Il Consiglio di Stato, Sezione Settima, con la sentenza n. 8927/2024, si è pronunciato su una controversia riguardante una procedura selettiva per un posto di professore universitario di prima fascia, indetta da un’Università, annullata in autotutela a seguito di presunti profili di conflitto di interessi emersi a carico di un commissario. In particolare, l’annullamento era stato motivato dalla mancata comunicazione, da parte di uno dei membri della commissione, di una circostanza personale rilevante: il commissario era stato testimone di nozze della candidata risultata vincitrice, fatto ritenuto idoneo a far sorgere sospetti sull’imparzialità della valutazione. Il TAR adito aveva respinto il ricorso avverso l’annullamento, ritenendo legittima l’azione dell’Ateneo.

La candidata vincitrice ha impugnato la sentenza del TAR, sostenendo che il conflitto di interessi fosse stato ipotizzato in astratto e in mancanza di evidenze concrete e attuali, e che le norme invocate dal TAR, in particolare l’art. 6-bis della legge n. 241/1990 e il d.P.R. n. 62/2013, fossero inapplicabili ai concorsi universitari, regolati invece dalle disposizioni degli artt. 51 e 52 c.p.c. Il Consiglio di Stato ha tuttavia rigettato l’appello principale, confermando la legittimità della decisione di primo grado. Il Collegio ha richiamato i principi consolidati secondo cui l’obbligo di astensione derivante da conflitti di interesse rappresenta un corollario del principio di imparzialità sancito dall’art. 97 Cost., e si estende anche alle procedure selettive pubbliche, inclusi i concorsi universitari.

In merito al conflitto di interessi, il Consiglio di Stato ha chiarito che, pur non essendo tassative le cause di astensione obbligatoria di cui all’art. 51 c.p.c., sussiste l’obbligo per i commissari di segnalare situazioni idonee a generare sospetti di parzialità, come previsto dall’art. 6-bis della legge n. 241/1990 e dall’art. 7 del d.P.R. n. 62/2013. Tali disposizioni introducono una clausola generale, ampliata anche a conflitti potenziali, che si applica in forza dei principi di trasparenza e imparzialità nell’azione amministrativa. Il Collegio ha ritenuto che la mancata dichiarazione della circostanza da parte del commissario abbia impedito all’Ateneo di effettuare una valutazione consapevole circa la sua permanenza in commissione, giustificando l’annullamento in autotutela della procedura per garantire il buon andamento e l’imparzialità del procedimento.

Il Consiglio di Stato ha inoltre ribadito che la figura del testimone di nozze rappresenta, secondo il comune sentire, un indice di vicinanza personale rilevante, idoneo a far sorgere potenziali dubbi sulla trasparenza delle decisioni prese dalla commissione. La decisione del TAR, che aveva respinto anche le ulteriori censure relative alla cornice normativa applicabile ai concorsi universitari, è stata dunque confermata, mentre l’appello incidentale subordinato è stato dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse.

Pubblicato il 07/11/2024

  1. 08927/2024REG.PROV.COLL.
  2. 03249/2024 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3249 del 2024, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Stefano Vinti e Silvia Di Gioia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Università degli Studi di Perugia, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato Mario Bruto Gaggioli Santini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria (Sezione Prima) n. -OMISSIS-

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Università degli Studi di Perugia;

Visto l’atto di costituzione in giudizio, contenente altresì appello incidentale condizionato, proposto dalla ricorrente incidentale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1° ottobre 2024 il Cons. Daniela Di Carlo e uditi per le parti gli avvocati Stefano Vinti, Mario Bruto e Mario Bruno Gaggioli Santini;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1.- Le prof.sse -OMISSIS- e -OMISSIS- hanno partecipato alla “Procedura selettiva per la copertura di n.1 posto di Professore Universitario – I fascia – da coprire mediante chiamata, ai sensi dell’art. 18, comma 1, L. 240/2010 – SC 01/A3 – SSD MAT 05 – Dipartimento di Matematica e Informatica dell’Università degli Studi di Perugia”, indetta con decreto rettorale n. -OMISSIS- dall’Università degli Studi di Perugia.

La procedura è stata aggiudicata in favore della prof.ssa -OMISSIS-, collocatasi al primo posto della graduatoria con il giudizio ‘OTTIMO’.

Situatasi al terzo posto con il voto ‘PIU’ CHE BUONO’, dopo la prof.ssa -OMISSIS-, anch’essa valutata col voto PIU’ CHE BUONO e a lei preferita solo per ragioni di età, la prof.ssa -OMISSIS- ha impugnato, fra le altre cose, il decreto rettorale n. -OMISSIS- con cui era stata nominata la Commissione esaminatrice nella persona dei componenti signori prof. -OMISSIS-, ordinario presso l’Università degli Studi di Perugia, prof.ssa –OMISSIS- ordinario presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e prof. -OMISSIS-, ordinario presso l’Università degli Studi di Palermo; il verbale n.1-bis redatto alla seduta del -OMISSIS- col quale la Commissione aveva preso conoscenza dei nominativi dei candidati e con il quale i singoli commissari avevano provveduto a rendere le dichiarazioni previste ai sensi degli artt. 51 e 52 c.p.c., nonché tutti gli atti concernenti la valutazione dei candidati e l’attribuzione dei punteggi.

La ricorrente deduceva censure principalmente in relazione alla ingiusta valutazione dei curricula e alla erronea attribuzione dei punteggi, e in via subordinata e condizionata con riferimento alla irregolare composizione della Commissione esaminatrice, sulla scorta di asseriti profili di incompatibilità tra uno dei commissari (il prof. -OMISSIS-) e la vincitrice, prof.ssa -OMISSIS-, in quanto lo stesso era stato testimone alle nozze contratte da questa con il prof. -OMISSIS-, nonché anche in ragione dell’esistenza di rapporti significativi intercorrenti fra quest’ultimo e gli altri membri della commissione di valutazione.

2.- Avuta conoscenza dei motivi di impugnazione, ed in particolare di quelli concernenti il prospettato conflitto di interessi tra il prof. -OMISSIS-e la vincitrice della procedura, l’Università degli Studi di Perugia, anche previo consiglio dell’avvocatura dello Stato, si convinceva della opportunità di annullare in autotutela il decreto di nomina della Commissione esaminatrice, motivando circa il fatto che si fossero verificate circostanze idonee ad ingenerare il sospetto, o quantomeno il dubbio, di un’azione non imparziale in sede di valutazione concorsuale. In particolare, l’Ateneo riteneva che il prof. -OMISSIS-, in considerazione della sua qualità di membro della Commissione esaminatrice, avrebbe dovuto segnalare la situazione di potenziale conflitto di interessi ai sensi degli artt. 51, c.p.c. e 6-bis, legge n. 241/1990, oltre che dell’art. 19 del proprio Codice etico e di comportamento, onde consentire all’Ateneo stesso di formulare un consapevole giudizio circa la sua permanenza in commissione.

3.- Il provvedimento in questione è stato impugnato dalla prof.ssa -OMISSIS-, con un separato giudizio.

4.- Riuniti i giudizi, il Tar adito ha esaminato per primo, respingendolo, il ricorso avverso l’atto di annullamento in autotutela (di conseguenza respingendo anche la connessa domanda risarcitoria per danni all’immagine e alla reputazione formulata dalla prof.ssa -OMISSIS-), e ha condannato la ricorrente a pagare in favore dell’Ateneo resistente e della controinteressata le spese del giudizio, liquidandole nella misura di € 2.000,00 oltre oneri e accessori di legge in favore di ciascuna parte.

Il Tar adito ha dichiarato invece improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso intentato dalla prof.ssa -OMISSIS-, condannando in questo caso l’Ateneo resistente al pagamento in favore della ricorrente delle spese di lite nella misura di € 2.000,00 oltre oneri e accessori di legge, e compensandole invece nei confronti delle parti controinteressate.

5.- Ha appellato la sentenza la prof.ssa -OMISSIS-, per i motivi riproposti e riportati nei successivi punti.

6.- Si è costituita l’Università degli Studi di Perugia, continuando a difendere la legittimità del proprio operato.

7.- Si è costituita in giudizio anche la prof.ssa -OMISSIS-, che ha chiesto il rigetto dell’appello, proponendo altresì, per il solo caso di suo accoglimento, appello incidentale subordinato, ripropositivo delle originarie censure di primo grado.

8.- Con l’ordinanza cautelare n. -OMISSIS-, la Sezione ha sollecitamente fissato, ai sensi dell’art. 55, comma 10, c.p.a., l’odierna udienza per decidere definitivamente la causa nel merito, e ha compensato le spese di fase.

Nelle more non si è verificato –o perlomeno nulla al riguardo è stato dedotto da parte appellante- alcun evento sopravvenuto (come ad esempio, la nomina di una nuova Commissione di concorso) idoneo ad arrecarle pregiudizio.

9.- Le parti hanno ulteriormente insistito sulle rispettive tesi difensive, mediante il deposito di documenti, di memorie difensive e di memorie di replica.

10.- Alla udienza pubblica del 1° ottobre 2024, la causa è passata in decisione sulla previa discussione delle parti.

11.- L’appello principale è infondato, mentre quello incidentale condizionato va dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse.

12.- Nell’impugnare la sentenza, la prof.ssa -OMISSIS- ha dedotto un unico, complesso motivo, incentrato sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 51 e 52, c.p.c., dell’art. 6-bis, legge n. 241/1990 e dell’art. 7, d.P.R. n. 62/2013, oltre che in relazione a svariate figure sintomatiche di eccesso di potere, come il manifesto erroneo apprezzamento dei fatti, il difetto di istruttoria, la contraddittorietà, la manifesta irragionevolezza e il travisamento dei fatti, in uno al vizio di motivazione apparente.

In buona sostanza, secondo l’appellante principale, gli errori commessi dal Tar, che inficerebbero la legittimità della sentenza, riguarderebbero il fatto che i) il conflitto di interesse sarebbe stato predicato in astratto, in assenza cioè di qualsivoglia elemento concreto, specifico e attuale volto a dimostrare l’intensità del rapporto asseritamente esistente tra il commissario e l’odierna appellante; così facendo, il Tar avrebbe finito per elevare la qualifica di testimone di nozze a causa di astensione tipica, quale causa che non abbisogna cioè di elementi probatori a supporto, quando invece tale caratteristica mancherebbe nel caso considerato; ii) inoltre, il primo giudice avrebbe erroneamente delineato anche la cornice giuridica di riferimento in materia di conflitto di interesse dei componenti delle commissioni di concorso in ambito universitario, richiamando disposizioni normative inapplicabili al settore dei concorsi universitari.

13.- Ad avviso del Collegio, nessuna delle suddette argomentazioni coglie nel segno.

14.- Con riguardo al profilo del conflitto di interessi in astratto, non è corretto sostenere che il Tar adito abbia elevato la qualifica di testimone di nozze a causa di astensione tipica ai sensi del primo comma dell’art. 51, c.p.c..

Sulla base della semplice lettura della sentenza, risulta infatti che il primo giudice non ha fatto altro che riaffermare i principi, invero consolidati nella giurisprudenza amministrativa, secondo cui: a) le cause di incompatibilità di cui all’art. 51 c.p.c. sono estensibili a tutti i campi dell’azione amministrativa, e quindi anche alla materia concorsuale, costituendo l’obbligo di astensione un portato dei principi di imparzialità e di trasparenza che trovano il loro fondamento nell’art. 97 Cost. e devono sempre connotare l’azione e l’organizzazione amministrativa (citando Cons. Stato, sez. III, 24 gennaio 2013, n. 477); b) le cause di incompatibilità di cui al citato art. 51 c.p.c. hanno carattere tassativo e sfuggono ad ogni tentativo di estensione analogica, e ciò allo scopo di tutelare l’esigenza di certezza dell’azione amministrativa e la stabilità della composizione delle commissioni giudicatrici e, soprattutto, di evitare interferenze o interventi esterni, preordinati – abusivamente, tanto quanto l’omessa astensione di chi versi in patente conflitto d’interessi – ad ottenere, mediante forzature o iniziative infondate, una composizione gradita o un atteggiamento intimorito dell’organo giudicante (citando Cons. Stato, sez. III, 16 gennaio 2024, n. 535).

Nessuno di questi principi, come riaffermati, viola o elude o applica analogicamente, al di fuori dei casi tassativamente considerati, il disposto contenuto nell’art. 51, comma 1, c.p.c., che, adattato al caso delle commissioni di concorso, prevede per il commissario l’obbligo di astenersi esclusivamente: « 1) se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto; 2) se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori; 3) se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori; 4) se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico; 5) se è tutore, curatore, amministratore di sostegno, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un’associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa».

In forza del principio di legalità e in assenza di una precisa prescrizione di legge, ribadisce quindi il Collegio come non sia consentito né all’amministrazione, né al giudice, di sostituirsi alla legge nello svolgere la ricognizione delle cause che impongono l’obbligo di astensione, per la ragione che la sussistenza di eventuali altri rapporti, di natura personale o professionale, tra il commissario e il candidato, diversi da quelli espressamente previsti, non vale a rendere obbligatoria, nel senso cioè della incompatibilità assoluta a ricoprire l’ufficio, la possibile ragione di opportunità nell’astenersi dal ricoprire detto ufficio.

Correttamente, pertanto, il primo giudice ha fatto applicazione del principio, anche questo costantemente seguito dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui, se da un lato è vero che la semplice sussistenza di rapporti accademici o di ufficio o personali tra commissario e candidato non è idonea, di per sé, ad integrare una delle cause di incompatibilità assoluta normativamente previste, dall’altro lato è però vero che implica la violazione delle regole dell’imparzialità (o il sospetto della violazione di tali regole), la sussistenza di rapporti, personali o professionali, di rilievo e intensità tali da far dubitare che il candidato sia giudicato non in base al risultato delle prove, bensì in virtù delle conoscenze personali (Cons. Stato, Sez. VI, 13 settembre 2012, n. 4858; Cons. Stato, Sez. III, 28 aprile 2016, n. 1628).

Ciò è quanto si è verificato nel caso all’esame, recando la motivazione dell’atto impugnato lo specifico riferimento non già al fatto, tipizzato dal primo comma dell’art. 51 c.p.c., che tra il commissario e la candidata sussista un rapporto di commensalità abituale, ma piuttosto al fatto che “la circostanza in fatto non dichiarata dal Commissario, relativa al suo essere stato testimone alle nozze della Prof.ssa -OMISSIS-, rientra in una tipologia di circostanze idonee ad ingenerare il sospetto di un’azione non imparziale in sede di valutazioni concorsuali e, pertanto, avrebbe dovuto essere segnalata onde consentire all’Ateneo la valutazione della ricorrenza di un conflitto di interessi e la conseguente situazione di incompatibilità rispetto al legittimo espletamento delle funzioni di Commissario”.

Che non si tratti, quindi, di un tentativo di estensione analogica di un caso tipizzato di astensione obbligatoria sanzionato con l’incompatibilità assoluta a ricoprire l’incarico, ma, piuttosto, di una grave ragione di convenienza fonte di potenziale conflitto di interessi ai sensi degli artt. 51 c.p.c. e 6-bis, legge n. 241/1990, è circostanza comprovata dal fatto, ricavabile dalla restante parte della motivazione, che la condotta che l’Ateneo ha rimproverato al commissario non è stata la mancata astensione obbligatoria, ma la mancata obbligatoria comunicazione trasparente, quale precondizione necessaria e indispensabile per consentire all’Ateneo medesimo di valutare se il commissario si trovasse nella condizione di potere adempiere in modo funzionale all’ufficio conferitogli.

In buona sostanza, nel caso all’esame si è verificata proprio quella situazione, già più volte censurata dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui incorre nella violazione delle regole dell’imparzialità (o nel sospetto della violazione di tali regole), la sussistenza di rapporti personali o professionali di rilievo e intensità tali da far dubitare che il candidato sia giudicato non in base al risultato delle prove, bensì in virtù delle conoscenze personali (si vedano i già citati Cons. Stato, Sez. VI, 13 settembre 2012, n. 4858; Cons. Stato, Sez. III, 28 aprile 2016, n. 1628).

A questo proposito, anche questo Collegio ritiene come non sia convincente la tesi, pure sostenuta dalla ricorrente, secondo cui la figura del testimone di nozze sarebbe del tutto priva di significatività rispetto alla instaurazione di un rapporto personale con gli sposi, essendo egli incaricato soltanto di attestare lo scambio dei consensi degli sposi.

In disparte, infatti, le considerazioni personali e opinabili che ognuno, nel proprio foro interno, potrebbe nutrire rispetto a tale figura, anche, al limite, svilendola, fino al punto di affermare che l’ufficio di testimone di nozze potrebbe essere ben svolto anche da un quisque de populo, uno scelto a caso, finanche l’uomo della strada, ovvero di sostenere che tale ufficio potrebbe essere ricoperto un numero così elevato di volte da sostanzialmente dimenticare persino gli sposi in favore dei quali si è officiata la testimonianza, quel che è certo è che, sul piano del diritto statale e canonico, in ragione della disciplina del matrimonio concordatario, le qualificazioni giuridiche non poggiano sull’etica o sulla morale personale e individuale, ma sul comune senso della comunità alla quale gli individui appartengono.

E non vi è dubbio alcuno che, anche nello specifico contesto storico in cui si vive, la comunità generale nutra un senso di profondo rispetto, devozione e attaccamento per la figura del testimone di nozze e per la funzione che egli è chiamato ad officiare.

Di conseguenza, non colgono nel segno le affermazioni, pure riproposte dalla ricorrente, secondo cui il testimone di nozze non sarebbe avvinto con gli sposi da alcun vincolo significativo in ragione del fatto che il suo intervento sarebbe del tutto episodico nella vita, essendo piuttosto vero il contrario, ossia che l’unicità del momento rende tanto più intenso il vincolo instaurato; e inoltre, che il testimone di nozze parteciperebbe passivamente alla celebrazione del matrimonio, quando invece la scelta dei nubendi notoriamente cade su una persona significativa della loro vita, sul piano personale o professionale, anche allo scopo, spesso, di rinsaldare i rapporti professionali creando un maggior coinvolgimento del collega nei legami afferenti alla sfera persona e familiare dell’interessato; e infine, che l’ufficio di testimone di nozze sarebbe stato espletato ben diciannove anni prima, con conseguente inattualità e persistenza del vincolo, per giunta in base alla scelta di uno solo dei nubendi, il marito della ricorrente, quando è invece noto che gli atti dello stato civile non fanno alcuna distinzione giuridica tra i testimoni dello sposo e della sposa, e che la datazione di un accadimento storico, anche risalente nel tempo, non è in grado di cancellare l’importanza, anche sociale, che quell’evento ha rivestito nella vita di una persona.

Ritiene, in conclusione, il Collegio, che la figura del testimone di nozze ben possa integrare, per la considerazione sociale di cui l’ufficio gode, quella condizione di grave convenienza, indice di una vicinanza personale tra il commissario e la candidata, di tale intensità da essere percepita (o potenzialmente percepita), all’esterno, come un potenziale conflitto di interessi o una minaccia alla imparzialità e alla indipendenza dell’organo di valutazione.

Di conseguenza, si appalesa del tutto legittima sia la pretesa dell’Università degli Studi di Perugia a che tale situazione fosse fatta oggetto di previa comunicazione all’esterno, assumendosi il commissario, in ragione della dichiarazione resa a verbale ai sensi dell’art. 51, c.p.c., la auto-responsabilità nella valutazione delle potenziali situazioni di (in)opportunità a ricoprire certi incarichi, sia la successiva e conseguente decisione dell’Ateneo medesimo di annullare in autotutela la procedura, in modo da poterla riedire totalmente scevra da ogni sospetto o dubbio di parzialità, di fatto rafforzato, nella specifica vicenda considerata, anche dal fatto, invero in sé non significativo, ma tuttavia singolare, che solo la ricorrente abbia riportato il giudizio ‘OTTIMO’, mentre tutti gli altri candidati, indistintamente, quello di ‘PIU’ CHE BUONO’.

15.- Infondato, infine, è il gruppo di censure che mirano a sostenere che il primo giudice avrebbe erroneamente delineato la cornice giuridica di riferimento in materia di conflitto di interesse dei componenti delle commissioni di concorso in ambito universitario, richiamando cioè disposizioni normative inapplicabili al settore dei concorsi universitari.

In buona sostanza, la ricorrente sostiene che al caso di specie vadano applicati i soli artt. 51 e 52 c.p.c., restando inapplicabili le altre disposizioni concernenti l’imparzialità dell’organo amministrativo ex artt. 6-bis, legge n. 241/1990 e 7, d.P.R. n. 62/2013.

Ritiene il Collegio che la decisione impugnata, anche sotto questo profilo, sia immune da censure.

Anzitutto occorre evidenziare che ove anche si facesse applicazione del solo art. 51 c.p.c., la decisione amministrativa impugnata sarebbe legittima, in quanto rappresenta un fatto incontrovertibile e documentalmente acclarato quello per cui i commissari, nella seduta del -OMISSIS- si siano riuniti prima per prendere contezza dei nominativi dei candidati e subito poi per dichiarare la insussistenza, oltre che dei legami di parentela e affinità fino al IV° grado incluso, o rapporto di coniugio, unione civile o convivenza di cui alla l.76/2016, con alcuno dei candidati, anche delle cause di astensione ex artt. 51 e 52 c.p.c., anche alla luce di quanto contenuto nel paragrafo 5.2.4 della Delibera ANAC n.1208 del 22 novembre 2017 (v. il verbale 1-bis del 5 luglio 2023).

Pertanto, anche solo facendo applicazione del chiaro disposto di cui al secondo comma dell’art. 51 c.p.c., il commissario prof. -OMISSIS-avrebbe quantomeno avuto la responsabilità di dichiarare la sussistenza della grave ragione di convenienza personale. Non avendolo fatto, il medesimo non è incorso nella violazione dell’obbligo (legale) di astensione ai sensi del primo comma del medesimo articolo, che, come si è detto poc’anzi, si declina in un numero tassativo di cause tipiche non suscettibili di interpretazione analogica. Tuttavia, la mancata esternazione della grave ragione di convenienza ha reso legittima l’azione amministrativa, in quanto l’Ateneo, privato della possibilità di valutare la perdurante opportunità di ricoprire l’incarico, è giunto alla non irragionevole, e anzi si deve dire del tutto logica e comprensibile decisione, di ricominciare daccapo la procedura, lontano da ogni dubbio o sospetto di parzialità.

In disparte l’applicabilità degli artt. 51 e 52 c.p.c., comunque pure espressamente richiamati dal bando di concorso, ritiene il Collegio che non vi siano motivi per discostarsi dall’indirizzo esegetico seguito dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui la cornice normativa applicabile ai concorsi universitari, ivi compreso quello per professori di prima fascia, ricomprenda anche la disciplina del conflitto di interessi mutuata dalla figura del responsabile del procedimento, ai sensi dell’art. 6-bis, legge n. 241/1990, ad opera dell’art. 1, comma 41, legge n. 190/2012 (cd “legge anti-corruzione”).

La disposizione introdotta prevede che “Il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale”.

Ritiene il Collegio che detta previsione abbia introdotto una clausola generale, consimile a quella della ragione di grave convenienza di cui al secondo comma dell’art. 51, c.p.c., all’interno della quale, potenzialmente, è possibile ascrivere più casi di conflitto fra amministratori e amministrati.

La ratio della norma è quella di far sì che ogni situazione, potenzialmente idonea a fondare, negli interessati, il sospetto del difetto di imparzialità, sia segnalata ai propri responsabili.

La previsione è compatibile con l’art. 7 del d.P.R. 62/2013 (Codice di comportamento dei dipendenti pubblici), che prevede che “Il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull’astensione decide il responsabile dell’ufficio di appartenenza”.

La previsione è in armonia anche con la normativa interna di istituto, prevedendo l’art. 14, comma 3, del Codice Etico e di Comportamento dell’Università degli Studi di Perugia, di cui al decreto rettorale n. 1876 del 2 agosto 2021, rubricato “Conflitti di interessi e obbligo di astensione”, che “Ogni dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, coniuge o conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale […] Sull’astensione (che va comunicata in forma scritta, con ivi esposte le ragioni, alla responsabile dell’ufficio di appartenenza) decide la persona responsabile dell’ufficio di appartenenza”.

La norma è poi il precipitato logico necessario di specifiche previsioni costituzionali: in primo luogo l’art. 54, Cost. (“Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”), e poi l’art. 97, comma 2, Cost. (“I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”).

Di conseguenza, ritiene il Collegio che non vi siano ragioni obiettive, logiche e proporzionate per sottrarre ai concorsi universitari, anche in ragione della rilevanza costituzionale che l’autonomia universitaria esige, i principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa in relazione alla disciplina generale dell’azione amministrativa.

Vanno quindi ribaditi i principi per cui “L’obbligo di astensione, che la situazione di conflitto di interessi ingenera, costituisce un corollario del principio di imparzialità (art. 97 Cost.) e, pertanto, le ipotesi di astensione obbligatoria non sono tassative, e come tali da interpretarsi restrittivamente, ma piuttosto esemplificative. In ordine alle conseguenze giuridiche, la mancata astensione del funzionario comporta una illegittimità procedimentale che incide sulla legittimità dell’atto finale …” (Consiglio di Stato, Sezione IV, 24 aprile 2023, n. 4129); che “Il sindacato in ordine alla sussistenza di situazioni di conflitto di interesse deve essere svolto, in concreto, con il dovuto rigore, valorizzando i canoni di imparzialità, obiettività e trasparenza che devono informare l’attività valutativa delle commissioni di concorso, dovendosi anche precisare che, ad assumere rilievo, in forza delle generali previsioni dell’art. 6 bis della l. n. 241 del 1990, sono non solo i conflitti di interessi conclamati ma anche quelli potenziali, integrati dalla sussistenza di gravi ragioni di convenienza percepite come una minaccia alla imparzialità e indipendenza dei componenti dell’organo collegiale nel contesto della procedura concorsuale” (Consiglio di Stato, Sezione VII, 8 marzo 2023, n. 2408), e inoltre che “Anche alla luce dell’art. 6-bis, l. n. 241/1990, il principio di imparzialità, sancito dall’art. 97 Cost., di cui l’obbligo di astensione tipizzato dall’art. 51 c.p.c. rappresenta un corollario, assume portata generale, sicché le ipotesi di astensione obbligatoria non sono tassative, e come tali da interpretarsi restrittivamente, ma piuttosto esemplificative di circostanze che mutuano l’attitudine a generare il dovere di astensione direttamente dal superiore principio di imparzialità, che ha carattere immediatamente e direttamente precettivo” (Consiglio di Stato sez. II, 26 settembre 2022, n. 8271, cfr. ulteriormente Consiglio di Stato sez. II, 21 ottobre 2019, n. 7113, Consiglio di Stato sez. II, 9 marzo 2020, n. 1654, Consiglio di Stato sez. II, 10 settembre 2020, n. 5423 e, ancora, Consiglio di Stato sez. VI, 24 luglio 2019, n. 5239).

Tale lettura è anche conforme alla posizione assunta da questo Consiglio di Stato nell’esercizio della funzione consultiva, in particolare col parere n. 667 del 5 marzo 2019, nel quale vengono illustrate le due forme di conflitto di interessi, ossia quella del conflitto potenziale “de futuro” e quella del conflitto potenziale “de praeterito”: quest’ultimo postula, più nel dettaglio, per quanto di interesse ai fini di causa, una risalente situazione tipica di conflitto, anche successivamente divenuta atipica o addirittura decaduta.

Non vi è dubbio che entrambe le forme di conflitto potenziale concretizzino le gravi ragioni di convenienza di cui all’art. 51, comma 2, c.p.c., e dell’art. 7 del d.P.R. 62/2013, e che di esse possa farsi applicazione in riferimento alle commissioni di concorso (mutuando da Consiglio di Stato, sez.VII, 8 marzo 2023, n. 2408 “Il sindacato in ordine alla sussistenza di situazioni di conflitto di interesse deve essere svolto, in concreto, con il dovuto rigore, valorizzando i canoni di imparzialità, obiettività e trasparenza che devono informare l’attività valutativa delle commissioni di concorso, dovendosi anche precisare che, ad assumere rilievo, in forza delle generali previsioni dell’art. 6 bis della l. n. 241 del 1990, sono non solo i conflitti di interessi conclamati ma anche quelli potenziali, integrati dalla sussistenza di gravi ragioni di convenienza percepite come una minaccia alla imparzialità e indipendenza dei componenti dell’organo collegiale nel contesto della procedura concorsuale”).

16.- In definitiva, alla luce delle considerazioni appena illustrate, l’appello principale va respinto.

17-. L’appello incidentale va conseguentemente dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, avendolo la parte espressamente qualificato come appello subordinato e condizionato al solo eventuale accoglimento del gravame principale.

18.- Le spese del doppio grado possono compensarsi tra tutte le parti del giudizio, attesa la complessità e novità delle questioni trattate, con specifico riferimento alla applicabilità dei principi poc’anzi illustrati in relazione alla figura del testimone di nozze.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima) definitivamente pronunciando sull’appello principale, come in epigrafe proposto:

respinge l’appello principale;

dichiara improcedibile l’appello incidentale condizionato;

compensa tra tutte le parti le spese del doppio grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti e della dignità delle parti interessate, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità di tutte le persone fisiche menzionate in motivazione.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 ottobre 2024 con l’intervento dei magistrati:

Marco Lipari, Presidente

Fabio Franconiero, Consigliere

Daniela Di Carlo, Consigliere, Estensore

Raffaello Sestini, Consigliere

Marco Morgantini, Consigliere

 

 

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Daniela Di Carlo

Marco Lipari

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO