Con la pronuncia in esame, il Consiglio di Stato ha ribadito la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione alla domanda di risarcimento del danno derivante dalla lesione dell’affidamento ingenerato da atti endoprocedimentali favorevoli al privato, quando il procedimento non si concluda con un provvedimento espresso e favorevole. La questione riguardava una società che aveva acquistato un terreno con l’intento di demolire un fabbricato ad uso deposito, ubicato in area esondabile, e trasferire la volumetria in un’altra zona del territorio comunale per realizzare un edificio residenziale. Durante il procedimento amministrativo, il Comune aveva adottato atti che facevano presagire un esito positivo della richiesta; tuttavia, in sede di conferenza di servizi, la Regione aveva segnalato che l’area individuata per la nuova costruzione non consentiva la realizzazione di ulteriori edifici. Di conseguenza, il permesso di costruire non era stato rilasciato.

Il TAR, con la sentenza di primo grado, aveva rigettato la domanda risarcitoria affermando che si trattasse di un’ipotesi di provvedimenti illegittimi, rientranti comunque nella giurisdizione amministrativa. Il Consiglio di Stato, adito in appello, si è concentrato preliminarmente sulla questione di giurisdizione, rilevando che, più che un danno derivante da provvedimenti illegittimi, nel caso di specie emergeva una responsabilità per comportamenti dell’amministrazione, valorizzati da atti endoprocedimentali, che avevano ingenerato un legittimo affidamento circa l’esito favorevole del procedimento. Tale affidamento, tuttavia, era stato disatteso, non essendo mai stato adottato un provvedimento conclusivo favorevole.

Nella decisione, il Collegio ha confutato l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione secondo cui, in situazioni di questo tipo, la giurisdizione spetterebbe al giudice ordinario, affermando invece che la tutela dell’affidamento e delle regole di correttezza procedimentale trova la sua sede naturale nell’ambito del giudice amministrativo, come già indicato dall’Adunanza Plenaria e in coerenza con l’art. 1, comma 2-bis, della l. n. 241/1990. Separare il profilo provvedimentale da quello risarcitorio, secondo il Consiglio di Stato, comporterebbe un rischio di duplicazione delle situazioni giuridiche e un allungamento dei termini di protezione giurisdizionale, con conseguenze non compatibili con l’ordinamento.

Nel merito, la domanda risarcitoria è stata respinta poiché il danno lamentato dalla società, consistente nella mancata realizzazione dell’edificio, non era causalmente collegato agli atti endoprocedimentali favorevoli adottati dal Comune. Infatti, la qualificazione urbanistica dell’area, che impediva l’edificazione, era già nota alla società al momento dell’acquisto del terreno e della presentazione della richiesta. Di conseguenza, il danno non è stato ritenuto riconducibile a un comportamento o a un atto della pubblica amministrazione, ma a una scelta imprenditoriale non pienamente informata.

Questa decisione si inserisce nel quadro giurisprudenziale volto a chiarire i confini della giurisdizione amministrativa, riaffermando che il giudice amministrativo è competente non solo per il controllo di legittimità degli atti, ma anche per le questioni risarcitorie derivanti da comportamenti amministrativi che si inseriscono nella gestione del potere pubblico, specialmente in materia di affidamento e correttezza procedimentale.

Pubblicato il 25/11/2024

  1. 09467/2024REG.PROV.COLL.
  2. 06794/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6794 del 2021, proposto da
– OMISSIS -, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Piera Sommovigo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia.

contro

Comune di Arcola, non costituito in giudizio.

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, Sez. I, n. 32 del 2021.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 luglio 2024 il Cons. Maurizio Santise e uditi per le parti gli avvocati viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

  1. Il presente giudizio ha ad oggetto una richiesta di risarcimento del danno proposta dalla società appellante contro il Comune di Arcola ritenuto responsabile di aver ingenerato, attraverso il cattivo esercizio del potere amministrativo, un ragionevole affidamento in ordine alla realizzazione di un intervento edificatorio.

In particolare, la – OMISSIS – ha evidenziato di aver acquistato un terreno, con retrostante fabbricato ad uso deposito, con atto di compravendita stipulato in data 18 novembre 2015, al prezzo di € 41.000,00. L’appellante ha evidenziato che con il predetto atto di acquisto si prefiggeva di demolire il fabbricato suddetto, ubicato in area esondabile, e di ricomporne la volumetria in un’altra zona del territorio comunale per realizzarvi un edificio residenziale.

Al suddetto atto di compravendita risultava allegato il certificato di destinazione urbanistica n.

91/2015, rilasciato dal Comune di Arcola, in cui l’area in oggetto risultava qualificata come “Zona

E3, Zone Agricoli normali”.

Per poter realizzare il predetto intervento, in data 14.11.2016, la società appellante presentava allo Sportello Unico per l’edilizia del Comune di Arcola regolare istanza di variante al PRG vigente del terreno suddetto, con allegato il progetto di demolizione e ricostruzione di edificio residenziale con contestuale richiesta di permesso di costruire.

L’Amministrazione comunale comunicava l’avvio del procedimento il successivo 28.11.2016 ed in

data 28.03.2017, con il rilascio di parere favorevole condizionato avente rilevanza urbanistica,

valutava positivamente il progetto proposto ed individuava l’area di atterraggio oggetto di intervento in “ID-MA 2.2 (Insediamento Diffuso-Mantenimento)” sulla quale è permessa la costruzione di nuovi fabbricati, affermando che “il nuovo edificio verrà ricollocato nella zona collinare in loc. Serra di Romito Magra in un lotto destinato a catasto al fg. 13 mapp. 2134-2135 attualmente ricadente, secondo il vigente P.R.G., in zona agricola normale E/3”.

  1. Con ulteriore atto prot. n. 21579/2017 del 14.09.2017, confermando espressamente l’ubicazione

e la qualificazione dell’area sottoposta ad intervento quale zona agricola E come da P.R.G. e P.T.C.P. della Regione Liguria, il Comune di Arcola, nella persona del Responsabile del procedimento, rilasciava parere favorevole richiedendo ulteriore integrazione, concludendo che: “a seguito della presente istruttoria si andrà a predisporre proposta di deliberazione di Consiglio Comunale per l’adozione della necessaria variante al P.R.G. ai sensi dell’art. 6 e 7 bis della L.R. 49/2009 e s.m.i. di cui la presente sarà parte integrante”.

In data 02.11.2017 l’istante ottemperava alle integrazioni richieste, presentando tutta la

necessaria documentazione richiesta dal Comune.

  1. Con deliberazione n. 72 del 29.09.2017 il Consiglio Comunale di Arcola, visto il progetto

presentato dalla società appellante, rilevata la contestuale istanza di permesso di costruire,

l’istruttoria a rilevanza urbanistica con parere favorevole rilasciata dall’U.T.C, il parere favorevole in ordine alla regolarità tecnica del Responsabile Area Urbanistica, e considerato che “la procedura di delocalizzazione, così come definita dall’art. 6 della L.R. 49/2009, si configura quale variante di

interesse locale da approvare mediante la procedura di conferenza di servizi”, dava atto all’unanimità che la proposta progettuale era finalizzata alla demolizione e ricostruzione con

ampliamento volumetrico di edificio esistente con delocalizzazione dello stesso in applicazione

degli artt. 6 e 7 bis della l.r. n. 49/2009 e dava altresì mandato esprimendo il preventivo assenso

affinché fosse attivata la predetta conferenza di servizi.

  1. L’istanza presentata dalla società appellante non ha, però, avuto esito favorevole in quanto la Regione Liguria, con nota prot. 378892 dell’1.12.2017, ha rappresentato al Comune di Arcola che, all’esito dell’esame della documentazione trasmessa in sede di conferenza dei servizi, l’edificio di cui al progetto proposto dalla società ricorrente non ricade nel P.T.C.P. in “zona ID-MA – insediamenti diffusi soggetti al regime normativo di mantenimento”, bensì in un’area qualificata come “zona IS-MA Saturo (Insediamento Sparso-Mantenimento Saturo)” su cui, ai sensi dell’art. 49 bis delle N.T.A regionali, non è consentita la realizzazione di nuovi fabbricati.

Tale precisazione deriva dall’aggiornamento del P.T.C.P. avvenuto con DGR nr. 1377 del 16.11.2012, di cui il Comune di Arcola non ha tenuto conto. Quest’ultimo, peraltro, dopo la nota regionale, non ha concluso il procedimento.

La società appellante ha, quindi, chiesto il risarcimento dei danni per aver confidato nella legittimità degi atti emanati dal Comune e nella conseguente possibilità di concludere favorevolmente il procedimento realizzando gli interventi edilizi richiesti.

Il T.a.r., con sentenza n. 32 del 2021, ha respinto il ricorso.

  1. La società appellante ha impugnato la sentenza, deducendo i seguenti motivi di appello:

Illegittimità ed erroneità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art.

2043 c.c. Travisamento di fatti decisivi. Contraddittorietà. Illogicità. Ingiustizia manifesta.

Il Comune di Arcola non si è costituito in giudizio.

Alla pubblica udienza dell’11 luglio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

Tanto premesso in punto di fatto l’appello è infondato.

  1. In via preliminare il T.a.r. ha ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto “la domanda risarcitoria non fa riferimento, quindi, ad una condotta colposa che l’avrebbe orientata verso particolari comportamenti negoziali, bensì ad uno specifico provvedimento ritenuto illegittimo che ha determinato, nella prospettiva della ricorrente medesima, conseguenze economiche pregiudizievoli. Si configura, in definitiva, un’ipotesi di danno da provvedimento illegittimo la cui cognizione resta attratta alla giurisdizione amministrativa”.

Va sul punto evidenziato che nella fattispecie, contrariamente a quanto affermato dal T.a.r., più che un danno da provvedimento illegittimo, si dovrebbe delineare un’ipotesi di responsabilità derivante da una serie di comportamenti, valorizzati da atti di natura endoprocedimentale, che avrebbero ingenerato nel richiedente l’ affidamento sulla conclusione positiva del procedimento; procedimento che, tuttavia, non è mai stato concluso con un provvedimento definitivo espresso.

Nel caso di specie, dunque, l’appellante rappresenta che il comune, con una serie di atti endoprocedimentali favorevoli alla realizzazione di un intervento edilizio, avrebbe ingenerato un affidamento sulla realizzabilità degli interventi medesimi.

  1. Il tema della responsabilità della pubblica amministrazione per lesione dell’affidamento da provvedimento favorevole ma illegittimo, poi annullato in via giurisdizionale o in autotutela dalla stessa p.a. – nonché, in un secondo momento, il danno da lesione dell’affidamento patito a prescindere dall’attività provvedimentale (fattispecie pertinente al presente giudizio) – è stato oggetto di pronunce divergenti da parte delle Sezioni unite della Corte di cassazione e dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

Le Sezioni unite con tre coeve ordinanze (nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011) hanno ritenuto ricomprese nel perimetro della giurisdizione del giudice ordinario:

  1. a) le controversie concernenti il risarcimento dei danni lamentati per la lesione dell’affidamento ingenerato dal provvedimento favorevole (in quella vicenda, segnatamente, una concessione edilizia) poi annullato legittimamente in via di autotutela (ord. n. 6594/2011);
  2. b) le controversie aventi ad oggetto il risarcimento dei danni lamentati per la lesione dell’affidamento riposto nell’attendibilità di un’attestazione rilasciata dalla pubblica amministrazione – dipoi rivelatasi erronea – circa la edificabilità di un’area (in quel caso, su richiesta del privato, che si era prodotto in una siffatta istanza per ponderare l’opportunità dell’acquisto di un fondo) e nella legittimità della conseguente concessione edilizia, successivamente annullata (ord. n. 6595/2011);
  3. c) le controversie aventi ad oggetto la domanda autonoma di risarcimento danni proposta da chi, avendo ottenuto l’aggiudicazione in una gara per l’appalto di un pubblico servizio, successivamente annullata dal giudice amministrativo, deduca la lesione dell’affidamento ingenerato dal provvedimento di aggiudicazione apparentemente legittimo (ord. n. 6596/2011).
  4. Le ordinanze di cui sopra hanno segnato una soluzione di continuità nella giurisprudenza di legittimità, laddove hanno ritenuto di superare il precedente orientamento – rappresentato dalla pronuncia n. 8511/2009 delle Sezioni Unite – che riteneva sufficiente, al fine del radicamento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, il mero collegamento della controversia con le materie indicate dalla legge e, per questa via, operava il riparto della giurisdizione sulla scorta della semplice definizione delle aree coperte dalle materie delineate dal legislatore. Aspetto centrale per ricondurre la giurisdizione al giudice ordinario è che l’agere amministrativo corrisponde a un mero comportamento, che non risulta riconducibile (neppure in via mediata) al potere amministrativo.

L’orientamento inaugurato dalle Sezioni unite nel 2011 è stato ribadito, non senza qualche indecisione e correzione di rotta, dalle sezioni unite nel corso del tempo. Con ordinanza del 28 aprile 2020, n. 8236, le Sezioni unite hanno ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice ordinario in caso di risarcimento del danno da lesione dell’affidamento, in quanto relativa a un danno «che oggettivamente prescinde da valutazioni sull’esercizio del potere pubblico», appuntandosi su doveri di comportamento, perizia, prudenza, diligenza, correttezza, richiesti dall’ordinamento anche all’Amministrazione. Questa tutela, però – stante la mancanza di connessione tra il danno e il potere pubblico, e la consistenza di diritto soggettivo della situazione (affidamento) fatta valere – non sarebbe riconducibile alla giurisdizione del g.a., con conseguente riserva della relativa cognizione al giudice ordinario. In tale pronuncia le sezioni unite hanno quindi esteso l’orientamento inaugurato nel 2011 anche, all’ipotesi, simile a quella oggetto del presente giudizio, in cui nessun provvedimento amministrativo ampliativo della sfera giuridica del cittadino sia stato emanato, cosicché, in definitiva, il privato abbia riposto il proprio affidamento in un comportamento dell’amministrazione.

  1. Le coordinate ermeneutiche tracciate dalle sezioni unite citate sono state, poi, pianamente confermate dalla Corte di cassazione (sez. un., 15 gennaio 2021, n. 615), ove è stato ribadito che «spetta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria la controversia relativa ad una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione dell’affidamento del privato nell’emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede»; ciò – proseguono le sezioni unite – «non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell’amministrazione».
  2. Di diverso avviso è, invece, stata l’Adunanza plenaria, la quale, con sentenza n. 20/2021, ha precisato che l’affidamento ha ad oggi assunto il ruolo di principio regolatore di ogni rapporto giuridico, anche quelli di diritto amministrativo, con ciò confermando quanto già statuito in tempi recenti dal Consiglio di Stato, che, con affermazione di carattere generale, ha stabilito che l’affidamento «è un principio generale dell’azione amministrativa che opera in presenza di una attività della pubblica amministrazione che fa sorgere nel destinatario l’aspettativa al mantenimento nel tempo del rapporto giuridico sorto a seguito di tale attività» (Cons. Stato, sez. VI, 13 agosto 2020, n. 5011). L’affidamento non costituisce, quindi, una posizione giuridica autonomamente rilevante, ma è un quid pluris, che assume la natura del rapporto principale sul quale s’innesta.

La giurisdizione è devoluta al giudice amministrativo, ha chiarito la Plenaria (punto 7 della sentenza) “perché la “fiducia” su cui riposava la relazione giuridica tra amministrazione e privato, asseritamente lesa, si riferisce non già ad un comportamento privato o materiale – a un “mero comportamento” – ma al potere pubblico, nell’esercizio del quale l’amministrazione è tenuta ad osservare le regole speciali che connotano il suo agire autoritativo e al quale si contrappongono situazioni soggettive del privato aventi la consistenza di interesse legittimo”. Sussiste, altresì, la giurisdizione esclusiva del g.a. anche quando il comportamento non si sia manifestato in atti amministrativi, perché anche in tali casi “l’operato dell’amministrazione costituisce comunque espressione dei poteri ad essa attribuiti per il perseguimento delle finalità di carattere pubblico devolute alla sua cura” (punto 8 della sentenza).

In tal caso, il Consiglio di Stato ha ravvisato nell’affidamento mal riposto la lesione di una posizione inquadrabile, comunque, nell’alveo dell’interesse legittimo, facendo leva sulla categoria civilistica dell’apparenza del diritto.

Ragionando in questi termini, l’Adunanza Plenaria ha ritenuto che ciò che viene protetto è la delusione della fiducia (mal)riposta nell’esercizio del potere favorevole in cui il privato abbia senza colpa confidato.

Da ciò consegue che la giurisdizione è devoluta al g.a. perché la “fiducia” su cui riposava la relazione giuridica tra Amministrazione e privato, asseritamente lesa, si riferisce non già ad un comportamento privato o materiale (quindi, a un “mero comportamento”), ma al potere pubblico, nell’esercizio del quale l’Amministrazione è tenuta ad osservare le regole speciali che connotano il suo agire autoritativo e al quale si contrappongono situazioni soggettive del privato aventi la consistenza di interesse legittimo, ma che possono essere anche di diritto soggettivo, nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva (come nel caso di specie).

In punto di responsabilità, l’Adunanza plenaria (sentenza n. 7 del 2021) ha espressamente disatteso le conclusioni delle sezioni unite che hanno ritenuto nella fattispecie sussistente una responsabilità da contatto sociale qualificato: “Il paradigma cui è improntato il sistema della responsabilità dell’amministrazione per l’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o per il mancato esercizio di quella doverosa, devoluto alla giurisdizione amministrativa, è quello della responsabilità da fatto illecito. Anche in un’organizzazione dei pubblici poteri improntata al buon andamento, in cui si afferma il modello dell’amministrazione “di prestazione”, quest’ultima mantiene rispetto al privato la posizione di supremazia necessaria a perseguire «i fini determinati dalla legge» (art. 1, comma 1, della legge n. 241 del 1990), con atti di carattere autoritativo in grado di incidere unilateralmente sulla sfera giuridica del privato. Nel rapporto amministrativo contraddistinto dalla ora descritta asimmetria delle posizioni si manifesta ad un tempo l’essenza

dell’ordinamento giuridico di diritto amministrativo e allo stesso tempo si creano le condizioni perché la pubblica amministrazione –per ragioni storiche, sistematiche e normative- non possa essere assimilata al “debitore” obbligato per contratto ad “adempiere” in modo esatto nei confronti del privato (punto 9 della sentenza).

  1. Le conclusioni raggiunte dalla Plenaria non sono state condivise da altra sentenza delle sezioni unite (ordinanza 24 gennaio 2023, n. 2175). Ancora più di recente poi la Corte di cassazione con l’ordinanza, 24 aprile 2023, n. 10880, ha affermato che le regole di correttezza e buona fede coesistono con quelle speciali che connotano l’agire autoritativo; ha tuttavia separato la posizione di interesse legittimo, discendente dall’attività autoritativa, dal diritto soggettivo collegato al doveroso rispetto dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede. Ha precisato, inoltre, che “la buona fede che qui rileva non è quella che l’art. 1 della legge sul procedimento amministrativo menziona, quale forma del rapporto fra cittadino e pubblica amministrazione unitamente alla collaborazione, e che corrisponde non alla regola di diritto civile, ma a un principio generale dell’ordinamento che ha la funzione, al pari della collaborazione, di modellare l’esercizio del potere fronteggiato dall’interesse legittimo (e di cui è espressione la previsione del ‘termine ragionevole comunque non superiore a diciotto mesi’ nell’art. 21 nonies per l’annullamento d’ufficio del provvedimento amministrativo illegittimo, c.d. affidamento legittimo). La correttezza che emerge con la lesione dell’affidamento è quella cui si correla una posizione di diritto soggettivo”. Per la Corte di cassazione si troverebbe conferma anche “nel rilievo che la legittima aspettativa (‘espérance légitime’ o ‘legitimate expectation’) rientra nell’ambito dei beni protetti dal disposto dell’articolo 1 del Protocollo 1 alla CEDU (Protezione della proprietà).
  2. La ricostruzione delle Sezioni unite non può però essere condivisa, oltre che per gli argomenti già evidenziati dall’Adunanza plenaria n. 20 del 2021, anche per le ulteriori ragioni che si passa ad esporre.

Centrale nella valutazione delle Sezioni unite è la considerazione che l’illegittimità del provvedimento annullato, e la legittimità dell’eventuale provvedimento di annullamento in autotutela, costituiscono presupposti della lite, che restano all’esterno del perimetro della controversia. L’oggetto del suddetto giudizio, invece, sarebbe il modo in cui l’amministrazione – nonché, peraltro, lo stesso privato destinatario del provvedimento – hanno o non hanno osservato le regole di correttezza nei reciproci rapporti. Precisa, inoltre, la Corte di Cassazione che “Tali regole, ricorda la stessa sentenza 20/2021 (p. 13), operano su piani distinti rispetto alle regole di legittimità amministrativa, “uno relativo alla validità degli atti amministrativi e l’altro fonte invece di responsabilità per l’amministrazione. Oltre che distinti, i profili in questione sono autonomi e non in rapporto di pregiudizialità, nella misura in cui l’accertamento di validità degli atti impugnati non implica che l’amministrazione sia esente da responsabilità per danni nondimeno subiti dal privato destinatario degli stessi, anche per violazione dei connessi obblighi di protezione inerenti al procedimento“. Stesse regole si applicherebbero anche in relazione ai casi in cui l’affidamento derivi dal complessivo comportamento tenuto dall’amministrazione, qualora nessun provvedimento ampliativo della sfera giuridica del cittadino sia stato emanato.

Va subito precisato che il richiamo fatto dalle Sezioni unite alla sentenza dell’Adunanza plenaria n. 20 del 2021 non è pertinente, in quanto nella citata sentenza, l’Adunanza plenaria, nella parte in cui ha evidenziato che le regole di legittimità e di correttezza operano su piani distinti, non ha voluto di certo affermare che la violazione delle prime va scrutinata solo dal giudice amministrativo, mentre la violazione delle seconde esclusivamente dal giudice ordinario, ma più semplicemente che anche un provvedimento legittimo e, quindi, conforme alle regole di validità, può essere fonte di risarcimento del danno se comunque l’amministrazione viola le regole di correttezza e buona fede. In tale senso, infatti, l’Adunanza Plenaria richiama la sentenza 5 settembre 2005, n. 6, in cui la stessa Adunanza plenaria ha affermato la giurisdizione amministrativa in relazione ad una domanda di risarcimento dei danni per responsabilità precontrattuale proposta dall’aggiudicataria di una procedura di affidamento nei confronti dell’amministrazione per revoca legittima della gara (principio poi ribadito con sentenza sempre dell’Adunanza plenaria n. 5 del 2018).

Peraltro, nella sentenza n. 20 del 2021, l’Adunanza plenaria ha precisato che la stessa legge (art. 1, comma 2-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241) ha confermato che: «(i) rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede”, disposizione che ha “positivizzato una regola di carattere generale dell’agire pubblicistico dell’amministrazione, che trae fondamento nei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento (art. 97, comma 2, Cost.) e che porta a compimento la concezione secondo cui il procedimento amministrativo – forma tipica di esercizio della funzione amministrativa – non è più contraddistinto dall’assoluta unilateralità del potere, ma è il luogo di composizione del conflitto tra l’interesse pubblico primario e gli altri interessi, pubblici e privati, coinvolti nell’esercizio del primo”.

Sostenere, dunque, che ogni qual volta ci sia lesione di un affidamento ingenerato da una condotta della p.a. posta in violazione di regole di correttezza e buona fede la giurisdizione sia del giudice ordinario è conclusione non in linea con la stessa legge n. 241 del 1990, che ha, peraltro, inaugurato una tendenza legislativa che trova il suo punto di arrivo nel codice dei contratti pubblici (cfr., art. 5 d.lgs. n. 36 del 2023, rubricato “Principi di buona fede e di tutela dell’affidamento”).

Separando idealmente il profilo provvedimentale-pubblicistico da quello civilistico anche con riferimento all’attività autoritativa non contrattuale, si corre, peraltro, il serio rischio di duplicare le situazioni giuridiche soggettive. Ad esempio, rispetto ad un’istanza volta al rilascio del permesso di costruire, dovrebbe individuarsi una posizione qualificabile in termini di interesse legittimo al rilascio del titolo abilitativo e una complementare posizione di diritto soggettivo in ordine al rispetto del principio dell’affidamento. Ciò potrebbe creare una rischiosa interferenza tra due diverse giurisdizioni e sottovalutare il fatto che la violazione dell’affidamento può già essere adeguatamente tutelata davanti al giudice amministrativo. Si ritornerebbe, peraltro, all’idea, ormai definitivamente superata, che la giurisdizione spetti al giudice amministrativo quando si chiede l’annullamento del provvedimento e al giudice ordinario se si chiede il risarcimento del danno essendo questa un’autonoma posizione giuridica soggettiva. Su tale punto, basti ricordare che, a più riprese, la Corte costituzionale ha escluso che quando “la domanda proposta dal cittadino abbia ad oggetto esclusivo il risarcimento del danno la giurisdizione competa al giudice ordinario”.

La coesistenza di una posizione di interesse legittimo e di una collaterale posizione di diritto soggettivo (concernente la tutela dell’affidamento) potrebbe poi creare il rischio di due giudizi sulla stessa vicenda con esiti di dubbia compatibilità col principio del giusto processo sancito dall’art. 111 Cost. e il pericolo di scarsa certezza nei rapporti tra pubblica amministrazione e privati. Così, ad esempio, qualora il privato faccia istanza per ottenere un titolo abilitativo e l’amministrazione concluda negativamente il procedimento, il destinatario dell’atto potrebbe decidere di non impugnare il diniego innanzi al giudice amministrativo né di agire per il risarcimento dei danni nel termine, ritenuto costituzionalmente non illegittimo (cfr., Corte cost., n. 94 del 2017), di centoventi giorni previsto dall’art. 30 c.p.a. ma di intraprendere nel termine di prescrizione previsto dal codice civile un’azione davanti al giudice ordinario sostenendo che il diniego, ormai definitivo, perché non impugnato, ha cagionato un pregiudizio individuabile nell’avere incolpevolmente riposto affidamento sulla possibile conclusione favorevole del procedimento. In casi del genere, la mancata impugnazione del diniego dovrebbe far propendere per la legittimità dell’azione amministrativa; tuttavia l’amministrazione resterebbe comunque esposta a richieste risarcitorie per un tempo di gran lunga più ampio rispetto a quello stabilito dall’art. 30 c.p.a. per l’esercizio dell’azione di risarcimento del danno, termine quest’ultimo, come già detto, valutato non costituzionalmente illegittimo nel bilanciamento degli interessi che vengono in gioco

  1. Infine, non può valere neppure il richiamo alla sentenza dell’Adunanza plenaria n. 5 del 2018 che ha qualificato l’affidamento come libertà di autodeterminazione, perché si riferisce all’attività precontrattuale/contrattuale e non a quella provvedimentale tout court della pubblica amministrazione. La libertà negoziale e l’obbligo di comportarsi in buona fede nella fase delle trattative sono ipotesi molti differenti rispetto alle regole pubblicistiche che governano il procedimento e il provvedimento amministrativo. È stato affermato in dottrina che “sarebbe come applicare al testamento o al matrimonio le regole del contratto”.
  2. Poco convincente, inoltre, nella ricostruzione delle Sezioni unite è l’affermazione che nel risarcimento del danno da lesione del legittimo affidamento causato da un provvedimento favorevole ma illegittimo o comunque da inerzia dell’amministrazione, il danno patito non sia causalmente collegato, nemmeno indirettamente, all’esercizio del potere pubblico.

Sul punto, come è stato anche suggerito in dottrina, è opportuno distinguere i comportamenti mediatamente collegati al potere attraverso un’analisi fondata sul nesso causale. Più precisamente occorre distinguere tra nessi immediati e nessi mediati: alla presenza dei primi vi sarebbe un comportamento autoritativo e alla presenza dei secondi un comportamento mediatamente riconducibile al potere.

Il comportamento può dirsi indirettamente (o mediatamente) collegato all’esercizio del potere quando, sulla base della teoria della regolarità causale, sia regolare conseguenza del potere.

Anche quando la lesione provocata dal comportamento materiale della pubblica amministrazione attenga a diritti soggettivi e non ad interessi legittimi non è possibile ricondurre le relative controversie nell’alveo della giurisdizione del giudice ordinario, dal momento che tali condotte si inseriscono comunque all’interno di una sequenza causale in relazione alla quale il centro del potere pubblico rappresenta un antecedente logico e causale rispetto al comportamento amministrativo, con conseguente giurisdizione esclusiva de giudice amministrativo, laddove prevista.

In relazione, invece, ai meri comportamenti, per i quali è pacifica la giurisdizione del giudice ordinario, la pubblica amministrazione opera come qualsiasi soggetto di diritto, trattandosi di comportamenti materiali non collegati nemmeno in via indiretta o mediata al potere pubblico.

  1. Venendo al caso di specie, non può dubitarsi che sussista la giurisdizione del g.a., in quanto la richiesta di risarcimento del danno è giustificata in relazione ad atti, sia pur endoprocedimentali, del Comune che facevano presagire un esito favorevole che poi non v’è stato in ragione dei rilievi regionali. È, dunque, l’esercizio del potere che rappresenta di certo l’antecedente logico causale del danno asseritamente vantato.

Allo stesso risultato si giunge anche ricostruendo la fattispecie nel senso che il danno è, comunque, causalmente riconducibile al comportamento complessivo tenuto dal Comune, che è quantomeno mediatamente collegato all’esercizio del potere: comportamento che è individuabile nella circostanza che il Comune ha emanato un atto che però, per le ragioni prima indicate, non è sfociato nel risultato sperato dalla parte ma che trova causa nell’attivazione del procedimento e nell’affidamento riposto dalla parte circa l’esito favorevole dello stesso.

Come già chiarito, rispetto alle sentenza delle sezioni unite n. 8236 del 2020, nella odierna fattispecie, emergono atti endoprocedimentali espressamente favorevoli al richiedente e, dunque, non è discutibile che il complessivo comportamento dell’amministrazione sia comunque collegato all’esercizio di un pubblico potere.

Ritiene, dunque, il Consiglio di dover ribadire la tesi della sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo.

  1. Passando al merito della controversia, la presente richiesta risarcitoria presuppone una responsabilità extracontrattuale della p.a. (cfr., Cons., Stato, Ad. plen. n. 7 del 2021) da lesione del legittimo affidamento serbato dall’appellante sulla correttezza degli atti/comportamenti adottati dal Comune (cfr., Cons. Stato, Ad. plen., n. 19, 20 e 21 del 2021). Tale responsabilità si fonda quindi su un complessivo comportamento dell’amministrazione che ha emanato atti endoprocedimentali favorevoli al richiedente per poi restare inerte e non concludere il procedimento. Il danno, in tale ipotesi, per essere risarcito, deve essere causalmente riconducibile al complessivo comportamento della p.a. che ha fatto sorgere un affidamento legittimo nei confronti del richiedente.

Nel caso di specie, tuttavia, non sussistono i presupposti per accogliere la domanda risarcitoria perché il danno emergente, richiesto dall’appellante, non è di certo causalmente riconducibile ad un provvedimento o ad un comportamento della p.a.

Come evidenziato dallo stesso appellante, ben prima dell’acquisto del bene e della presentazione dell’istanza al Comune, la qualificazione urbanistica dell’area avrebbe impedito la realizzazione dell’edificio.

L’aggiornamento al P.T.C.P. approvato dalla Giunta Regionale della Liguria nel 2012 (D.G.R. n. 1377 del 16 novembre 2012) ha modificato la classificazione della zona in cui ricade il terreno in oggetto da “ID-MA 2.2” a “IS-MA Saturo” e tale modifica della classificazione del terreno nel P.T.C.P. ha determinato l’impossibilità di edificazione di nuove costruzioni nell’area in oggetto, ai sensi dell’art. 49 bis del P.T.C.P. regionale.

L’atto di acquisto è stato stipulato da parte appellante solo in data 18 novembre 2015, quindi successivamente alla riclassificazione urbanistica; la stessa parte appellante ha presentato solo in data 14.11.2016, istanza di variante al piano regolatore al fine di realizzare il predetto intervento edilizio. Secondo l’appellante sarebbe insorto un ragionevole affidamento sulla realizzabilità dell’intervento dal comportamento del Comune che in più occasioni ha manifestato parere favorevole alla realizzazione dello stesso: in particolare, il Comune ha rilasciato il parere favorevole condizionato avente rilevanza urbanistica, in data 28.03.2017, valutando positivamente il progetto proposto e classificando espressamente l’area oggetto di intervento come ID-MA 2.2 (Insediamento Diffuso – Mantenimento), nella quale risulta permessa la costruzione di nuovi fabbricati.

Successivamente il Comune di Arcola ha ribadito il proprio parere favorevole all’istanza presentata sia con ulteriore atto prot. n. 21579/2019 del 14.09.2017 (cfr. doc. n. 9 produzioni del giudizio di primo grado), sia con la deliberazione n. 72 del 29.09.2017 del Consiglio Comunale di Arcola, nella quale si dava atto all’unanimità della consistenza del progetto (demolizione, delocalizzazione e

ricostruzione con ampliamento volumetrico) e veniva conferito mandato esprimendo il preventivo

assenso affinché fosse attivata la conferenza dei servizi prescritta per l’approvazione della variante

richiesta.

  1. Ritiene il Collegio che proprio le argomentazioni esposte dall’appellante conducono alla reiezione dell’appello.

Il dato dirimente è che al momento in cui parte appellante ha acquistato il bene e poi ha chiesto il rilascio del permesso di costruire era pacifico, alla luce della normativa urbanistica, che l’intervento non potesse essere realizzato.

Parte appellante ha chiesto il risarcimento del danno emergente, rappresentato dalle spese sostenute per l’acquisto del bene, rilevatosi inutile, e da quelle successivamente sopportate per la predisposizione del progetto edificatorio e per la sistemazione dell’area di intervento, nonché del lucro cessante pari ai mancati guadagni che sarebbero stati conseguiti attraverso la vendita degli

alloggi di nuova costruzione.

Non può però essere risarcito il danno emergente che certamente non è causalmente riconducibile ai provvedimenti del Comune sopra citati, in quanto parte appellante ha acquistato il bene ben prima di ottenere i citati provvedimenti. Né rileva la circostanza che fosse allegato all’atto di acquisto un certificato di destinazione urbanistica del Comune non conforme al reale stato urbanistico dell’immobile medesimo, in quanto, come la stessa parte appellante ha infatti precisato, la qualificazione urbanistica di un terreno non costituisce una circostanza “aleatoria” ma un dato oggettivo facilmente accertabile dallo stesso appellante in quanto derivante, come visto, dall’aggiornamento al P.T.C.P., approvato dalla Giunta Regionale della Liguria nel 2012 (D.G.R. n. 1377 del 16 novembre 2012), che ha modificato la classificazione della zona in cui ricade il terreno in oggetto da “ID-MA 2.2” a “IS-MA Saturo” e tale modifica della classificazione del terreno nel P.T.C.P. ha determinato l’impossibilità di edificazione di nuove costruzioni nell’area in oggetto, ai sensi dell’art. 49 bis del P.T.C.P. regionale.

Tale circostanza facilmente accertabile avrebbe dovuto essere ben conosciuta dallo stesso appellante all’atto della stipula dell’atto di acquisto del bene indipendentemente dalla certificazione urbanistica allegata. Del resto, la stessa Adunanza plenaria n. 20 del 2021 ha evidenziato che un affidamento incolpevole non è predicabile “se l’illegittimità del provvedimento era evidente e avrebbe pertanto potuto essere facilmente accertata dal suo beneficiario, in conformità a una regola di carattere generale, espressamente richiamata in ambito civilistico (art. 1147, comma 2, c.c.), secondo cui la buona fede «non giova se l’ignoranza dipende da colpa grave”.

In ogni caso, i provvedimenti del Comune non hanno mai assentito definitivamente la realizzazione dell’edificio, rimanendo confinati ad atti endoprocedimentali. Circostanza questa che esclude la possibilità di configurare un ragionevole, ed incolpevole, affidamento sulla realizzazione di un intervento che ancora non era stato assentito nella sua interezza.

Tali considerazioni già conducono alla reiezione integrale dell’appello.

  1. In ogni caso, non può essere riconosciuto alcun danno emergente per le spese sostenute per l’acquisto del bene, perché il prezzo pagato corrisponde evidentemente al valore del bene, non avendo parte appellante provato nulla in contrario. La circostanza genericamente dedotta secondo cui parte appellante ha acquistato solo per costruire l’edificio e rivenderlo non è stata provata da parte appellante, rimanendo, così confinata, in ambito negoziale, nei motivi soggettivi, come tali non rilevanti.
  2. Né possono essere riconosciuti i danni corrispondenti alle spese sostenute per la predisposizione del progetto edificatorio e per la sistemazione dell’area di intervento che sono state sostenute per libera iniziativa di parte appellante e ben prima che il comune emanasse i provvedimenti endoprocedimentali favorevoli. Come chiarito dal T.a.r. non possono neanche essere risarcite le spese sostenute per la demolizione del manufatto preesistente che non sono state documentate e non consta il titolo edilizio che avrebbe autorizzato detto intervento.
  3. Residua, dunque, unicamente la voce sui mancati guadagni relativi alla eventuale vendita degli alloggi di nuova costruzione; somma che parte appellante quantifica nella somma di € 140.000,00, pari al 40% del prezzo di € 350.000,00 indicato nelle proposte di acquisto già ricevute.

Si tratta di una richiesta risarcitoria che non può essere riconosciuta per varie ragioni. Non è affatto scontato, né provato, che se parte appellante avesse costruito e realizzato l’edificio nei termini stabiliti poi avrebbe venduto gli appartamenti. Il danno va risarcito solo se effettivamente provato, circostanza che nel caso di specie è quanto meno dubbia.

Nessun risarcimento per mancati guadagni può essere poi riconosciuto per un intervento che è stato legittimamente e correttamente negato, perché in contrasto con la normativa urbanistica.

Ne consegue che l’appello va respinto.

Le ragioni che hanno condotto alla presente decisione, unitamente alla peculiarità del caso concreto, giustificano la compensazione delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2024 con l’intervento dei magistrati:

Vincenzo Neri, Presidente

Silvia Martino, Consigliere

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Luigi Furno, Consigliere

Maurizio Santise, Consigliere, Estensore

 

 

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Maurizio Santise

Vincenzo Neri

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO