Il Consiglio di Stato, con la sentenza in esame, ha rigettato l’appello proposto avverso una sentenza del TAR Umbria che aveva dichiarato inammissibile il ricorso per l’annullamento del diniego, da parte del Prefetto di Perugia, della revoca del divieto di detenzione armi. L’appellante aveva sostenuto che il provvedimento non potesse essere considerato meramente confermativo, ma un atto di conferma impugnabile in quanto adottato a seguito di una nuova valutazione. Il Consiglio di Stato, però, ha ritenuto che l’atto impugnato fosse effettivamente meramente confermativo del precedente diniego, poiché non era stata svolta una nuova istruttoria né vi erano elementi nuovi sopravvenuti. Richiamando la consolidata giurisprudenza, il Collegio ha confermato che un atto meramente confermativo non è autonomamente impugnabile e ha ribadito il carattere discrezionale e cautelare del potere dell’Autorità di pubblica sicurezza nel rilasciare o revocare licenze di porto d’armi, sottolineando che il diniego si basa su un giudizio di prognosi del pericolo di abuso, che non richiede certezze assolute, ma una valutazione probabilistica.

Pubblicato il 16/09/2024

  1. 07581/2024REG.PROV.COLL.
  2. 08354/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8354 del 2023, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanni Franco, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

l’Ufficio Territoriale del Governo di Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale dell’Umbria -OMISSIS-, che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento, adottato dal Prefetto di Perugia in data 11 maggio 2021, di diniego della revoca del decreto di divieto di detenzione armi dell’11 dicembre 2015.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Ufficio Territoriale del Governo di Perugia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatrice nella udienza pubblica del giorno 12 settembre 2024 il Cons. Giulia Ferrari e uditi per le parti gli avvocati presenti, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

  1. Il signor -OMISSIS- ha impugnato dinanzi al Tar Umbria il provvedimento, adottato dal Prefetto di Perugia in data 11 maggio 2021, di diniego della revoca del decreto di divieto di detenzione armi dell’11 dicembre 2015. Il diniego ha richiamato il precedente diniego opposto in data 23 maggio 2019, “il cui contenuto, in assenza di elementi sopravvenuti, si conferma integralmente, ritenendosi necessario il decorso di un ulteriore lasso di tempo al fine di una rivalutazione della posizione dell’interessato”. La revoca era stata disposta a seguito della querela sporta per maltrattamenti e lesioni in data 29 ottobre 2015 dalla coniuge, signora -OMISSIS-, presso la stazione dei Carabinieri di -OMISSIS-(PG), rimessa dopo appena due giorni dall’averla sporta.
  2. Il Tar Umbria, con sentenza -OMISSIS-, ha dichiarato inammissibile il ricorso per essere stato impugnato un atto meramente confermativo di un precedente diniego non impugnato.
  3. Con appello notificato in data 4 ottobre 2023 e depositato il successivo 21 ottobre il signor -OMISSIS- ha impugnato la citata sentenza -OMISSIS- deducendone l’erroneità perchè il provvedimento impugnato non può essere considerato meramente confermativo ma vero e proprio atto confermativo e pertanto autonomamente impugnabile, essendo stato adottato a seguito di una nuova valutazione della posizione dell’istante.
  4. Con ordinanza collegiale -OMISSIS-la Sezione ha disposto il rinnovo della notifica dell’appello all’Avvocatura generale dello Stato, essendo stato il ricorso di secondo grado notificato all’Avvocatura distrettuale.
  5. L’Ufficio Territoriale del Governo di Perugia si è costituito in giudizio.
  6. Alla pubblica udienza del 12 settembre 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

  1. Preliminarmente il Collegio comunica alle parti, ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a., la tardività del deposito di documenti da parte dell’Amministrazione resistente, avvenuto solo in data 10 settembre 2024 e, dunque, oltre i termini previsti dal comma 1 del citato art. 73. Di tali documenti, dunque, il Collegio non terrà conto, ai fini del decidere.
  2. Ancora in via preliminare il Collegio ricorda che con ordinanza collegiale -OMISSIS-la Sezione ha disposto il rinnovo della notifica dell’appello all’Avvocatura generale dello Stato, essendo stato il ricorso di secondo grado notificato all’Avvocatura distrettuale.

Con deposito del 22 aprile 2024 è stata data prova dell’avvenuto rinnovo della notifica nei termini indicati dalla Sezione.

  1. L’appello è infondato.

Come esposto in narrativa, la revoca del porto d’armi rilasciato all’appellante, signor -OMISSIS-, è stata disposta a seguito della querela sporta per maltrattamenti e lesioni in data 29 ottobre 2015 dalla coniuge, signora -OMISSIS-, presso la stazione Carabinieri di -OMISSIS-(PG), rimessa dopo appena due giorni dall’averla sporta. L’impugnato diniego di revoca del divieto dell’11 maggio 2021 è stato opposto in mancanza di elementi sopravvenuti e richiamando il precedente diniego di revoca del 23 maggio 2019 che – sentiti i competenti organi di polizia – respingeva l’istanza in considerazione della gravità dell’episodio ascritto all’appellante, che denota una non affidabilità nell’uso delle armi detenute.

Il Collegio rammenta la distinzione tra atti “meramente confermativi” e atti “di conferma in senso proprio”.

Va rilevato che gli atti “meramente confermativi” sono quegli atti che, a differenza degli atti “di conferma”, si connotano per la ritenuta insussistenza, da parte dell’amministrazione, di valide ragioni di riapertura del procedimento conclusosi con la precedente determinazione; mancando detta riapertura e la conseguente nuova ponderazione degli interessi coinvolti, nello schema tipico dei c.d. “provvedimenti di secondo grado”, essi sono insuscettibili di autonoma impugnazione per carenza di un carattere autonomamente lesivo (Cons. Stato, sez. V, 4 ottobre 2021, n. 6606; id. 8 novembre 2019, n. 7655; id. 17 gennaio 2019, n. 432; id., sez. III, 27 dicembre 2018, n. 7230; id., sez. IV, 12 settembre 2018, n. 5341; id., sez. VI, 10 settembre 2018, n. 5301; id., sez. III, 8 giugno 2018, n. 3493; id., sez. V, 10 aprile 2018, n. 2172; id. 27 novembre 2017, n. 5547; id., sez. IV, 27 gennaio 2017, n. 357; id. 12 ottobre 2016, n. 4214; id. 29 febbraio 2016, n. 812).

In pratica, l’atto meramente confermativo ricorre quando l’amministrazione si limita a dichiarare l’esistenza di un suo precedente provvedimento, senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione (Cons. Stato, sez. V, 22 giugno 2018, n. 3867). In altre parole, esso si connota per la sola funzione di illustrare all’interessato che la questione è stata già delibata con precedente espressione provvedimentale, di cui si opera un integrale richiamo. Tale condizione, quale sostanziale diniego di esercizio del riesame dell’affare, espressione di lata discrezionalità amministrativa, lo rende privo di spessore provvedimentale, da cui, ordinariamente, la intrinseca insuscettibilità di una sua impugnazione (Cons. Stato, sez. IV, 3 giugno 2021, n. 4237; id. 29 marzo 2021, n. 2622).

Di contro, l’atto di conferma in senso proprio è quello adottato all’esito di una nuova istruttoria e di una rinnovata ponderazione degli interessi, e pertanto connotato anche da una nuova motivazione (Cons. Stato, sez. VI, 13 luglio 2020, n. 4525; id., sez. II, 24 giugno 2020, n. 4054; id., sez. VI, 30 giugno 2017, n. 3207; id., sez. IV, 12 ottobre 2016, n. 4214; id. 29 febbraio 2016, n. 812; id. 12 febbraio 2015, n. 758; id. 14 aprile 2014, n. 1805).

In particolare, non può considerarsi “meramente confermativo” di un precedente provvedimento l’atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al primo provvedimento, giacché solo l’esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fase considerata, può condurre a un atto “propriamente confermativo”, in grado, come tale, di dare vita a un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione (Cons. Stato, sez. V, 7 maggio 2021, n. 3579).

  1. Tanto chiarito, occorre esaminare il contenuto dell’atto impugnato dinanzi al Tar Umbria.

Il Prefetto nel 2021 ha negato all’appellante la revoca del porto d’armi rilasciatogli limitandosi ad affermare che non sono sopravvenuti elementi nuovi dal diniego opposto nel 2019; non c’è stata dunque una nuova istruttoria volta a verificare se il decorso del tempo dall’episodio che aveva dato luogo al divieto potesse giustificare la richiesta revoca.

L’atto impugnato è, dunque, un atto meramente confermativo, con la conseguenza che è condivisibile la conclusione alla quale è pervenuto il giudice di primo grado di inammissibilità del ricorso.

  1. Rileva peraltro il Collegio che il ricorso di primo grado sarebbe stato comunque infondato nel merito.

E’ noto che il potere di rilasciare le licenze per porto d’armi costituisce una deroga al divieto sancito dall’art. 699 c.p. e dall’art. 4, comma 1, l. n. 110 del 1975. La regola generale è, pertanto, il divieto di detenzione delle armi, al quale l’autorizzazione di polizia può derogare in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell’Autorità di pubblica sicurezza prevenire.

La giurisprudenza, riprendendo i principi espressi dalla Corte Costituzionale (16 dicembre 1993, n. 440; 20 marzo 2019, n. 109), è consolidata nel ritenere che il porto d’armi non costituisce oggetto di un diritto assoluto, rappresentando un’eccezione al normale divieto di detenere armi e potendo essere riconosciuto soltanto a fronte della perfetta e completa sicurezza circa il loro buon uso, in modo da scongiurare dubbi o perplessità, sotto il profilo prognostico, per l’ordine pubblico e per la tranquilla convivenza della collettività (Cons. Stato, sez. III, 25 marzo 2019, n. 1972; id. 7 giugno 2018, n. 3435).

Il giudizio che compie l’Autorità di pubblica sicurezza è espressione di una valutazione ampiamente discrezionale, che presuppone una analisi comparativa dell’interesse pubblico primario, degli interessi pubblici secondari, nonché degli interessi dei privati, oltre che un giudizio di completa affidabilità del soggetto istante basato su rigorosi parametri tecnici.

L’apprezzamento discrezionale rimesso all’Autorità di pubblica sicurezza involge soprattutto il giudizio di affidabilità del soggetto che detiene o aspira a ottenere il porto d’armi. A tal fine, l’Amministrazione è chiamata a compiere una valutazione tecnica in ordine al pericolo di abuso delle armi, che deve essere desunta da elementi non meramente immaginari o aleatori. Il pericolo di abuso delle armi è valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sì da far ritenere “più probabile che non” il pericolo di abuso delle armi.

È in questa prospettiva, anticipatoria della difesa della legalità, che si collocano i provvedimenti con cui l’Autorità di pubblica sicurezza vieta la detenzione di armi, ai quali infatti viene riconosciuta natura cautelare e preventiva (Cons. Stato, sez. III, 2 dicembre 2021, n. 8041). Ne è prova il costante orientamento di questa Sezione, secondo cui l’inaffidabilità all’uso delle armi è idonea a giustificare il ritiro della licenza, addirittura senza che occorra dimostrarne l’avvenuto abuso (Cons. Stato, sez. III, 18 aprile 2017, n. 1814).

Alla luce di quanto fin qui esposto e dei fatti valorizzati dal provvedimento gravato in primo grado, ritiene il Collegio che la prognosi inferenziale compiuta dall’Amministrazione resista al vaglio di questo giudice. Infatti, nel caso in esame, la valutazione negativa di affidabilità del soggetto circa l’uso corretto delle armi e il divieto di detenzione delle stesse è stata legittimamente ancorata ad un fatto di indubbia gravità, che ha dimostrato la possibilità dell’appellante di perdere il controllo delle proprie azioni.

  1. L’appello deve dunque essere respinto.

Le spese e gli onorari del giudizio possono essere compensati stante la mancata difesa scritta da parte dell’Amministrazione costituita.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza),

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte appellante.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 settembre 2024 con l’intervento dei magistrati:

Giulia Ferrari, Presidente FF, Estensore

Ezio Fedullo, Consigliere

Antonio Massimo Marra, Consigliere

Luca Di Raimondo, Consigliere

Raffaello Scarpato, Consigliere

 

 

IL PRESIDENTE, ESTENSORE

Giulia Ferrari

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.