Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 8720 del 4 novembre 2024, ha trattato la questione della validità dell’ordinanza di demolizione emessa nei confronti di un immobile abusivo sottoposto a sequestro penale. La Corte ha stabilito che, pur in presenza di un sequestro penale sull’immobile, l’ordinanza di demolizione non perde la propria validità, ma il termine per la demolizione è solo differito fino al dissequestro dell’immobile. In altre parole, l’ordinanza resta valida ma l’esecutività dell’atto è sospesa fintanto che l’immobile rimane sotto sequestro, a prescindere dall’iniziativa della parte o della magistratura per il dissequestro del bene. La sentenza ha altresì precisato che il verbale di sequestro è stato riconosciuto come un atto idoneo ad accertare l’abuso edilizio e costituisce il presupposto necessario per l’adozione dell’ordinanza di demolizione.
Il tema trattato riguarda la legittimità dell’ordinanza di demolizione nei confronti di un immobile abusivo in caso di sequestro penale. La questione principale è se il sequestro penale possa rendere invalida l’ordinanza di demolizione o se, al contrario, il provvedimento di demolizione mantenga la propria validità, ma la sua esecutività venga differita fino al dissequestro dell’immobile.
Il Consiglio di Stato ha escluso che il sequestro penale possa influire sulla validità dell’ordinanza di demolizione, confermando che l’ordinanza è legittima anche durante il sequestro. Tuttavia, la Corte ha chiarito che, fintanto che l’immobile rimane sotto sequestro, il termine per l’esecuzione della demolizione non decorre, e l’esecuzione del provvedimento è sospesa. La Corte ha osservato che il sequestro penale non sottrae definitivamente il bene alla disponibilità del destinatario dell’ordinanza, ma impone solo un vincolo cautelare temporaneo che impedisce l’esecuzione immediata dell’ordine di demolizione. Inoltre, il verbale di sequestro è stato ritenuto un atto idoneo ad accertare l’abuso edilizio ai fini dell’adozione dell’ordinanza di demolizione, senza necessità di ulteriori provvedimenti per accertare la sussistenza dell’abuso stesso.
La sentenza si inserisce in un contesto giurisprudenziale che ha visto un confronto tra due orientamenti contrapposti. Il primo orientamento sostiene la legittimità dell’ordinanza di demolizione anche durante il sequestro penale, ritenendo che il destinatario dell’ordinanza abbia l’onere di chiedere il dissequestro per ottemperare al provvedimento. Questo orientamento è stato confermato in diverse sentenze del Consiglio di Stato e del TAR Sicilia. Il secondo orientamento, invece, ritiene nullo l’ordine di demolizione in caso di sequestro penale, sostenendo che l’impossibilità materiale di eseguire l’ordine renda il provvedimento inefficace. La sentenza in esame si allinea al primo orientamento, ma introduce una sfumatura importante, riconoscendo la sospensione dell’esecutività dell’ordinanza finché l’immobile è sotto sequestro.
La sentenza del Consiglio di Stato conferma che l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo non perde la propria validità se l’immobile è sottoposto a sequestro penale, ma il termine per l’esecuzione dell’ordinanza è sospeso fino al dissequestro dell’immobile. Il verbale di sequestro assume valore ai fini dell’accertamento dell’abuso edilizio e giustifica l’adozione dell’ordinanza di demolizione.
Pubblicato il 04/11/2024
- 08720/2024REG.PROV.COLL.
- 00806/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 806 del 2021, proposto dai signori -OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati Giuseppe Diana e Achille Buffardi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Comune di Calvizzano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Paolo Giannarini e Raffaele Agliata, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, Sezione Seconda, 24 giugno 2020, n. 2589, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Calvizzano;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista la richiesta di passaggio in decisione senza previa discussione orale del Comune appellato;
Visto l’art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 2 ottobre 2024, alla quale nessuno è presente per le parti, il Cons. Antonella Manzione;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
- Con l’appello in epigrafe i signori -OMISSIS- hanno impugnato la sentenza del T.a.r. per la Campania, Napoli, Sezione II, n. 2589 del 24 giugno 2020, chiedendone la riforma.
Ridetta sentenza appellata ha respinto il loro ricorso, n.r.g. 5001/2011, per l’annullamento dell’ordinanza del Comune di Calvizzano -OMISSIS- del 5 maggio 2011, recante ingiunzione a demolire il manufatto sito alla via -OMISSIS- su suolo distinto in catasto al -OMISSIS-, (zona CA- estensiva, secondo il vigente P.R.G.), avente dimensioni in pianta pari a m. 8 per 2,50 per 2,65, posto in aderenza ad immobili preesistenti in mattoni, tompagnato, con copertura in legno e tegole e relativa grondaia.
- Nel gravame parte appellante contesta l’iter argomentativo e le statuizioni della sentenza di prime cure, deducendo i seguenti motivi:
- I) error in iudicando, difetto di istruttoria, difetto dei presupposti, travisamento dei fatti, violazione del giusto procedimento, violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990 per motivazione erronea, incongruente e incomprensibile per avere il T.a.r. erroneamente disatteso i motivi di ricorso di cui alle lettere a) e b), con cui si è dedotta la violazione dell’art. 27, comma 3, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 del 2001 per mancanza del verbale di contestazione dell’abuso, essendone stato solo disposto il sequestro da parte della Polizia municipale;
- II) error in iudicando, violazione dell’art. 31 del medesimo d.P.R. n. 380/2001 in relazione all’art. 3 della legge n. 241/1990, eccesso di potere, difetto di motivazione e di istruttoria, perplessità, per avere il Tribunale amministrativo erroneamente negato la qualificazione del manufatto quale volume tecnico, pur essendo lo stesso destinato in parte ad un adeguamento igienico-sanitario e in parte ad ospitare attrezzature (serbatoio per la raccolta delle acque e macchine per il condizionamento dell’aria), per giunta condonato all’esito di istanza ex n. 724/1994;
III) error in iudicando, violazione ed errata applicazione degli artt. 31, 33 e 34 del d.P.R. n. 380/2001, eccesso di potere, difetto di motivazione e di istruttoria, perplessità per avere la sentenza non condiviso la doglianza (articolata attraverso le lettere c) e d), con cui sono stati dedotti i vizi di carenza di istruttoria, difetto dei presupposti e travisamento dei fatti, poiché il Comune di Calvizzano avrebbe assunto come appurato il dato della necessità di permesso di costruire, traendone la prova anche dall’avvenuta presentazione da parte degli interessati di istanza ex art. 36 del T.u.e., laddove la dimensione e la tipologia del manufatto rendevano sufficiente al più la presentazione di una d.i.a. e conseguentemente l’irrogazione di una sanzione pecuniaria. Inoltre la pendenza di una domanda di sanatoria non avrebbe dovuto impedire al Comune di valutare se la demolizione dell’ulteriore manufatto aderente all’immobile principale poteva pregiudicare la staticità dell’intero immobile e, quindi, l’applicabilità della sanzione pecuniaria in luogo della demolizione ai sensi dell’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001;
- IV) error in iudicando, violazione dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 in relazione all’art. 3 della legge n. 241 del 1990 sotto altro profilo, eccesso di potere, difetto di motivazione e di istruttoria poiché con il motivo di cui alla lettera f) parte ricorrente aveva dedotto la mancata esplicitazione dell’interesse pubblico all’eliminazione di un volume di dimensioni ridotte come quello in contestazione, anche in ragione dell’ampio decorso del tempo dalla sua realizzazione;
- V) error in iudicando, violazione dell’articolo 21-octies della legge n. 241/1990, eccesso di potere, difetto di motivazione e di istruttoria, violazione del principio di equità , violazione del principio di buon andamento di cui all’articolo 97 della Costituzione perché con il motivo del ricorso di primo grado di cui alla lettera g) parte ricorrente aveva lamentato che la pendenza del procedimento di sequestro sottraeva il bene alla disponibilità dei proprietari, rendendo loro impossibile l’ottemperanza all’ingiunzione demolitoria (sul punto, v. Cons Stato, sez. VI, 17 maggio 2017, n. 2337).
- Si è costituito nel giudizio di appello il Comune di Calvizzano per resistere al gravame.
3.1. Con successiva memoria in data 29 luglio 2024 ha ribadito il proprio interesse alla decisione. Con riferimento agli effetti della pendenza di sequestro penale sulla validità dell’ingiunzione a demolire, ha ricordato come rispetto alla sentenza citata, il Consiglio di Stato abbia da tempo cambiato orientamento (Cons. Stato, sez. IV, 27 luglio 2017, n. 3728); con riferimento alla pretesa applicabilità di sanzione pecuniaria, anziché demolitoria, ha evidenziato la mancata prova della configurabilità di un volume tecnico nonché l’insistenza dell’opera su manufatto già oggetto di condono realizzando una nuova volumetria e nuova superficie, potenzialmente a vocazione residenziale e abitabile.
- All’udienza di smaltimento del 2 ottobre 2024 il Collegio ha trattenuto la causa in decisione.
DIRITTO
- L’appello è infondato e va respinto.
- Il Collegio ritiene di raggruppare lo scrutinio dei motivi di gravame in ragione della loro omogeneità contenutistica, alterando la sistematica del ricorso per comodità espositiva.
- Sono infondati innanzi tutto il primo, il secondo e il quarto motivo di appello.
- Una volta accertato l’abuso edilizio, il procedimento sanzionatorio ha natura necessitata e contenuto doveroso, rispetto al quale all’amministrazione non è attribuito alcun margine di discrezionalità (cfr. ex plurimis Cons. Stato, Sez. VI, 24 novembre 2023, n. 10101). A ciò consegue la non necessità di esplicitare un motivo di interesse pubblico aggiuntivo rispetto al doveroso ripristino della legalità lesa e l’inesistenza di qualsivoglia affidamento del privato nella possibilità di mantenimento in loco dell’opera realizzata, peraltro di recente, come si evince dalla descrizione dei luoghi, siccome realizzata sine titulo.
8.1. Nella specie, diversamente da quanto gli appellanti tentano di sostenere, ridetto accertamento presupposto è stato correttamente e compiutamente effettuato, ancorché non sia stato redatto un formale verbale di contestazione, peraltro non richiesto nell’ambito della specificità del procedimento sanzionatorio riferito alla materia urbanistico-edilizia. La descrizione, conseguente all’accertamento dell’abuso, è contenuta infatti nel verbale di sequestro delle opere n. 2 del 2 febbraio 2009, opportunamente richiamato nelle premesse dell’ingiunzione demolitoria. Non vi è ragione per escludere che lo stesso assuma valore ai fini dell’accertamento richiesto dall’art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001. Addirittura, con tale tipologia di atto l’organo accertatore ha provveduto a “congelare” la situazione nello status quo al fine di evitarne ulteriori sviluppi illeciti e nel contempo fotografarne la consistenza all’attualità. Tale atto di polizia giudiziaria, ex se fidefacente della descrizione dello stato dei luoghi al pari di qualsivoglia altra verbalizzazione, quale che ne fosse la finalità all’interno del procedimento penale cui accede (probatoria o cautelare, ovvero duplice), è servito evidentemente a constatare la sussistenza e consistenza dell’abuso, “immobilizzandolo”, ovvero evitando che la libera disponibilità dello stesso ne comportasse un ulteriore sviluppo e di fatto l’ultimazione. Non si comprende dunque per quale ragione la descrizione dei luoghi ivi contenuta, cui si aggiunge il valore formale della “sottrazione di disponibilità”, non dovesse essere di per sé sufficiente a fondare il prosieguo del procedimento amministrativo, siccome in concreto avvenuto mediante l’adozione dell’ingiunzione a demolire.
- D’altro canto, con il quinto motivo di gravame sono gli stessi appellanti a valorizzare la portata del sequestro, che sottraendo loro la disponibilità del bene – necessariamente pertanto “fotografato” nello stato in cui era stato riscontrato – li avrebbe posti nell’impossibilità di dare esecuzione all’ingiunzione a demolire, che per tale ragione sarebbe priva di efficacia.
- Le rimanenti doglianze afferiscono alla presunta liceità dell’intervento posto in essere, che non necessitava di alcun titolo edilizio e che comunque era oggetto di richiesta di condono ex lege
- 724/1994. Di fatto, cioè, rispetto a tale manufatto sanato, quello accertato dalla polizia municipale ne sarebbe una mera minima superfetazione, destinata a volume tecnico a servizio dell’insieme.
- La nozione di volume tecnico corrisponde a un’opera priva di qualsiasi autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché destinata solo a contenere, senza possibilità di alternative, impianti serventi di una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali di essa (ex plurimis, Cons. Stato, sezione VI, 29 marzo 2024, n. 2973; id., 23 novembre 2023, n. 10062; 27 novembre 2017, n. 5516). Per tale ragione, i volumi tecnici sono tendenzialmente esclusi dal calcolo della volumetria solo a condizione che non assumano le caratteristiche di vano chiuso, utilizzabile e suscettibile di abitabilità.
10.1. Nella specie, tuttavia, la prova di ridetta destinazione residuale non è stata fornita dagli appellanti, che si sono limitati a dichiarane il (futuro) utilizzo in tal senso, pretermettendo che all’atto dell’accertamento dell’illecito nessun elemento consentiva di ricondurre l’opera alla finalità “tecnica” ora indicata.
10.2. Né la configurazione dell’illecito cambia ove lo si “annetta” ad immobile oggetto di precedente condono, stante che l’esistenza di ridetta sanatoria non è certo di per sé idonea a legittimare future implementazioni della costruzione sanata. Anzi, a voler aderire alla tesi degli appellanti, si sarebbe realizzata una prosecuzione di opera la cui avvenuta ultimazione a una certa data è presupposto indefettibile per la concessione della sanatoria.
- Correttamente, dunque, a fronte dell’avvenuto accertamento di un abuso in corso, per il quale è stato disposto anche il sequestro, riferito ad opera necessitante di permesso di costruire in quanto non qualificabile come volume tecnico, men che meno in evoluzione e sviluppo di manufatto già condonato, il Comune ha applicato la sanzione demolitoria di cui all’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001.
11.1. D’altro canto, che l’intervento necessitasse di permesso di costruire è sostanzialmente ammesso anche dagli appellanti, che hanno presentato al riguardo anche una domanda di sanatoria ordinaria ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001. Né si comprende come la portata implicitamente confessoria della stessa possa essere dequotata fino al punto da neutralizzarla, siccome asseritamente ininfluente ai fini della qualificazione «che il Comune prima e il T.a.r. poi avrebbe dovuto dare all’intervento oggetto dell’ordine di demolizione impugnato con il ricorso» (v. pag. 11 dell’appello, sub motivo III).
- Priva di pregio è altresì l’invocata possibilità di applicare una sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria ex art. 34 del T.u.e.
12.1. Innanzi tutto il Collegio rileva l’intrinseca contraddittorietà della formulazione di ridetto motivo di appello: dopo avere affermato, infatti, che nella specie sarebbe stata sufficiente per la realizzazione dell’intervento una mera d.i.a., gli appellanti invocano il regime sanzionatorio pecuniario alternativo alla demolizione meglio conosciuto come “fiscalizzazione” dell’abuso di cui all’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001, che si estende ai soli procedimenti dichiarativi usati quale alternativa al permesso di costruire nei casi indicati all’art. 23, comma 01 (v. art. 34, comma 2-bis del T.u.e.).
Ad ogni buon conto, anche accedendo alla tesi che nella specie fosse configurabile una parziale difformità dal titolo rilasciato per l’immobile principale (come tale astrattamente legittimante la c.d. monetizzazione dell’abuso), la natura eccezionale e derogatoria dell’istituto fa sì che per regola sia richiesta l’istanza della parte privata interessata ad evitare le conseguenze del prospettato ripristino ed in reazione allo stesso, sulla base della comprovata impossibilità del ripristino. Tale impossibilità infatti, oltre e prima che presupposto giuridico per accedere alla fiscalizzazione, integra un fattore materiale impeditivo dell’esecuzione in fatto, sicché a fronte dello stesso l’unico rimedio residuo a disposizione dell’ordinamento per reagire in maniera mirata alla situazione di accertata illegalità non può che essere la sanzione pecuniaria (sul punto v. Cons. Stato, sez. II, 15 novembre 2023, n. 9799).
Il relativo presupposto, quindi, ove non ne risulti l’avvenuto accertamento per altre ragioni in corso di procedimento, è necessariamente oggetto di verifica «[…] solo in fase di esecuzione e comunque soltanto allegato da parte ricorrente, senza che questi abbia fornito alcun principio di prova in proposito», come affermato dal T.a.r. per la Campania.
- Resta infine da dire del quinto e ultimo motivo di gravame, afferente l’impatto del sequestro sulla validità dell’ingiunzione a demolire.
13.1. Il Collegio ritiene innanzi tutto opportuno premettere che nella specie non è in contestazione l’effetto della constatata inottemperanza all’impugnata ingiunzione a demolire, ma la validità della stessa.
13.2. Ciò detto, non intende disconoscere che in passato si siano registrati orientamenti divergenti, epigoni dei quali sono ancora ravvisabili in sporadiche pronunce del Consiglio di Stato.
13.3. La materia è stata dunque approcciata in tre modi diversi.
13.3.1. Secondo una prima tesi, il sequestro sarebbe del tutto privo di rilievo sul procedimento amministrativo, perché, in sintesi, l’autore dell’abuso, destinatario dell’ordinanza di demolizione, avrebbe sempre la possibilità di conformarvisi richiedendo il dissequestro all’Autorità giudiziaria competente (cfr.: Consiglio di Stato, sez. VI, 28 gennaio 2016, n. 283; sez. IV, 23 gennaio 2012, n. 282).
13.3.2. Tale orientamento è stato sottoposto – più di recente – a critica, posto che: i) imporrebbe al responsabile dell’abuso un obbligo di presentare l’istanza di dissequestro che non è previsto dalla legge; ii) pregiudicherebbe il suo diritto, costituzionalmente garantito, alla difesa nel procedimento penale, che potrebbe avere seguito, del tutto legittimamente, una strategia incompatibile con l’istanza stessa (cfr.: Consiglio di Stato, Sez. VI, 17 maggio 2017, n. 2337). Si è dunque ritenuto che l’ordine di demolizione adottato in costanza di sequestro sarebbe da considerarsi nullo per mancanza di un elemento essenziale dell’atto, in quanto l’oggetto sarebbe impossibile (tesi propugnata dagli appellanti, non a caso invocando una sentenza del Consiglio di Stato del 2017).
13.3.3. A parere del terzo orientamento (che ha superato i precedenti ed è condiviso dal Collegio) occorre individuare un punto di equilibrio fra l’interesse pubblico alla tutela del territorio e quello privato alla difesa penale (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 luglio 2024, n. 6157; id., 23 marzo 2022, n. 2122; 2 ottobre 2019, n. 6592; 20 luglio 2018, n. 4418).
In questa prospettiva il sequestro penale dell’immobile non influenza la legittimità dell’ordinanza di demolizione. Il che appare logico, prima che giuridicamente fondato, stante che diversamente opinando la tutela del territorio verrebbe a dipendere da circostanze che non rientrano nel dominio dell’Amministrazione che vi è istituzionalmente preposta, che, anzi, potrebbe essere all’oscuro di tali circostanze. Inoltre, il contemperamento con le esigenze della difesa nel procedimento penale si realizza semplicemente ritenendo che il termine assegnato dall’ordinanza per la demolizione o la rimessione in pristino non decorra sin quando l’immobile rimane sotto sequestro, a prescindere dunque dall’autonoma iniziativa della parte ovvero della magistratura inquirente ai fini del dissequestro del bene.
13.4. Deve pertanto ritenersi che la sussistenza di un provvedimento di sequestro non incide sulla validità dell’ordinanza di demolizione ma comporta, esclusivamente, il differimento del termine per provvedere dal momento in cui il bene risulta dissequestrato (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 19 gennaio 2024, n. 638, e la giurisprudenza ivi richiamata; sez. VII, 20 giugno 2024, n. 5504).
13.5. Contrariamente dunque all’assunto degli appellanti, anche sotto tale profilo l’ordinanza gravata non è affetta da alcun vizio, come ben espresso dal primo giudice, richiamando la propria giurisprudenza, laddove si afferma che «qualora su un manufatto abusivo sussista un sequestro penale, il responsabile non può ritenere tale circostanza un’esimente per l’inosservanza dell’ordine di demolizione, dovendo lo stesso farsi parte attiva e, dunque, richiedere alla competente autorità giudiziaria la revoca del sequestro, al fine di dare esecuzione al predetto ordine» (T.a.r. per la Campania, Napoli, sez. III, 19 novembre 2018, n. 6650). L’esercizio del potere repressivo di un abuso edilizio è infatti autonomo rispetto ai poteri repressivi rimessi ad altre Autorità (e in particolare: all’Autorità giudiziaria penale, chiamata comunque a convalidare il sequestro disposto di iniziativa dalla polizia giudiziaria).
- In conclusione, per quanto sopra esposto, l’appello va respinto, dovendo la sentenza gravata essere integralmente confermata.
- Le richiamate pregresse oscillazioni giurisprudenziali in ordine all’impatto del sequestro sulla validità dell’ingiunzione a demolire giustificano la compensazione delle spese del grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare gli appellanti.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 2 ottobre 2024 tenutasi in modalità da remoto in videoconferenza con la continuativa e contemporanea presenza dei magistrati:
Oreste Mario Caputo, Presidente FF
Giovanni Sabbato, Consigliere
Antonella Manzione, Consigliere, Estensore
Carmelina Addesso, Consigliere
Roberta Ravasio, Consigliere
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L’ESTENSORE |
IL PRESIDENTE |
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Antonella Manzione |
Oreste Mario Caputo |
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IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.