Con il parere n. 1107 del 21 agosto 2024, il Consiglio di Stato ha precisato che l’aspettativa del personale del Corpo di polizia penitenziaria, dichiarato inidoneo all’assolvimento dei compiti istituzionali, di transitare nei ruoli civili ha natura di interesse legittimo, e non di diritto soggettivo. Tale conclusione si fonda sull’interpretazione dell’art. 75 del d.lgs. 30 ottobre 1992, n. 443, che stabilisce che il dipendente “può, a domanda, essere trasferito“, a condizione che l’infermità consenta il suo ulteriore impiego e che la domanda di transito sia presentata entro i termini di legge. Pertanto, il trasferimento nei ruoli civili non è automatico, ma subordinato a una valutazione discrezionale dell’amministrazione, che può negarlo. In tal caso, il dipendente è soggetto alla dispensa dal servizio, la quale ha natura di atto vincolato. Il diniego di transito deve essere impugnato entro i termini di decadenza previsti dall’art. 29 del codice del processo amministrativo (c.p.a.), essendo tale decisione soggetta al regime degli atti amministrativi impugnabili.

Numero 01107/2024 e data 21/08/2024 Spedizione

REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 19 giugno 2024

NUMERO AFFARE 00944/2023

OGGETTO:

Ministero della giustizia.

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, con istanza sospensiva, proposto, con presentazione diretta, ex art. 11 d.P.R. n. 1199/1971, dal signor -OMISSIS-, contro il Ministero della giustizia, per l’annullamento del provvedimento 9037/s, in data 19 marzo 2019, recante dispensa dal servizio per infermità e rigetto di istanza di transito ai sensi dell’art. 75 d.lgs. n. 443/1992.

LA SEZIONE

Vista la nota di trasmissione della relazione prot. n. m_dg.GDAP 0443612.U, in data 9 novembre 2023, con la quale il Ministero della giustizia ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo in oggetto;

esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Carla Ciuffetti.

Premesso in fatto e considerato in diritto quanto segue.

  1. L’oggetto della controversia è costituito dal decreto ministeriale n. 9037/S, in data 19 marzo 2019, recante la dispensa dal servizio per infermità del ricorrente, assistente capo coordinatore del Corpo di polizia penitenziaria, e il rigetto dell’istanza di transito da questi presentata ai sensi dell’art. 75 d.lgs. n.443/1992.
  2. Alla stregua della documentazione acquisita al fascicolo d’ufficio e delle circostanze di fatto riportate negli scritti difensivi e non specificamente contestate dalle rispettive controparti, emerge che:
  3. a) la Commissione medica di verifica di Campobasso, in data 8 ottobre 2018, con verbale mod. BUB n. 2042, al termine di un periodo di aspettativa del ricorrente pari a 463 giorni nel triennio e a 861 giorni nel quinquennio, lo aveva ritenuto “non idoneo al servizio d’istituto nella Polizia penitenziaria per ulteriori 90 giorni”;
  4. b) a seguito di ricorso avverso il suddetto giudizio di non idoneità, la Commissione medica interforze di seconda istanza di Roma, con comunicazione prot. n. J11801091 in data 11 dicembre 2018, aveva reso noto alla casa circondariale di servizio del ricorrente che questi era stato giudicato “permanentemente non idoneo al servizio di istituto nella Polizia Penitenziaria in modo assoluto; si idoneo al transito nei ruoli civili dell’Amministrazione Penitenziaria o di altre Amministrazioni dello Stato. Controindicate attività e o mansioni particolarmente stressanti per la sfera psichica e l’uso delle armi. La non idoneità permanente assoluta è determinata da infermità che, sulla base degli atti, risulta SI dipendente da causa di servizio”;
  5. c) con istanza in data 18 dicembre 2018, il ricorrente aveva chiesto all’Amministrazione di appartenenza di poter transitare, ai sensi dell’art. 75 d.lgs. n. 443/1992 presso lo stesso Ministero della giustizia, Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità, nonché presso il Ministero per i beni e le attività culturali, il Ministero dell’interno e l’Istituto nazionale di previdenza sociale, con assegnazione solo in sedi poste nella città di Campobasso;
  6. d) tali richieste erano state respinte dal Ministero per i beni e le attività culturali con nota n. 2179 del 25 gennaio 2019, dal Ministero della giustizia, Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità, con nota n. 5008.0 del 30 gennaio 2019, dal Ministero dell’interno con nota n. 11542 del 12 febbraio 2019 e dall’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, con nota n. 7431 dell’8 marzo 2019 (tutte le determinazioni negative non sono state impugnate);
  7. e) con l’atto impugnato venivano quindi disposti la dispensa dal servizio per infermità dell’interessato nonché il rigetto dell’istanza di transito.
  8. Il gravame espone un unico motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione degli art 75 e 76 del D.Lgs n.443/92 in combinato disposto con l’art. 74 d.P.R. n. 3 del 1957. Violazione e falsa applicazione artt. 7 e 10-bis legge 7 agosto 1990 n. 241. Violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione e 41 della Carta di Nizza e dei criteri di buona andamento, imparzialità ed efficienza dell’azione amministrativa, nonché dei principi del giusto procedimento e del legittimo affidamento. Eccesso di potere per difetto di presupposti e di istruttoria, evidente travisamento dei fatti, illogicità, ingiustizia e contraddittorietà manifesta. Difetto di motivazione. Violazione degli artt. 1, 3, 7 e 21-octies della legge n. 241/1990. Violazione e falsa applicazione della lex specialis di cui all’art. 74 d.P.R. n. 3 del 1957” (illustrato da pag. 4 a pag. 7 del gravame). Il ricorrente asserisce che l’atto impugnato sarebbe affetto da “nullità assoluta perché oltre a violare interessi e diritti soggettivi viola principi costituzionali che fondano il sistema democratico in un paese civile” sarebbe stato emanato “in palese violazione di legge artt.1, 3, 4, 36 Cost.” avendo egli diritto “ad essere trattato senza

discriminazioni rispetto al personale di ruolo della Polizia di Stato non idoneo al servizio di Polizia ma idoneo al servizio nei ruoli civili” e una tale violazione sarebbe ravvisabile in tutti gli atti posti a fondamento del decreto impugnato. Inoltre, l’interessato deduce che l’Amministrazione di appartenenza “avrebbe dovuto comunque fare il possibile e suggerire un’allocazione nei ruoli civili sottoponendo al ricorrente anche un ventaglio di possibilità occupazionali, prima di rigettare in toto l’istanza di transito per poi addirittura decretare la dispensa dal servizio”. Se l’Amministrazione di appartenenza avesse attivato gli istituti di cui agli artt. 7 e 10-bis della l. n. 241/1990 prima dell’emanazione dell’atto impugnato, egli “avrebbe potuto presentare scritti e documenti validi anche volti a trovare posti in altre amministrazioni” e “si sarebbe potuto trovare sul serio, una collocazione nei ruoli civili e solo in ultima e residuale ipotesi e dopo aver provato l’impossibile, provvedere alla notifica comunque del preavviso di dispensa dal servizio”; invece, l’Amministrazione avrebbe esercitato i propri poteri autoritativi in violazione dei principi di correttezza e buona fede nell’azione amministrativa ex art. 1, l. n.241/90 e artt. 3 e 97 Cost., integrando una disparità di trattamento a carico del ricorrente, rispetto al personale di ruolo della Polizia di Stato e a quello delle altre Amministrazioni destinatarie della richiesta di transito che avevano respinto la richiesta, ma avevano proceduto ad effettuare assunzioni.

  1. Nel corso del procedimento:
  2. a) con relazione in data 9 ottobre 2023, prot. n. 250487.E-2019, l’Amministrazione ha espresso l’avviso che il gravame debba essere respinto;
  3. b) a seguito della trasmissione della relazione ministeriale, il ricorrente ha depositato una memoria contenente motivi aggiunti in data 29 novembre 2023;
  4. c) in data 26 febbraio 2023 e 6 marzo 2023, l’Amministrazione ha depositato contro deduzioni ai motivi aggiunti, dirette a motivare la legittimità del proprio operato;
  5. d) a seguito della nota presidenziale in data 12 gennaio 2024, il ricorrente ha confermato il proprio interesse alla decisione del gravame con nota in data 13 giugno 2024.
  6. All’adunanza del 19 giugno 2024, l’affare è passato in decisione.

5.1. Il collegio ritiene che il ricorso sia inammissibile per genericità delle censure esposte, alla luce dell’indirizzo della Sezione secondo il quale “l’articolo 40 c.p.a., relativamente al ‘contenuto del ricorso’ introduttivo della lite dinanzi al giudice amministrativo (con disposizione che deve ritenersi senz’altro estesa anche al rimedio del ricorso straordinario, avuto riguardo alla sua attitudine di rimedio alternativo a quello giurisdizionale e con esso concorrente), impone che l’atto contenga, a pena di inammissibilità, i ‘motivi specifici’ su cui lo stesso si fonda (art. 40, comma 2, in relazione al comma 1, lettera d), per i quali è prescritta altresì – ad evitare, per ragioni di chiarezza, di univocità e di precisione, l’inclusione delle puntuali ragioni di doglianza in una parte dell’atto non dedicata alla individuazione delle ragioni giuridiche (c.d. motivi intrusi: cfr. Cons. Stato, sez. VI, 7 gennaio 2019, n. 147; sez. IV, 20 luglio 2018, n. 4413; sez. V, 5 ottobre 2017, n. 4643) – l’evidenziazione ‘distinta’ (art. 40, comma 1). Invero, i motivi di ricorso sono preordinati a rappresentare – in un sistema di diritto amministrativo fondato sul principio di legalità dell’azione amministrativa le deviazioni o difformità del provvedimento impugnato rispetto al paradigma legale di riferimento, di tal che, insieme ai pertinenti elementi di fatto, strutturano la causa petendi del ricorso. Il canone di specificità e distinzione (che si desume anche dall’articolo 44, comma 1 lettera a) c.p.a., nella parte in cui prefigura una ipotesi di nullità dell’atto introduttivo per ‘incertezza […] sull’oggetto della domanda’, correlato alla ‘inosservanza delle […] norme prescritte nell’articolo 40’) esclude, per tal via, che il ricorso possa essere strutturato come generica critica del provvedimento impugnato, con conseguente traslazione sull’organo giurisdizionale dell’attività di ricerca e individuazione dei puntuali (o più puntuali) tratti e profili di illegittimità. D’altra parte, la regola obbedisce anche ad una esigenza di effettività del contraddittorio processuale, posto che la vaghezza dell’apparato censorio potrebbe inibire una congrua ed appropriata difesa delle altre parti processuali. Inoltre, il requisito trae alimento dal principio della domanda, che regge complessivamente il sistema di diritto processuale amministrativo, e, con esso, del suo corollario del canone di corrispondenza tra il chiesto e il pronunziato (cfr. art. 112 c.p.c., applicabile anche nel giudizio amministrativo in virtù del rinvio esterno di cui all’art. 39 c. p.a.), il quale impone che la domanda di annullamento sia formulata in termini idonei ed adeguati ad una puntuale rappresentazione degli elementi, di fatto e di diritto, sui quali si ritengono fondati i prospettati vizi di legittimità (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 3809 del 2017; sez. IV, n. 475 del 2012)” (cfr. Cons. Stato, sez. I, pareri n. 592/2024 e n. 221/2024).

Tali parametri risultano del tutto obliterati nel gravame in esame, in quanto:

  1. i) con censure che impingono nel discrezionale potere di organizzazione della pubblica amministrazione, il ricorrente si limita a rilevare che le amministrazioni destinatarie della domanda di transito avrebbero potuto accoglierla, poiché disponevano di posti da coprire, come dimostrerebbe l’indizione di concorsi da parte del Ministero della giustizia e del Ministero per i beni e le attività culturali;
  2. ii) il ricorrente deduce che l’Amministrazione di appartenenza “avrebbe dovuto comunque fare il possibile e suggerire un’allocazione nei ruoli civili sottoponendo al ricorrente anche un ventaglio di possibilità occupazionali, prima di rigettare in toto l’istanza di transito per poi addirittura decretare la dispensa dal servizio”, adombrando un’attività dovuta da parte dell’Amministrazione – di cui non individua uno specifico fondamento normativo a parte il generico richiamo ai principi di correttezza e buona fede nell’azione amministrativa in base all’art. 1, l. n. 241/1990 e agli artt. 3 e 97 della Costituzione – salvo asserire che, “posto che, la regola generale è che i poteri pubblici ed il cittadino si muovono sullo stesso piano, con ciò rinunciando definitivamente all’agire pubblico come espressione del potere autoritativo”, nella fattispecie l’Amministrazione avrebbe esercitato invece tale potere impedendo al ricorrente di svolgere attività lavorativa;

iii) nulla si argomenta circa la mancata impugnativa (e conseguente notificazione) delle determinazioni negative rese dalle Amministrazioni destinatarie delle istanze di assunzione.

5.2. In ogni caso, premesso che deve ritenersi inammissibile la domanda risarcitoria poiché ai sensi dell’art. 8 del d.P.R. n. 1199/1971, il ricorso straordinario ha natura impugnatoria e non è esperibile per la proposizione di azioni diverse da quella di annullamento (cfr. Cons. Stato, sez. II, n. 77/2019 e n. 1141/2014), il gravame è anche infondato nel merito.

5.3. Non può darsi seguito alla tesi della nullità del provvedimento impugnato, considerato che l’art. 21-septies l. n. 241/1990 ha configurato ipotesi tassative da ricondurre alla categoria della nullità, costituite dal difetto assoluto di attribuzione, dalla carenza di un elemento essenziale, dall’adozione in violazione o elusione del giudicato e dalla nullità testuale, alle quali non sono riconducibili le deduzioni del ricorrente.

5.4. L’art. 75 (“Utilizzazione del personale invalido”) del d.lgs. n. 443/1992 (“Ordinamento del personale del Corpo di polizia penitenziaria, a norma dell’art. 14, comma 1, della L. 15 dicembre 1990, n. 395”) stabilisce che: “Il personale del Corpo di polizia penitenziaria, giudicato assolutamente inidoneo per motivi di salute, anche dipendenti da causa di servizio, all’assolvimento dei compiti d’istituto può, a domanda, essere trasferito nelle corrispondenti qualifiche di altri ruoli dell’Amministrazione penitenziaria o di altre amministrazioni dello Stato, sempreché l’infermità accertata ne consenta l’ulteriore impiego” (comma 1); “La domanda deve essere presentata al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria entro trenta giorni dalla notifica all’interessato del giudizio di inidoneità assoluta”.

Il medesimo d.lgs. n. 443/1992 all’art. 76 (“Modalità di trasferimento”), prevede che l’Amministrazione ricevente “può sottoporre il personale interessato a visita medica ed a prova teorica o pratica, secondo modalità da fissarsi con decreto del Ministro competente” (comma 9) e all’art. 77 stabilisce che “Qualora il personale di cui all’art. 75 sia ritenuto non idoneo all’assolvimento dei compiti propri degli altri ruoli dell’Amministrazione penitenziaria o di altre amministrazioni dello Stato, ovvero per esigenze di servizio non possa essere trasferito in altri ruoli dell’amministrazione penitenziaria o di altre amministrazioni dello Stato, è dispensato dal servizio ai sensi degli articoli 129 e 130 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3”.

5.4.1. La ratio delle citate disposizioni è stata individuata dalla giurisprudenza nell’esigenza di “consentire al personale della polizia penitenziaria – risultato inidoneo ai gravosi e delicati compiti di servizio – di poter proseguire il rapporto di pubblico impiego nei ruoli civili dell’Amministrazione della giustizia o di altre Amministrazioni statali, per le quali non sia necessaria la sussistenza degli specifici requisiti psichici, fisici e attitudinali richiesti per i compiti di servizio suddetti”, per “assicurare giusta tutela al diritto al lavoro del dipendente”, posto il principio generale, proprio dell’ordinamento del pubblico impiego “in forza del quale il personale inidoneo al servizio per ragioni di salute, prima di essere dispensato, deve essere posto nelle condizioni di continuare a prestare servizio ai fini dell’assolvimento di compiti e funzioni compatibili con le sue condizioni di idoneità fisica. Solo nel caso in cui non sia possibile tale utilizzazione, o per ragioni di carattere oggettivo o per scelta dell’interessato, ne è disposto il collocamento a riposo d’autorità (Corte cost., 10 febbraio 2006, n. 56)” (cfr. Cons. Stato, sez. II, sez. II, n. 792/2023; 25 maggio 2019, n. 3203; con riferimento al personale della Polizia di Stato, cfr. C.g.a. 4 gennaio 2023 n. 12).

Tale indirizzo – sulla base di più risalente giurisprudenza secondo la quale il dipendente inabile al servizio vanta un diritto soggettivo al reinserimento nella qualifica prescelta – sottolinea che “l’Amministrazione può dispensare dal servizio il dipendente della polizia penitenziaria unicamente quando abbia constatato l’impossibilità di un ricollocamento in altri ruoli dell’Amministrazione dello Stato, anche diversi da quello prescelto”, avendo essa l’onere “di ricercare un possibile reimpiego del dipendente inabile al servizio anche in mansioni inferiori a quelle richieste”. Secondo tale orientamento, l’illegittimità del provvedimento di dispensa dal servizio comporta l’illegittimità dei dinieghi di transito opposti dalle Amministrazioni presso le quali l’interessato abbia chiesto di transitare, in quanto ad essa connessi e prodromici; tali atti, in quanto attinenti a diritti soggettivi relativi ad un rapporto di impiego, “si iscrivono nella categoria degli atti paritetici, con relativa applicazione di termini diversi da quello decadenziale di cui all’art. 29 c.p.a., per la loro impugnazione” (Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 2020, n. 1885).

5.4.2. Secondo altro indirizzo, il transito nei ruoli civili non configura un diritto soggettivo del dipendente giudicato inidoneo. Tale indirizzo è riferito all’art. 1 d.P.R. n. 339/1982 (“Passaggio del personale non idoneo all’espletamento dei servizi di polizia, ad altri ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza o di altre amministrazioni dello Stato”), che, con formulazione analoga a quella del citato art. 75, stabilisce che: “Il personale dei ruoli della Polizia di Stato, che espleta funzioni di polizia, giudicato assolutamente inidoneo per motivi di salute, anche dipendenti da causa di servizio, all’assolvimento dei compiti d’istituto può, a domanda, essere trasferito nelle corrispondenti qualifiche di altri ruoli della Polizia di Stato o di altre amministrazioni dello Stato, sempreché l’infermità accertata ne consenta l’ulteriore impiego (…)” (comma 1); “La domanda deve essere presentata al Dipartimento della pubblica sicurezza entro trenta giorni dalla notifica all’interessato del giudizio di inidoneità assoluta” (comma 2).

Detto indirizzo ha ritenuto che il transito nei ruoli civili del personale della Polizia di Stato giudicato inidoneo non configuri un diritto soggettivo del dipendente, “posto che tale disposizione usa l’espressione ‘può essere trasferito’ a cui è sottesa un’implicita potestas valutandi in capo all’Amministrazione” e condiziona comunque tale possibilità alla circostanza che l’infermità ne consenta l’ulteriore impiego (Cons. Stato, sez. IV, 18 gennaio 2021, n. 519; cfr. sez. IV, n. 4404/2020 e n. 3622/2020).

5.4.3. Constatato che, sia per il personale del Corpo di Polizia penitenziaria, sia per quello dei ruoli della Polizia di Stato, la disciplina di riferimento stabilisce che esso “può, a domanda, essere trasferito”, purché l’infermità ne consenta l’ulteriore impiego, a condizione che la domanda di transito dell’interessato sia presentata entro il termine di legge, il Collegio ritiene che l’indirizzo giurisprudenziale esposto al punto 5.4.2. meriti condivisione.

Esso infatti è strettamente aderente al dato normativo che non può essere obliterato, dovendo ritenersi che, “allorché la legge abbia perimetrato con precisione l’ambito di applicazione di un istituto, l’interprete non possa estenderne la portata oltre i confini stabiliti in via normativa (cfr. il risalente brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit)” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 519/2021 cit.; sez. IV, 27 febbraio 2020, n. 1445, circa la natura eccezionale e, quindi, di stretta interpretazione dell’art. 1 d.P.R. n. 339/1982 “anche per evitare che possano essere presentate domande a distanza di tempo dall’accertamento dell’idoneità, con aggravio di spesa determinato dalla necessità di prolungare la permanenza nella posizione di aspettativa retribuita ex art. 8, comma 4, del DPR n. 339/1982”). Tale orientamento consente di valorizzare il principio dell’accesso per concorso ai pubblici impieghi di cui all’art. 98 della Costituzione, laddove considera la “natura costitutiva con effetti innovativi del rapporto di lavoro” del provvedimento che dispone il transito del dipendente e che “la facoltà di transito integra un’eccezione al principio costituzionale di accesso ai pubblici impieghi mediante concorso”, per garantire all’interessato “una prospettica stabilità di impiego”. Nella logica della disciplina stabilita per il personale del Corpo di Polizia penitenziaria e della Polizia di Stato, tale eccezione, che consente di coniugare il principio dell’accesso per concorso al pubblico impiego con l’esigenza di assicurare l’effettività del diritto al lavoro dell’interessato, è assistita da specifiche garanzie costituite dall’attribuzione alla discrezionale valutazione delle amministrazioni pubbliche la considerazione delle esigenze organizzative, dalla previsione di un termine stringente entro il quale l’interessato deve manifestare la propria intenzione di transito (cfr. Cons. Stato, sez. I, parere 6 settembre 2023, n. 1175; sez. IV, 27 febbraio 2020, n. 1445) e dalla configurazione del provvedimento di dispensa dal servizio come atto ad emanazione vincolata (ai sensi dell’art. 77 d.lgs. n. 443/1992, qualora il dipendente “non possa essere trasferito in altri ruoli dell’amministrazione penitenziaria o di altre amministrazioni dello Stato”.

Cosicché, deve ritenersi che, nella fattispecie, il provvedimento impugnato avesse natura di atto vincolato, non essendo state accolte le istanze di transito da parte delle Amministrazioni destinatarie delle richieste del ricorrente.

5.4.4. Ciò posto, comunque va notato che quest’ultimo – che non ha avversato specificamente la dispensa dal servizio, ma la preclusione del transito in ruoli civili dell’Amministrazione di appartenenza o di altre Amministrazioni – non ha impugnato gli atti con i quali queste ultime non avevano accolto le sue richieste. Rispetto all’operato di tali Amministrazioni, l’interessato si limita a formulare censure che ne riguardano il discrezionale potere di organizzazione attraverso l’esercizio della facoltà di assunzione in conformità al principio del pubblico concorso di cui all’art. 98 Cost.

Il che, come anticipato in precedenza, priva della necessaria specificità le doglianze formulate in merito alla mancata attivazione del contraddittorio.

Inoltre, non è ravvisabile il preteso difetto di motivazione in quanto l’atto impugnato espone nelle premesse tutti i presupposti, di fatto e diritto, in base ai quali l’Amministrazione si è determinata, che sono idonei a evidenziarne le ragioni.

5.5. I motivi aggiunti devono essere considerati in parte inammissibili e in parte infondati.

5.5.1. Essi sono inammissibili nella parte in cui recano censure nuove rispetto a quelle dedotte con il ricorso principale, quale la censura secondo la quale il ricorrente “poteva essere messo in aspettativa come disposto dall’art. 76 n. 443/1992, senza così far ricadere sul medesimo, le vicende organizzative dei vari enti interessati”, nonché nella parte in cui, riferendosi ad “atti impugnati” adombra l’impugnazione di altri atti non tempestivamente impugnati con il ricorso straordinario.

5.5.2. Gli stessi motivi aggiunti devono essere ritenuti infondati con riferimento alle seguenti censure, articolate dopo la doglianza secondo la quale l’asserito difetto di motivazione dell’atto impugnato riguarderebbe anche la mancanza del richiamo all’art. 77 del d.lgs 443/1992:

  1. a) “Nullità ed invalidità dei provvedimenti impugnati per violazione della legge 241/1990 come integrata dalla legge 15/2005, legge 443/1992 art. 75; inopportunità, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, inopportunità, violazione dei principi di correttezza e buona amministrazione. Difetto di motivazione ed eccesso di potere sotto il profilo di travisamento dei presupposti di fatto e di diritto. Violazione del principio del contraddittorio. Illegittimità per violazione dei principi di imparzialità, di trasparenza e correttezza nell’attività della p.a., violazione del principio di affidamento violazione dell’art. 3 e 97 Costituzione”.
  2. b) “Inopportunità, illogicità, ingiustizia manifesta, violazione dei principi di correttezza e buona amministrazione, difetto di motivazione ed eccesso di potere”.
  3. c) “Violazione della legge n. 241/1990 come integrata dalla legge n. 15/2005, legge n. 443/1992 art. 75; illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, inopportunità, violazione dei principi di correttezza e buona amministrazione. Difetto di motivazione ed eccesso di potere sotto il profilo di travisamento dei presupposti di fatto e di diritto. Violazione del principio del contraddittorio. Palese violazione dell’art. 10-bis della legge 241/1990- artt. 1, 3, 7 e 21-octies”.

Il ricorrente si sofferma sulla nota del DAP n. 0384057.U, in data 19 ottobre 2021, “nella quale, si richiama l’orientamento dei Giudici di merito i quali, hanno più volte ribadito che il transito nei ruoli civili del personale dichiarato inidoneo al servizio rappresenta un vero e proprio diritto soggetto a mantenere il posto di lavoro e pertanto, il Dipartimento è gravato dall’onere di ricercare un possibile reinserimento quale prosecuzione del rapporto d’impiego, stante il consolidato orientamento giurisprudenziale circa l’illegittimità dell’atto di dispensa”.

In merito a tale orientamento, il ricorrente ha trasmesso la sentenza 31 luglio 2023 n. 4628 del T.a.r. per la Campania, che, ritenuta fondata la censura di violazione dell’art. 10-bis l. n. 231/1990, ha accolto il ricorso di una dipendente del Dipartimento per l’Amministrazione penitenziaria diretto all’annullamento anche del provvedimento che l’aveva dispensata dal servizio.

5.5.3. Va ribadito quanto sopra già esposto ai nn. 5.4.3 e 5.4.4 circa l’infondatezza delle censure del ricorso principale per le doglianze dei motivi aggiunti aventi contenuto analogo e va considerato che non assume effetto viziante la mancanza del richiamo all’art. 77 d.lgs. n. 443/1992 nell’atto impugnato, poiché esso si riferisce a tale decreto nella sua interezza.

Quanto alla suddetta nota del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria 19 ottobre 2021 n. 384057.U, recante una direttiva applicativa del citato art. 75 del d.lgs. n. 443/1992, si osserva che da essa emerge la constatazione dell’esigenza di modificare le regole applicative degli artt. 75 s.s. d.lgs. n. 443/1992 che precludono al soggetto che abbia fatto richiesta di transito presso altre amministrazioni di presentare anche la domanda di transito nei ruoli civili dell’Amministrazione penitenziaria. Pertanto, secondo la medesima direttiva “ciascun dipendente inabile al lavoro nel Corpo di polizia penitenziaria, che si trova nelle condizioni di poter richiedere il trasferimento nei ruoli civili ha facoltà di proporre, nei limiti temporali stabiliti, contemporaneamente più istanze volte ad attivare il procedimento di transito nelle amministrazioni prescelte, compresa l’Amministrazione penitenziaria, sempre indicando con precisione il profilo professionale di riferimento”.

Tuttavia, tale direttiva, che non è stata impugnata dal ricorrente, non è applicabile nella fattispecie, in quanto essa è riferita a procedimenti di transito non ancora attivati e, solo per i procedimenti di transito ancora in corso, prevede che, qualora essi “non si concludano con l’asseverazione da parte delle amministrazioni prescelte, sarà cura di questo Ufficio, in via eccezionale, rimettere all’opzione del dipendente la scelta se attivare il relativo procedimento per il passaggio nei ruoli civili dell’Amministrazione di appartenenza esprimendo apposita richiesta”.

  1. In conclusione:
  2. a) il ricorso straordinario deve essere considerato inammissibile nella parte relativa alla domanda risarcitoria e infondato nella restante parte;
  3. b) i motivi aggiunti devono essere considerati inammissibili nella parte recante censure non tempestivamente proposte con il ricorso principale e infondati nella restante parte.

Resta assorbito l’esame della domanda cautelare nella presente fase del procedimento.

P.Q.M.

Esprime il parere che il ricorso debba essere rigettato.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità dell’interessato, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente.

 

 

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Carla Ciuffetti

Vito Poli

 

 

 

 

IL SEGRETARIO

Elisabetta Argiolas

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.