Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, con la sentenza n. 926 del 2024, si è pronunciato sulla classificazione edilizia di una piscina di dimensioni limitate, chiarendo i criteri per considerarla una pertinenza edilizia piuttosto che una nuova opera soggetta a titolo edilizio. La questione trae origine dall’installazione di una piscina privata per la quale l’amministrazione comunale aveva contestato la mancata richiesta di permesso di costruire, ritenendo l’opera di rilevanti dimensioni.

La pronuncia ha affermato che la qualificazione di una piscina come pertinenza edilizia deve avvenire mediante un accertamento in concreto, esaminando le caratteristiche specifiche dell’opera e le sue dimensioni reali. È stato escluso l’accertamento in astratto, basato su affermazioni di principio generiche o presunzioni legate alla natura della piscina.

Il Collegio ha stabilito che il criterio decisivo per determinare le dimensioni rilevanti non è la superficie dello specchio d’acqua (misurata in metri quadrati), ma la lunghezza massima percorribile in linea retta tra i punti più distanti della piscina, calcolata secondo la diagonale maggiore per strutture di forma regolare o il diametro massimo per quelle irregolari. A supporto di tale approccio, il giudice ha fatto riferimento all’idoneità della piscina per usi sportivi, agonistici o preagonistici, considerando accessoria all’edificio principale una piscina la cui lunghezza massima non ecceda i 12 metri e la profondità non superi i 2 metri. Tali valori, derivati da un confronto con le dimensioni delle piscine agonistiche standard (50 metri di lunghezza, 25 di larghezza e profondità costante di 2 metri), permettono di identificare l’inidoneità della piscina ad usi sportivi o subacquei e ne giustificano la classificazione come pertinenza.

Pubblicato il 26/11/2024

  1. 00926/2024REG.PROV.COLL.
  2. 00012/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

Sezione giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 12 del 2023, proposto dai signori
– OMISSIS -, – OMISSIS -, – OMISSIS -, – OMISSIS -, rappresentati e difesi dall’avvocato Grazia Maria Tomarchio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Catania, via Caronda 482;

contro

Comune di Venetico, non costituito in giudizio;

nei confronti

– OMISSIS -, non costituito in giudizio;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Terza) n. – OMISSIS -/2022 resa tra le parti

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 giugno 2024 il Cons. Antonino Caleca e uditi per le parti gli avvocati nessuno è presente per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

  1. Con il ricorso introduttivo il signor – OMISSIS – chiedeva l’annullamento dell’ordinanza n. 5 emessa in data 30 settembre 2016 con cui il Comune di Venetico ingiungeva la demolizione delle opere edilizie eseguite consistenti in una piscina in cemento armato della superficie contestata di circa 70 metri quadri unitamente alla relazione di accertata violazione edilizia del 30 settembre 2016 e al verbale – postumo – del 6 ottobre 2016 di presunta violazione edilizia a firma del Comando della Polizia municipale.

Con il ricorso introduttivo si chiedeva, anche, la condanna dell’amministrazione intimata al risarcimento del danno.

1.1. I motivi dedotti a sostegno del ricorso vengono riassunti nel seguente modo dalla sentenza di primo grado:

  1. a) il provvedimento amministrativo non indica correttamente il titolo di proprietà del ricorrente e individua quale responsabile dell’abuso anche altri soggetti, incluso l’autore dell’esposto; b) nessuna piscina è stata realizzata e il Comune non ha condotto accertamento alcuno sui luoghi; c) l’accertamento della violazione, invero, è avvenuto “sulla carta” e l’Amministrazione ha redatto un verbale di presunta violazione edilizia in data 6 ottobre 2016, di fatto replicando il contenuto dell’ordinanza impugnata, e ha trasmesso all’interessato in data 7 ottobre 2016 un biglietto di invito per consentire un sopralluogo della polizia giudiziaria in data 11 ottobre 2016; d) il Comune non ha preso in considerazione le note difensive prodotte dall’interessato nel corso del procedimento; e) come risulta dalla perizia di parte versata in atti, la cosiddetta piscina è in realtà una “vasca-cisterna” totalmente interrata e coronata al colmo da un cordolo in cemento armato; f) l’opera costituisce elemento di arredo e di pertinenza dell’edificio, oltre a presentare dimensioni ridotte; g) la vasca-cisterna assolve la funzione di raccolta delle acque piovane e di irrigazione; h) l’immobile è stato costruito prima dell’anno 1975 e la relativa documentazione attesta che in tale epoca era già esistente la vasca-cisterna individuata dal Comune come piscina; i) in epoca anteriore all’anno 1975 non vi era obbligo di richiedere alcun titolo edilizio o di comunicare la realizzazione di intervento di tale natura; l) nel caso di specie non trova applicazione la disciplina di cui all’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 e anche l’art. 6 della legge regionale n. 16/2016 stabilisce che le cisterne e le connesse opere interrate non sono soggette a concessione, autorizzazione o comunicazione; m) la ricorrente ha fatto, comunque, affidamento sul provvedimento di concessione edilizia in sanatoria rilasciato dal Comune nell’anno 2007, in occasione del quale l’Amministrazione ha accertato la legittimità dell’opera, sicché risulta ingiustificata la nuova determinazione assunta dal Comune e in questa sede impugnata; n) in subordine, deve osservarsi che nel caso di specie l’Amministrazione avrebbe dovuto irrogare una semplice sanzione pecuniaria; o) inoltre, il Comune non ha effettuato alcuna valutazione in merito all’incidenza della demolizione sulla restante porzione dell’immobile”.
  2. Mediante motivi aggiunti il signor – OMISSIS – impugnava la nota n. 16546 del 22 novembre 2021, con cui il Comune accertava l’inottemperanza all’ingiunzione a demolire e la nota n. 17018 del 1° dicembre 2021 con cui l’amministrazione rettificava l’accertamento dell’inottemperanza nella parte in cui era stata disposta l’immissione in possesso e la trascrizione nei registri immobiliari delle aree già individuate nella planimetria allegata all’ordinanza n. 4 in data 17 settembre 2019.

2.1. Il ricorso per motivi aggiunti veniva affidato alle identiche censure sollevate in seno al ricorso introduttivo.

  1. Il Comune non si costituiva nel giudizio di primo grado.
  2. Il Tar respingeva i ricorsi sulla dirimente considerazione che l’opera in questione “non può qualificarsi come pertinenza integrando piuttosto, in relazione alla sua consistenza modificativa e trasformativa dell’assetto del territorio, gli estremi della nuova costruzione e postulando, pertanto, il previo rilascio di un idoneo titolo edificatorio”.
  3. Ha proposto appello la parte soccombente in primo grado deducendo i seguenti motivi:

– errore della sentenza per travisamento dei fatti di causa e difetto di istruttoria;

– errore della sentenza per omesso esame dei motivi aggiunti;

– riproposizione dei motivi di ricorso in primo grado;

– erroneo regolamento delle spese processuali.

Con i motivi di appello, in buona sostanza, si ripropongono le stesse censure che il giudice di prime cure riteneva infondate, arricchendole con ulteriori sottolineature e si ripropongono, per intero, i motivi aggiunti, sul rilievo che gli stessi non sarebbero stati scrutinati nonostante fossero stati dedotti sia vizi derivati dai provvedimenti di ripristino del Comune e sia vizi propri.

Con i motivi di appello il signor – OMISSIS – ha riproposto sia la richiesta risarcitoria che le istanze istruttorie disattese dal giudice di primo grado.

  1. Anche nel presente grado di giudizio non si è costituito il Comune di Venetico.
  2. In data 28 agosto 2023 si sono costituite nella qualità di eredi del signor – OMISSIS -, deceduto in data 11 giugno 2023, le signore – OMISSIS -, – OMISSIS – e – OMISSIS -.
  3. Con nota depositata il 26 gennaio 2024 le ricorrenti subentranti hanno rappresentato che avevano “avviato un iter interlocutorio con il Comune resistente (che è stato reso possibile all’esito dell’ordinanza di sospensione concessa da questo Ecc.mo Consiglio)”.

Con la nota le ricorrenti hanno precisato che si erano “decise ad eliminare lo specchio d’acqua di modo da ripristinare e verificare la situazione originaria e decidere (dopo la verifica dell’Ente) se procedere ad attivare idoneo procedimento per sanare le opere.

Di fatto, i lavori eseguiti con la nota che si allega, importano il ripristino dei luoghi e il venir meno dell’ordinanza di demolizione”.

Con la nota, pertanto, hanno chiesto un rinvio dell’udienza pubblica, già fissata per 7 febbraio 2024, al fine di “consentire alle ricorrenti e all’Amministrazione di verificare il nuovo stato dei luoghi e, in via subordinata, insistono nell’accoglimento dell’appello e nelle proprie richieste istruttorie”.

7.1. La nota si conclude con la richiesta di passaggio in decisione della causa.

  1. All’udienza del 7 febbraio 2024, come da verbale, “Nessuno è presente per le parti. Vista l’istanza del difensore dell’appellante di rinvio della trattazione dell’affare ad una udienza successiva e l’ulteriore istanza di passaggio in decisione presentata dalla medesima parte – che si ritiene subordinata alla prima – il Presidente ordina la cancellazione della causa dal ruolo”.
  2. In data 1 marzo 2024 parte appellante ha depositato richiesta di rimessione sul ruolo del ricorso e conseguente fissazione di udienza pubblica, evidenziando “che, nelle more (e, precisamente, in data 22.02.2024), hanno presentato una SCIA in sanatoria (documento n. 1, oggi prodotto) relativa all’intervento edilizio per cui è causa.

L’avvio di un nuovo procedimento fa derivare la sopravvenuta carenza di interesse con conseguente improcedibilità dell’appello, in parte qua e con le specificazioni che verranno dedotte in pubblica udienza”.

  1. Con nota depositata il 21 maggio 2024 le ricorrenti hanno precisato le richieste.

Hanno premesso: “istruendo la pratica di SCIA in sanatoria ed esitandola positivamente, il Comune non avrà più interesse alla prosecuzione di un’attività mirata all’acquisizione del bene, dall’altro è necessario che la nota a suo tempo impugnata con il ricorso per motivi aggiunti venga annullata per le censure ivi sollevate”.

Le appellanti hanno, quindi, puntualizzato che “insistono nell’accoglimento dell’originario ricorso per motivi aggiunti, anche contestualizzandolo con il nuovo procedimento amministrativo in corso, che denota una presa di posizione favorevole ai privati da parte della P.A. e una delineazione differente dell’assetto di interessi tra le parti”.

In data 25 giugno con memoria, seppur tardiva, le ricorrenti hanno depositato “il provvedimento di SCIA in sanatoria con esito positivo rilasciato in data 21 giugno 2024.

Dichiarano la cessata materia del contendere rispetto all’ordinanza di demolizione, oramai superata dal nuovo provvedimento e chiedono l’accoglimento dei motivi aggiunti, anche contestualizzandolo con il nuovo procedimento amministrativo che ha avuto esito positivo, che denota una presa di posizione favorevole ai privati da parte della P.A. e una delineazione differente dell’assetto di interessi tra le parti”.

  1. Alla pubblica udienza del 27 giugno 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

11.1. Alla stregua di quanto emerge dalla narrativa che precede, spetta al Collegio decidere sull’appello solo nella parte in cui richiama il ricorso per motivi aggiunti in primo grado, in ragione del fatto che parte appellante ha dichiarato di non avere più interesse alla decisione sull’appello nella parte in cui critica la sentenza del primo giudice per non avere ritenuto condivisibili le deduzioni veicolate con il ricorso introduttivo di primo grado.

  1. Il ricorso in appello, nella parte in cui ripropone le deduzioni veicolate con il ricorso per motivi aggiunti in primo grado, è parzialmente fondato nei sensi e limiti che seguono.
  2. Il terzo motivo dell’odierno appello è rubricato “Riproposizione dei motivi di ricorso in primo grado”.
  3. Il Collegio ritiene fondato il motivo III del ricorso per motivi aggiunti in primo grado con cui, quale vizio derivato dal primigenio provvedimento ripristinatorio, si deduce: “Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto con riferimento agli artt. 31 e seguenti del D.P.R. n. 380/2001 ed alla normativa nazionale e regionale in materia. Eccesso di potere correlato: difetto di motivazione e difetto di istruttoria; incertezza della motivazione a supporto del provvedimento impugnato; violazione del principio del legittimo affidamento”.

A sostegno del motivo l’appellante aveva depositato, già in primo grado, la relazione del consulente tecnico di parte con allegati i rilievi tecnici e la relativa documentazione fotografica.

14.1. In punto di fatto, l’appellante a sostegno delle proprie argomentazioni precisa che “la “vasca/cisterna” individuata come piscina dall’Amministrazione ricade interamente sulla particella 45, di cui unico proprietario è l’odierno appellante ed, invece, è adiacente alla particella n. 606 che risulta indivisa tra gli eredi (e sulla quale pende un contenzioso civile) solo un sistema di sfioratori di colmo” (pag. 14 dell’appello).

L’appellante puntualizza, altresì, che “la “vasca/cisterna” risulta totalmente interrata e solo coronata al colmo da un cordolo in c.a. (che assolve alla funzione di bordo di sicurezza).

4 L’opera costituisce un elemento di arredo ed è pertinenza dell’edificio, non avendo una funzione autonoma e non essendo suscettibile di un utilizzo separato rispetto all’immobile, avente peraltro ridotto rilievo dimensionale”.

14.2. La consulenza tecnica di parte riporta le dimensioni dell’opera in oggetto, come rappresentata dalla stessa parte appellante:

un manufatto in conglomerato cementizio delle dimensioni di m 10,00 x 6,00 con un’altezza media pari a m 1,30 quasi totalmente interrata” (pag. 3 della relazione tecnica depositata in primo grado, documento n.5).

  1. Preliminarmente, ritiene il Collegio che l’opera in questione debba essere correttamente definita “piscina” e non vasca per la raccolta delle acque piovane ad uso irriguo, come condivisibilmente affermato dal giudice di prime cure.
  2. Nondimeno, ritiene il Collegio che l’opera, per le dimensioni e le specifiche caratteristiche che la distinguono, debba essere qualificata come pertinenza – anche in senso urbanistico – dell’immobile principale ubicato nell’unica particella di proprietà di parte appellante e, come tale, non necessita di autonomo titolo edilizio, non integrandosi un nuovo e autonomo intervento di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.
  3. In argomento, merita rilevarsi quanto segue.

È nota la disputa sulla qualificazione giuridica delle piscine e il formarsi di un orientamento giurisprudenziale non del tutto univoco.

Il Collegio ritiene condivisibile l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui per distinguere tra la qualificazione della piscina quale nuova opera edilizia, ovvero invece quale pertinenza, non ci si debba affidare ad astratte affermazioni di principio, ma sia necessario esaminare, volta per volta, le specifiche caratteristiche e dimensioni delle opere in scrutinio.

Deve condividersi, in punto di diritto, quanto ritenuto dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 6644 del 2019 secondo cui “l’installazione di una piscina di non rilevanti dimensioni rientra nell’ambito delle pertinenze e non integra violazione né degli indici di copertura né degli standard, atteso che non aumenta il carico urbanistico della zona e che i vani per impianti tecnologici sono sempre e comunque consentiti (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. V, 16/4/2014, n. 1951);

– in tale ottica, in linea generale una piscina realizzata in una proprietà privata a corredo esclusivo della stessa non possiede un’autonomia immobiliare, ma deve considerarsi quale pertinenza dell’immobile principale esistente, essendo destinata a servizio dello stesso”.

L’orientamento del Consiglio di Stato è stato, sostanzialmente, recepito dalla prevalente giurisprudenza amministrativa di primo grado.

  1. Il Collegio specifica, inoltre, quanto segue.

È facilmente accertabile se la piscina ricada o meno nell’unica proprietà privata e se alla stessa si acceda da un unico ingresso: con riferimento al caso di specie, comunque, la sussistenza di tali elementi di fatto (unicità della proprietà della piscina e del manufatto principale, nonché dell’accesso a essi) non è mai stata revocata in dubbio, neanche in sede procedimentale, sicché può considerarsi pacificamente assodata.

Resta dunque da considerare – al fine di ritenere integrati, nella loro interezza, gli elementi costitutivi della fattispecie descritta nella citata sentenza del Consiglio di Stato (ossia il carattere pertinenziale della piscina di cui qui trattasi) – come assumano rilievo dirimente le dimensioni della piscina: che, secondo un orientamento consolidato, risulterà di natura pertinenziale solo qualora esse possano considerarsi “non rilevanti”.

Ciò in quanto, secondo la prevalente giurisprudenza, per essere considerata pertinenziale la piscina deve essere di “non rilevanti dimensioni” (meglio ancora, se di dimensioni contenute, o “piccole”).

Il Collegio non intende affatto di discostarsi da siffatti parametri esegetici; tuttavia – per le ragioni di ordine sistematico che saranno approfondite infra – ritiene che, ai fini della valutazione della “rilevanza” delle misure delle piscine, la più appropriata unità di misura non sia il metro quadrato (ossia la superficie dello specchio acqueo), bensì il metro lineare (vale a dire la lunghezza del massimo segmento di retta percorribile da un nuotatore tra i due punti più distanti della piscina).

18.1. È noto come, di solito per giudicare le dimensioni di una piscina ci si affidi alla misurazione della superficie della stessa (risultante, nelle piscine rettangolari, dal prodotto di larghezza per lunghezza).

Il Collegio, viceversa, non ritiene tale criterio pienamente perspicuo, rispetto alla finalità di verifica della pertinenzialità che si è chiamati a svolgere, tenuto conto anche del fatto che le piscine (soprattutto quelle che pretendano di essere ritenute pertinenziali) non sempre hanno la forma di un quadrato o di un rettangolo.

La principale critica concettuale che sembra corretto riferire all’impostazione che assume la superficie totale (anziché la lunghezza massima) a parametro della “rilevanza” della grandezza di una piscina muove dalla preliminare considerazione che il carattere di pertinenzialità di una piscina va ancorato, essenzialmente, alla sua inidoneità al nuoto agonistico, preagonistico o anche solo amatoriale: ove una piscina, in ragione delle sue contenute dimensioni, sia del tutto priva di tale attitudine, essa non può svolgere altre funzioni che quelle di ornamento, o di commoditas, della cosa principale (di norma costituita da un’unità residenziale), in quanto ne migliora la godibilità estetica o anche climatica, ma restando comunque priva di un’autonoma sfruttabilità economico-sociale.

In altri termini, finché una piscina – in ragione delle sue contenute dimensioni – sia inadatta al nuoto, anche amatoriale, ma unicamente sia idonea a consentire all’utilizzatore della cosa principale di rinfrescarsi o di sguazzare con intento esclusivamente ludico, ritiene il Collegio che essa non ecceda la funzione pertinenziale (anche in senso urbanistico) rispetto alla costruzione principale.

Se, su questo, non vi è sostanziale divergenza rispetto agli orientamenti giurisprudenziali dominanti, la considerazione critica di essi si appunta unicamente sulla scelta della superficie – anziché della lunghezza massima – come parametro più perspicuamente utilizzabile per verificarne la “modestia” dell’entità.

A tal fine, prima di specificare le ragioni della proposta esegetica che qui si va a formulare – nel senso, appunto, di sostituire alla misura della superficie totale quella della massima distanza percorribile in linea retta da un nuotatore – giova tratteggiare una breve sintesi di alcuni tra i più recenti arresti giurisprudenziali in argomento.

Si è già detto che si muove dalla condivisa premessa che il concetto di pertinenza, secondo il testo unico dell’edilizia n. 380/01, è ancorato a specifici elementi descrittivi che devono sussistere cumulativamente: è infatti pacifico in giurisprudenza che un’opera, per definirsi pertinenziale, deve essere strettamente funzionale all’edificio principale (a suo esclusivo ornamento o a sua maggiore comodità), dev’essere attigua a tale edificio con cui deve avere in comune l’accesso, deve integrarsi anche architettonicamente o esteticamente con l’edificio che è destinata a servire e – soprattutto – non deve essere autonoma, nel senso che non deve costituire una nuova unità immobiliare idonea ad aumentare il carico edilizio che grava sul territorio né deve essere idonea a produrre un’autonoma utilità economico-funzionale.

Il Consiglio di Stato ha ritenuto che le caratteristiche appena accennate possano rinvenirsi solo in opere di dimensioni contenute; in particolare, ribadendo una costante giurisprudenza, esso ha puntualizzato che “il concetto di pertinenza urbanistica è più ristretto rispetto di quello civilistico ed è applicabile solo ad opere di modesta entità che risultino accessorie rispetto ad un’opera principale e non a quelle che, da un punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all’opera principale e non siano coessenziali alla stessa” (Cons., St., sez. VII, 25 giugno 2024, n. 5605).

Con riferimento alla possibilità di qualificare quale pertinenza una piscina attigua all’immobile principale, il Consiglio di Stato ha sostanzialmente ritenuto dirimente la grandezza della stessa, ribadendo che solo le piscine di “ridotte” dimensioni possono pretendere, in presenza delle altre caratteristiche indicate, di essere considerate quali pertinenze: né la piscina deve ricadere su un’area diversa e ulteriore rispetto a quella già occupata dall’edificio servito.

È questo l’orientamento ormai prevalente – e cui comunque il Collegio aderisce – che si contrappone (tendenzialmente soppiantandolo) a quell’altro che, con un rigore forse eccessivo, esclude in radice la possibilità che una piscina, prescindendo dalle sue dimensioni, possa essere considerata pertinenza.

Anche di esso è tuttavia corretto fare un’espressa menzione: “sotto il profilo edilizio, infatti, un’opera può essere qualificata come pertinenza solo se preordinata ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserita al suo servizio, oltre che sfornita di un autonomo valore di mercato, proprio in quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale con l’edificio principale”; tale nozione “è invocabile per opere di modesta entità ed accessorie rispetto a un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia. Viceversa, tali non sono i manufatti che per dimensioni e funzione possiedono una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale sì da avere una potenziale attitudine ad una diversa e specifica utilizzazione” (cfr. Cons. St., sez. VI, 19 maggio 2023, n. 5004; id., 4 gennaio 2016, n. 19; id., 24 luglio 2014, n. 3952; sez. V, 12 febbraio 2013, n. 817; sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 615; sez. VII n. 3422 del 3 aprile 2023).

In applicazione di tali coordinate esegetiche, si è talvolta opinato che: “la piscina è una struttura di tipo edilizio che incide con opere invasive sul sito in cui viene realizzata, perciò configura una nuova costruzione ex art. 3, comma 1, lett. e), del D.P.R. n. 380 del 2001 e non, come sostenuto dall’appellante, una pertinenza urbanistica del fabbricato residenziale” (Cons. Stato, Sez. VII, 2.1.2024, n. 44) e che “le piscine non sono pertinenze in senso urbanistico in quanto comportanti trasformazione durevole del territorio” (Cons. Stato, sez. VI, 12 aprile 2024, n. 3341).

Viceversa, la giurisprudenza meno rigorosa, cui appunto questo Collegio aderisce, pur nel ribadire costantemente la necessità che le dimensioni dello specchio d’acqua siano modeste, non sembra invero aver ben indicato il criterio alla stregua del quale si debba determinare, a priori, se e quando l’opera possa considerarsi di “modeste dimensioni”, facendo ricorso unicamente alla misurazione superficiale della stessa e – soprattutto – rimettendo tale giudizio alla soggettiva valutazione della p.a., prima, e del giudice amministrativo, dopo.

Infatti, ricorrendo alla misurazione della superficie della piscina, di volta in volta il giudice amministrativo valuta, in buona sostanza, se la piscina in esame gli sembri avere, o meno, le dimensioni richieste (ma senza indicarne né il parametro, né tampoco il relativo fondamento concettuale).

In molte occasioni il Consiglio di Stato ha fatto ricorso alla misurazione lineare della larghezza e della lunghezza (id est: della superficie) per escludere la natura pertinenziale di una piscina: mentre “è stata qualificata, in particolare, come pertinenza urbanistica una piscina prefabbricata di dimensioni relativamente modeste in rapporto all’edificio a destinazione residenziale, sito in zona agricola (Cons. Stato, sez. V, 16.4.2014, n. 1951), invece Cons. Stato, sez. IV, 13 giugno 2023, n. 5807, ha qualificato quale nuovo volume una piscina di m. 4,20 x m. 8,70, fuori terra; e così pure Cons. Stato, sez. VI, 3 novembre 2022, n. 9646, che ha qualificato in termini di nuova costruzione una piscina in vetroresina di m. 6,30 x m. 3,30, richiamando l’orientamento secondo cui “in ogni località sottoposta a vincolo paesaggistico la realizzazione di una piscina vada qualificata come nuova costruzione che modifica irreversibilmente lo stato dei luoghi, sicché ‒ ferma restando la valutazione discrezionale dell’autorità paesaggistica sulla sua fattibilità, qualora vi sia soltanto un vincolo relativo – la relativa abusiva edificazione comporta la sanzione ordinaria, cioè ripristinatoria (cfr. ad es. Consiglio di Stato , sez. VI , 05/03/2013 , n. 1316 e 07/01/2014 , n. 18)» (Cons Stato, Sez. VI, 3 giugno 2022, n. 4570)”.

In un altro caso si è trattato di una piscina avente “una superficie di circa 30 mq., prefabbricata, adagiata sul terrazzamento posto a quota – 6,80; il solarium a bordo vasca si collocherebbe, invece, a quota – 4,42, e quindi la piscina dovrebbe avere una altezza di circa 2,40 mt., come pure il muro che dovrebbe celarla. Si tratta, dunque, di un’opera edilizia di non modeste dimensioni e, per questo solo fatto, non qualificabile in termini di pertinenza urbanistica” (Cons., St., sez. VI, 16 ottobre 2024, n. 8290 ).

È, dunque, proprio per superare l’intrinseca soggettività – si potrebbe dire apoditticità – di tutte tali coordinate di giudizio che questo Collegio ritiene (e, dunque, propone al dibattito giurisprudenziale) di modificare il parametro valutativo, sostituendo alla misura della superficie espressa in metri quadrati (che di per sé poco o nulla dice in ordine all’attitudine del manufatto a consentire la pratica del nuoto), con quella della lunghezza massima ovviamente espressa in metri lineari, perché solo tale unità di misura risulta intrinsecamente correlata all’attitudine natatoria dell’opera (anziché di mero ornamento o di accessorio rinfrescante o sollazzevole).

È doveroso precisare, tuttavia, che la lunghezza massima non andrà misurata su una sponda della piscina, bensì secondo la diagonale maggiore (per le strutture quadrate, rettangolari o trapezzoidali) o secondo il diametro massimo (per le strutture circolari, ellittiche, tondeggianti o, più in generale, per quelle di forma irregolare).

Solo la massima lunghezza astrattamente percorribile in linea retta (o quasi retta) da un ipotetico nuotatore sembra infatti al Collegio idonea a esprimere l’attitudine natatoria del manufatto (ovvero, invece, la sua inettitudine a tale fine).

Pur non esistendo, ovviamente, un’entità di tale misura che oggettivamente costituisca il confine della sussistenza di tale attitudine (rispetto alla sua insussistenza), pare tuttavia necessario svolgerne la ricerca secondo criteri soggettivamente meno caratterizzati.

In proposito, la proposta esegetica che questo Collegio ritiene di formulare – applicandola al caso di specie – muove dal confronto con la misura della lunghezza delle corsie della piscina c.d. olimpionica, pari a m. 50: di cui certamente non è opinabile la piena attitudine al nuoto, in ogni sua manifestazione.

Nondimeno, almeno a livello preagonistico e amatoriale, è comunemente considerata idonea al nuoto anche la lunghezza delle corsie nella piscina c.d. semiolimpica, pari a m. 25 (c.d. “vasca corta”).

Ulteriormente, il Collegio ritiene di poter ravvisare un’analoga attitudine, pur se solo a livello amatoriale, in corsie di lunghezza pari alla metà di quest’ultima (m. 12,50).

Al di sotto di tale misura, viceversa, sembra potersi ragionevolmente dubitare della attitudine natatoria del manufatto (allorché la spinta di partenza e la capriola di fine vasca vadano ad assorbire la maggior parte della lunghezza che un nuotatore potrebbe percorrere).

Tutte tali lunghezze, secondo quanto si è già detto, andranno comunque misurate non già sul lato maggiore, bensì sulla diagonale o sul diametro massimi che siano tracciabili sulla superficie acquea.

La proposta esegetica che ne scaturisce è, dunque, quella di considerare strutturalmente non idonee all’attività natatoria, anche meramente amatoriale, le piscine in cui la massima misura riscontrabile (i.e. diagonale maggiore o diametro massimo: che, notoriamente, collegano in linea retta i punti più distanti tra loro di una qualsiasi forma geometrica, sia poligonale che curviforme) sia contenuta in un segmento di retta di lunghezza non eccedente m. 12.

Esemplificando, ciò significa che (per una piscina rettangolare, cui è applicabile il teorema di Pitagora) la natura pertinenziale postula (fra l’altro) che la somma dei quadrati costruiti sul lato maggiore e sul lato minore non dovrà eccedere la superficie di mq. 144; nonché (per una piscina pertinenziale di forma irregolare) che sulla sua superficie non sia tracciabile alcun segmento di retta eccedente la lunghezza di m. 12.

È certo che nella vicenda in esame tali misure non sono superate, dato che (trattandosi, come per lo più accade, di una piscina rettangolare) la lunghezza della sua diagonale è pari a √ (10×10) + (6×6) = √ 100 + 36 = √ 136 = m. 11,66 (che è < di m. 12).

Non venendo in rilievo nella vicenda de qua la presenza di vincoli (che sarebbero stati ostativi, se assoluti; o che avrebbero postulato, se relativi, il n.o. dell’autorità preposta), la misura della piscina – secondo la proposta esegetica che il Collegio qui coltiva e fa propria – non osta alla sua qualificazione in termini di pertinenzialità rispetto all’edificio principale.

Invero, negli stessi termini, seppur con minor analisi concettuale, si era già espresso C.d.S., sez. II, 7 gennaio 2022, n. 109, che già aveva applicato il medesimo parametro discretivo tra piscina pertinenziale e nuova costruzione: in quel caso, “l’appellante ha censurato la gravata sentenza laddove il T.a.r. ha reputato legittima la realizzazione della piscina in assenza di permesso di costruire. In proposito si osserva che detta piscina è interrata e delle dimensioni di 10 metri per 3,5 metri e, dunque, essa ha una lunghezza inferiore alla metà di una piscina mezza olimpica (25 metri), sicché, stante la sua ridotta dimensione, può essere assimilata, più che a una piscina in senso proprio, a una grande vasca. Ciò posto, a tale ridotta struttura può riconoscersi carattere pertinenziale, essendo posta a servizio esclusivo della villetta, e copre un’area talmente limitata da non determinare un impatto significativo sull’assetto del territorio e, pertanto, è riconducibile agli interventi autorizzabili con denuncia di inizio attività”.

18.2. Ai fini, anche, dell’effetto conformativo della presente sentenza, il Collegio ritiene pertanto di indicare la misura della diagonale al di sotto della quale le piscine poste sul terreno privato e ad uso esclusivo dell’immobile appartenente al medesimo proprietario possono ritenersi quali pertinenze, ai sensi dell’articolo 3 comma 1 del d.P.R. 380/01 (ferma restando la disciplina dei vincoli, cui si è accennato, ma che qui non risulta rilevante): ritiene in proposito il Collegio che la misura (della diagonale maggiore o del diametro massimo) che non può essere superata, né raggiunta, è quella corrispondente alla metà della metà di quella delle piscine utilizzate per uso agonistico (le cui dimensioni sono 50 metri in lunghezza, 25 in larghezza e una profondità costante di 2 metri) che è di m. 12,50.

Sicché le piscine che hanno una diagonale inferiore a m. 12,50 e presentano le ulteriori caratteristiche sopra indicate possono essere qualificate come pertinenza dell’immobile cui sono adiacenti e non necessitano perciò di autonomo titolo edilizio.

Per contenerne ancora le dimensioni, il Collegio precisa che il punto più profondo dalla piscina-pertinenza deve essere contenuto entro m. 2,00 e senza raggiungerli (nel caso di specie si tratta di m. 1,30, sicché il tema della profondità all’evidenza neppure si pone), al fine di non consentirne qualsivoglia uso (subacqueo) o funzione (sportiva) che non sia meramente accessoria all’edificio principale.

  1. Facendo applicazione dei parametri appena ribaditi, la piscina per cui è causa deve qualificarsi come pertinenza e non come autonoma o nuova realizzazione edilizia.

Infatti, per i dati di cui dispone il Collegio (non confutati e anzi supportati da un elaborato tecnico, pur se di parte, e perciò utilizzabili), nella specie le dimensioni (utili) della piscina sono metri 6 di larghezza per metri 10 di lunghezza, con una profondità massima di m. 1,30.

La stessa pertanto ha una diagonale inferiore a m. 12,5 (essendo pari a m. 11,66, ut supra specificato) e una profondità massima ampiamente compatibile con la qualificazione in termini pertinenziali (cm. 130 < di cm. 200).

Il motivo di appello in scrutinio deve, pertanto, ritenersi fondato.

  1. Non è fondata, invece, la richiesta risarcitoria riproposta nella parte dell’appello con cui si richiamano i motivi aggiunti del primo grado.

Si tratterebbe, nel caso di esame, di responsabilità della p.a per illecito extra-contrattuale ex art. 2043 c.c., rimanendo perciò a carico della parte istante la prova di tutti gli elementi costituivi della stessa.

L’appellante ha formulato invece una richiesta generica, non fornendo alcuna prova né con riferimento all’elemento soggettivo – in ogni caso palesemente inconfigurabile, nella specie, se non altro in ragione del complesso e articolato quadro giurisprudenziale che si è tratteggiato supra – e neppure con riferimento ai danni subiti e all’indispensabile nesso eziologico che deve sussistere tra quello e questi.

  1. Attesa la non sempre univoca giurisprudenza in materia e la (parziale) novità della soluzione esegetica prescelta, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse e in parte lo accoglie e, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso per motivi aggiunti in primo grado nei sensi e limiti di cui in motivazione e annulla gli atti con tale mezzo impugnati.

Compensa tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 27 giugno 2024 con l’intervento dei magistrati:

Ermanno de Francisco, Presidente

Solveig Cogliani, Consigliere

Michele Pizzi, Consigliere

Antonino Caleca, Consigliere, Estensore

Paola La Ganga, Consigliere

 

 

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Antonino Caleca

Ermanno de Francisco

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO