfazione;

– peraltro non disporre nulla sul riparto delle spese giudiziali a fronte della mancata costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata, poi soccombente nel giudizio medesimo, oltre (per come si è sopra detto) a valorizzare un comportamento processuale non collaborativo dell’amministrazione, impedirebbe alla parte vittoriosa di potere, almeno, ripetere i costi sopportati per il contributo unificato. Sul punto questo Consiglio di Stato ha precisato che: a) “l’art. 13 comma 6 bis D.P.R. n. 115 del 2002 prevede espressamente il rimborso del contributo unificato in favore della parte vittoriosa anche in ipotesi di compensazione delle spese di lite e senza necessità di alcuna specifica statuizione in merito, trattandosi di obbligazione ex lege. La soccombenza nel giudizio della parte origina, dunque, un rapporto obbligatorio di natura civilistica, rimesso alla cognizione del giudice amministrativo in sede di ottemperanza e riguardante il recupero del contributo da parte del soggetto obbligato al versamento”; b) “In caso di compensazione delle spese di lite, in detta compensazione non può ritenersi compresa anche la restituzione del contributo unificato (da parte della parte resistente che sia rimasta soccombente nel giudizio), atteso che il contributo in questione, ai sensi del comma 6 bis dell’art. 13 D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall’art. 2 comma 35 bis lett. e) D.L. 13 agosto 2011, n. 138, come integrato dalla legge di conversione 14 settembre 2011 n. 148, è oggetto di una obbligazione “ex lege” sottratta alla potestà del giudice, sia quanto alla possibilità di disporne la compensazione, sia quanto alla determinazione del suo ammontare (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 3 febbraio 2014 n. 473); c) pertanto il pagamento del contributo unificato è dovuto in ogni caso dalla parte soccombente e rappresenta un’obbligazione ex lege espressamente prevista dall’art. 13, comma 6 bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, per la cui ottemperanza non è neppure necessaria una esplicita pronuncia di condanna da parte dell’Autorità giurisdizionale” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21 novembre 2018 n.  – OMISSIS -7);

– è dunque evidente che, tenuto conto che la compensazione delle spese di giudizio è rilevante per il ricorrente vittorioso al fine di poter ripetere i costi patiti per il pagamento del contributo unificato, per un verso la mancata costituzione in giudizio dell’amministrazione, come è avvenuto nel primo grado del presente giudizio, non può costituire una scelta processuale di favore per l’amministrazione soccombente, né attraverso la dichiarazione dal parte del giudice che nulla è dovuto per le spese, perché in tal modo, fatalmente, il ricorrente vittorioso non potrà ripetere i costi del contributo unificato, né attraverso la compensazione delle spese di lite, se palesemente immotivata (come è accaduto nel caso in esame con la sentenza qui oggetto di appello), perché tale decisione – oltre ad essere violativa del principio della soccombenza processuale di cui all’art. 91 c.p.c., applicabile al processo amministrativo per il richiamo contenuto nell’art. 26 c.p.a. – premierebbe ingiustificatamente l’amministrazione rimasta estranea al giudizio favorevolmente coltivato dal ricorrente, oltre al fatto che, con un diverso comportamento processuale, essa avrebbe potuto mitigare il peso dello sviluppo processuale, eventualmente, come è stato dimostrato che ben avrebbe potuto fare nel caso qui in esame, attraverso una produzione documentale utile a permettere la definizione del giudizio con modalità maggiormente semplificate (ad esempio consentendo che venisse definito con una dichiarazione di improcedibilità per essere stata, nelle more, soddisfatta la pretesa del ricorrente);

Appurata dunque, per tutte le ragioni sopra illustrate, la piena fondatezza dell’appello proposto, in accoglimento dello stesso va riformata la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sede di Milano, Sez. III, 17 marzo 2024 n.  – OMISSIS -, limitatamente al capo con il quale sono state compensate le spese di lite di primo grado, disponendo la condanna dell’Agenzia delle entrate – riscossione a rifondere le spese del giudizio di primo grado, in favore del signor  – OMISSIS -, nella misura complessiva di € 2.000,00 (euro duemila/00), oltre accessori come per legge;

Tenuto conto che le spese del presente grado di appello seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a., l’Agenzia delle entrate – riscossione va condannata a rifondere le spese del giudizio d’appello, in favore del signor  – OMISSIS -, nella misura complessiva di € 2.000,00 (euro duemila/00), oltre accessori come per legge;

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello (n. R.g. 4490/2024), come indicato in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sede di Milano, Sez. III, 17 marzo 2024 n.  – OMISSIS -, condanna l’Agenzia delle entrate – riscossione, in persona del rappresentante legale pro tempore, a rifondere le spese di giudizio di primo grado in favore del signor  – OMISSIS – nella misura complessiva di € 2.000,00 (euro duemila/00), oltre accessori come per legge.

Condanna l’Agenzia delle entrate – riscossione, in persona del rappresentante legale pro tempore, a rifondere le spese del giudizio di appello in favore del signor  – OMISSIS – nella misura complessiva di € 2.000,00 (euro duemila/00), oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 26 settembre 2024 e del 30 settembre 2024 con l’intervento dei magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Giordano Lamberti, Consigliere

Stefano Toschei, Consigliere, Estensore

Roberto Caponigro, Consigliere

Giovanni Gallone, Consigliere

 

 

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Stefano Toschei

Giancarlo Montedoro

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO