Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 8981 dell’11 novembre 2024, ha chiarito i presupposti e i limiti entro cui è possibile richiedere la proroga di un titolo edilizio, delineando il quadro giuridico di riferimento e i margini di discrezionalità amministrativa. Ai sensi dell’art. 15 del D.P.R. n. 380/2001, il permesso di costruire prevede termini certi per l’inizio e la conclusione dei lavori, che rispettivamente non possono superare un anno dalla comunicazione del titolo e tre anni dall’avvio dell’opera. La mancata osservanza di tali termini comporta la decadenza automatica del titolo edilizio per la parte non eseguita, salvo che il privato, prima della scadenza, presenti istanza motivata per ottenerne la proroga.
La sentenza precisa che il dies a quo per il decorso dei termini deve coincidere con la materiale comunicazione del provvedimento autorizzativo al destinatario, escludendo la possibilità di considerare come data rilevante quella di mera adozione del titolo. Tale interpretazione si fonda sull’applicazione analogica dell’art. 21-bis della L. n. 241/1990, secondo cui i provvedimenti che incidono negativamente sulla sfera giuridica dei privati producono effetti solo dopo la loro comunicazione. Sebbene il permesso di costruire sia un atto ampliativo, la regola della recettizietà è applicabile alle conseguenze pregiudizievoli che derivano dalla sua mancata esecuzione nei termini prescritti, come la decadenza. Non è sufficiente, dunque, una semplice lettera di invito al ritiro del titolo per far decorrere i termini: l’Amministrazione deve dimostrare che il destinatario ne abbia effettivamente acquisito conoscenza.
La proroga del titolo edilizio, come disposto dall’art. 15, può essere concessa per ragioni oggettive, sopravvenute e non imputabili al titolare, oppure per particolari difficoltà tecniche emerse in corso d’opera. Inoltre, essa può riguardare opere pubbliche il cui finanziamento sia articolato su più esercizi finanziari. Tuttavia, tali circostanze non operano automaticamente: è necessario che il privato presenti un’apposita istanza e che l’Amministrazione proceda a una valutazione discrezionale, ponderando gli interessi pubblici e privati in gioco. Il provvedimento di proroga, infatti, costituisce una novazione rispetto al termine originario e richiede un nuovo iter amministrativo.
La discrezionalità del Comune si estende sia alla valutazione dei presupposti per la concessione della proroga sia alla determinazione della sua durata. Tale margine decisionale, pur insindacabile nel merito, deve essere esercitato in modo coerente e motivato, evitando soluzioni arbitrarie o irragionevoli. La ratio della norma è quella di mantenere il controllo sull’attività edilizia, assicurandone il completamento entro limiti temporali certi e ragionevoli, senza tuttavia pregiudicare l’interesse pubblico al corretto utilizzo del territorio.
Infine, la decadenza del permesso di costruire non comporta automaticamente l’illegittimità delle opere già eseguite, ma implica la necessità di un nuovo titolo per le parti non ancora realizzate. In assenza di un’adeguata motivazione che giustifichi ragioni di pubblico interesse, è illegittimo l’ordine di demolizione delle opere iniziate sulla base di un titolo poi dichiarato decaduto. Tale principio è stato ribadito anche da precedenti conformi, che sottolineano come la proroga rappresenti un atto accessorio, ma essenziale per contemperare le esigenze del privato con l’interesse pubblico alla corretta gestione del territorio.
Pubblicato il 11/11/2024
- 08981/2024REG.PROV.COLL.
- 02946/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2946 del 2021, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Agostino Meale, Vincenzo Montagna e Rocco Palazzo, con domicilio digitale pec in registri di giustizia;
contro
-OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati Pierfrancesco Bruno e Sara Di Cunzolo, con domicilio digitale pec in registri di giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Aureliana, 63;
nei confronti
Comune di Rotondella, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Vittoria Falcone, con domicilio digitale pec in registri di giustizia;
Regione Basilicata, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata, n. 10/2021.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di -OMISSIS- con -OMISSIS- e del comune di Rotondella;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 87, comma 4 bis, cod. proc. amm.;
Relatore il Cons. Laura Marzano;
Uditi, all’udienza straordinaria del giorno 6 novembre 2024 l’avvocato Agostino Meale e l’avvocato Pierpaolo Polese in sostituzione dell’avvocato Sara Di Cunzolo, in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l’utilizzo della piattaforma “Microsoft Teams”;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
- L’appellante -OMISSIS- ha impugnato la sentenza del Tar Basilicata, n. 10 del 14 gennaio 2021, con cui è stato accolto il ricorso proposto dai sig.ri -OMISSIS-, annullando il provvedimento in data 1 ottobre 2020 (notificato sia alla sig.ra -OMISSIS-, nella qualità di titolare della concessione edilizia, sia al sig. -OMISSIS-, figlio della sig.ra -OMISSIS-, nella qualità di donatario ed attuale proprietario del fabbricato), con il quale il responsabile del settore urbanistica del comune di Rotondella ha dichiarato, ai sensi dell’art. 15 d.p.r. n. 380/2001, la decadenza, per il mancato rispetto del termine iniziale dei lavori, della concessione edilizia e del permesso di costruire in variante, rilasciati rispettivamente l’11 febbraio 2003 e l’11 maggio 2006 alla sig.ra -OMISSIS-, per la costruzione di un fabbricato sul terreno nella Contrada Trisaia del Comune di Rotondella, foglio n. 41, particella n. 28 nonché la successiva ordinanza n. 73 del 26 ottobre 2020 con la quale, richiamato il predetto provvedimento in data 1 ottobre 2020, è stato ingiunto al sig. -OMISSIS- la demolizione del suddetto fabbricato, composto da un piano interrato, da un piano rialzato, adibito ad abitazione e da una mansarda, destinata a locale di sgombero, costruito sul terreno, foglio n. 41, particella n. 28, e della relativa recinzione perimetrale dell’area circostante, costituita da muretto di calcestruzzo con sovrastante ringhiera di ferro.
I controinteressati appellati e il comune (cointeressato) si sono costituiti nel presente grado di giudizio chiedendo la reiezione dell’appello.
In vista della trattazione l’appellante e i controinteressati hanno depositato memoria conclusiva; questi ultimi hanno anche replicato.
All’udienza straordinaria del 6 novembre 2024, celebrata in collegamento da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione.
- La sig.ra -OMISSIS-, imprenditrice agricola, in data 3 giugno 2019 ha ottenuto dal comune di Rotondella un permesso di costruire (n. 3/2019) per la realizzazione, in zona agricola, di un capannone ortofrutticolo di trasformazione e commercializzazione di prodotti della sua azienda.
Il sig. -OMISSIS-, in qualità di confinante, deducendo che la realizzazione del capannone avrebbe pregiudicato la visuale goduta dalla sua abitazione, ha impugnato dinanzi al Tar il suddetto permesso.
La sig.ra -OMISSIS- in data 29 novembre 2019 ha proposto istanza di accesso agli atti al comune per verificare la legittimità delle autorizzazioni edilizie rilasciate per la costruzione dell’edificio abitato dal sig. -OMISSIS-, poiché realizzato in zona agricola.
L’accoglimento dell’istanza da parte del comune di Rotondella è stato immediatamente sospeso dal Tar Basilicata, con decreto cautelare n. 2/2020, su istanza del sig. -OMISSIS- (reso nel giudizio R.G. n. 15/2020).
In attesa della definizione del giudizio sull’accesso, con sentenza n. 260 del 27 aprile 2020, il Tar Basilicata ha accolto il diverso ricorso proposto dal -OMISSIS- avverso il permesso di costruire rilasciato alla sig.ra -OMISSIS- e, pertanto, ha annullato i provvedimenti impugnati.
Dopo aver deciso il giudizio di cui si è detto il Tar, con ordinanza n. 134 del 20 maggio 2020, ha respinto in sede collegiale la domanda cautelare proposta dal -OMISSIS- così consentendo l’ostensione degli atti alla -OMISSIS- (detto giudizio è stato poi dichiarato improcedibile con sentenza n. 457 del 13 luglio 2020).
Dopo aver esaminato la documentazione, con istanza del 5 giugno 2020 l’odierna appellante ha chiesto al comune di Rotondella e alla regione Basilicata l’annullamento in autotutela dei titoli edilizi rilasciati alla sig.ra -OMISSIS- per aver illegittimamente realizzato un edificio ad uso abitativo in zona agricola, poi trasferito in proprietà al figlio -OMISSIS-.
In sintesi l’appellante denunciava: l’assenza dei requisiti di legge per la costruzione di edifici ad uso abitativo in zona agricola; l’intervenuta decadenza della concessione edilizia n. 9 dell’11 febbraio 2003, poiché i lavori erano stati iniziati solo 13 mesi dopo il suo rilascio, senza che fosse intervenuta alcuna richiesta di proroga; l’inefficacia del titolo edilizio per assenza del deposito dei calcoli in cemento armato, essendo il comune di Rotondella classificato con il grado 2 di sismicità; l’esistenza di un grave conflitto di interessi, in quanto il titolo edilizio era stato rilasciato dall’ing. Nicola Longo, responsabile del settore tecnico del comune di Rotondella, lo stesso che aveva anche sottoscritto la comunicazione di inizio dei lavori (per conto della Sig.ra -OMISSIS-); la realizzazione di volumetria in eccesso rispetto a quella realmente edificabile; l’illegittimità del permesso di costruire in variante n. 15/2016 sia perché chiesta, per conto della sig.ra -OMISSIS-, dallo stesso ingegnere che aveva rilasciato la concessione edilizia per contro del comune di Rotondella, sia per l’assenza nel fascicolo edilizio dei calcoli delle prove eseguiti su calcestruzzo ed acciaio, del collaudo e del necessario certificato di agibilità/abitabilità del villino.
Il comune, con provvedimento prot. n. 3989 dell’1 ottobre 2020, ha dichiarato la decadenza della concessione edilizia n. 9/2033 e della variante n. 15/2006 e con ordinanza n. 73 del 26 ottobre 2020, ha ingiunto la demolizione del fabbricato ed il ripristino dello stato dei luoghi.
- I sigg.ri -OMISSIS- hanno impugnato i provvedimenti comunali dinanzi al Tar Basilicata il quale con sentenza n. 10 del 14 gennaio 2021 ha accolto il ricorso annullando i suddetti provvedimenti.
Il Tar ha rilevato che il comune ha esercitato il potere di autotutela ben oltre il termine di 18 mesi prescritto dall’art. 21 nonies della l. n. 241/1990.
Nello specifico il Tar ha affermato che: a) il comune avrebbe dovuto contestare la violazione del termine dei 6 mesi per l’inizio dei lavori immediatamente dopo il 19 marzo 2004 (data in cui la signora -OMISSIS- ha comunicato che i lavori sarebbero iniziati in data 15 aprile 2004); la contestazione avvenuta dopo oltre 16 anni dalla nota suddetta ha violato i principi in materia di affidamento e buona fede; b) non vi è stato alcun mutamento della destinazione agricola del fondo; c) la signora -OMISSIS- percepiva la pensione di coltivatrice diretta dal 1995; d) la mancata istanza per il rilascio dell’agibilità può giustificare una mera sanzione pecuniaria.
Il Tar ha poi ritenuto assorbiti il primo motivo con il quale erano state formulate diverse censure relative alla violazione dell’art. 7 l. n. 241/1990, sia il quarto motivo di eccesso di potere per sviamento, essendo stato il provvedimento in autotutela emanato dopo (e sostanzialmente in reazione a) la sentenza Tar n. 260/2020 di accoglimento del ricorso del signor -OMISSIS- avverso il permesso di costruire del 3 giugno 2019 e l’autorizzazione paesaggistica del 16 maggio 2019, rilasciati alla sig.ra -OMISSIS-, per la costruzione di un fabbricato sul terreno, confinante con quello di cui è causa, foglio n. 41, particella n. 28.
- L’appello è affidato ad un unico motivo con cui sono formulate le censure di seguito sintetizzate.
L’appellante ritiene che il comune abbia legittimamente esercitato il potere di annullamento posto che i ricorrenti di primo grado non sarebbero stati in possesso dei requisiti necessari per edificare in zona agricola immobili ad uso abitativo.
Afferma che la dichiarazione della signora -OMISSIS- avente ad oggetto la propria legittimazione ad edificare in zona agricola (fondata sul dedicare oltre 2/3 del tempo di lavoro all’attività agricola e di ricavare dalla medesima oltre i 2/3 del reddito globale) sarebbe falsa, essendo provato in atti che i ricorrenti di primo grado non risultavano iscritti “…nel periodo di tempo dal 2003 al 2009 nella gestione autonoma dei lavori agricoli né come IAP (imprenditori agricoli professionali) e neppure come CD (Coltivatori Diretti)” (cfr. nota Inps del 16 giugno 2020).
A fronte di ciò sussisterebbe il potere/dovere del comune di verificare la sussistenza dei requisiti legittimanti un beneficio di legge e, quindi, di revocarlo in loro assenza.
Il Tar erroneamente avrebbe valorizzato la circostanza che la signora -OMISSIS- risultava essere “coltivatrice diretta” in pensione dal 1995: tale circostanza non sarebbe dirimente posto che l’art. 17 del d.lgs. n. 380/2001, in linea con quanto prescritto nell’art. 12 della legge n. 157/1975, individua quale unico presupposto della norma di favore il vantaggio per la conduzione del fondo agricolo e per le esigenze dell’imprenditore agricolo a titolo principale, ma non estende il beneficio alla categoria dei pensionati, oltretutto cessati dal lavoro ben 8 anni prima.
Sotto ulteriore profilo, l’appellante censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che, trattandosi di provvedimento di autotutela, si sarebbe dovuto rispettare l’art. 21 nonies. Al contrario si tratterebbe di un provvedimento di decadenza, ovvero di un atto dovuto, di una mera presa d’atto della perdita di efficacia del titolo.
Infine ripropone le eccezioni di merito su cui il Tar non è pronunciato, aventi ad oggetto, sostanzialmente, il fatto che il fabbricato realizzato non avrebbe le caratteristiche della ruralità richieste dalla legge.
- Il comune di Rotondella, nel costituirsi in giudizio, ha chiesto la riforma della sentenza.
I controinteressati appellati, ricorrenti di primo grado, hanno preliminarmente eccepito l’inammissibilità dell’appello per genericità e, nel merito, ne hanno chiesto comunque il rigetto per infondatezza.
Hanno poi riproposto integralmente, ai sensi dell’art. 101 c.p.a., il primo e il quarto motivo di ricorso – dichiarati assorbiti – aventi ad oggetto:
- I) la violazione dell’art. 7 l. n. 241/1990, in quanto con la suindicata comunicazione di avvio del procedimento dell’8 luglio 2020 era stato specificato che il procedimento era finalizzato solo all’adozione del provvedimento di decadenza ex art. 15 DPR n. 380/2001, mentre con l’impugnato provvedimento di decadenza prot. n. 3989 dell’1 ottobre 2020 ha precisato che: a) era stato violato il termine perentorio di 6 mesi, cioè dell’11 agosto 2003, per l’inizio dei lavori di costruzione del fabbricato di cui è causa, indicato nella concessione edilizia dell’11 febbraio 2003; b) era stato dichiarato decaduto anche il permesso di costruire in variante dell’11 maggio 2006; c) la sig.ra -OMISSIS-, poiché non era imprenditrice agricola professionale o coltivatrice diretta, oltre ad aver illegittimamente usufruito dell’esenzione dal contributo di costruzione ex art. 17, comma 3, lett. a), d.p.r. n. 380/2001, non avrebbe potuto realizzare il fabbricato in questione;
- IV) l’eccesso di potere per sviamento, in quanto il comune avrebbe adottato i provvedimenti impugnati, per reagire alla sentenza del Tar n. 260 del 27 aprile 2020 (il cui giudizio di appello, proposto dal Ministero per i beni e le attività culturali e nel quale hanno proposto appello incidentale il comune di Rotondella e la sig.ra -OMISSIS-, si è concluso con sentenza n. 5507 del 22 luglio 2021 con cui la sezione IV ha riformato la sentenza del Tar dichiarando irricevibile il ricorso introduttivo e inammissibili i motivi aggiunti – in sintesi la -OMISSIS- può tenere la sua costruzione), di accoglimento del ricorso proposto dal -OMISSIS-, con la quale sono stati annullati il permesso di costruire del 3 giugno 2019 e l’autorizzazione paesaggistica del 16 maggio 2019, rilasciati alla sig.ra -OMISSIS-, per la costruzione di un fabbricato sul terreno, confinante con quello di cui è causa, foglio n. 41, particella n. 28.
- Deve innanzitutto mettersi ordine nelle vicende fattuali.
Oggetto del contendere nel presente giudizio è il provvedimento del comune di Rotondella del 1 ottobre 2020 con cui è stata dichiarata la decadenza del permesso di costruire n. 9/2003 rilasciato alla signora -OMISSIS- Giovanna per mancato inizio dei lavori nel termine di sei mesi dal suo rilascio, avvenuto in data 11 febbraio 2003.
La verifica da parte del comune è scaturita (semplificando) da un dissidio fra confinanti: infatti il sig. -OMISSIS-, attuale proprietario dell’immobile realizzato da sua madre -OMISSIS- Giovanna, ha impugnato il permesso di costruire n. 3 del 3 giugno 2019, rilasciato alla signora -OMISSIS- per edificare su un terreno confinante.
La signora -OMISSIS-, a sua volta, dopo aver ottenuto accesso agli atti, ha sollecitato il comune all’adozione del provvedimento di decadenza del permesso di costruire illo tempore rilasciato alla -OMISSIS-: provvedimento che il comune ha adottato in data 1 ottobre 2020 e che, come detto, costituisce l’oggetto del presente giudizio.
Attualmente, come ricavabile dalla narrativa, il permesso di costruire rilasciato alla -OMISSIS- si è definitivamente consolidato atteso che, con sentenza n. 5507 del 22 luglio 2021 con cui la sezione IV di questo Consiglio ha riformato la sentenza del Tar n. n. 260 del 27 aprile 2020 (che aveva annullato il suddetto permesso di costruire) e, senza poter entrare nel merito della legittimità o meno dello stesso, ha dichiarato irricevibile per tardività il ricorso introduttivo e inammissibili i motivi aggiunti.
- Non è contestato che il permesso di costruire per cui è causa è stato rilasciato in data 11 febbraio 2003, con l’espressa prescrizione che “i lavori dovranno avere inizio entro sei mesi dalla data della presente ed essere portati a termine, in modo che l’opera sia abitabile ed agibile, entro tre anni dalla data della stessa”.
È, altresì, incontestato che, sebbene risulti rispettato il termine triennale di ultimazione dei lavori, non sia stato, al contrario, rispettato il termine di inizio degli stessi: invero, detto termine scava in data 11 agosto 2003 laddove, invece, i lavori sono iniziati in data 15 aprile 2004 come da comunicazione inviata al comune dalla signora -OMISSIS- il 19 marzo 2004.
Infine è incontestato che la signora -OMISSIS- non ha chiesto alcuna proroga del suddetto termine: proroga che deve essere richiesta in modo espresso prima della scadenza del termine e il cui accoglimento è indefettibile affinché non sia pronunciata la decadenza del titolo edilizio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 dicembre 2020, n. 7701).
Da ciò discende che alla nota del 19 marzo 2004 con cui la -OMISSIS- ha comunicato che i lavori sarebbero iniziati in data 15 aprile 2004, non può essere attribuita la valenza di istanza di proroga, sia perché difetta di tale contenuto sia perché, in ogni caso, è successiva alla scadenza del termine.
Né, al rilascio del permesso di costruire in variante dell’11 maggio 2006, per l’apertura di 3 nuove finestre e la trasformazione sul prospetto frontale del vetrocemento in finestre, può essere attribuita la valenza di una «implicita ma indefettibile proroga del termine di inizio dei lavori», come ha affermato il Tar atteso che, giova ripeterlo, una istanza di proroga non è stata mai chiesta, neanche tardivamente, sì da poter attribuire alla variante la consistenza di proroga implicita.
- A fronte di tale dato inconfutabile, la decadenza del permesso di costruire si è verificata ex lege, rappresentando la dichiarazione del comune un atto necessario ma meramente ricognitivo di un effetto prodottosi.
Conseguenza immediata e diretta di tale decadenza ex lege è che l’immobile risulta abusivo, poiché realizzato in assenza di un valido permesso di costruire.
Invero, in ordine ai caratteri del provvedimento di decadenza del permesso di costruire ex art. 15 d.p.r. n. 380/2001 va rilevato che: a) in conformità coi principi generali di trasparenza e certezza giuridica ex artt. 1 e 2, l. n. 241 del 1990, è sempre richiesto che l’amministrazione si pronunci con provvedimenti espressi, sia pure con valenza ricognitiva di effetti discendenti direttamente dalla legge, sicché risulta necessaria l’adozione di un formale provvedimento in relazione all’esercizio del potere attribuito dall’art. 15 del testo unico dell’edilizia (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 16 maggio 2024, n. 4391); b) alla luce del tenore testuale delle norme sancite dall’art. 15, commi 2 e 2 bis, dello stesso testo unico è necessario, per evitare la decadenza, che il titolare richieda una proroga prima della decorrenza del termine di cui si tratta; c) risponde ad un principio generale dell’ordinamento la regola secondo cui la proroga del termine per il compimento di una certa attività deve essere richiesta prima della scadenza del termine medesimo, per esigenze di chiarezza, di trasparenza e di pubblicità, a garanzia delle parti e, più in generale, dei terzi; la presentazione della richiesta di proroga è infatti funzionale ad evidenziare la sussistenza e la perduranza dell’interesse del privato alla realizzazione dell’intervento programmato, sia nei rapporti con l’amministrazione che aveva rilasciato il titolo, sia rispetto ai terzi che, per ragioni di vicinitas, potrebbero avere un qualche interesse ad opporsi all’altrui iniziativa edificatoria (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 2023, n. 2757).
- Non è condivisibile la sentenza impugnata laddove afferma che il comune di Rotondella avrebbe “dovuto” contestare immediatamente dopo il 19 marzo 2004 la violazione del termine perentorio di 6 mesi per l’inizio dei lavori dal rilascio della concessione edilizia dell’11 febbraio 2003, con la conseguenza che la contestazione tardiva sarebbe illegittima.
Si può convenire sul fatto che sarebbe stata “opportuna” una declaratoria fatta in tempi ben più brevi.
Tuttavia, sebbene sia indubitabile che, nel caso di specie, la condotta del comune non abbia brillato per efficienza e tempestività (la decadenza è stata dichiarata dopo oltre 16 dalla comunicazione del 19 marzo 2004), è del tutto irrilevante ai fini di un possibile affidamento “legittimo” che la sig.ra -OMISSIS- abbia rispettato il termine di ultimazione dei lavori di 3 anni; diversamente da quanto afferma il Tar da ciò non discende affatto la violazione dei principi in materia di affidamento e buona fede, in quanto costituisce jus receptum che giammai può ingenerarsi alcun affidamento, tanto meno legittimo, a fronte di una situazione conclamatamene contra jus.
Non può ragionevolmente invocarsi la formazione di un legittimo affidamento in presenza di opere abusive; l’affidamento, per essere legittimo e come tale tutelabile, deve essere incolpevole, ovvero originare in via esclusiva dal comportamento dell’amministrazione non potendosi formare allorquando si fondi sulla violazione da parte del privato di obblighi normativamente imposti (cfr. Cons. Stato, sez. II, 25 marzo 2024, n. 2834).
Nel caso di specie, da una parte il permesso di costruire era chiaro nel prescrivere che i lavori dovessero iniziare entro sei mesi dal suo rilascio, dall’altra la decadenza è un effetto conseguente all’inutile decorso del termine, previsto direttamente dalla legge (art. 15 d.p.r. n. 380/2001), che sia la parte sia il tecnico dalla stessa incaricato sono tenuti a conoscere.
L’ordinanza di demolizione successivamente adottata è un atto meramente consequenziale e doveroso, che non richiede né una particolare motivazione né deve essere assistito da garanzia procedimentali (cfr., fra le più recenti, Cons. Stato, sez. II, 8 febbraio 2024, n. 1299; sez. VII, 22 gennaio 2024, n. 659; sez. VII, 5 gennaio 2024, n. 212; sez. VI, 2 gennaio 2024, n. 22).
Ciò nel solco di quanto statuito dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con sentenza 17 ottobre 2017 n. 9 secondo cui «il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino».
Centrale, nella sentenza dell’Adunanza plenaria così come nella n. 8 del 2017, è il tema dell’affidamento del destinatario del provvedimento amministrativo, rispetto al quale:
- a) esclude che una tolleranza duratura da parte dell’amministrazione possa incidere sul potere dell’amministrazione di repressione delle situazioni abusive o di annullamento del titolo edilizio illegittimo (nei casi, ovviamente, in cui tale annullamento non richieda una motivazione specifica);
- b) nega che l’insussistenza di qualsiasi concorso nell’abuso o nell’erronea rappresentazione dei fatti da parte dell’attuale titolare del bene possa contribuire ai fini della configurabilità di un affidamento;
- c) esclude la possibilità di ammettere un affidamento in presenza di un errore del privato, indipendentemente da ogni considerazione sui contenuti e sulle cause di tale errore;
- d) esclude, in specie ai fini risarcitori, la configurabilità di un affidamento legittimo rispetto a un provvedimento illegittimo.
- Sebbene quanto fin qui argomentato sia sufficiente per accogliere l’appello, il Collegio ritiene di dover esaminare anche gli ulteriori profili affrontati dalla sentenza impugnata i quali, invece, meritano conferma.
Come correttamente rilevato dal Tar, gli ultronei rilievi, segnatamente la mancanza della qualità di coltivatrice della -OMISSIS-, su cui si fonda l’impugnato provvedimento prot. n. 3989 dell’1 ottobre 2020, essendo qualificabili come motivi a sostegno dell’annullamento in autotutela della suddetta concessione edilizia dell’11 febbraio 2003 e del permesso di costruire in variante dell’11 maggio 2006, violano i principi in materia di autotutela e, segnatamente, l’art. 21 nonies della legge n. 241/1990 il quale, nella versione applicabile ratione temporis, stabilisce che il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21 octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21 octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, “entro un termine ragionevole, comunque non superiore a 18 mesi, dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione”.
In proposito la giurisprudenza di questo Consiglio ha statuito che per i provvedimenti illegittimi emanati anteriormente al 28 agosto 2015 (data di entrata in vigore delle modifiche introdotte dall’articolo 6, comma 1, lettera d), numero 1) della legge 7 agosto 2015, n. 124), il termine massimo di 18 mesi, entro cui va adottato il provvedimento di autotutela, “comincia a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione normativa”, in quanto il termine dei diciotto mesi non può applicarsi in via retroattiva (cfr. sez. IV n. 18 luglio 2018, n. 4374; sez. VI, 13 luglio 2017, n. 3462; sez. V 19 gennaio 2017, n. 250).
- Parimenti da confermare è la sentenza nella parte in cui ha statuito che non rileva, ai fini dell’eventuale slittamento del termine di inizio lavori, l’avvenuto rilascio dell’autorizzazione sismica, atteso che, nella specie, eventuali ritardi nell’ottenimento della predetta autorizzazione sono addebitabili alla sig.ra -OMISSIS-, titolare del permesso di costruire, in quanto l’art. 2 della legge della regione Basilicata n. 38/1997, nel disciplinare l’autorizzazione sismica, prevede, prima dell’inizio dei lavori edili di costruzione nei comuni classificati sismici, soltanto il deposito del progetto esecutivo, munito dei calcoli statici e dell’attestazione di conformità alla normativa antisismica presso gli uffici regionali e la formazione del silenzio assenso dopo il decorso di 30 giorni (cfr. comma 11 del predetto art. 2 l.r. n. 38/1997).
- Quanto alle ulteriori “eccezioni” riproposte ai sensi dell’art. 101, comma 3, c.p.a., si può prescindere dalla pendenza, dinanzi all’Adunanza plenaria, della questione sollevata dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, sezione giurisdizionale con sentenza non definitiva n. 652 del 16 agosto 2024, attesa da una parte la genericità di tali argomentazioni non effettivamente riproposte e, dall’altra, la considerazione che, a fronte della dichiarata decadenza del permesso di costruire, le questioni ivi dedotte, che attengono invece al diverso profilo dell’annullamento in autotutela dello stesso, sono divenute irrilevanti.
Conclusivamente, per quanto precede, l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata deve essere respinto il ricorso introduttivo.
Resta fermo il potere dell’amministrazione di valutare l’eventuale accertamento di conformità dell’immobile ove la parte privata intenda avvalersi di tale strumento.
- Le spese del doppio grado di giudizio, in ragione della complessità della vicenda, possono essere interamente compensate fra tutte le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso introduttivo.
Compensa fra tutte le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, in collegamento da remoto, nella camera di consiglio del giorno 6 novembre 2024, con l’intervento dei magistrati:
Oreste Mario Caputo, Presidente FF
Giovanni Sabbato, Consigliere
Sergio Zeuli, Consigliere
Giovanni Tulumello, Consigliere
Laura Marzano, Consigliere, Estensore
|
||
|
||
L’ESTENSORE |
IL PRESIDENTE |
|
Laura Marzano |
Oreste Mario Caputo |
|
|
||
|
||
|
||
|
||
|
IL SEGRETARIO