Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 9552 del 2024, ha accolto l’appello proposto dal Consiglio Superiore della Magistratura, dal Ministero della Giustizia e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri contro una pronuncia del TAR Emilia-Romagna. Il caso riguardava il riconoscimento dello status di pubblico dipendente per un giudice di pace, con conseguenti diritti retributivi, previdenziali e risarcitori. Il TAR aveva riconosciuto la qualifica di lavoratore a tempo determinato ai sensi del diritto eurounitario e ordinato la ricostruzione delle posizioni giuridiche ed economiche della ricorrente, dichiarando abusiva la reiterazione dei contratti a termine.

L’appello verteva principalmente sulla competenza territoriale e funzionale del TAR del Lazio, sede di Roma, a conoscere la controversia, stante la rilevanza nazionale e il coinvolgimento delle amministrazioni centrali dello Stato. Il Consiglio di Stato ha accolto questa censura, rilevando che, in conformità agli articoli 13 e 14 del c.p.a., la competenza per le controversie che riguardano lo status dei magistrati, anche onorari, è inderogabilmente attribuita al TAR del Lazio. È stato evidenziato come la controversia, pur vertendo su diritti individuali, produca effetti su scala nazionale e coinvolga direttamente le amministrazioni centrali, giustificando l’attrazione della competenza al giudice amministrativo di Roma.

La decisione riafferma il principio che, nelle controversie sullo status giuridico dei magistrati, anche onorari, la competenza territoriale è centralizzata al fine di garantire uniformità di giudizio. La sentenza annulla quindi la pronuncia del TAR Emilia-Romagna, rinviando la causa al TAR del Lazio per una nuova trattazione.

Pubblicato il 27/11/2024

  1. 09552/2024REG.PROV.COLL.
  2. 07240/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7240 del 2023, proposto dal Consiglio Superiore della Magistratura, in persona del Presidente pro tempore, dal Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

la signora – OMISSIS -, rappresentata e difesa dagli avvocati Egidio Lizza, Luigi Serino e Giovanni Romano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (INPS), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Emanuele De Rose, Ester Sciplino, Antonino Sgroi e Carla D’Aloisio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Carla D’Aloisio in Roma, via Cesare Beccaria, 29;

e con l’intervento di

Intervengono ad adiuvandum:
la signora – OMISSIS -, in qualità di legale rappresentante della – OMISSIS -, rappresentata e difesa dagli avvocati Sergio Galleano, Sebastiano Bruno Caruso e Antonio Lo Faro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
la signora – OMISSIS -, rappresentata e difesa dagli avvocati Bruno Nascimbene e Aristide Police, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
la signora – OMISSIS -, in proprio e nella qualità di Presidente e legale rappresentante della Unione Nazionale Giudici di Pace (UNAGIPA), rappresentata e difesa dall’avvocato Vincenzo De Michele, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna, Sezione Prima, n. 304/2023

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della signora – OMISSIS – (originaria ricorrente) e dell’INPS;

Visti gli atti di intervento ad adiuvandum spiegati dalle signore – OMISSIS -, – OMISSIS – e – OMISSIS -;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 novembre 2024 il Cons. Daniela Di Carlo e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Luca Reali e gli avvocati Lizza Egidio, Romano Giovanni, Nascimbene Bruno e D’Aloisio Carla;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.- Il Consiglio Superiore della Magistratura, il Ministero della Giustizia e la Presidenza del Consiglio dei Ministri impugnano la sentenza di cui in epigrafe, con la quale il Tar dell’Emilia Romagna, Sezione Prima, ha accolto (tuttavia compensando le spese di giudizio) il ricorso n. 116/2017 della signora – OMISSIS -, volto a:

1) accertare e dichiarare il diritto della ricorrente ad ottenere lo status di pubblico dipendente a tempo pieno o part-time in ragione della parità sostanziale di funzioni e attribuzioni coi magistrati c.d. togati ovvero, in via subordinata, nella denegata ipotesi in cui non sia ritenuta sussistente la predetta parità, che sia accertato e dichiarato il diritto ad ottenere comunque lo status di pubblico dipendente operante nell’ambito della giustizia a tempo pieno o part-time;

2) condannare il Ministero della Giustizia, con decorrenza dalla data di inizio della prestazione lavorativa o dalla diversa data che sarà ritenuta di giustizia, alla ricostruzione della posizione giuridica, economica, assistenziale e previdenziale della ricorrente con la qualifica di pubblico dipendente in ragione della parità sostanziale di funzioni e attribuzioni coi magistrati c.d. togati, ovvero di pubblico dipendente operante nell’amministrazione della giustizia;

3) accertare e dichiarare il diritto della ricorrente alla percezione delle differenze retributive, oltre oneri previdenziali e assistenziali maturate dall’inizio del rapporto lavorativo (o da diversa data ritenuta di giustizia) ai sensi dell’art. 2126 c.c., da determinarsi secondo le differenze tra quanto percepito e quanto la ricorrente avrebbe dovuto percepire secondo il suo corretto inquadramento nei ruoli del Ministero della Giustizia e, per l’effetto, condannare il Ministero della Giustizia a corrispondere alla ricorrente tali importi, oltre rivalutazione monetaria e interessi come per legge;

4) accertare e dichiarare il diritto della ricorrente al risarcimento di tutti i danni subiti per effetto dell’illegittima reiterazione di rapporti a termine, ai sensi dell’art. 36, comma 5, del decreto legislativo n. 165 del 2001 e di ogni altra norma rilevante, e per l’effetto, condannare il Ministero della Giustizia a risarcire il danno subito dalla ricorrente, da quantificarsi nella misura di dodici mensilità della retribuzione globale di fatto percepita dal magistrato togato, ovvero in quella diversa misura maggiore o minore da determinarsi in corso di causa, anche con valutazione equitativa ex art. 1226 c.c., maggiorato di interessi e rivalutazione monetaria;

5) in via subordinata e nella denegata ipotesi in cui non possa essere accertato il diritto della ricorrente al riconoscimento dello status di pubblico dipendente, accertare e dichiarare il diritto della ricorrente al risarcimento dei danni sia di natura patrimoniale che di natura non patrimoniale patiti per effetto del comportamento illecito dello Stato italiano, in quanto posto in violazione della Carta Sociale Europea e delle direttive comunitarie, e per l’effetto condannare la Presidenza del Consiglio dei Ministri a risarcire il danno subito dalla ricorrente, da quantificarsi con valutazione equitativa ex art. 1226 c.c., maggiorato di interessi e rivalutazione monetaria.

2.- In particolare, la prefata sentenza ha così statuito:

  1. a) dichiara che, per le funzioni di Giudice di Pace svolte, la ricorrente rientra nella nozione di lavoratore a tempo determinato secondo il diritto eurounitario;
  2. b) ordina al Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, la ricostruzione della posizione giuridica ed economica in relazione al periodo in cui la ricorrente ha svolto le funzioni di giudice di pace, secondo i criteri di cui in motivazione, con conseguente condanna al pagamento delle conseguenti differenze retributive, oltre interessi;
  3. c) ordina al Ministero della Giustizia in persona del Ministro pro tempore la ricostruzione della posizione assistenziale e previdenziale della ricorrente in relazione al periodo in cui la dott.ssa – OMISSIS – ha svolto le funzioni di giudice di pace, secondo i criteri di cui in motivazione, e condanna per detto periodo il Ministero della Giustizia al pagamento in favore dell’INPS dei contributi previdenziali non versati;
  4. d) dichiara l’abusiva reiterazione del termine apposto ai singoli incarichi e, per l’effetto, condanna il Ministero della Giustizia al risarcimento del danno in favore della ricorrente, nella misura pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto spettante.

3.- L’appello censura la correttezza della sentenza impugnata sia sotto il profilo del rito (sostenendo, col primo motivo, che il Tar adito avrebbe errato sia a non riconoscere la competenza territoriale e funzionale inderogabile del Tar del Lazio, sede di Roma, a pronunciarsi sulla controversia, sia, in ogni caso, a dichiarare inammissibile la questione medesima, siccome coperta da pregresso giudicato), che sul piano del merito (con il secondo, il terzo e il quarto motivo, reiterando, in buona sostanza, le difese già svolte in primo grado).

4.- Si è costituita in giudizio la originaria ricorrente, signora – OMISSIS -, instando per la declaratoria di inammissibilità dell’appello e, comunque, sia, per il suo rigetto nel merito, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

5.- Si è costituito anche l’INPS, facendo constare la neutralità della propria posizione rispetto alla qualificazione del rapporto in contestazione, e rimettendosi quindi sul punto alla decisione del Collegio.

6.- Si sono pure costituite le originarie intervenienti ad adiunvandum (la signora – OMISSIS -, anche nell’interesse della – OMISSIS -; la signora – OMISSIS – e la signora – OMISSIS -, anche nell’interesse della associazione UNAGIPA), le quali anch’esse hanno insistito per la declaratoria di inammissibilità dell’appello e in ogni caso per il suo rigetto, reiterando le ragioni spiegate a sostegno del ricorso originario.

7.- Le parti hanno ulteriormente insistito sulle rispettive tesi difensive, mediante il deposito di documenti, di memorie integrative e di memorie di replica.

8.- Su concorde richiesta delle parti, la discussione della istanza cautelare, fissata per l’udienza in camera di consiglio del 3 ottobre 2023, è stata rinviata alla udienza di merito del 12 marzo 2024; tale udienza è stata poi ulteriormente rinviata, a data da destinarsi, avendo le parti dichiarato l’interesse ad attendere la pubblicazione della ordinanza della Corte d’Appello di L’Aquila, quale giudice del lavoro, di rimessione di una nuova questione pregiudiziale comunitaria in controversia similare.

Infine, alla udienza pubblica del 5 novembre 2024, la causa è passata in discussione sulla previa discussione delle parti.

9.- Il primo motivo di appello, che censura l’illegittima declaratoria di inammissibilità della questione afferente alla competenza territoriale e funzionale inderogabile del Tar del Lazio, sede di Roma, in uno all’affermazione della competenza a decidere la controversia da parte dell’adito Tar dell’Emilia Romagna, è fondato.

9.1.- In primo luogo, la sentenza impugnata è anzitutto erronea nella parte in cui afferma che la ragione della inammissibilità della eccezione in rito sollevata dalla difesa erariale, in riferimento alla competenza territoriale dell’adito Tar dell’Emilia Romagna, risiede nel fatto che la questione di competenza è “allo stato coperta dal giudicato”.

Sulla base degli atti di causa, emerge, invece, in modo incontrovertibile, come la difesa erariale abbia ritualmente formulato riserva di impugnazione avverso la sentenza parziale e non definitiva n. 434/2020, con cui il medesimo Tar, nel dichiarare ammissibili gli interventi adesivi dipendenti spiegati in giudizio da giudici onorari che prestavano servizio in diverse regioni (Abruzzo e Marche) rispetto alla ricorrente (Emilia Romagna), aveva affermato la sussistenza della propria competenza territoriale anche in relazione al ricorso principale.

Pertanto, lungi dall’essersi formato il giudicato sulla questione, la stessa si appalesa anzi del tutto aperta, costituendo oggetto di specifico motivo di impugnazione attraverso l’odierno appello avverso la sentenza definitiva n. 304/2023, conclusiva del giudizio.

9.2.- Rispetto alla questione della competenza funzionale inderogabile, va invece preliminarmente rilevato come il Tar adito non si sia esplicitamente pronunciato sulla stessa, passando subito ad esaminare il merito del ricorso, e quindi implicitamente affermandola in proprio favore.

9.3.- Ai sensi dell’art. 15, comma 1, c.p.a., nei giudizi di impugnazione il difetto di competenza “è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla competenza”.

Come si è poc’anzi precisato, il giudice di primo grado si è pronunciato esplicitamente sulla competenza territoriale inderogabile e implicitamente su quella funzionale, in entrambi i casi affermandola.

Da ciò deriva che le Amministrazioni intimate hanno tutto l’interesse e la piena legittimazione a censurare le relative statuizioni, implicite o esplicite che siano.

Ai fini della ammissibilità del motivo di appello, difatti, non rileva la circostanza che in primo grado la difesa erariale abbia tardivamente eccepito il difetto di competenza del giudice adito prospettando la relativa questione, per la prima volta, con la memoria datata 20 giugno 2020, poi con la successiva del 5 ottobre 2020 e poi con quelle, ancora successive, depositate l’8 ottobre 2022 e il 4 febbraio 2023, anziché, come sarebbe stato rituale fare ai sensi dell’art. 15, comma 3, c.p.a., entro il termine previsto per la costituzione in giudizio (60 giorni, decorrenti dalla notifica del ricorso originario, che risale al 28 gennaio 2017).

La previsione contenuta all’art. 15, comma 1, c.p.a. (“può”, e non “deve”, recita la norma) non impone obbligatoriamente alla parte intimata di eccepire il difetto di competenza del giudice adito dal ricorrente, a pena di decadenza dalla possibilità di proporre successivo appello, ma si limita piuttosto a prevedere che “Nei giudizi di impugnazione esso (n.d.r. il difetto di competenza) è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla competenza”, senza quindi distinguere tra la posizione di chi, intimato in giudizio, abbia sollevato il rilievo, e chi non l’abbia invece fatto.

È quindi evidente come la succitata normativa non pone alcuna specifica responsabilità in capo alla parte intimata circa la corretta individuazione del giudice competente a decidere la controversia, responsabilità che grava piuttosto sulla parte ricorrente che incardina il giudizio, e sul giudice che la decide (l’art. 15, comma 1, c.p.a. prevede, infatti, che “Il difetto di competenza è rilevato d’ufficio finché la causa non è decisa in primo grado”).

La ratio della previsione contenuta all’art. 15, comma 3, c.p.a. (“il difetto di competenza può essere eccepito entro il termine previsto per la costituzione in giudizio”) è difatti solamente quella, sollecitatoria, di ottenere che il giudice di primo grado si pronunci nel più breve tempo possibile sulla questione di competenza nei casi in cui, come quello che qui ricorre, il ricorrente non abbia presentato l’istanza cautelare, e vi sia tuttavia l’interesse della parte intimata a ché venga immediatamente decisa la questione della competenza.

Nell’intento, infatti, di snellire il giudizio dal regolamento preventivo di competenza, sia quello su istanza di parte che quello di ufficio, e di fare in modo che il giudice che conceda la misura cautelare sia solamente quello competente a decidere la causa, il codice di rito ha operato in un duplice senso: da un lato, ha qualificato come sempre inderogabile la competenza del giudice amministrativo, sia quella territoriale (art. 13, c.p.a.), sia quella funzionale (art. 14, c.p.a.); dall’altro lato, ha previsto l’obbligo per il giudice adito di decidere sulla competenza prima di provvedere sulla domanda cautelare (art. 15, comma 2, c.p.a.).

Nel vigore della disciplina previgente al codice di rito, infatti, non era affatto rara la poco commendevole prassi del cd. forum shopping (o shopping giudiziario), anche mediante accordi impliciti tra le parti in ordine alla scelta del giudice.

9.4.- Ecco quindi spiegata la ragione per la quale, nel bilanciamento delle diverse esigenze, il codice di rito ha trovato un ragionevole punto di sintesi, nel prevedere: i) il rilievo d’ufficio del difetto di competenza finché la causa non sia decisa in primo grado; ii) la decisione sulla competenza prima di provvedere sulla domanda cautelare, nell’apposita udienza cautelare fissata dal giudice; iii) nel caso in cui la domanda cautelare non sia proposta, la possibilità per la parte intimata di sollevare l’eccezione di difetto di competenza, da decidersi nell’apposita udienza-filtro sempre fissata dal giudice, da tenersi anch’essa in camera di consiglio, esattamente come quella cautelare, e difatti omologa nel rito ai sensi dell’art. 87, c.p.a.; iv) il diritto della parte che ne abbia interesse di impugnare sempre il capo di sentenza che abbia, in modo implicito o esplicito, statuito sulla competenza.

9.5.- In definitiva, occorre concludere, non è corretto affermare, come pure le parti appellate a vario titolo sostengono, che siccome l’art. 15, comma 3, c.p.a. ha previsto uno specifico termine per sollevare l’eccezione di difetto di competenza (“entro il termine previsto per la costituzione in giudizio”), allora significa che la parte che abbia sollevato tardivamente l’eccezione in primo grado, difetti poi della legittimazione e dell’interesse ad impugnare con specifico motivo il capo della sentenza che abbia in modo implicito o esplicito statuito sulla competenza, per la semplice evidenza, poc’anzi illustrata, che la prefata disciplina contenuta all’art. 15, comma 3, c.p.a. non obbliga affatto la parte interessata a sollevare l’eccezione (“il difetto di competenza può essere eccepito”), bensì la facoltizza a farlo, per una ragione meramente sollecitatoria, visto che, mancando l’istanza cautelare, il giudice non sarà chiamato a pronunciarsi immediatamente sulla questione di competenza.

9.6.- Altrettanto non corretta è l’affermazione secondo cui osta all’ammissibilità del motivo di appello il disposto contenuto all’art. 15, comma 1, c.p.a., il quale, circoscrivendo la rilevabilità d’ufficio entro precisi limiti, ossia “finché la causa non è decisa in primo grado”, non consentirebbe la riforma della sentenza impugnata (la sentenza n. 304/2023) in quanto il giudice si sarebbe già pronunciato sulla vicenda con tre ordinanze collegiali (1.6.2020, 26.10.2020 e 22.11.2022) e con due sentenze non definitive (21.6.2020 e 20.10.2020).

L’infondatezza del rilievo è infatti palese se solamente si considera che soltanto con la sentenza qui impugnata, l’unica definitiva del giudizio, è stata decisa la controversia, per la restante parte invece essendosi il primo giudice pronunciato su aspetti interlocutori e di rinvio alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

9.7.- Infine, a corollario di quanto finora osservato, non va sottovalutato il fatto che il non sollevare l’eccezione di incompetenza da parte dell’intimato, ovvero il sollevarla tardivamente, non preclude di certo alla parte interessata di contraddire sul punto, anche con successive difese.

Ciò è quanto si è verificato nel caso all’esame, avendo la difesa erariale reiteratamente sottoposto all’attenzione del giudice la questione della (insussistenza) della sua competenza, territoriale e funzionale inderogabile, con le memorie datate 20 giugno 2020, 5 ottobre 2020, 8 ottobre 2022 e 4 febbraio 2023.

Tutte difese, queste, che il giudice di primo grado ben avrebbe potuto valutare secondo il suo prudente apprezzamento, solo a lui spettando, ai sensi dell’art. 15, comma 1, c.p.a., il rilievo officioso della questione.

9.8.- In conclusione, alla luce delle predette considerazioni, va senz’altro affermata la ammissibilità del primo motivo di appello.

10.- Va ora esaminata la correttezza della statuizione assunta dal giudice, entro la cornice dettata dagli artt. 13 e 14, c.p.a..

10.1.- In relazione all’art. 13, c.p.a., fa rilevare il Collegio come il comma 2, che specificamente riguarda le controversie dei pubblici dipendenti, fissa inderogabilmente la competenza del Tar nell’ambito della cui circoscrizione territoriale è situata la sede di servizio.

Si tratta chiaramente di un foro speciale ispirato a ragioni di favore per il dipendente, per il quale può essere più agevole rivolgersi al Tar nella cui circoscrizione ha la sede attuale di servizio, ma esso rappresenta anche un criterio di politica giudiziaria, volta al decentramento della giurisdizione amministrativa (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria n. 4/1980; Id. Sezione VI; n. 36/1982).

L’applicazione della norma è tuttavia sottratta al principio dell’interpretazione solo letterale, dovendosi avere riguardo alla natura della controversia e agli effetti della vertenza tra datore di lavoro e lavoratore rispetto al contesto nazionale o ultraregionale, non potendosi cioè ignorare, come ha già da tempo fatto osservare la Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, che la competenza è inderogabilmente riconosciuta in favore del Tar territoriale solo alla condizione che l’atto impugnato (o l’accertamento del diritto di cui si chiede il riconoscimento) non produca effetti su tutto il territorio nazionale, ovvero non coinvolga una pluralità di dipendenti dislocati in diverse sedi di servizio (Plenarie n. 20/2011 e n. 37/2012).

A questo proposito non può sottovalutarsi il fatto che la prefata norma fa significativamente riferimento alle “controversie”, e non ai “provvedimenti, atti, accordi o comportamenti di amministrazioni pubbliche”, menzionati dal precedente comma 1 dello stesso art. 13, c.p.a.), così rendendo estensibili anche alla odierna controversia, che è di solo accertamento e condanna, anziché di annullamento di atti, i principi di diritto ivi enunciati.

Invocando, infatti, la ricorrente, il riconoscimento di diritti (giuridici, economici e di carriera, oltre che risarcitori) che all’evidenza travalicano il solo stato di servizio, coinvolgendo anche quello di tutti gli altri appartenenti alla medesima categoria professionale, ritiene conclusivamente il Collegio che il primo giudice non abbia fatto corretta applicazione della previsione contenuta all’art. 13, comma 2, c.p.a., dovendosi in buona sostanza ribadire il principio di diritto secondo cui, nel caso che il ricorso introduca solo apparentemente una controversia che, isolatamente considerata, sembrerebbe rientrare nella competenza del Tar territoriale, ma che invece, all’effetto pratico, coinvolge l’amministrazione statale a livello centrale, la competenza territoriale è inderogabilmente attratta al Tar del Lazio, sede di Roma, allo scopo di conservare l’unità del giudizio e della giurisdizione (non a caso, le Amministrazioni evocate in giudizio dalla ricorrente sono tutte quelle, centrali, a vario titolo coinvolte nel riconoscimento dello status profesisonale: il CSM, il Ministero della Giustizia e la Presidenza del Consiglio dei ministri).

10.2.- Pertanto, alla luce delle predette considerazioni, va senza dubbio riformato il capo della sentenza che ha esplicitamente affermato la sussistenza della competenza territoriale inderogabile del Tar adito, avendo il primo giudice commesso due errori: il primo, consistito nell’avere ritenuto che sulla questione fosse calato il giudicato, quando invece la difesa erariale aveva fatto riserva di impugnazione avverso la sentenza non definitiva n. 434/2020; il secondo errore, rappresentato invece dal fatto di non avere correttamente interpretato e applicato l’art. 13, comma 2, c.p.a., secondo i principi di diritto enunciati dalle richiamate Adunanze plenarie n. 20/2011 e n. 37/2012.

10.3.- Con riferimento alla questione della competenza funzionale inderogabile, occorre invece svolgere le seguenti, ulteriori considerazioni.

Si è, in particolare, già detto, che sulla questione il primo giudice si è pronunciato implicitamente, essendo passato a scrutinare il merito della causa senza motivare specificatamente sulla sussistenza della propria competenza, di conseguenza implicitamente affermandola.

A questo riguardo, è sufficiente per il Collegio riportarsi, non essendovi ragioni per discostarsi, ai principi di diritto enunciati da questa Sezione con le ordinanze cautelari n. 1735 e n. 1736 del 2022, richiamate con valore di precedente conforme anche ai sensi degli artt. 74, comma 1 e 88, comma 2, lett. d), c.p.a..

In particolare, con detti pronunciamenti, riguardanti contenziosi analoghi a quello per cui è causa, instaurati anch’essi da giudici onorari, la Sezione ha fatto rilevare come l’art. 135, comma 1, lettera a), del c.p.a. disponga chiaramente nel senso che sono devolute alla competenza inderogabile del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, “le controversie relative ai provvedimenti riguardanti i magistrati ordinari adottati ai sensi dell’articolo 17, primo comma, della legge 24 marzo 1958, n. 195”.

L’art. 17, comma 2, L. 24 marzo 1958 n. 195, come modificato dall’art. 4 L. 12 aprile 1990 e successivamente dall’art. 3, comma 1, dell’Allegato 4 al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, a decorrere dal 16 settembre 2010 e successivamente modificato dall’art. 2, comma 4, D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, dispone poi che «Tutti i provvedimenti riguardanti i magistrati sono adottati, in conformità delle deliberazioni del Consiglio superiore, con decreto del Presidente della Repubblica controfirmato dal Ministro, ovvero, nei casi stabiliti dalla legge, con decreto del Ministro per la grazia e giustizia».

Condivide, in particolare, il Collegio, il rilievo secondo cui la summenzionata disciplina è all’evidenza ispirata dalla finalità di assicurare la massima omogeneità nei giudizi riguardanti lo status giuridico dei magistrati ordinari.

Da ciò consegue che la competenza territoriale del Tar del Lazio, sede di Roma, sussiste anche nelle ipotesi, diverse da quelle meramente impugnatorie, in cui le controversie vertano sullo status dei magistrati onorari, i quali, quanto meno sul piano funzionale, assumono posizioni corrispondenti a quelle dei magistrati ordinari, in conformità alla previsione dell’art. 106, Costituzione.

È stato difatti chiaramente affermato, con principio di massima che il Collegio condivide, che “La competenza inderogabile del TAR Lazio, poi, resta ferma anche nelle ipotesi in cui il ricorso non abbia per oggetto l’impugnazione di un provvedimento del CSM, ma, proposto nelle forme dell’azione di accertamento, miri, nella sostanza, a sollecitare l’adozione di una determinazione favorevole, che dovrà essere adottata dall’organo di autogoverno” (argomentando, in particolare, da: Cons. Stato, Sez. IV, 19 marzo 2003, n. 1479; Id., Sezione IV, 27 dicembre 2004, n. 8214; 29 novembre 2002, n. 6519; 26 aprile 2002, n. 2229; 8 febbraio 2002, n. 1216; 21 giugno 2001, n. 3331).

Del resto, la stessa ricorrente ha basato tutte le proprie richieste di riconoscimento di status sulla sua sostenuta appartenenza all’ordine giudiziario, con la conseguenza che la competenza centralizzata del Tar del Lazio non potrebbe ora essere esclusa in base all’argomento formale secondo cui la disciplina riguarda, testualmente, i soli magistrati ordinari, senza menzionare i giudici onorari di pace.

È stato difatti chiarito nelle prefate ordinanze cautelari, con motivazione che il Collegio ancora condivide, che «Il rapporto del funzionario onorario, quale è per definizione legislativa (art. 1, comma 2 ed art. 11, comma 1 L. 21 novembre 1991, n. 374) e per contenuti sostanziali quello dei giudici di pace non esclude che egli sia incardinato in un ufficio dell’Amministrazione della giustizia di cui è temporaneamente titolare, con conseguente svolgimento di funzioni pubbliche. Ed i provvedimenti che li riguardano sono adottati nelle stesse forme e con l’intervento dei medesimi organi previsti per i Magistrati dell’ordine giudiziario. II giudice di pace, infine, ottiene un inserimento funzionale nell’organizzazione giudiziaria ed è soggetto all’osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari (art. 10, comma 1, della legge del 1991)» (Cons. Stato n. 1479/2003 cit.), e che non vi è dubbio che l’art. 42-septies, comma 1, delle norme sull’ordinamento giudiziario di cui al R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 (ora sostituito dall’art. 20 del citato D.Lgs. n. 116/2017) impone al giudice onorario di tribunale l’osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari, in quanto compatibili. Detto principio ha valenza generale ed è estensibile anche ai giudici di pace.

10.4.- Pertanto, occorre concludere, sebbene non sia formalmente impugnato un atto dell’amministrazione, vertendo l’oggetto del giudizio su questioni di status del magistrato onorario, la controversia all’esame rientra a pieno titolo nella competenza delle amministrazioni centrali evocate in giudizio, il che determina l’attrazione della controversia medesima alla competenza funzionale e inderogabile del Tar del Lazio, sede di Roma.

11.- In ragione di quanto precede, va quindi accolto il primo motivo di appello e, ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a., va di conseguenza annullata con rinvio al primo giudice la sentenza impugnata, dichiarandosi funzionalmente competente il Tar del Lazio, sede di Roma, dinanzi al quale la causa potrà essere riassunta nel termine previsto dal successivo comma 3, del cit. art. 105, c.p.a., e dinanzi al quale le domande potranno essere tutte riproposte.

12.- In conseguenza dell’accoglimento del primo motivo di appello, i restanti vanno assorbiti, dovendo sulla vicenda pronunciarsi il giudice competente.

13.- Le spese del doppio grado possono compensarsi, attesa la complessità delle questioni trattate e il peculiare svolgersi del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:

accoglie il primo motivo di appello e di conseguenza annulla con rinvio al primo giudice, ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a., la sentenza impugnata;

dichiara la competenza territoriale e funzionale inderogabile del Tar del Lazio, sede di Roma, dinanzi al quale la causa dovrà essere riassunta nel termine di cui all’art. 105, comma 3, c.p.a.;

compensa integralmente fra le parti le spese del doppio grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 novembre 2024 con l’intervento dei magistrati:

Fabio Taormina, Presidente

Daniela Di Carlo, Consigliere, Estensore

Angela Rotondano, Consigliere

Raffaello Sestini, Consigliere

Rosaria Maria Castorina, Consigliere

 

 

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Daniela Di Carlo

Fabio Taormina

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO