Il Consiglio di Stato ha affrontato la questione della revocazione del giudicato amministrativo per contrarietà con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) o con le sentenze della Corte di giustizia UE, stabilendo che la revocazione prevista dall’art. 391-quater c.p.c. è applicabile solo nei casi di contrasto con la CEDU e non con il diritto dell’Unione europea.

La pronuncia trae origine da un ricorso di revocazione avverso una sentenza del Consiglio di Stato, ritenuta in contrasto con una decisione successiva della Corte di giustizia UE in materia di protezione dei dati personali. Il ricorrente ha invocato l’art. 391-quater c.p.c., introdotto dal d.lgs. n. 149/2022, che consente la revocazione delle sentenze civili definitive per contrarietà con le pronunce della Corte EDU, chiedendo un’estensione di tale disposizione sia al giudicato amministrativo che al contrasto con il diritto unionale.

Il Consiglio di Stato ha accolto la possibilità di estendere l’art. 391-quater c.p.c. al processo amministrativo per i casi di contrasto con la CEDU, in ragione dell’identità di ratio tra le sentenze dei giudici amministrativi e quelle dei giudici civili, e del principio generale di effettività della tutela giurisdizionale sancito dall’art. 1 c.p.a. Tuttavia, ha escluso l’estensione della norma ai contrasti con le sentenze della Corte di giustizia UE, rilevando che:

  • Le tecniche di tutela offerte dall’ordinamento dell’Unione, come la disapplicazione delle norme nazionali contrastanti o il rinvio pregiudiziale obbligatorio ex art. 267 TFUE, sono sufficientemente efficaci e significative per prevenire situazioni di contrasto tra il diritto unionale e il giudicato nazionale.
  • L’estensione analogica di tale rimedio al diritto dell’Unione contrasterebbe con il dato testuale della norma e creerebbe un’ipotesi di revocazione non prevista dal legislatore, minando la stabilità del giudicato, considerata un valore portante dell’ordinamento.
  • La stessa Corte di giustizia UE ha escluso che i principi di effettività e equivalenza impongano agli Stati membri di introdurre mezzi di impugnazione analoghi a quelli previsti per la tutela dei diritti euro-convenzionali.

Nel caso specifico, il Consiglio di Stato ha inoltre rilevato che il contrasto tra il giudicato e la sentenza della Corte di giustizia UE non sussisteva, poiché i dati personali oggetto della decisione erano stati acquisiti nel processo penale attraverso strumenti conformi alle garanzie procedurali previste dall’ordinamento interno. Per tali ragioni, il ricorso per revocazione è stato dichiarato inammissibile.

Questa sentenza conferma il consolidato orientamento secondo cui la tutela dei diritti garantiti dall’ordinamento dell’Unione segue logiche e strumenti distinti rispetto a quelli previsti in ambito CEDU, mantenendo la stabilità del giudicato nazionale quale principio cardine del sistema giuridico italiano.

Pubblicato il 19/11/2024

  1. 09308/2024REG.PROV.COLL.
  2. 09546/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9546 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Nicola Di Modugno, Gianvito Giannelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Alessandro Gioia in Roma, piazza Cavour N 17;

contro

Csm Consiglio Superiore della Magistratura, Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Vito De Vito, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato – Sezione VII n. -OMISSIS-/2022

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Csm Consiglio Superiore della Magistratura e di Ministero della Giustizia e di -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 settembre 2024 il Cons. Sergio Zeuli e uditi per le parti gli avvocati Nicola Di Modugno e Vito De Vito;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

  1. La parte ricorrente, magistrato ordinario di V valutazione di professionalità, chiede la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato – Sezione Settima n. -OMISSIS-, pubblicata il 28 ottobre del 2022 per contrasto con la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 7 settembre del 2023, resa nella causa n.162/2022 che si è pronunciata in merito all’inutilizzabilità di documenti relativi al traffico telefonico, acquisiti nell’ambito di processi di cui sono parti terzi estranei, come nel caso di specie.

A supporto del gravame la parte ricorrente, espone le seguenti circostanze:

aveva presentato domanda per partecipare al concorso per la copertura del posto di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS-, dichiarando la propria disponibilità a partecipare al corso di formazione per aspiranti dirigenti giudiziari;

con nota del 24 gennaio del 2018 il Consiglio Superiore della Magistratura trasmetteva l’elenco completo degli aspiranti agli uffici direttivi di merito, pubblicato con delibera del 6 dicembre 2017 insieme a due ulteriori elementi nei quali erano indicati separatamente i nominativi dei magistrati che non risultavano aver frequentato i corsi ex art.26 bis del d. lgs. n.26 del 2006 e quello dei magistrati che invece avevano già conseguito gli elementi di valutazione;

con nota -OMISSIS- del 25 gennaio del 2018, il Responsabile del Settore Direttivi della Scuola Superiore della Magistratura comunicava che la SSM avrebbe organizzato, dal 19 al 22 febbraio, la prima edizione del 2018 del corso obbligatorio di formazione per aspiranti dirigenti previsto dall’art.26 bis del d. lgs. n.26/2006 chiedendo alla ricorrente di confermare la sua disponibilità alla frequenza;

il 12 settembre del 2018 il CSM la nominava Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS-;

la deliberazione veniva adottata dal Plenum, in accoglimento della proposta “B” formulata dalla V Commissione, la quale a sua volta aveva privilegiato l’esperienza maturata dalla ricorrente – prima distaccata da -OMISSIS- alla Procura Distrettuale di -OMISSIS-, poi componente effettiva della D.D.A. di -OMISSIS– nelle indagini su organizzazione criminale di notevole caratura, e in particolare nel maxi-processo cd. “-OMISSIS-”, per i reati di cui all’art.416 bis c.p. e 74 D.P.R. 309/90;

quanto alla comparazione con la posizione dell’altra candidata la dr.ssa -OMISSIS-, la proposta “B” precisava che il buon profilo professionale di quest’ultima “non le consente di prevalere nei confronti della dr.ssa -OMISSIS-, che vanta un profilo professionale più ampio;

detta proposta sosteneva ancora che le esperienze della parte ricorrente, oltre ad essere ricche, evidenziavano le capacità organizzative da lei maturate nella gestione del ricordato maxi-processo;

la proposta “B” veniva approvata dall’Assemblea Plenaria con tredici voti contro i nove riportati dalla proposta A in favore del dott. -OMISSIS-;

la deliberazione veniva impugnata dal dott. -OMISSIS-, dal dott. -OMISSIS- e dalla dr.ssa -OMISSIS-, il primo con ricorso n.-OMISSIS-, il secondo con ricorso n.-OMISSIS- e la terza con ricorso n.-OMISSIS-, tutti proposti innanzi al TAR del Lazio;

nel primo e nel terzo giudizio, la parte ricorrente spiegava ricorso incidentale avverso la stessa deliberazione nella parte in cui non prendeva in considerazione ulteriori titoli ordinamentali, oltre all’attività svolta come Componente e Segretaria del Consiglio Giudiziario presso la Corte di Appello di -OMISSIS-;

con la sentenza n.-OMISSIS-/2019 la Prima Sezione del TAR Lazio accoglieva il ricorso n.-OMISSIS- proposto dal dottor -OMISSIS- e annullava in parte qua il Bando indetto dal CSM con la delibera -OMISSIS- per il conferimento di incarichi direttivi, nonché le Proposte “A” e “B” formulate dalla Quinta Commissione nelle sedute del 3 e 5 settembre 2018 e la stessa deliberazione del Plenum del C.S.M. del 12 settembre del 2018 di approvazione della Proposta B per il conferimento dell’incarico di Procuratore della Repubblica di -OMISSIS- ed il conseguente D.P.R. di nomina della ricorrente;

avverso questa sentenza la parte ricorrente interponeva appello;

il 7 ottobre del 2019 con le ordinanze nn.-OMISSIS-e -OMISSIS-dell’11 ottobre del 2019 il Consiglio di Stato accoglieva le istanze di sospensione proposte dalla ricorrente e dal CSM;

la sentenza n.-OMISSIS-del 2020, dopo aver riunito i gravami, accoglieva in parte i motivi riproposti dal dott. -OMISSIS-, dichiarando inammissibili i motivi riproposti dalla dott.ssa -OMISSIS-; accoglieva l’appello della dottoressa -OMISSIS-, dichiarando inammissibili i motivi riproposti dalla dottoressa -OMISSIS-; accoglieva l’appello del dott. -OMISSIS-; per l’effetto respingeva il ricorso di primo grado, salve le ulteriori determinazioni che l’amministrazione avesse voluto esperire, all’esito della rinnovazione dell’attività valutativa;

malgrado le statuizioni di detta sentenza, che aveva dichiarato improcedibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, il CSM ha nominato la dottoressa -OMISSIS- Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS-, al posto della dottoressa -OMISSIS-;

la modifica della deliberazione di nomina si era basata sull’utilizzo delle chat rivolte da quest’ultima al dott. -OMISSIS-, malgrado la netta superiorità dei titoli della dottoressa -OMISSIS-, che erano già stati ritenuti prevalenti su quelli della contro-interessata;

il CSM, dunque, secondo la parte ricorrente, anziché limitarsi, come avrebbe dovuto, ad integrare la motivazione del provvedimento di nomina della dottoressa -OMISSIS- a Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS-, e così incorrendo in uno sviamento di potere, estendeva tale comparazione anche alla dottoressa -OMISSIS-, nonostante fosse già risultata soccombente sia in sede concorsuale che processuale;

questo provvedimento è stato impugnato dalla dottoressa -OMISSIS- con il ricorso n.-OMISSIS-/2021 cui hanno fatto seguito tre atti per motivi aggiunti;

con sentenza n.-OMISSIS-del 2022 il TAR del Lazio ha rigettato il ricorso proposto dalla dottoressa -OMISSIS- e i relativi motivi aggiunti;

avverso detta sentenza la parte ricorrente ha interposto appello che, con la sentenza n.-OMISSIS- del 2022 del Consiglio di Stato, è stato rigettato;

la ridetta sentenza, secondo la parte ricorrente, sarebbe in aperto contrasto coi principi dell’ordinamento comunitario affermati dalla Corte di giustizia UE, che vietavano al CSM di utilizzare, ai fini delle nomine ad incarichi direttivi, le chat inviate dalla dottoressa -OMISSIS- al dott. -OMISSIS-, che, al contrario, sono stati ritenuti sintomatici di un vizio di formazione dell’originaria volontà dell’organo consiliare nella nomina della dottoressa -OMISSIS-;

la violazione di tale diritto è stata rilevata, non solo dalla Corte Costituzionale con sentenza n.170/2023, ma anche e soprattutto con la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea resa nella causa n.162 del 2022, del 7 settembre del 2023, che, in risposta ai giudici amministrativi di appello lituani, ha dichiarato che quell’utilizzo non è compatibile con la direttiva 2002/58/CE;

tanto premesso, la parte impugna quest’ultima sentenza con il ricorso per revocazione, ai sensi dell’art.391 quater 1° comma c.p.c. in relazione all’art.362 comma 3 c.p.c. in quanto in contrasto coi principi espressi dalla Corte di giustizia nella ricordata sentenza, affidandolo ad un unico motivo, e cioè:

VIOLAZIONE DELLA DIRETTIVA 2002/58/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO SUL TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI E SULLA TUTELA DELLA VITA PRIVATA NELLE COMUNICAZIONI ELETTRONICHE, VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 5, 7, 8, 11 E 52, PAR. 1, DELLA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA IN RELAZIONE AGLI ARTT. 362, 3° COMMA, C.P.C. E 391 QUATER C.P.C. .

  1. Il Consiglio Superiore della Magistratura e la contro-interessata -OMISSIS- si sono costituiti in giudizio, contestando l’avverso dedotto e chiedendo la declaratoria di inammissibilità o comunque il rigetto del gravame.
  2. Con ordinanza emessa il 27 giugno del 2024, il Collegio – dopo aver rilevato che fra le questioni pregiudiziali per la definizione del ricorso vi era quella relativa alla natura giuridico-processuale delle chat di cui alla delibera, onde accertarne i limiti di utilizzabilità – ha fatto presente che, sul punto, si erano pronunciate le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione con la sentenza n.23755/24 che, nell’occasione, avevano precisato che i messaggi inviati tramite applicativo what’s app o sistemi simili rappresentano prova documentale ex art.234 c.p.p. acquisibile al fascicolo del dibattimento; che detta qualificazione non è ostacolata dalla sola circostanza che le entità rappresentative siano comunicazioni elettroniche, data la latitudine della nozione di prova documentali; che le stesse necessitano, per ritenersi legittimamente acquisite, che l’autorità giudiziaria, incluso in questo sintagma il Pubblico Ministero, si avvalga dello strumento del sequestro di corrispondenza previsto dall’art.254 c.p.a. senza che sia dunque necessaria una previa autorizzazione di un giudice.

L’ordinanza collegiale ha altresì precisato che il Supremo Collegio della Cassazione aveva ribadito che tale assetto normativo risulta conforme all’art.6 par. 1, lett. b) della Direttiva 2014/41/UE ed idoneo, in astratto, stante il previsto intervento dell’autorità giudiziaria, a tutelare i diritti fondamentali dei soggetti coinvolti, salvo che il loro impiego non determini una violazione di questi ultimi, che tuttavia deve essere allegata e dimostrata con fatti concreti dall’interessato, ritenendo, dopo aver così ricostruito il quadro, di non accogliere le questioni di pregiudizialità con richiesta di rimessione alla Corte di giustizia UE, avanzate dalla parte ricorrente in cassazione.

E che le Sezioni unite penali avevano infine precisato che è diverso il regime acquisitivo, allorquando l’accesso ai dati relativi al traffico ed a quelli relativi all’ubicazione sia stato ottenuto direttamente dai fornitori del servizio, essendo in quest’ultimo caso necessaria la predisposizione di maggiori garanzie a tutela della riservatezza dei soggetti coinvolti.

Dopo avere tanto premesso, questo Collegio ha invitato le parti ad interloquire sulle questioni così esposte, ai sensi del comma 3 dell’art.73 del c.p.a. .

  1. All’esito del deposito delle relative memorie, la causa è stata spedita in decisione all’odierna udienza.

DIRITTO

  1. La parte ricorre in revocazione avverso la sentenza n. -OMISSIS- del 2022 di questa Sezione ritenendo che al caso di specie sia applicabile la previsione di cui all’art.391 quater del c.p.c., che, nella sua prospettazione, sarebbe estensibile al processo amministrativo, sebbene detto rimedio non sia ivi espressamente contemplato.

Oltre a reclamare detta applicazione “orizzontale”, la parte ritiene che l’art.391 quater c.p.c. – che disciplina un caso di revocazione di una sentenza divenuta definitiva, allorquando sia in contrasto con una decisione della CEDU sopravvenuta – sia estensibile anche verticalmente, proponendo un ampliamento del contenuto della disposizione per renderla operante anche in caso di contrasto tra giudicato amministrativo e sentenza della Corte di Giustizia dell’U.E. .

In altre parole, il motivo in esame propone un’estensione della previsione, sia quanto al contesto di applicazione (non solo al giudicato del giudice civile, ma anche a quello del giudice amministrativo), per l’appunto in senso “orizzontale”, sia quanto al suo concreto contenuto, ossia in senso “verticale”, ritenendo revocabile anche una sentenza definitiva in contrasto con il diritto unionale, e non solo con quello euro-convenzionale.

5.1. Or bene, mentre è senz’altro condivisibile la prospettata estensione orizzontale del rimedio – perché, in ragione della sua finalità, oltre che del vigente sistema normativo, non vi sono dubbi che l’art.391 quater c.p.c. sia estensibile anche alle sentenze del giudice amministrativo, per l’evidente analogia esistente fra queste ultime e quelle del giudice civile – non altrettanto convincente è l’estensione verticale, prospettata come ulteriore espansione della portata letterale della norma.

La seconda operazione va esclusa perché le tecniche di tutela delle situazioni soggettive unionali sono sensibilmente diverse, e decisamente più significative, rispetto a quelle dettate dall’ordinamento CEDU a protezione dei principi euro-convenzionali in materia di stato delle persone, di tal che il rimedio di cui si discute apparirebbe ultroneo laddove venisse esteso – oltre il dato testuale – anche alle prime.

Converrà tuttavia procedere per gradi, partendo dalla prima delle due prospettive proposte.

5.1.1. In relazione alla prima questione, va premesso che fino alla recente riforma del processo civile, attuata con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, nel processo amministrativo, come nel processo civile, non era prevista una ipotesi di revocazione per contrarietà alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Tale carenza era stata oggetto di una questione di costituzionalità, in relazione agli artt. 117 comma 1, 111 e 24 della Costituzione, delle disposizioni processuali che non prevedevano un diverso caso di revocazione della sentenza quando ciò fosse risultato necessario, ai sensi dell’art. 46, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Cedu (Cons. Stato, Ad. plen., n. 2/2015).

La Corte costituzionale ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 106 del Codice del processo amministrativo e degli artt. 395 e 396 del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevedono tale diverso caso di revocazione (Corte cost. n. 123/2017), giungendo quindi a una soluzione diversa rispetto a quella con cui era stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 117, comma 1, Cost. in relazione all’ art. 46, par. 1, Cedu, l’art. 630 c.p.p. nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario per conformarsi a una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo» (Corte cost. n. 113/2011).

I principi affermati in ambito penalistico erano stati comunque limitati ai casi in cui i soggetti interessati, una volta esauriti i ricorsi interni, si erano rivolti al sistema di giustizia della Cedu e non erano stati estesi a coloro che, al contrario, non si erano avvalsi di tale facoltà, con la conseguenza che la loro vicenda processuale, definita ormai con la formazione del giudicato, non è più suscettibile del rimedio convenzionale» (Corte cost. n. 210/2013; v. ora il nuovo rimedio, previsto dall’art. 628 bis c.p.p., introdotto dall’art. 36, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150).

Tale quadro normativo è mutato con l’entrata in vigore del già citato d.lgs. n. 149/2022 di riforma del processo civile, il cui art. 3, comma 28, lett. o), ha introdotto l’art.391 quater del codice di procedura civile, “Revocazione per contrarietà alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo”, che prevede che “Le decisioni passate in giudicato il cui contenuto è stato dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contrario alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali ovvero ad uno dei suoi Protocolli, possono essere impugnate per revocazione”.

La norma – quali ulteriori condizioni che consentono di rimettere in discussione un giudicato civile – subordina inoltre l’applicazione del rimedio alla ricorrenza di due requisiti, il primo dei quali è l’intervenuto accertamento, con sentenza della Corte EDU, di un pregiudizio cagionato dalla sentenza ad un diritto di stato della persona interessata.

Il secondo presupposto, in presenza del quale può domandarsi la revocazione di una sentenza definitiva, è l’accertamento dell’inidoneità dell’equa indennità – accordata dalla Corte europea ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione – a compensare le conseguenze della violazione accertata dal giudice convenzionale.

Con lo stesso d. lgs. n. 149/2022 è stato aggiunto il comma 3 dell’art. 362 c.p.c., che prevede che “Le decisioni dei giudici ordinari passate in giudicato possono altresì essere impugnate per revocazione ai sensi dell’articolo 391-quater quando il loro contenuto è stato dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contrario alla Convenzione ovvero ad uno dei suoi Protocolli”.

5.1.2. Con riferimento alla possibile applicabilità della nuova disciplina al processo amministrativo va in primo luogo rilevato che anche nelle controversie devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo può venire in gioco un pregiudizio di un diritto di stato della persona con la conseguenza che la novella legislativa se applicabile al processo amministrativo può avere una incidenza qualitativamente significativa, seppur quantitativamente ridotta.

5.1.3. L’art.106 del c.p.a. non ha subito modifiche e continua a prevedere che “le sentenze dei tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato sono impugnabili per revocazione, nei casi e nei modi previsti dagli articoli 395 e 396 del codice di procedura civile”, senza quindi richiamare la nuova ipotesi di revocazione prevista dagli artt. 362 e 391 quater c.p.c. e l’art. 362 c.p.c. prevede la possibilità di tale speciale ricorso per revocazione solo avverso le “decisioni dei giudici ordinari passate in giudicato”.

Sulla base del solo art. 106 c.p.a. non si perviene quindi a fondare l’applicazione al processo amministrativo del nuovo art. 391 quater c.p.c..

5.1.4. E’ stato sostenuto che poiché i casi di revocazione sono espressamente disciplinati dall’art. 106 c.p.a. non si potrebbe fare ricorso al rinvio esterno contenuto nell’art. 39, comma 1, c.p.a., in base al quale per quanto non disciplinato dal codice “si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali”.

Tale soluzione non convince perché condurrebbe a un serio vulnus di tutela nel processo amministrativo rispetto alle corrispondenti situazioni attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario, con pregiudizio dei principi costituzionali di cui agli artt. 3, 24 e 113 Cost..

Ciò impone la ricerca di una interpretazione costituzionalmente orientata prima di sollevare la questione di costituzionalità.

5.1.5. E’, quindi, preferibile dare rilievo al fatto che il codice del processo amministrativo non contiene alcuna specifica disposizione che regola il caso di un giudicato amministrativo in contrasto con statuizioni sopravvenute del giudice convenzionale; ciò significa che nel codice esiste senz’altro una lacuna che va risolta con la conseguente applicazione del citato art. 39, comma 1, c.p.a., che subordina il rinvio esterno alla coesistenza di due condizioni rappresentate dalla mancanza di una diversa disciplina codicistica e dalla compatibilità ovvero dal fatto che la norma processuale sia espressione di un principio generale.

Accertata la mancanza nel processo amministrativo di una disciplina dei rimedi in caso di contrarietà di una decisione passata in giudicato con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (senza quindi riferire genericamente tale elemento all’istituto della revocazione, che è invece presente nel processo amministrativo), deve essere valutato il secondo sopra menzionato elemento.

Al riguardo, si osserva che il rimedio certamente corrisponde ad un principio generale dell’ordinamento, ossia a quello, in ragione del quale, lo Stato italiano, ai sensi dell’art.11 della Costituzione, ha il dovere di conformare il proprio ordinamento interno ai principi CEDU, a maggior ragione quando risultino applicati in concreto in forza di accertamento contenuto in una sentenza pronunciata dalla Corte Europea.

Inoltre, l’istituto in questione è al di là di ogni ragionevole dubbio, sicuramente compatibile con il nostro sistema giuridico e anzi, come condivisibilmente osservato dalla parte ricorrente, laddove non si accedesse a questa interpretazione, finirebbe per essere frustrato il principio di effettività della tutela, predicato dall’articolo 1 del c.p.a., che costituisce principio generale che a sua volte impone di ricercare la soluzione interpretativa che meglio assicuri l’effettività della tutela giurisdizionale

Da ciò deriva un giudizio di compatibilità tra il principio espresso nell’art.391 quater c.p.c. e il sistema processuale amministrativo e, pertanto, in ragione dei principi appena esposti, l’art.391 quater c.p.c. deve ritenersi applicabile, per identità di ratio, anche al processo amministrativo.

5.2. Come anticipato, al contrario il Collegio non ritiene che la disposizione di cui all’art.391 quater c.p.c. possa consentire la revocazione anche di un giudicato amministrativo che sia in contrasto con una sentenza della Corte di giustizia U.E.; per questa parte della prospettazione, invero, non vi è spazio per un’applicazione analogica della relativa disposizione.

In primo luogo il dato letterale della disposizione contenuta nel codice di procedura civile esclude in radice la possibilità di estendere la sua applicazione a un caso diverso e non contemplato e poi di esportare tale estensione nel processo amministrativo, trattandosi di una operazione manipolativa del testo della legge del tutto diversa da quella in precedenza esposta che non è consentita al giudice.

Non vi è, quindi, spazio per la chiesta applicazione analogica dell’art.391 quater c.p.c. perché introdurrebbe – indebitamente, in sede interpretativa (rectius: creativa) –una nuova ipotesi di revocazione, suscettibile di incidere sulla stabilità del giudicato, ossia su di un valore portante del nostro ordinamento, forzando la volontà del legislatore, che ha espressamente confinato l’applicazione di questa misura al solo contrasto di una sentenza definitiva con una decisione sopravvenuta della Corte EDU.

5.3. Deve quindi essere valutato se, in questo caso, la mancata previsione del rimedio della revocazione possa comportare un dubbio di costituzionalità o di compatibilità con il diritto dell’Unione europea.

5.3.1. Pur tuttavia, vi è una preliminare e dirimente ragione da affrontare, che va valutata, perché è fondatamente dubitabile che, nel caso di specie, la ridetta questione presenti il necessario requisito della rilevanza.

Infatti, la fattispecie in esame è differente da quella esaminata dalla sentenza della Corte di Giustizia U.E. nella causa n.162 del 2022, del 7 settembre del 2023.

Quest’ultima aveva ad oggetto il caso di tabulati direttamente acquisiti da un’azienda fornitrice del servizio di telefonia, viceversa, nel caso delle chat riguardanti le conversazioni del dott. -OMISSIS-, si tratta di documenti legittimamente acquisiti nel processo penale celebratosi nei confronti di quest’ultimo, in forza di decreto autorizzativo del Giudice delle indagini preliminari (in coerenza con quanto affermato nel ricordato arresto delle Sezioni Unite Penali n.23755 del 2024).

In sostanza, con la sopravvenuta sentenza della Corte di Giustizia invocata dal ricorrente (Corte giust. 7 settembre 2023, C-162/22) è stato affermato che l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche), come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2009 (letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) deve essere interpretato nel senso che esso osta a che dati personali relativi a comunicazioni elettroniche che sono stati conservati, in applicazione di una misura legislativa adottata ai sensi di tale disposizione, dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica e che sono stati successivamente messi a disposizione, in applicazione della medesima misura, delle autorità competenti a fini di lotta alla criminalità grave, possano essere utilizzati nell’ambito di indagini per condotte illecite di natura corruttiva.

Nella presente fattispecie, tuttavia, non vengono in rilievo tali principi affermati dalla Corte di Giustizia, poiché le conversazioni via chat – come appena detto – sono state acquisite dall’Autorità giudiziaria non con una richiesta di acquisizione dei dati conservati, rivolta agli operatori telefonici, bensì a seguito del sequestro dell’apparecchio telefonico di soggetto indagato.

Ciò peraltro è stato oggetto di una espressa statuizione della sentenza di cui si chiede la revocazione (punto 13) con riferimento a precedenti sentenze della Corte di Giustizia che avevano affermato principi analoghi a quelli della invocata sopravvenuta decisione del 2023.

La non rilevanza nel presente giudizio del principio affermato dalla citata sentenza della Corte di Giustizia del 2023 costituisce dunque ragione autonoma e autosufficiente per escludere la necessità di procedere al rinvio pregiudiziale o di sollevare questione di costituzionalità.

5.3.2. A tale preclusivo elemento vanno aggiunte ulteriori considerazioni.

L’art.391 quater – che limita espressamente l’operatività del rimedio al contrasto con pronunce della Corte Edu – è stato infatti introdotto nel codice di procedura civile, in forza del d. lgs. n. 149 del 2022, per colmare una lacuna dell’ordinamento – evidenziata anche dalla Corte Costituzionale nelle due sentenze nn.123 del 2017 e 93 del 2018, rispettivamente riguardanti il processo amministrativo e quello civile – verificantesi con una certa frequenza, allorquando, pur avendo ottenuto una pronuncia favorevole sopravvenuta della CEDU, il titolare della situazione soggettiva tutelata dalla Convenzione, non avesse a conseguire un serio ristoro per il pregiudizio subìto dalla decisione negativa del giudice nazionale.

Il che accadeva nei casi in cui il risarcimento pecuniario, o non era sufficiente, o non era comunque adeguato a ripristinare la situazione lesa, finendo per configurare l’ipotesi ossimorica di una tutela senza protezione.

Il minus di difesa che la parte subiva rappresentava peraltro l’inevitabile conseguenza della peculiare tecnica di tutela approntata alle situazioni soggettive euro-convenzionali, che, come è noto, ha carattere sussidiario e residuale, potendo la parte azionare la relativa pretesa dinanzi alla CEDU, in forza dell’articolo 35 della Convenzione europea, solo dopo aver esperito tutte le possibili vie di tutela giurisdizionale messe a disposizione dall’ordinamento statale al cui interno si verifica la lesione.

Le descritte peculiarità del rimedio convenzionale, un unicum nel nostro ordinamento, non si rinvengono al contrario nel sistema che disciplina l’adizione della Corte di giustizia dell’U.E. la quale può essere richiesta dalla parte processuale, a tutela delle proprie pretese, in ogni grado ed in ogni tempo ai sensi dell’art.267 del TFUE, per il tramite del rinvio pregiudiziale, che diviene obbligatorio, ai sensi del comma 3 della medesima disposizione, per il giudice di ultima istanza, salvo vi sia la possibilità della cd. “interpretazione conforme” o si possa applicare la c.d. giurisprudenza Cilfit se la questione è materialmente identica ad altra già decisa dalla Corte, o se comunque il precedente risolve il punto di diritto controverso (e il contesto eventualmente nuovo non sollevi alcun dubbio reale circa la possibilità di applicare tale giurisprudenza), o se la corretta applicazione del diritto comunitario può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito a nessun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata (Corte giust. CE 6 ottobre 1982, C 283/81, Cilfit e, da ultimo, Corte giust. 6 ottobre 2021, C-561/19, Consorzio Italian Management).

A tacer del fatto che un’efficace forma di tutela delle posizioni unionali è, il più delle volte, assicurata attraverso il meccanismo della disapplicazione delle norme di legge statali in contrasto con i principi unionali.

La radicale diversità dei meccanismi di tutela dei due sistemi esclude dunque che, anche con riferimento a quello U.E., sia riscontrabile una lacuna consimile a quella riscontrata in relazione all’ordinamento CEDU, e, dunque, dimostra, già di per sé, la mancanza di eadem ratio che sola giustificherebbe un’applicazione analogica verticale dell’art.391 quater c.p.c. , ossia l’operatività dell’eadem dispositio.

Il sistema rimediale giurisdizionale U.E., infatti diversamente da quello euro-convenzionale, è astrattamente in grado di prevenire il paventato rischio di un giudicato che contrasti coi principi unionali, fermo restando che, laddove esso, anche solo in parte si profilasse, detta dis-funzione potrebbe essere corretta, dal giudice competente, in sede di giudizio di ottemperanza, come affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 11 del 2016 che ha ricordato le naturali dinamicità e progressività che caratterizzano il giudicato amministrativo e che lo orientano in funzione anche manipolativa nel rispetto dei principi comunitari.

5.3.3. La stessa Corte di Giustizia, seguendo un percorso logico-giuridico in parte affine a quello articolato nelle considerazioni sopra rassegnate, ha del resto escluso che i principi unionali di effettività e di equivalenza impongano l’estensione di alcuni istituti, quali quello della revisione o la revocazione, accordati in relazione alle sentenze CEDU, anche al contrasto del giudicato italiano con pronunce della corte unionale, vertendosi in situazione differenti e fra loro non comparabili.

Con una prima sentenza relativa a un caso italiano, quando ancora non esisteva il citato art. 391 quater c.p.c., la Corte di Giustizia ha escluso il contrasto con il diritto U.E. di un sistema che non consente di usare il rimedio del ricorso per revocazione per impugnare sentenze del Consiglio di Stato confliggenti con sentenze della Corte di giustizia, rilevando, sotto il profilo dell’effettività; che gli Stati membri non sono obbligati a istituire mezzi di ricorso diversi da quelli già contemplati dal diritto interno, a meno che, tuttavia, dall’impianto sistematico dell’ordinamento giuridico nazionale in questione risulti che non esiste alcun rimedio giurisdizionale che permetta, anche solo in via incidentale, di garantire il rispetto dei diritti che i singoli traggono dal diritto dell’Unione, o che l’unico modo per poter adire un giudice da parte di un singolo sia quello di commettere violazioni del diritto (Corte giust. UE, 7 luglio 2022, C-261/21, F. Hoffmann-La Roche in relazione ad una questione sollevata da Cons. St., VI, n. 2327/2021).

Con tale sentenza il giudice unionale ha inoltre rilevato, sotto il profilo della equivalenza, che l’articolo 106, comma 1, del codice del processo amministrativo, letto in combinato disposto con gli articoli 395 e 396 del codice di procedura civile, limita la possibilità per i singoli di chiedere la revocazione di una sentenza del Consiglio di Stato secondo le medesime modalità, indipendentemente dal fatto che la domanda di revocazione trovi il proprio fondamento in disposizioni di diritto nazionale, oppure in disposizioni del diritto dell’Unione.

Con riferimento al principio dell’equivalenza in relazione a un ordinamento che già prevedeva una revisione del processo (penale) nel caso in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo avesse previamente constatato una violazione della CEDU o di uno dei suoi protocolli, la Corte di Giustizia ha affermato che il principio di equivalenza non obbliga il giudice nazionale, qualora sia stata eccepita una violazione di un diritto fondamentale garantito dal diritto dell’Unione, segnatamente dalla Carta, ad estendere un mezzo di impugnazione di diritto interno che consente di ottenere, in caso di violazione della CEDU o di uno dei suoi protocolli, la ripetizione di un procedimento penale concluso con una decisione nazionale passata in giudicato (Corte di Giustizia, 24 ottobre 2018, C-234/17).

L’art. 391 quater c.p.c. richiede che il contenuto della decisione passata in giudicato sia stato dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contrario alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e quindi si tratta di una fattispecie del tutto diversa, e non equivalente a quella in cui si invoca una sopravvenuta sentenza della Corte di Giustizia, non attinente allo specifico giudicato, per chiedere la revocazione.

Non sussistono, quindi, i presupposti per disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, trattandosi proprio di una di quelle fattispecie in cui – sulla base della giurisprudenza Cilfit – il precedente risolve il punto di diritto controverso (e il contesto eventualmente nuovo non sollevi alcun dubbio reale circa la possibilità di applicare tale giurisprudenza) e la corretta applicazione del diritto comunitario si impone con evidenza tale da non lasciar adito a nessun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata, anche in considerazione di quanto evidenziato in precedenza sulla rilevanza, che – si ripete – assume carattere dirimente in quanto la sopravvenuta sentenza della Corte di giustizia, invocata da parte ricorrente, non si pone in contrasto con la decisione di cui è chiesta la revocazione, essendo differente l’oggetto e l’ambito di applicazione delle due pronunce, come sopra sottolineato.

5.4. In definitiva il ricorso per revocazione va dichiarato inammissibile per le ragioni in precedenza indicate.

La novità della questione giustifica la compensazione integrale delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sul ricorso in revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Compensa le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente e i nominativi degli altri soggetti indicati in sentenza.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 settembre 2024 con l’intervento dei magistrati:

Roberto Chieppa, Presidente

Massimiliano Noccelli, Consigliere

Angela Rotondano, Consigliere

Sergio Zeuli, Consigliere, Estensore

Marco Valentini, Consigliere

 

 

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Sergio Zeuli

Roberto Chieppa

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.