Il TAR per il Lazio, con la sentenza n. 16321/2024 del 11 settembre 2024, relativamente ad un’ordinanza comunale di demolizione di opere edilizie abusive, ha respinto le doglianze mosse dalla ricorrente, la quale aveva sollevato questioni di proporzionalità dell’ordine di demolizione e dell’adeguatezza della sanzione rispetto alla gravità dell’abuso. In particolare, aveva evidenziato che le dimensioni delle opere abusive erano minime e che l’ordinanza era eccessivamente onerosa. Tuttavia, il TAR ha osservato che l’ordine di demolizione è una misura sanzionatoria obbligatoria prevista dalla normativa, non influenzata dalla dimensione dell’abuso o dalla situazione personale dell’attuale proprietario. Il Tribunale ha confermato che l’ordine di demolizione risponde a una necessità di ripristinare lo stato dei luoghi, conforme agli obiettivi della normativa urbanistica. Infine, il TAR ha escluso che la durata del tempo trascorso dalla realizzazione degli abusi o le condizioni di salute della ricorrente potessero incidere sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione. La giurisprudenza consolidata considera tale ordinanza come atto dovuto e vincolato, la cui legittimità non è influenzata dalla responsabilità soggettiva del destinatario o da fattori temporali.
Pubblicato il 11/09/2024
- 16321/2024 REG.PROV.COLL.
- 07565/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 7565 del 2024, proposto da
-OMISSIS- -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato Cinzia Roberti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Cerveteri, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Valerio Morini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’annullamento
previa sospensione dell’efficacia:
– del provvedimento prot. numero-OMISSIS-del-OMISSIS-, notificato alla ricorrente in data 18/05/2024, avente ad oggetto “ORDINANZA DI DEMOLIZIONE REDATTA AI SENSI DELL’ART. 33 DEL D.P.R. 380/01 E DELL’ART. 18 DELLA L.R. 15/2008”, con cui si ordina alla Sig. -OMISSIS- la demolizione/rimozione delle opere descritte in quanto abusivamente realizzate o realizzate in totale difformità al titolo edilizio richiamato ripristinando i luoghi nel termine perentorio di 120 giorni;
– di ogni altro atto presupposto, connesso e comunque consequenziale, ancorché di data e tenore sconosciuto, che incida sfavorevolmente sulla posizione giuridica della ricorrente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Cerveteri;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 3 settembre 2024 la dott.ssa Francesca Santoro Cayro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
Considerato che:
– con l’odierno ricorso, tempestivamente notificato e depositato (nella medesima data del 12 luglio 2024), la Sig.ra -OMISSIS- -OMISSIS- è insorta avverso l’ordinanza i cui estremi sono indicati in epigrafe, con la quale il Comune di Cerveteri le aveva ingiunto la demolizione di alcune opere di ristrutturazione edilizia realizzate in assenza di titolo abilitativo nell’abitazione di proprietà;
– l’amministrazione civica si è costituita in giudizio, al fine di chiedere il rigetto del ricorso, con memoria depositata in data 18 luglio 2024, producendo documentazione a corredo (cfr. deposito del 22 luglio 2024);
– alla camera di consiglio del 3 settembre 2024, celebrata per la trattazione della domanda cautelare, è stato dato avviso alle parti, regolarmente trascritto a verbale, della possibilità di definizione della controversia con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm., e il ricorso è stato trattenuto in decisione;
Considerato che:
– il gravame è infondato;
– preliminarmente va dato atto che la ricorrente non disconosce espressamente la natura abusiva degli interventi edilizi contestati dall’amministrazione, che, come si evince dal tenore motivazionale della gravata ordinanza, consistono in 1) un ampliamento volumetrico dell’unità abitativa di proprietà, di superficie di circa 2,30×3,35 mt, adibito a “soggiorno con annesso angolo cottura”, creato mediante accorpamento all’abitazione principale di parte dell’area esterna prevista a “balcone”, nonché in una 2) tettoia nella zona giardino, di dimensioni di circa 8,10×2,90 mt, realizzata con orditura in profili metallici e soprastante copertura in pannelli coibentati, sovrastante area pavimentata e arredata con tavolini e sedie, il tutto in assenza di idoneo titolo edilizio;
– il ricorso paventa, invece, svariati profili di invalidità del provvedimento comunale sub specie di violazione di legge o dei principi generali (quali quelli del giusto procedimento, buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa ex art. 97 Cost., diritto di difesa ex art. 24 Cost., legittimo affidamento, diritto alla salute ex art. 32 Cost., proporzionalità), oltre che di eccesso di potere “per difetto assoluto del presupposto, di istruttoria e motivazione e per illogicità e contrarietà manifeste. Sviamento”, che risultano tuttavia privi di pregio;
– in particolare, con un primo ordine di censure la parte lamenta che l’ordinanza gravata risulterebbe inficiata da difetto di istruttoria e travisamento dei fatti, nella misura in cui, nel descrivere l’intervento abusivo contrassegnato con il num. 1), conterrebbe un’errata individuazione dell’area abusiva (ciò in quanto la porzione realizzata in ampliamento sarebbe in realtà priva di angolo cottura, e mancherebbe nel provvedimento l’indicazione circa la “presenza di un altro ambiente living a collegamento tra l’area abusiva e il suddetto angolo cottura”), avendo quindi l’amministrazione commesso un “errore di fatto significativo” nell’indicazione della destinazione d’uso, e con ciò violando anche i principi generali che informano l’agere amministrativo, oltre che l’obbligo di adeguata motivazione ex art. 3 l. n. 241/1990 (cfr. pagg. 4 – 8 del ricorso);
– sul punto il Collegio osserva che le deduzioni di parte, oltre ad essere sguarnite di un sia pur minimo principio di prova, risultano comunque prive di rilevanza, attesa la pacifica esistenza di un intervento edilizio che ha indiscutibilmente determinato un incremento di volumetria dell’unità abitativa, trasformando in “soggiorno” una porzione del balcone (e dunque adibendola ad uso residenziale) in assenza di un valido titolo abilitativo, sicché non può assumere alcun rilievo invalidante la circostanza fattuale che (in ipotesi) la suddetta porzione realizzata in ampliamento sia priva di “angolo cottura” (peraltro, la relazione di sopralluogo prot. -OMISSIS- del -OMISSIS-, versata in atti dalla difesa comunale, nel descrivere in maniera accurata ed esaustiva l’abuso in questione, dà conto specificamente che la medesima cubatura risulta strutturalmente contigua all’unità residenziale, e precisamente all’ambiente preesistente “arredato all’uso di «salotto con zona angolo cottura»”, come chiaramente comprovato anche dalla documentazione fotografica a corredo, sicché, già in via di fatto, non emerge il dedotto deficit istruttorio);
– in secondo luogo, la parte lamenta che il provvedimento in esame sarebbe inficiato da un difetto di proporzionalità, unitamente alla “Violazione e falsa applicazione dell’articolo art. 21 octies l. n. 241/1990 – art.5, paragrafo 4, del TUE”, in ragione della ridotta dimensione degli abusi di cui trattasi (pari a 7.70 mq l’ampliamento e “soli 9 mq” la tettoia), tali da non incide in maniera significativa sull’assetto urbanistico complessivo, sicché la sanzione demolitoria risulterebbe eccessivamente gravosa rispetto all’abuso contestato (cfr. pagg. 8 – 10 del ricorso);
– tale doglianza, per ragioni di economia, può essere scrutinata congiuntamente a quelle con cui la parte lamenta “Eccesso di potere in riferimento al surplus di motivazione richiesta per la demolizione di opere risalenti nel tempo e per abuso realizzato dal vecchio proprietario” (cfr. pagg. 10 e 11 del ricorso), trattandosi di interventi realizzati da precedenti proprietari e risalenti nel tempo (come attesterebbero sia la dichiarazione testimoniale della vicina di casa, Sig.ra -OMISSIS- -OMISSIS-, sia la aero-fotogrammetria realizzata dalla società -OMISSIS-nell’anno 2001 – cfr. rispettivamente doc. nn. 3 e 4 allegati al ricorso), che pertanto avrebbero richiesto un’istruttoria accurata e una motivazione rafforzata in merito all’interesse pubblico alla rimozione dell’abuso, nonché “Violazione legge art 32 Costituzione e art 8 CEDU – in riferimento alle condizioni di disabilità della ricorrente” (cfr. pagg. 11 e 12), essendo la medesima affetta da patologia invalidante (come comprovato da certificazione INPS versata in atti), tale per cui i lavori di demolizione e/o ripristino, con la conseguente esposizione a polveri, calcinacci e tossine, ne comprometterebbero seriamente il già precario stato di salute;
– trattasi di censure prive di pregio, in quanto si infrangono contro la natura strettamente doverosa e vincolata dell’ordine di demolizione, quale riconosciuta da un indirizzo giurisprudenziale assolutamente granitico, trattandosi di un atto dovuto a fronte di interventi abusivamente realizzati, sufficientemente motivato con la sola descrizione dell’abuso, e ciò anche con specifico riferimento ad un intervento, quale la tettoia contestata nel caso di specie, che per le sue dimensioni e caratteristiche strutturali ha determinato una permanente alterazione dello stato dei luoghi;
– ne consegue che l’ordine demolitorio, concretando una misura sanzionatoria di tipo reale che persegue una finalità riparatoria/ripristinatoria, è validamente indirizzato (anche) nei confronti dell’attuale proprietario del bene ancorché non responsabile dell’abuso, come testualmente sancito dalla normativa che regola l’esercizio dei poteri di repressione e vigilanza in materia edilizia (cfr. segnatamente, per quanto qui specificamente rileva, l’art. 18 della L.R. n. 15/2008, ai sensi del quale è stata adottata l’ordinanza oggi gravata, il quale dispone che il dirigente o il responsabile della struttura comunale competente, qualora accerti l’esistenza di interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione edilizia realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire o dalla denuncia di inizio attività, ingiunge al responsabile dell’abuso, “nonché al proprietario, ove non coincidente con il primo”, di provvedere a proprie spese entro un congruo termine, comunque non superiore a centoventi giorni, alla demolizione dell’opera e al ripristino dello stato dei luoghi), a nulla rilevando il lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso, né potrebbero assumere pregio, in questa prima fase dell’intervento repressivo del Comune, eventuali specifiche condizioni soggettive e personali del destinatario dell’ordine demolitorio, prescindendo quest’ultimo “da qualsiasi valutazione sulla imputabilità e sullo stato soggettivo (dolo, colpa) del titolare del bene” (in tal senso cfr. Ad. Plen., 11 ottobre 2023, n. 16);
– in conclusione, il ricorso va rigettato;
– le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo in favore della resistente Amministrazione;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore del Comune di Cerveteri, nella misura di euro 1.500,00, oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all’articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 settembre 2024 con l’intervento dei magistrati:
Antonella Mangia, Presidente
Francesca Santoro Cayro, Referendario, Estensore
Virginia Giorgini, Referendario
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Francesca Santoro Cayro | Antonella Mangia | |
IL SEGRETARIO