Il Consiglio di Stato, Sezione VI, con la sentenza n. 9104 del 13 novembre 2024, ha affrontato rilevanti questioni in materia di procedimento antitrust, soffermandosi sulla durata del procedimento, sul principio di corrispondenza tra addebito e sanzione e sulla distinzione tra intese restrittive della concorrenza “per oggetto” e “per effetti”. Il Collegio ha innanzitutto chiarito che la comunicazione di avvio del procedimento antitrust ha natura preliminare, essendo volta a informare tempestivamente sulle accuse senza definire compiutamente l’oggetto dell’accertamento, che si consolida durante l’istruttoria con il contributo partecipativo delle parti. Inoltre, ha stabilito che la modifica della qualificazione giuridica dell’illecito in base agli stessi fatti non lede il diritto di difesa, purché le imprese abbiano avuto modo di interloquire sul nuovo inquadramento, escludendo così la violazione dell’art. 6, par. 3 CEDU.

Quanto alla durata del procedimento, il Consiglio di Stato ha affermato che la violazione del principio del termine ragionevole può giustificare l’annullamento dell’accertamento solo qualora si dimostri che essa abbia compromesso i diritti di difesa. La sentenza ha anche precisato che le imprese non possono invocare la decadenza dei termini procedimentali se hanno contribuito all’estensione dei tempi con richieste istruttorie, essendo questa condotta contraddittoria rispetto all’eccezione sollevata. Sul piano sostanziale, il Collegio ha distinto le intese restrittive “per oggetto”, intrinsecamente dannose per la concorrenza e quindi vietate a prescindere dagli effetti, dalle intese “per effetti”, che richiedono una dimostrazione concreta del pregiudizio arrecato al mercato.

Infine, il Consiglio di Stato ha richiamato l’ordinanza n. 6057/2024, con cui aveva rimesso alla Corte di giustizia dell’Unione europea una questione pregiudiziale sulla compatibilità della normativa nazionale con l’art. 101 TFUE, precisando che tale profilo non incide sulla presente causa, limitata alla fase infraprocedimentale. Questa decisione contribuisce a delineare con maggiore chiarezza i confini procedurali e sostanziali delle intese anticoncorrenziali, ribadendo l’importanza di un equilibrio tra efficienza dell’azione amministrativa e tutela dei diritti delle imprese.

Pubblicato il 13/11/2024

  1. 09104/2024REG.PROV.COLL.
  2. 05562/2023 REG.RIC.
  3. 05567/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5562 del 2023, proposto da:
– OMISSIS -, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Cicala e Francesco Goisis, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (A.G.C.M.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

– – OMISSIS -, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuliano Berruti, Alberto Toffoletto e Luca Toffoletti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
– – OMISSIS -, – OMISSIS -. e – OMISSIS -, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Francesco Anglani e Angelo Raffaele Cassano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
– Associazione Altroconsumo, – OMISSIS – in liquidazione, – OMISSIS – in liquidazione e – OMISSIS – in liquidazione, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituite in giudizio;

sul ricorso numero di registro generale 5567 del 2023, proposto da:
– OMISSIS -, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Cicala e Francesco Goisis, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (A.G.C.M.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

– – OMISSIS -, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuliano Berruti, Alberto Toffoletto e Luca Toffoletti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
– – OMISSIS -, – OMISSIS -. e – OMISSIS -, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Francesco Anglani e Angelo Raffaele Cassano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
– Associazione Altroconsumo, – OMISSIS – in liquidazione, – OMISSIS – in liquidazione, – OMISSIS – in liquidazione, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituite in giudizio;

per la riforma:

quanto ai ricorsi n. 5562 del 2023 e n. 5567 del 2023:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 08259/2023, resa tra le parti.

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione nei giudizi in epigrafe dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, della – OMISSIS -, di – OMISSIS – s.p.a, di – OMISSIS -. e di – OMISSIS -;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 ottobre 2024 il Consigliere Lorenzo Cordì e uditi, per le parti, gli avvocati Andrea Cicala, Francesco Goisis, Francesco Anglani, Angelo Raffaele Cassano, Luca Toffoletti e l’avvocato dello Stato Andrea Fedeli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

  1. – OMISSIS – e – OMISSIS – (di seguito anche soltanto “- OMISSIS -” o “le Società del gruppo – OMISSIS -”) hanno appellato, con separati ricorsi, la sentenza n. 8259/2023, con la quale il T.A.R. per il Lazio (Sezione Prima) ha respinto i ricorsi proposti dalle odierne appellanti (nonché da – OMISSIS – in liquidazione) avverso il provvedimento n. 27656 (procedimento n. I/814 Diritti internazionali) dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito anche solo “A.G.C.M.” o “Autorità”).
  2. Con tale provvedimento l’A.G.C.M. aveva accertato che le condotte poste in essere dalle Società – OMISSIS -, – OMISSIS – in liquidazione, – OMISSIS -, – OMISSIS – – OMISSIS – e – OMISSIS -, – OMISSIS – s.a., – OMISSIS – e – OMISSIS – – volte a coordinare la partecipazione ed il contenuto delle offerte economiche nelle procedure di gara indette dalla – OMISSIS – per l’assegnazione dei diritti TV per la visione delle competizioni di calcio nei territori diversi dall’Italia – avevano integrato un’intesa restrittiva della concorrenza in violazione dell’articolo 101 del T.F.U.E. L’A.G.C.M. aveva, quindi, irrogato: i) alle Società del gruppo – OMISSIS – una sanzione pari a euro 63.997.849,90; ii) alle Società del gruppo – OMISSIS – una sanzione pari a euro 343.645,50; iii) alle Società del gruppo – OMISSIS – una sanzione pari a euro 3.136.392,26.

2.1. Il provvedimento dell’A.G.C.M. era stato impugnato, con separati ricorsi, da alcune delle Società facenti parti degli altri due gruppi coinvolti.

2.2. In particolare, due Società del gruppo – OMISSIS – (BA Capital s.a. e – OMISSIS -) avevano instaurato un contezioso che è stato definito dalla sentenza n. 4779/2022 di questo Consiglio. Tale sentenza ha ritenuto esente dai vizi dedotti l’accertamento effettuato dall’A.G.C.M. ma ha confermato i capi delle sentenze appellate (n. 3260/2020 e n. 3261/2020), con i quali il T.A.R. per il Lazio aveva annullato parzialmente il provvedimento, con riferimento alla sola quantificazione della sanzione irrogata. La sanzione è stata, quindi, rideterminata in parte qua con provvedimento n. 28240 del 6.5.2020, adottato nei confronti delle società – OMISSIS – s.a. in liquidazione, – OMISSIS – in liquidazione e – OMISSIS – in liquidazione.

2.3. Il contenzioso instaurato dalle Società del gruppo – OMISSIS – è stato, invece, definito dalla sentenza n. 4696/2022 di questo Consiglio, che ha accolto il ricorso in appello di tali Società limitatamente alla quantificazione della sanzione irrogata, la quale è stata, successivamente, rideterminata dall’A.G.C.M. con provvedimento n. 30284 del 4.8.2022.

  1. Passando all’odierna controversia si osserva come le Società del gruppo – OMISSIS – avevano adito il T.A.R. per il Lazio, con separati ma identici ricorsi, deducendo l’illegittimità del provvedimento dell’A.G.C.M.: i) per violazione degli artt. 14 della L. n. 689 del 1981 e 6 della C.E.D.U.; ii) per grave difetto di istruttoria ed erroneità delle affermazioni contenute nel provvedimento in ordine all’esistenza e quantificazione dei danni concorrenziali creati dall’intesa; iii) per violazione del principio di collegialità delle decisioni dell’A.G.C.M.
  2. Il T.A.R. ha respinto i ricorsi con motivazioni che saranno – di seguito – esposte, per quanto di interesse per la presente decisione. Le Società hanno articolato separati ricorsi in appello, anch’essi affidati a identiche censure. Si sono costituite nei giudizi in epigrafe l’A.G.C.M., la – OMISSIS -, e le Società calcistiche – OMISSIS -, – OMISSIS – e – OMISSIS -, deducendo l’infondatezza dei ricorsi in appello. In vista dell’udienza pubblica del 17.10.2024 le parti hanno depositato memorie conclusionali e, a eccezione dell’A.G.C.M., memorie di replica. All’udienza del 17.10.2024 le cause sono state trattenute in decisione, previa discussione delle parti e avviso alle stesse da parte del Collegio della possibile inammissibilità per carenza di interesse dei motivi n. 2 e n. 3 dei ricorsi in appello.
  3. Preliminarmente occorre disporre la riunione dei giudizi in epigrafe, trattandosi di ricorsi in appello proposti avverso la medesima sentenza e operando, quindi, la disposizione di cui all’art. 96, comma 1, c.p.a.
  4. Entrando in medias res occorre prendere l’abbrivio dai motivi sub 1) dei ricorsi in appello con i quali le Società del gruppo – OMISSIS – hanno dedotto l’erroneità del capo di sentenza con il quale il T.A.R. ha respinto i motivi sub 1) dei ricorsi introduttivi dei giudizi, fondati sulla dedotta violazione delle previsioni di cui agli artt. 14 della L. n. 689/1981 e 6 della C.E.D.U.

6.1. Nel respingere tali motivi il Giudice di primo grado ha ritenuto congruo il tempo occorso per contestare l’illecito anche accedendo all’orientamento giurisprudenziale che afferma l’applicazione della previsione di cui all’art. 14 della L. n. 689/1981 ai procedimenti di competenza dell’A.G.C.M., con decorrenza di tale termine dalla fase preistruttoria, e, in particolare, dal momento in cui l’Autorità acquisisce piena conoscenza della condotta illecita. Il T.A.R. ha ritenuto necessario tener conto della estrema complessità degli accertamenti posti in essere nel procedimento de quo, atteso che: i) dopo la notifica della prima comunicazione delle risultanze istruttorie, l’A.G.C.M. aveva ritenuto – alla luce delle difese delle parti – di svolgere ulteriori approfondimenti istruttori, esitati nell’invio di una seconda c.r.i. in data 22.2.2019; ii) dopo i primi accertamenti era emerso che l’illecito antitrust aveva concretizzato un’intesa trilaterale e non bilaterale, e, come affermato dal Consiglio di Stato, il supplemento istruttorio ben poteva riguardare anche il contenuto e la valutazione della documentazione già acquisita, senza che ciò costituisse un indebito prolungamento dell’istruttoria; iii) durante il procedimento vi era stato un confronto costante con le Società che non avevano contestato lo sviluppo temporale del contraddittorio, proprio perché finalizzato ad accertare compiutamente i fatti e, dunque, a ravvisare anche eventuali elementi favorevoli ai professionisti medesimi; iv) la durata del procedimento, anche con riferimento alla fase preistruttoria, doveva, quindi ritenersi proporzionata e non lesiva dell’affidamento delle Società; v) doveva, comunque, ritenersi sussistente per il Giudice la possibilità di sindacare la necessità o l’opportunità della protrazione dell’attività istruttoria, effettuando, però, un sindacato ex ante, incentrato, quindi, sull’utilità potenziale delle ulteriori iniziative istruttorie, valutate anche in considerazione dell’interesse pubblico ad un accertamento unitario di vicende complesse e coinvolgenti plurime responsabilità e della necessità di non mettere a repentaglio le indagini con una discovery prematura.

  1. Le Società appellanti hanno dedotto l’erroneità della sentenza del T.A.R., ritenuta non conforme alla previsione di cui all’art. 6, par. 3, della C.E.D.U., che impone di informare l’incolpato nel più breve tempo possibile e in modo dettagliato della natura e dei motivi dell’accusa. Secondo le appellanti tale garanzia doveva ritenersi un prerequisito essenziale per assicurare l’equità del procedimento, che, nel caso di specie, doveva escludersi atteso che: i) la decisione di avvio era stata comunicata nel settembre del 2017 e aveva un contenuto sintetico e non adeguato ai dettami dell’art. 6, par. 3, della C.E.D.U.; ii) in data 29.5.2018, era stata comunicata la prima c.r.i., fondata su un quadro istruttorio completo e identico a quello che aveva sorretto la seconda c.r.i. del 22.2.2019; iii) il supplemento istruttorio deliberato in data 3.10.2018 era stato del tutto inutile e aveva determinato “una enorme estensione dei tempi del procedimento”; iv) alla data del 29.5.2018 gli uffici dell’A.G.C.M. avevano piena conoscenza delle condotte e le Società non avrebbero potuto attendersi una radicale modifica della qualificazione delle stesse, come avvenuto con la seconda c.r.i., che – di fatto – aveva neutralizzato i loro precedenti apporti difensivi; v) la formulazione di un’accusa dettagliata e dai contenuti definitivi doveva ritenersi effettuata solo con la seconda c.r.i., con conseguente violazione dell’art. 6, par. 3, della C.E.D.U. e dell’art. 14 della L. n. 689/1981, essendo decorso il termine per la tempestiva contestazione dell’accusa, decorrente dal momento di piena cognizione dell’illecito; vi) la violazione era stata grave e decisiva, atteso che la perdita della garanzia della durata del procedimento sanzionatorio non poteva essere, in alcun modo, “recuperata” nella fase giurisdizionale; vii) l’operato dell’Autorità era risultato, quindi, in contrasto con la giurisprudenza amministrativa e costituzionale, dovendosi considerare anche che consentire numerose proroghe significava snaturare, di fatto, il diritto a conoscere tempestivamente l’accusa; viii) non avrebbe avuto rilievo la condotta assunta in sede procedimentale non potendosi configurare una acquiescenza preventiva in caso di mancata eccezione; ix) non sarebbe neppure possibile escludere una violazione del diritto di difesa, che, al contrario, doveva ritenersi in re ipsa.

7.1. Nelle memorie conclusionali le Società del gruppo – OMISSIS – hanno chiesto di sospendere il giudizio nelle more della decisione della Corte di Giustizia dell’Unione europea sulla questione pregiudiziale sollevata dalla Sezione con l’ordinanza n. 6057/2024.

7.2. Nelle memorie di replica le appellanti hanno chiesto al Collegio di sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione europea la seguente questione pregiudiziale: “se gli artt. 47, 48 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea letti alla luce dell’art. 6, § 3 (a), CEDU siano compatibili con una disciplina nazionale che consenta all’Autorità garante della concorrenza e del mercato di mutare, in assenza di alcun nuovo elemento probatorio, su punti essenziali, la originaria contestazione degli illeciti formulata in una prima comunicazione delle risultanze istruttorie, sulla base di una nuova qualificazione giuridica della condotta”.

  1. In ordine logico-giuridico occorre, in primo luogo, verificare se vi siano i presupposti per sospendere il presente giudizio, come richiesto dalle appellanti.

8.1. Sul punto il Collegio osserva come, con l’ordinanza n. 6057/2024, la Sezione abbia formulato alla Corte di Giustizia un quesito relativo alla possibile contrarietà alla previsione di cui all’art. 101 del T.F.U.E. della disposizione di cui all’art. 14 della L. n. 689/1981, “che, ai fini dell’esercizio dei poteri sanzionatori, impone all’Autorità garante della concorrenza e del mercato di notificare alle imprese interessate il provvedimento di avvio dell’istruttoria, che indica inter alia gli elementi essenziali in merito alle presunte infrazioni, entro il termine decadenziale di novanta giorni, ovvero trecentosessanta giorni per le imprese residenti all’estero, decorrente dal momento in cui l’Autorità ha la conoscenza della violazione”. Il quesito pregiudiziale è stato, quindi, formulato con riferimento al termine della c.d. fase pre-istruttoria, in relazione alla quale la giurisprudenza di questo Consiglio ha ritenuto operante la disposizione di cui all’art. 14 della L. n. 689/1981. Infatti, nel caso all’attenzione della Sezione, la decadenza del potere sanzionatorio era stata accertata in relazione al tardivo invio dell’atto di avvio del procedimento, comunicato soltanto 17 mesi dalla ricezione di una denuncia relativa alla condotta illecita, poi sanzionata. Da queste considerazioni (nonché dagli ulteriori approfondimenti che verranno effettuati) emerge, quindi, come si tratti di questione diversa da quella oggetto del presente giudizio, ove le censure sono, propriamente, rivolte alla fase infra-procedimentale. Pertanto, non possono ritenersi sussistenti i presupposti per la sospensione impropria del presente giudizio, considerato che la futura decisione della Corte di Giustizia europea, proprio perché relativa alla fase pre-istruttoria, non potrà avere alcuna incidenza – neppure interpretativa – sulla controversia all’attenzione del Collegio. Né tale sospensione si impone in ragione dei quesiti pregiudiziali rimessi dal T.A.R. per il Lazio (sez. I, ordinanza 1° agosto 2023, n. 12962; Id., ordinanza 2 agosto 2023, n. 13016), relativi – anch’essi – al termine di conclusione della fase pre-istruttoria dei procedimenti condotti dall’A.G.C.M., sebbene in materia di abuso di posizione dominante e di pratiche commerciali scorrette. Fermo restando la già enunciata non rilevanza di questi quesiti, deve, comunque, osservarsi come l’Avvocato Generale abbia concluso ritenendo che il diritto unionale osti a disposizioni nazionali quali l’art. 14 della L. n. 689/1981, “che prevedono termini di decadenza brevi e, in tal modo, non consentono alle autorità nazionali incaricate dell’applicazione dei succitati atti normativi dell’Unione di predisporre mezzi adeguati ed efficaci per combattere e sanzionare in maniera effettiva, proporzionata e dissuasiva le pratiche commerciali anticoncorrenziali e sleali all’interno del mercato unico”.

  1. L’insussistenza dei presupposti per sospendere il presente giudizio emerge, inoltre, dalla complessiva infondatezza delle deduzioni delle appellanti, la cui ricostruzione della portata applicativa della garanzia convenzionale e dell’operatività dell’art. 14 della L. n. 689/1981 alla fase propriamente endoprocedimentale non può essere condivisa per le ragioni di seguito esposte.
  2. Procedendo ad una disamina compiuta dell’intera scansione procedimentale deve, in primo luogo, osservarsi come non possa ritenersi sussistente una violazione dell’art. 6, par. 3, della C.E.D.U. e dell’art. 14 della L. n. 689/1981, in relazione alla fase pre-istruttoria. Infatti, nel caso di specie, l’avvio del procedimento è stato disposto appena 58 giorni dopo la ricezione da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano della documentazione dalla quale emergeva che “la commercializzazione all’estero dei diritti audiovisivi per la trasmissione delle partite di calcio delle competizioni organizzate dalla Lega Professionisti Serie A […] e delle partite del campionato di Serie B in territori diversi dall’Italia (c.d. diritti internazionali) sarebbe stata oggetto di un’intesa restrittiva della concorrenza, posta in essere da alcuni operatori che hanno partecipato alle gare indette per la vendita di tali diritti audiovisivi agli intermediari indipendenti” (punto 1 dell’atto di avvio dell’istruttoria). Pertanto, nella fattispecie in esame, il procedimento è stato tempestivamente avviato, anche ritenendo operante la previsione di cui all’art. 14 della L. n. 689/1981, potendosi, quindi, prescindere dal verificare la correttezza della tesi che ritiene applicabile tale disposizione ai procedimenti antitrust, non condivisa – come esposto in precedenza – dall’Avvocato Generale presso la C.G.U.E. Inoltre, tale atto di avvio del procedimento ha, comunque, indicato i principali elementi emergenti dalla documentazione trasmessa dalla Procura (parr. 10-20), e ha evidenziato come, sulla base di tali elementi, fosse possibile “ipotizzare un’intesa continuata, restrittiva della concorrenza posta in essere da – OMISSIS – Limited, – OMISSIS – e – OMISSIS – in violazione dell’articolo 101, comma 1, del T.F.U.E. volta ad alterare il confronto competitivo nelle procedure indette dalla – OMISSIS – per l’assegnazione dei diritti TV per la visione delle competizioni di calcio nei territori diversi dall’Italia, a ripartirne gli utili e le aree geografiche di distribuzione” (par. 27 di tale atto; cfr., inoltre, parr. 25-28 del medesimo atto, ove sono state illustrate le valutazioni dell’A.G.C.M. in relazione agli accordi indicati dal G.I.P. presso il Tribunale di Milano). Dalla disamina di questo atto non può, quindi, ritenersi che l’atto di apertura dell’istruttoria abbia avuto “contenuti generici e certo non adeguati” rispetto alla previsione di cui all’art. 6, par. 3, della C.E.D.U., come dedotto dalle appellanti. Al contrario, l’A.G.C.M. ha fornito “nel più breve tempo possibile”, un’informazione dettagliata sulla natura (illecito antitrust costituito da un’intesa restrittiva della concorrenza volto ad alterare alcune procedure per l’assegnazione dei diritti televisivi) e sui motivi dell’accusa, avendo l’Autorità spiegato che “– OMISSIS – Limited, – OMISSIS – e – OMISSIS – avrebbero coordinato le proprie offerte economiche in vista dell’assegnazione finale operata dalla Lega Professionisti Serie A”, e che, “a seguito dell’assegnazione a – OMISSIS – Limited, i tre soggetti, anche in virtù degli articolati rapporti contrattuali di collegamento societario e finanziari fra essi intercorrenti, stipulati prima dell’indizione delle gare, avrebbero proceduto a ripartire i ricavi derivanti dalla vendita all’estero dei Diritti TV per le competizioni organizzate dalla – OMISSIS – e a trasmettere le partite in distinti ambiti geografici in cui operano” (par. 26 dell’atto di avvio del procedimento).
  3. Una “sostanziale” violazione dell’art. 14 della L. n. 689/1981, nonché dell’art. 6, par. 3, della C.E.D.U. non è neppure ravvisabile tenendo conto dei successivi sviluppi del procedimento. Sul punto, le appellanti hanno evidenziato come il T.A.R. avesse fornito un’interpretazione estremamente “debole” e “flessibile”, non tenendo conto, per l’appunto, dei successivi sviluppi del procedimento, in relazione ai quali si sarebbe dovuta riscontrare una violazione delle garanzie sopra indicate. Secondo le appellanti, un’accusa completa era stata formulata solo con la prima c.r.i., la quale si era, però, basata sul medesimo quadro istruttorio a fondamento della seconda c.r.i., che aveva mutato la configurazione dell’accusa. Da questa circostanza le appellanti hanno dedotto una prima ipotesi di violazione delle garanzie di cui all’art. 6, par. 3, della C.E.D.U., nonché la violazione dell’art. 14 della L. n. 689/1981, individuando quale dies a quo dal quale computare il termine proprio la data della prima c.r.i.

11.1. Osserva, tuttavia, il Collegio come simile tesi concretizzi una operazione di sostanziale sovrapposizione di istituti con funzioni differenti e, comunque, non possa condividersi per le seguenti motivazioni. Deve, infatti, considerarsi come la funzione di fornire una tempestiva informazione sulla natura e sui motivi dell’accusa sia stata assolta dalla comunicazione di avvio del procedimento, che è risultata conforme ai contenuti della garanzia convenzionale ed è stata, comunque, emessa nel rispetto del termine di cui all’art. 14 della L. n. 689/1981. Inoltre, come chiarito dalla giurisprudenza della Sezione, “in linea con la natura dell’atto che viene in rilievo non è ipotizzabile che, in questa fase, si definisca nel dettaglio l’oggetto dell’accertamento che si delineerà nella sua compiutezza nel corso dell’istruttoria e con il fondamentale apporto partecipativo delle imprese” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 24 ottobre 2014, n. 5276). Risulta, quindi, fisiologico che il dettaglio dell’accertamento sia effettuato nel corso dell’attività istruttoria, che è finalizzata proprio alla raccolta delle evidenze da porre eventualmente a sostegno del provvedimento finale, e che è, altresì, il luogo del confronto con le parti, le quali, partecipando al procedimento, possono esercitare compiutamente il loro diritto di difesa. Di conseguenza, è, altresì, fisiologico che la qualificazione dell’illecito possa essere rivista – nei limiti che si esporranno – all’esito del completamento dell’attività istruttoria.

11.2. Tornando al procedimento in esame, si osserva come, effettuata la comunicazione di avvio, l’A.G.C.M. abbia, quindi, svolto l’attività istruttoria nel primo contraddittorio delle parti. La prima c.r.i. ha, quindi, delineato in modo compiuto l’oggetto dell’accertamento, senza, tuttavia, stravolgere l’accusa rivolta alle Società, che si è mantenuta nel solco della linea di indagine tracciata nella comunicazione di avvio. La prima c.r.i. non ha, quindi, costituto alcun indebito surrogato della comunicazione di avvio del procedimento, ma, al contrario, ha svolto la funzione che l’ordinamento le conferisce e che consiste nel definire il quadro degli elementi probatori acquisiti nel corso dell’istruttoria e nel contraddittorio con i soggetti interessati (Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 giugno 2014, n. 3252). Di conseguenza, non può ritenersi che dalla prima c.r.i. dovesse decorrere il termine per la contestazione di cui all’art. 14 della L. n. 689/1981. Questa trasposizione del termine relativo alla fase pre-istruttoria alla fase procedimentale non ha, infatti, fondamento neppure osservando la vicenda da una prospettiva sostanzialistica, come suggerito dalle parti appellanti.

11.3. La tardività della contestazione e, comunque, la violazione dell’art. 6, par. 3, della C.E.D.U. non è predicabile neppure in ragione della configurazione e qualificazione dell’illecito, effettuate dall’A.G.C.M. all’esito del supplemento istruttorio disposto all’adunanza del 3.10.2018, all’esito della quale il Collegio – “alla luce delle obiezioni sollevate dalle parti nelle proprie memorie e in sede di audizione finale” – ha chiesto alla Direzione Comunicazioni – Concorrenza di provvedere a chiarire “le posizioni delle società – OMISSIS – SA e – OMISSIS – in liquidazione, anche rispetto ai rapporti con – OMISSIS – – OMISSIS -, che allo stato non [era] parte del presente procedimento, eventualmente anche al fine di verificare e accertare la sussistenza di elementi per pervenire ad una diversa configurazione della fattispecie contestata” (par. 53 del provvedimento impugnato). Il Collegio dell’Autorità ha, quindi, esercitato un legittimo potere conferito dall’ordinamento, atteso che, come chiarito anche da questo Consiglio, la c.r.i. è atto degli uffici dell’A.G.C.M., che, tuttavia, non intacca l’autonoma valutazione della fattispecie che spetta all’Autorità (Consiglio di Stato, Sez. VI, 24 ottobre 2014, n. 5275 e n. 5276). A questa autonomia di valutazione deve, infatti, ricondursi anche la possibilità di richiedere un supplemento di un’istruttoria ritenuta non sufficiente, anche ai soli fini di una compiuta qualificazione dell’illecito.

11.4. Inoltre, questa riapertura del procedimento istruttorio è stata funzionale ad acquisire ulteriori elementi con l’apporto delle parti. Come emerge dal par. 296 del provvedimento, nel corso dell’ulteriore attività istruttoria, l’Autorità ha chiesto informazioni alle parti e gli elementi raccolti hanno condotto ad ampliare il quadro fattuale e a indurre gli uffici a riconsiderare la contestazione formulata nei termini di un’intesa unica e complessa. Questo supplemento non poteva ritenersi inutile – come esposto dalle appellanti – essendo stato, comunque, funzionale ad un completamento del quadro istruttorio relativo ad alcuni dei soggetti dell’intesa ed essendo stato rilevante per l’attività di riqualificazione effettuata dall’Autorità. Né può condividersi l’assunto delle Società, secondo le quali questo supplemento avrebbe determinato una “enorme estensione dei tempi del procedimento”. Infatti, tale procedimento si è esaurito nel termine stabilito dall’Autorità, che deve ritenersi congruo in considerazione della complessità degli accertamenti svolti; inoltre, non è irrilevante evidenziare come l’estensione temporale dello stesso sia stata determinata dalla necessità di effettuare approfondimenti istruttori alla luce delle difese delle parti. Pertanto, questa estensione della durata del procedimento non può ritenersi: i) contraria alla previsione di cui all’art. 6, par. 3, della C.E.D.U., non avendo questa determinato una lesione delle prerogative difensive delle parti, ma essendo stata, al contrario, funzionale a nuovi approfondimenti alla luce delle loro stesse difese; ii) contraria alla previsione di cui all’art. 14 della L. n. 689/1981, trattandosi dell’approfondimento istruttorio successivo alla compiuta contestazione dell’addebito effettuata con l’atto di avvio; iii) contraria alle garanzie convenzionali e unionali, avendo la giurisprudenza della Sezione chiarito che il termine di conclusione del procedimento potrebbe considerarsi, in ipotesi, perentorio solo nel senso che il dies ad quem, ove ragionevolmente differito, non possa essere disatteso, “ma non anche nel senso che il termine originariamente indicato debba essere necessariamente osservato, con esclusione di un motivato differimento, pena la decadenza dall’esercizio del potere sanzionatorio” (Consiglio di Stato, Sez. VI, ordinanza 26 agosto 2024, n. 7243, con conseguente irrilevanza per la presente controversia – ove, tra l’altro, è propriamente contestata la tardiva contestazione finale dell’illecito e non la perentorietà del termine del procedimento istruttorio – della questione pregiudiziale rimessa dalla Sezione con tale ordinanza).

11.5. Non può poi neppure ritenersi che la riqualificazione della fattispecie effettuata dall’A.G.C.M. nella nuova c.r.i. abbia integrato una violazione della previsione di cui all’art. 14 della L. n. 689/1981 e/o dell’art. 6, par. 3, della C.E.D.U. In primo luogo, come affermato dalla Sezione nelle sentenze rese in relazione alla medesima intesa, “il principio di necessaria corrispondenza tra addebito contestato e addebito posto a fondamento della sanzione, può ritenersi violato soltanto qualora l’Autorità deduca circostanze nuove, non preventivamente sottoposte a contraddittorio, implicanti una diversa valutazione dei fatti addebitati”; nel caso di specie, i fatti storici oggetto dalla prima e della seconda c.r.i. “sono essenzialmente i medesimi ed è mutata la sola qualificazione, in base a tali fatti, dell’illecito antitrust, ravvisandosi un’unica intesa trilaterale, piuttosto che due intese” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 9 giugno 2022, n. 4649; Id., 13 giugno 2022, n. 4779), ed è stato, comunque, assicurato l’esercizio del diritto di difesa. Infatti, come accertato da questo Consiglio: i) nella prima c.r.i. sono state configurate due distinte intese restrittive della concorrenza, volte a coordinare la partecipazione alle gare e il contenuto delle offerte economiche; ii) nella seconda c.r.i. è stata prefigurata la sussistenza di un’unica intesa, in luogo delle due precedentemente prospettate. Questa differente qualificazione è stata, comunque, effettuata, essenzialmente, alla luce dello stesso quadro istruttorio (solo in parte arricchito dalle evidenze raccolte con il supplemento disposto nell’ottobre del 2018), e non ha, comunque, determinato l’imputazione di un’accusa radicalmente diversa o fondata su nuovi fatti o non sottoposta al contraddittorio delle parti. In questa situazione non può, quindi, ritenersi violata la garanzia di cui all’art. 6, par. 3, della C.E.D.U., essendovi stata una modifica della qualificazione del fatto imputato che non ha costituito una contestazione radicalmente nuova, e, pertanto, neppure tardiva, atteso che la direttrice contenutistica sostanziale dell’accusa è rimasta la medesima tracciata nell’atto di avvio, semplicemente arricchita e precisata dall’attività istruttoria che anche a tale finalità risulta preordinata. Infatti, come chiarito dalla Sezione, “l’approfondimento istruttorio ben può riguardare anche il contenuto e la valutazione di documentazione già acquisita”; a fortiori, in un caso come quello di specie ove questo approfondimento è stato disposto in ragione delle difese delle parti, e il prolungamento dell’attività istruttoria è stato funzionale all’ulteriore esercizio del loro diritto di difesa (v., ancora, Consiglio di Stato, Sez. VI, 9 giugno 2022, n. 4649; Id., 13 giugno 2022, n. 4779).

11.6. In ultimo, il Collegio deve evidenziare come un elemento di esiziale rilievo per escludere la fondatezza delle complessive deduzioni delle appellanti risiede nell’insussistenza di evidenze in ordine alla lamentata compromissione delle loro garanzia difensive. Diversamente da quanto dedotto dalle stesse, la durata non ragionevole del procedimento (esclusa nel caso di specie) non può, comunque, ritenersi circostanza ex se idonea a determinare un vulnus alla loro posizione soggettiva. Al contrario, secondo la giurisprudenza unionale, “la violazione del principio del rispetto del termine ragionevole può giustificare soltanto l’annullamento di una decisione di accertamento di infrazioni adottata all’esito di un procedimento amministrativo fondato sull’articolo 101 o 102 TFUE, qualora sia stato dimostrato che tale violazione aveva pregiudicato i diritti della difesa delle imprese interessate” (Corte di Giustizia dell’Unione europea, VIII Sezione, 28 gennaio 2021, in C-466/19, punto 32 e giurisprudenza ivi indicata; nella giurisprudenza della Sezione, si veda: Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 dicembre 2023, n. 10914; Id., 22 dicembre 2023, n. 11134). Nel caso di specie, non vi è stata alcuna deduzione né tanto meno evidenza in ordine al pregiudizio che la dedotta eccessiva durata della fase istruttoria avrebbe determinato sui diritti di difesa delle appellanti. Né vi sono evidenze in ordine ai pregiudizi che la nuova qualificazione dell’accusa avrebbe comportato al diritto di difesa, essendo stato assicurato il contraddittorio procedimentale sulle risultanze della nuova c.r.i. (v., parr. 69-70 del provvedimento)

11.7. Sotto altro profilo, deve, poi, evidenziarsi, seppur ad abundantiam, come l’estensione della durata del procedimento sia stata determinata dalle deduzioni articolate dalle stesse parti del procedimento, potendo, quindi, operare anche in questo caso il principio affermato di recente dalla Sezione; secondo la quale simili condotte possono, comunque, integrare fatti incompatibili con la volontà di avvalersi dell’eccezione di decadenza del potere (arg. ex artt. 2937, comma 3, e 2968 c.c.), costituendo, da un lato, indice inequivoco dell’interesse ad una dilazione dei tempi procedimentali, funzionale anche ad una più analitica disamina della loro posizione (e, quindi, anche a ravvisare elementi favorevoli alle parti), e, dall’altro, possibili integrazioni del divieto di venire contra factum proprium, ponendosi come condotte processuali contraddittorie rispetto a quelle assunte sul piano procedimentale (Consiglio di Stato, Sez. VI, 25 ottobre 2024, n. 8520).

  1. Le considerazioni sin qui esposte disvelano, altresì, l’insussistenza dei presupposti per rimettere alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale prospettata dalle parti, risultando dirimente osservare come, all’esito della disamina condotta, debba escludersi che vi sia stata una violazione delle garanzie invocate dalle parti appellanti, e, in particolare, deve ribadirsi come difetta ogni evidenza in ordine all’effettiva lesione del diritto di difesa che, come esposto, la giurisprudenza unionale ha ritenuto presupposto necessario per poter affermare l’invalidità del provvedimento; omologhe considerazioni valgono per i dedotti pregiudizi che la nuova qualificazione dell’accusa avrebbe comportato, che risultano sforniti di prova. Pertanto, la questione prospettata risulta non pertinente e/o non rilevante (secondo le dizioni utilizzate, rispettivamente, da Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 6 ottobre 1982, causa C-283/81, e da Corte di Giustizia dell’Unione europea, 6 ottobre 2021, causa C-561/19).
  2. In definitiva, il primo dei motivi dei ricorsi in appello deve essere respinto in quanto infondato; va, altresì, respinta l’istanza di sospensione impropria del giudizio e vanno esclusi i presupposti per rimettere alla Corte di Giustizia dell’Unione europea la questione pregiudiziale prospettata.
  3. Passando ad esaminare i motivi n. 2 e n. 3 dei ricorsi in appello delle Società del gruppo – OMISSIS -, il Collegio osserva come, con le censure ivi contenute, le parti abbiano censurato la decisione di primo grado in relazione alle tematiche relative agli effetti dell’illecito antitrust e ai soggetti ritenuti danneggiati da tale condotte.

14.1. In relazione a tali censure il Collegio, nel corso dell’udienza di discussione, ha dato avviso alle parti ex art. 73, comma 3, c.p.a. della loro possibile inammissibilità per carenza di interesse alla decisione. Conformemente a quanto esposto nell’avviso, il Collegio ritiene le censure inammissibili. Deve, infatti, considerarsi come l’illecito in esame abbia integrato una intesa restrittiva per oggetto, come affermato dalla Sezione e riconosciuto dalle stesse appellanti (Consiglio di Stato, Sez. VI, 9 giugno 2022, n. 4649; Id., 13 giugno 2022, n. 4779). Ora, la distinzione tra intese restrittive per oggetto o per effetto rileva sul piano degli elementi costitutivi dell’illecito e comporta un regime probatorio diverso. Infatti, nel primo caso, non occorre dimostrarne gli effetti sulla concorrenza al fine di qualificarle come «restrizione della concorrenza», ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, T.F.U.E., in quanto ‒ secondo la valutazione prognostica del legislatore ‒ siffatti comportamenti sono, di per sé, dannosi per il buon funzionamento del normale gioco della concorrenza, in quanto determinano riduzioni della produzione e aumenti dei prezzi, dando luogo ad una cattiva allocazione delle risorse a detrimento, in particolare, dei consumatori (C.G.U.E., 19 marzo 2015, causa C-286/13, punto 115; Id., 26 novembre 2015, causa C-345/14, punto 20); per contro, qualora non sia dimostrato l’oggetto anticoncorrenziale di un accordo o di una pratica concordata, occorre esaminare i suoi effetti al fine di fornire elementi comprovanti che il gioco della concorrenza è stato, di fatto, impedito, ristretto o falsato in modo sensibile (C.G.U.E., 26 novembre 2015, causa C-345/14, punto 17). Pertanto, in una intesa come quella all’attenzione del Collegio, gli effetti prodotti dalla stessa non assumono alcun rilievo e non costituiscono presupposti necessari per l’accertamento dell’illecito. Ne consegue che le eventuali affermazioni dell’A.G.C.M. in ordine agli effetti prodotti non hanno alcun rilievo, e, inoltre, non hanno alcun effetto di accertamento della violazione nei successivi giudizi civili instaurati esercitando l’azione risarcitoria c.d. follow on nei confronti dei responsabili dell’intesa. Del resto, la previsione di cui all’art. 7, comma 2, del D.Lgs. n. 3/2017, dispone che la violazione del diritto della concorrenza si intenda definitivamente accertata quanto alla natura della violazione e alla sua portata materiale, personale e territoriale, ma esclude la sussistenza di tale portata dell’accertamento con riferimento al nesso di causalità e all’esistenza del danno (e, quindi, logicamente, anche all’individuazione dei soggetti che possano ritenersi danneggiati). Pertanto, l’ipotetico accoglimento dei motivi indicati non sarebbe idoneo ad arrecare alcuna utilità alle appellanti, trattandosi di questioni che devono, comunque, essere accertate dal Giudice civile nei giudizi civili instaurati o instaurandi, non essendo il provvedimento impugnato in alcun modo vincolante in parte qua.

In ultimo, si osserva come l’istruttoria condotta dall’A.G.C.M. in ordine agli effetti dell’intesa ha avuto, piuttosto, rilievo nella quantificazione della sanzione, che, tuttavia, non è stata contestata dal gruppo – OMISSIS -, con ulteriore ragione di inammissibilità di censure che sono state formulate in relazione alla dedotta valenza che tali accertamenti avrebbero avuto nei giudizi civili e non per il solo aspetto in cui hanno realmente inciso per il contenuto del provvedimento impugnato, che è rimasto in parte qua non contestato.

  1. In definitiva, i ricorsi in appello devono in parte respingersi e in parte dichiararsi inammissibili nei sensi e nei limiti sin qui indicati. Le questioni esaminate esauriscono la disamina dei motivi, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante; cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 settembre 2021, n. 6209; Id., 13 settembre 2022, n. 7949), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
  2. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Si precisa che per le Società calcistiche – OMISSIS -, – OMISSIS – e – OMISSIS – si provvede ad una liquidazione unitaria, essendo state le parti difese dai medesimi difensori, e avendo assunto una comune posizione processuale. Nulla sulle spese di lite nei confronti degli appellati non costituiti

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sui ricorsi in appello, come in epigrafe proposti:

  1. i) dispone la riunione dei giudizi in epigrafe ex art. 96, comma 1, c.p.a.;
  2. ii) respinge l’istanza di sospensione impropria dei giudizi formulata dalle Società appellanti;

iii) dichiara insussistenti i presupposti per rimettere alla Corte di Giustizia dell’Unione europea la questione pregiudiziale prospettata dalle Società appellanti;

  1. iv) in parte respinge e in parte dichiara inammissibili i ricorsi in appello, nei sensi e nei limiti indicati in motivazione;
  2. v) condanna – OMISSIS – e – OMISSIS -, in solido, a rifondere alle parti appellate costituite le spese di lite del presente grado di giudizio che liquida in complessive euro 12.000,00 (dodicimila/00), oltre accessori di legge, di cui euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge se dovuti, in favore dell’A.G.C.M., euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge, in favore di – OMISSIS -, ed euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge, complessive (da suddividersi in parti uguali) in favore di – OMISSIS -, – OMISSIS – e – OMISSIS – F.C.;
  3. vi) nulla sulle spese di lite nei confronti delle altre parti appellate non costituite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 ottobre 2024 con l’intervento dei magistrati:

Carmine Volpe, Presidente

Oreste Mario Caputo, Consigliere

Stefano Toschei, Consigliere

Lorenzo Cordi’, Consigliere, Estensore

Thomas Mathà, Consigliere

 

 

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Lorenzo Cordi’

Carmine Volpe

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO