Con l’ordinanza n. 161 del 2024, la Corte costituzionale ha posto alla Corte di giustizia dell’Unione europea tre quesiti riguardanti l’applicazione della direttiva 2006/123/CE (c.d. Direttiva Bolkestein) alle concessioni relative alle piccole derivazioni idroelettriche.

La questione era stata sollevata a seguito di un ricorso in via principale presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri, che aveva contestato l’articolo 3 della legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 17 del 2023.

Questa norma prevede, di fatto, una proroga delle concessioni per le piccole derivazioni idroelettriche, a condizione che il concessionario ne faccia richiesta, che detta proroga sia necessaria per consentire al concessionario di sfruttare pienamente gli incentivi ricevuti per la produzione di energia da fonti rinnovabili e che la durata complessiva della concessione, comprensiva della proroga stessa, non superi i 30 anni, che rappresentano il limite massimo previsto per questo tipo di concessioni.

Lo Stato ha impugnato la legge regionale sostenendo che violasse la ripartizione delle competenze ex art. 117 Cost. tra Stato e Regioni in materia di «produzione, trasporto e distribuzione dell’energia» e di «tutela della concorrenza».

Inoltre, come accennato, da parte statale è stata sollevata la questione del rispetto degli impegni europei, in particolare in relazione all’articolo 12 della direttiva servizi.

La Corte costituzionale ha ritenuto essenziale chiarire l’interpretazione della direttiva servizi per quanto riguarda il settore delle piccole derivazioni idroelettriche, e per questo ha sottoposto tre quesiti alla Corte di giustizia dell’UE. In particolare, ha chiesto:

  1. a) se la direttiva servizi si applichi anche agli impianti che producono esclusivamente energia elettrica;
  2. b) se, nel caso in cui la direttiva sia applicabile, essa impedisca a uno Stato membro di differenziare tra grandi e piccoli impianti idroelettrici per stabilire se questi sfruttino o meno in modo significativo la risorsa idrica;
  3. c) se, nel caso di risposta positiva ai primi due quesiti, la direttiva vieti a uno Stato membro di prevedere una proroga delle concessioni, giustificata dalla necessità di consentire l’uso pieno degli incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, pur mantenendo il limite massimo di 30 anni per le concessioni.

Risulta particolarmente interessante il profilo per il quale, in attesa della decisione della Corte di giustizia sul primo quesito riguardante la qualificazione della produzione di energia elettrica come servizio, la Corte italiana richiede un chiarimento ulteriore sulla scarsità delle risorse applicabile ai piccoli impianti idroelettrici, secondo l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE.

Come è noto, infatti, la Corte europea, in precedenti sentenze sulle c.d. concessioni balneari (art. 01 D.L. n. 400/1993 s.m.i.), ha affermato che gli Stati membri hanno discrezionalità nell’adottare criteri generali o caso per caso per valutare la scarsità delle risorse naturali. In Italia, il legislatore ha già regolato le grandi derivazioni idroelettriche, ma resta da chiarire se la differenza tra grandi e piccole derivazioni possa costituire un criterio per determinare la scarsità delle risorse idroelettriche.

Nello specifico al punto 8.1 della ordinanza in commento la Corte costituzionale ha ricordato che «la Corte di giustizia, intervenendo in materia di concessioni balneari, con la già citata sentenza AGCM, ha precisato che «la combinazione di un approccio generale e astratto, a livello nazionale, e di un approccio caso per caso, basato su un’analisi del territorio costiero del comune in questione, risulta equilibrata e, pertanto, idonea a garantire il rispetto di obiettivi di sfruttamento economico delle coste che possono essere definiti a livello nazionale, assicurando al contempo l’appropriatezza dell’attuazione concreta di tali obiettivi nel territorio costiero di un comune» (punto 47)».

La Corte costituzionale ha altresì ricordato il punto 46 della sent. AGCM, nel quale la Corte di giustizia ha affermato la sussistenza in capo agli Stati membri di «un certo margine di discrezionalità nella scelta dei criteri applicabili alla valutazione della scarsità delle risorse naturali. Tale margine di discrezionalità può condurli a preferire una valutazione generale e astratta, valida per tutto il territorio nazionale, ma anche, al contrario, a privilegiare un approccio caso per caso» (punto 46).

Applicando tali principi al caso delle “piccole derivazioni idroelettriche”, le quali «si avvalgono normalmente di impianti con un limitato impatto ambientale e di strutture che hanno dimensioni relativamente ridotte», la Corte costituzionale dubita che la loro proroga ex lege contrasti con l’art. 12 della Direttiva 2006/123/CE.

Da qui l’esigenza di sottoporre alla Corte di Giustizia il quesito pregiudiziale ex art. 267 TFUE al fine di «chiarire se rientri nel margine di discrezionalità degli Stati membri – compatibile con l’art. 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE – adottare, quale criterio generale e astratto per distinguere la sussistenza o insussistenza di una situazione di scarsità delle risorse idroelettriche, la differenza fra grandi e piccole derivazioni».

In altri termini, pur avendo il Giudice unionale già chiarito che una proroga automatica delle concessioni sia contraria alla Direttiva 2006/123/CE (sent. Promoimpresa e sent. AGCM), resta incerto se una proroga legale, come quella prevista dalla normativa regionale in esame, possa costituire un vantaggio indebito allorché inerisca a concessioni strumentali a imprese di piccole dimensioni.

La CGUE è quindi nuovamente chiamata a pronunciarsi su un aspetto della Direttiva Bolkestein suscettibile di avere ripercussioni sulla sua intera applicazione, ivi compreso il settore delle concessioni demaniali, tenendo conto non solo di criteri quantitativi immediatamente riferibili alla risorsa naturale, ma anche alla tipologia e alla grandezza degli impianti di sfruttamento di tali risorse.

Significa che, ove il Giudice unionale rispondesse al quesito pregiudiziale nel senso auspicato dalla Corte costituzionale, il legislatore statale potrebbe tornare anche sulla disciplina delle c.d. concessioni balneari, distinguendo all’interno di esse quelle piccole da quelle più grandi.

Tale conclusione potrebbe quindi veicolare la salvezza di massima parte dell’attuale tessuto imprenditoriale, il quale si sorregge su imprese di piccole e medie dimensioni a conduzione prevalentemente individuale o famigliare.