La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27344 del 22 ottobre 2024, ha affrontato la questione relativa ai requisiti per l’acquisto per usucapione di una servitù di passaggio, stabilendo che, ai sensi dell’art. 1061 c.c., non è sufficiente l’esistenza di un semplice percorso, ma è necessario che tale passaggio sia caratterizzato da opere visibili e permanenti che rendano evidente, anche ai terzi, che il passaggio grava sul fondo servente a favore del fondo dominante. La controversia trae origine da un ricorso presentato dalla proprietaria di un fondo che contestava l’esistenza di un diritto di passaggio, rivendicato da altri, a favore di terreni ad uso agricolo attraverso un tratto di terreno di sua proprietà. La parte convenuta, infatti, sosteneva di aver utilizzato il passaggio per oltre 45 anni, invocando l’usucapione del diritto di servitù di passaggio.
Il Tribunale di Brindisi, in primo grado, aveva accolto la domanda della proprietaria, ordinando la rimozione del passaggio e rigettando le richieste riconvenzionali di usucapione presentate dalla controparte. La Corte d’Appello di Lecce, al contrario, aveva accolto l’appello dei convenuti, dichiarando acquisito per usucapione il diritto di passaggio, sulla base delle testimonianze circa l’utilizzo del percorso da parte dei convenuti per uso agricolo e dell’esistenza di un varco nella proprietà della parte attrice, inizialmente chiuso da due paletti e successivamente da una sbarra.
La Cassazione, in accoglimento del ricorso, ha cassato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello, ribadendo che ai fini dell’usucapione della servitù di passaggio, è essenziale la presenza di opere visibili e permanenti che non solo rendano evidente l’esistenza del passaggio, ma che siano tali da far comprendere anche ai terzi che l’onere di passaggio gravi in modo stabile e definitivo sul fondo servente a favore del fondo dominante. La Corte ha ritenuto che la sentenza impugnata si fosse concentrata unicamente sul percorso, senza tenere conto dell’esistenza di opere permanenti che dimostrassero, oltre alla semplice presenza di un cammino, l’intenzione di utilizzare il passaggio per scopi definitivi e continuativi.
In particolare, la Corte ha evidenziato che le modifiche nel tempo al percorso (variazione del materiale del piano di calpestio e del tracciato) e la mancanza di una specifica indicazione temporale dell’apertura del passaggio non fossero sufficienti a configurare un’usucapione della servitù, poiché mancava la prova che il passaggio fosse stato esercitato in modo tale da essere percepito da chiunque come un onere permanente gravante sul fondo servente, destinato a vantaggio esclusivo del fondo dominante.
La decisione ha fatto riferimento alla giurisprudenza consolidata, secondo cui la servitù deve essere caratterizzata da segni visibili e obiettivamente permanenti, in grado di rendere manifesta la natura stabile e non precaria del passaggio. Pertanto, non basta l’esistenza di un percorso, ma è necessario che tale percorso sia chiaramente destinato a soddisfare il bisogno di accesso del fondo dominante, e che tale destinazione sia evidente per un periodo di tempo sufficiente alla maturazione dell’usucapione.
Con riferimento all’art. 1061 c.c., che regola l’acquisto per usucapione della servitù, la Corte ha chiarito che il “quid pluris” richiesto deve manifestarsi attraverso la presenza di segni oggettivamente destinati all’esercizio della servitù, che indichino in modo inequivocabile la natura di tale diritto, nonché il suo esercizio continuo e per lungo tempo.
In definitiva, la Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello, richiedendo un riesame della causa alla luce dei principi enunciati, con particolare attenzione alla verifica dell’esistenza di opere visibili e permanenti che potessero giustificare l’usucapione della servitù di passaggio.