Con la sentenza n. 181 del 2024, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 44, commi da 7 a 11, del D.lgs. n. 95 del 2017, nonché delle tabelle allegate al D.lgs. n. 443 del 1992, nella parte in cui queste prevedevano una distinzione basata sul sesso per i posti messi a concorso nella qualifica iniziale degli ispettori del Corpo di Polizia penitenziaria. La Corte ha ritenuto che tale normativa fosse in contrasto con il principio di eguaglianza sancito dall’art. 3, comma 1, della Costituzione, nonché con l’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 14 della Direttiva 2006/54/CE, che impone la parità di trattamento tra uomini e donne nell’occupazione e nel lavoro. Il rimettente, il Consiglio di Stato, aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale a seguito di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, denunciando una discriminazione nei confronti delle donne che partecipano ai concorsi per la qualifica di ispettore di polizia penitenziaria, in quanto la normativa esaminata imponeva una netta distinzione di genere nei posti da mettere a concorso, senza una giustificazione plausibile in relazione alle mansioni da svolgere.

La Corte ha esaminato la questione alla luce dei principi di eguaglianza e parità di trattamento, nonché delle norme comunitarie che tutelano la non discriminazione di genere, come previste dalla direttiva 2006/54/CE e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La Corte ha rilevato che, in assenza di una giustificazione ragionevole, il trattamento differenziato basato sul sesso nel concorso per ispettore penitenziario risultava arbitrario e non compatibile con il principio di eguaglianza. In particolare, ha sottolineato che le funzioni degli ispettori non richiedono una distinzione di genere, poiché i compiti svolti dal personale ispettivo – tra cui direzione e coordinamento di unità operative – non sono legati a caratteristiche fisiche che giustifichino una disparità di trattamento tra uomini e donne.

La Corte Costituzionale ha inoltre evidenziato come la parità di trattamento tra i sessi sia un principio fondamentale anche del diritto comunitario e che le eccezioni a tale principio devono essere giustificate solo in casi limitati, ossia quando la differenza di trattamento sia necessaria per l’espletamento delle mansioni, come previsto dall’art. 14 della direttiva 2006/54/CE, e purché tale differenza sia proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito. Nel caso in esame, la Corte ha escluso che la differenza di trattamento in base al sesso possa essere giustificata da requisiti essenziali per l’attività lavorativa, evidenziando la mancanza di una relazione diretta tra la distinzione di genere e le mansioni richieste agli ispettori del Corpo di Polizia penitenziaria.

Il principio di eguaglianza sancito dalla Costituzione italiana e dalle normative europee, secondo la Corte, deve prevalere anche nel contesto delle forze di polizia, e la discriminazione di genere che si riflette nella normativa esaminata è incompatibile con le funzioni che gli ispettori sono chiamati a svolgere. L’assenza di una giustificazione concreta per la netta disparità di rappresentanza tra uomini e donne nella dotazione organica del Corpo di Polizia penitenziaria ha portato alla conclusione che la norma violava i principi costituzionali di eguaglianza e non discriminazione. Pertanto, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni in questione, pur lasciando invariato il numero complessivo di posti da mettere a concorso.

SENTENZA N. 181

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 44, commi da 7 a 11, del decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95, recante «Disposizioni in materia di revisione dei ruoli delle Forze di polizia, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», dell’allegata Tabella 37 e della Tabella A, allegata al decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443 (Ordinamento del personale del Corpo di polizia penitenziaria, a norma dell’art. 14, comma 1, della legge 15 dicembre 1990, n. 395), promosso dal Consiglio di Stato, prima sezione, in sede di parere sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, nel procedimento proposto da M. C. e altri contro il Ministero della giustizia, con ordinanza del 16 novembre 2023, iscritta al n. 57 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2024.

Visto l’atto di costituzione di A. M., nonché l’atto di intervento di S. S. e altri;

udito nell’udienza pubblica del 30 ottobre 2024 il Giudice relatore Giovanni Pitruzzella;

udita l’avvocata Maria Immacolata Amoroso per A. M.;

deliberato nella camera di consiglio del 30 ottobre 2024.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 16 novembre 2023, iscritta al n. 57 del registro ordinanze 2024, il Consiglio di Stato, prima sezione, in sede di parere sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 44, commi da 7 a 11, del decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95, recante «Disposizioni in materia di revisione dei ruoli delle Forze di polizia, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», dell’allegata Tabella 37 e della Tabella A, allegata al decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443 (Ordinamento del personale del Corpo di polizia penitenziaria, a norma dell’art. 14, comma 1, della legge 15 dicembre 1990, n. 395), «nella parte in cui distinguono, in dotazione organica, secondo la differenza di sesso, i posti da mettere a concorso nella qualifica iniziale degli ispettori del Corpo di Polizia penitenziaria».

1.1.– In punto di rilevanza, il rimettente espone di dovere rendere il parere sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, proposto da alcune assistenti del Corpo di Polizia penitenziaria contro l’approvazione della graduatoria definitiva del concorso interno a 606 posti della qualifica iniziale del ruolo maschile di ispettori della Polizia penitenziaria e contro gli atti connessi e presupposti.

Il giudice a quo, dopo aver disatteso l’eccezione di tardività del ricorso, afferma di dover applicare le disposizioni censurate, che rappresentano il fondamento dei provvedimenti impugnati e non si prestano a un’interpretazione adeguatrice, in considerazione del chiaro tenore testuale.

1.2.– In ordine al profilo della non manifesta infondatezza, il Consiglio di Stato, in linea preliminare, evidenzia che è doverosa l’interlocuzione con questa Corte, chiamata a tutelare l’eguaglianza e la certezza del diritto mediante decisioni efficaci erga omnes.

1.2.1.– Ad avviso del rimettente, le disposizioni censurate si porrebbero in contrasto, in primo luogo, con il «principio della parità di trattamento tra uomini e donne», principio «ormai consolidato nell’ordinamento comunitario» e dunque rilevante alla stregua dell’art. 117, primo comma, Cost.

A tale riguardo, il giudice a quo evoca la direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, l’art. 3, paragrafo 2, del Trattato sull’Unione europea, l’art. 8 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, gli artt. 21 e 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e la direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

Il requisito della differenza di genere per l’accesso alla qualifica di ispettore non sarebbe giustificato dalle «funzioni effettivamente e prevalentemente esercitate nello svolgimento delle mansioni ordinarie da assegnare in esito alla procedura concorsuale».

1.2.2.– L’esclusione dell’accesso al lavoro «sulla base della sola valutazione del genere di appartenenza» sarebbe lesiva, inoltre, dell’art. 3 Cost., in quanto non avrebbe alcuna correlazione con lo svolgimento del servizio e darebbe àdito a una discriminazione «ingiustificata ed arbitraria», dimostrandosi «eccedente rispetto allo scopo».

2.– Si è costituita in giudizio A. M., parte ricorrente nel giudizio principale, e ha chiesto di accogliere le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Consiglio di Stato.

3.– Sono intervenute in giudizio S. S., A. R., A. L.M. e E.O. C., che hanno chiesto di ammettere l’intervento, rassegnando, quanto al merito, le medesime conclusioni della parte costituita.

4.– In prossimità dell’udienza pubblica, hanno depositato memorie illustrative di identico tenore sia la parte costituita che le intervenienti e hanno chiesto, in via principale, di dichiarare l’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate e, in subordine, di adottare una pronuncia interpretativa, al fine di escludere la distinzione tra ruoli maschili e ruoli femminili «per le sedi e i servizi extra moenia, nonché per quelle mansioni che non prevedono un contatto diretto e continuativo con i detenuti all’interno delle sezioni penitenziarie».

5.– Non è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri.

6.– All’udienza pubblica, la parte costituita ha ribadito le conclusioni formulate negli scritti difensivi.

Considerato in diritto

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe (r.o. n. 57 del 2024), il Consiglio di Stato, prima sezione, in sede di parere sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 44, commi da 7 a 11, del d.lgs. n. 95 del 2017, dell’allegata Tabella 37 e della Tabella A, allegata al d.lgs. n. 443 del 1992, «nella parte in cui distinguono, in dotazione organica, secondo la differenza di sesso, i posti da mettere a concorso nella qualifica iniziale degli ispettori del Corpo di Polizia penitenziaria».

1.1.– Il rimettente denuncia, anzitutto, il contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., «che impone il rispetto dei vincoli posti dall’ordinamento comunitario».

A tale riguardo, il Consiglio di Stato menziona la direttiva 76/207/CEE, che interviene sulla parità di trattamento tra uomo e donna, materia oggi disciplinata dalla direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego.

Il rimettente richiama, inoltre, l’art. 3, paragrafo 2, TUE, l’art. 8 TFUE, gli artt. 21 e 23 CDFUE, la direttiva 2000/78/CE, la stessa giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, che ha confermato l’importanza del principio di non discriminazione.

Il trattamento deteriore per le donne che partecipino al concorso a ispettore della Polizia penitenziaria non si correlerebbe con requisiti essenziali e determinanti ai fini dello svolgimento del servizio e integrerebbe, pertanto, «una forma di discriminazione in contrasto con le richiamate direttive europee e pronunce della Corte di giustizia UE».

1.2.– Le disposizioni censurate, inoltre, lederebbero il principio di eguaglianza e sarebbero prive di ogni «ragionevole giustificazione» (art. 3, primo comma, Cost.).

La disparità di trattamento si rivelerebbe arbitraria, alla luce delle peculiarità delle mansioni attribuite agli ispettori, che si esplicano anche al di fuori degli istituti penitenziari, non includono «esclusivamente o prevalentemente compiti “operativi”» e, dunque, «non richiedono necessariamente la distinzione uomo/donna ai fini del raggiungimento degli scopi del servizio da espletare».

2.– Occorre esaminare, preliminarmente, l’ammissibilità dell’intervento spiegato da S. S., A. R., A. L.M. e E.O. C., che sostengono di aver impugnato i medesimi atti dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, instaurando un giudizio definito da una sentenza oramai irrevocabile.

2.1.– A supporto dell’ammissibilità dell’intervento, le parti deducono di non essere state ammesse al primo corso di formazione. Il ritardo dell’immissione in ruolo, rispetto agli altri vincitori del concorso, pregiudicherebbe anche la mobilità ordinaria. L’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale, infine, offrirebbe «maggiori opportunità» non soltanto in relazione alla mobilità ordinaria annuale, ma anche in vista della promozione a sostituto commissario.

2.2.– Nessuno degli argomenti prospettati nell’atto di intervento avvalora la titolarità di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto dedotto in giudizio (art. 4, comma 3, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale).

La partecipazione al giudizio incidentale di legittimità costituzionale, di norma circoscritta alle parti del giudizio a quo, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri e, in caso di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale (artt. 3 e 4, commi 1 e 2, delle Norme integrative), si estende anche ai terzi, a condizione che siano titolari di una posizione giuridica che l’esito del giudizio incidentale sia idoneo a pregiudicare in modo immediato e irrimediabile (fra le molte, ordinanza allegata alla sentenza n. 144 del 2024).

A corroborare un interesse così caratterizzato, non è sufficiente, tuttavia, che la posizione dei terzi sia regolata dalla stessa disposizione sospettata di illegittimità costituzionale (ordinanze allegate alle sentenze n. 140 e n. 22 del 2024).

Nel caso di specie, peraltro, è passata in giudicato la sentenza che ha respinto l’impugnazione proposta dalle parti e l’accoglimento delle questioni sollevate non potrebbe produrre quelle conseguenze immediate e dirette sul rapporto sostanziale, che sole possono radicare la legittimazione all’intervento.

2.3.– Dai rilievi svolti consegue che l’intervento dev’essere dichiarato inammissibile.

3.– Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Consiglio di Stato sono ammissibili.

4.– La motivazione sulla rilevanza è analitica e coerente.

4.1.– Il rimettente, in prima battuta, reputa tempestiva l’impugnazione del bando e degli atti presupposti, in base al rilievo che soltanto la graduatoria finale fonda «l’interesse concreto e attuale delle ricorrenti all’impugnazione». Il bando, per contro, condiziona in modo imprevedibile il collocamento in graduatoria e non racchiude alcuna clausola che di per sé precluda l’ammissione.

Gli argomenti enunciati nell’ordinanza di rimessione, al fine di sgombrare il campo dalle eccezioni pregiudiziali articolate nel giudizio principale dal Ministero della giustizia, superano il vaglio di non implausibilità devoluto a questa Corte in ordine al requisito della rilevanza.

4.2.– Adeguata è la motivazione anche per quel che concerne l’applicabilità delle disposizioni censurate.

Il Consiglio di Stato osserva che il concorso straordinario, cui hanno partecipato le ricorrenti, è stato bandito in conformità a tali disposizioni: la disciplina in esame, nell’inscindibile connessione delle previsioni che la compongono, costituisce il fondamento normativo di tutti i provvedimenti impugnati.

L’inquadramento della vicenda controversa rispecchia l’interrelazione tra le previsioni censurate, intese in una prospettiva unitaria anche alla luce della complessiva ratio legis che le ispira.

5.– Il rimettente, inoltre, esclude in modo persuasivo la praticabilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata.

Quanto al ruolo degli ispettori, la distinzione in base al requisito di genere è tratto distintivo della dotazione organica della Polizia penitenziaria, definita dalla Tabella A, allegata al d.lgs. n. 443 del 1992. A sua volta, la concreta modulazione della dotazione organica, a più riprese modificata nel volgere degli anni, da ultimo con l’art. 1, comma 863, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025), incide sulla ripartizione dei posti messi a concorso.

A fronte dell’univoco dato normativo, non si può esplorare l’interpretazione adeguatrice che la parte tratteggia nella memoria illustrativa, limitando la distinzione di genere ai servizi destinati a svolgersi intra moenia, a contatto con i detenuti.

6.– Nessun ostacolo, infine, si frappone all’esame del merito anche sotto il profilo del contrasto con disposizioni del diritto dell’Unione europea, che il rimettente ritiene dotate di efficacia diretta.

6.1.– Il giudice, ove ravvisi l’incompatibilità del diritto nazionale con il diritto dell’Unione dotato di efficacia diretta (Corte di giustizia dell’Unione europea, terza sezione, sentenza 1° luglio 2010, in causa C-194/08, Gassmayr), può non applicare la normativa interna, all’occorrenza previo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia (art. 267 TFUE), ovvero sollevare una questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, primo comma, e dell’art. 11 Cost.

Sarà poi questa Corte a interrogare la Corte di giustizia, ove siano incerte la portata e la latitudine delle garanzie riconosciute dal diritto dell’Unione, «che si riverberano sul costante evolvere dei precetti costituzionali, in un rapporto di mutua implicazione e di feconda integrazione» (ordinanza n. 182 del 2020, punto 3.2. del Considerato in diritto).

6.2.– A partire dalla sentenza n. 269 del 2017, nei casi di “doppia pregiudizialità”, questa Corte ha rimesso alla discrezionalità del giudice la scelta di quale strada percorrere (ordinanze n. 217 e n. 216 del 2021) e ha escluso l’antitesi oppure un ordine di priorità fra tali strumenti. Entrambi i rimedi garantiscono il primato del diritto dell’Unione, uno dei capisaldi dell’integrazione europea, riconosciuto fin dalle prime pronunce della Corte di giustizia e poi dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 170 del 1984 e, più di recente, sentenza n. 67 del 2022).

Anche negli Stati membri in cui esiste, come in Italia, un sindacato accentrato di costituzionalità, tutti i giudici possono controllare la compatibilità di una legge con il diritto comunitario (Corte di giustizia, sentenza 9 marzo 1978, in causa C-106/77, Simmenthal).

Né le competenze delle Corti costituzionali possono ostacolare o limitare il potere dei giudici di proporre un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia e di non applicare la legge statale incompatibile con il diritto dell’Unione (Corte di giustizia, grande sezione, sentenza 22 febbraio 2022, in causa C-430/21, RS), quando esso sia provvisto di efficacia diretta (Corte di giustizia, grande sezione, sentenza 24 giugno 2019, in causa C-573/17, Popławski).

6.3.– Allorché, invece, si censura la violazione dell’art. 117, primo comma Cost., l’aspetto essenziale è che la legge non ha osservato un “obbligo comunitario” ed è, per questa ragione, costituzionalmente illegittima. L’obbligo dello Stato è quello di assicurare il rispetto del diritto eurounitario e il principio di preminenza; tale obbligo è violato, sia se il contrasto riguarda la Carta dei diritti fondamentali, sia se il conflitto riguarda un’altra normativa del diritto dell’Unione.

Perché questa Corte scrutini nel merito le censure di violazione di una normativa di diritto dell’Unione direttamente applicabile, è necessario che la questione posta dal rimettente presenti un “tono costituzionale”, per il nesso con interessi o princìpi di rilievo costituzionale.

Tale nesso si rivela in modo esemplare nel caso di specie.

La direttiva 2006/54/CE, nell’attuare il principio di parità di trattamento tra uomo e donna, già sancito dalla direttiva 76/207/CEE, e nel concretizzare gli artt. 21 e 23 della Carta di Nizza (Considerando n. 5), investe princìpi fondamentali nel disegno costituzionale e con tali princìpi interagisce nel sindacato che questa Corte è chiamata a svolgere al metro dell’art. 3 Cost., in una prospettiva di effettività e di integrazione delle garanzie.

6.4.– Il sistema è improntato a un concorso di rimedi, destinato ad arricchire gli strumenti di tutela dei diritti fondamentali e, per definizione, ad escludere ogni preclusione (sentenza n. 20 del 2019, punto 2.3. del Considerato in diritto).

Il concorso di rimedi si inquadra in un contesto «che vede tanto il giudice comune quanto questa Corte impegnati a dare attuazione al diritto dell’Unione europea nell’ordinamento italiano, ciascuno con i propri strumenti e ciascuno nell’ambito delle rispettive competenze» (sentenza n. 149 del 2022, punto 2.2.2. del Considerato in diritto).

Il sindacato accentrato di costituzionalità, pertanto, non si pone in antitesi con un meccanismo diffuso di attuazione del diritto europeo, ma con esso coopera a costruire tutele sempre più integrate (sentenza n. 15 del 2024, punto 7.3.3. del Considerato in diritto).

6.5.– Sarà il giudice a scegliere il rimedio più appropriato, ponderando le peculiarità della vicenda sottoposta al suo esame.

L’interlocuzione con questa Corte, chiamata a rendere una pronuncia erga omnes, si dimostra particolarmente proficua, qualora l’interpretazione della normativa vigente non sia scevra di incertezze o la pubblica amministrazione continui ad applicare la disciplina controversa o le questioni interpretative siano foriere di un impatto sistemico, destinato a dispiegare i suoi effetti ben oltre il caso concreto, oppure qualora occorra effettuare un bilanciamento tra princìpi di carattere costituzionale.

Ove, poi, sussista un dubbio sull’attribuzione di efficacia diretta al diritto dell’Unione e la decisione di non applicare il diritto nazionale risulti opinabile e soggetta a contestazioni, la via della questione di legittimità costituzionale consente di fugare ogni incertezza. Questa Corte potrà dichiarare fondata la questione di legittimità costituzionale, se accerta l’esistenza del conflitto tra la normativa nazionale e le norme dell’Unione, indipendentemente dalla circostanza che queste siano dotate di efficacia diretta.

La dichiarazione di illegittimità costituzionale «offre un surplus di garanzia al primato del diritto dell’Unione europea, sotto il profilo della certezza e della sua uniforme applicazione. Fermo restando, infatti, che all’obbligo di applicare le disposizioni dotate di effetti diretti sono soggetti non solo tutti i giudici, ma anche la stessa pubblica amministrazione – sicché ove vi sia una normativa interna incompatibile con dette disposizioni essa non deve trovare applicazione – può altresì verificarsi che, per mancata contezza della predetta incompatibilità o in ragione di approdi ermeneutici che la ritengano insussistente, le norme interne continuino a essere utilizzate e applicate. Proprio per evitare tale evenienza, e fermi restando ovviamente gli altri rimedi che l’ordinamento conosce per l’uniforme applicazione del diritto quando ciò accada, la questione di legittimità costituzionale offre la possibilità, ove ne ricorrano i presupposti, di addivenire alla rimozione dall’ordinamento, con l’efficacia vincolante propria delle sentenze di accoglimento, di quelle norme che siano in contrasto con il diritto dell’Unione europea» (sentenza n. 15 del 2024, punto 8.2. del Considerato in diritto).

La declaratoria di illegittimità costituzionale, proprio perché trascende il caso concreto da cui ha tratto origine, salvaguarda in modo efficace la certezza del diritto, valore di sicuro rilievo costituzionale (sentenza n. 146 del 2024, punto 8 del Considerato in diritto), di cui i singoli giudici e questa Corte sono egualmente garanti.

Questa Corte, inoltre, grazie alla molteplicità e alla duttilità delle tecniche decisorie che adopera, può porre rimedio nel modo più incisivo alle disarmonie denunciate dal rimettente, anche colmando le lacune che possano derivare dalla caducazione delle norme illegittime.

Anche la Corte di giustizia (grande sezione, sentenza 2 settembre 2021, in causa C-350/20, O. D., paragrafo 40) ha valorizzato l’importanza primaria del ruolo di questa Corte, chiamata a dirimere le questioni «alla luce sia delle norme di diritto nazionale che delle norme del diritto dell’Unione al fine di fornire non solo al proprio giudice del rinvio, ma anche all’insieme dei giudici italiani, una pronuncia dotata di effetti erga omnes, vincolante tali giudici in ogni controversia pertinente di cui potranno essere investiti».

In tal modo, lo stesso primato del diritto dell’Unione si rafforza e si compenetra con le garanzie costituzionali, in un rapporto di vicendevole arricchimento.

6.6.– In consonanza con il percorso argomentativo così tracciato, il rimettente ha posto l’accento sulle specificità della vicenda, che ha visto anche approdi difformi: in altri giudizi, difatti, è stato negato ogni profilo di contrasto con i precetti costituzionali e con il diritto dell’Unione.

Nel caso di specie emerge, con chiarezza paradigmatica, l’esigenza di una pronuncia efficace erga omnes, che travalichi la singola controversia e offra ai consociati e al legislatore indicazioni inequivocabili.

Tale esigenza si dimostra ineludibile a fronte di una normativa che coinvolge una vasta platea di interessati e si presta ad applicazioni reiterate, come anche la difesa della parte ha rammentato nel corso della discussione, menzionando il riproporsi di analoghe questioni in un contenzioso ancora pendente.

7.– Le questioni sono fondate, nei termini di seguito esposti.

8.– L’art. 3, primo comma, Cost. «pone un principio avente un valore fondante, e perciò inviolabile, diretto a garantire l’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e a vietare che il sesso – al pari della razza, della lingua, della religione, delle opinioni politiche e delle condizioni personali e sociali – costituisca fonte di qualsivoglia discriminazione nel trattamento giuridico delle persone» (sentenza n. 163 del 1993, punto 3 del Considerato in diritto).

Sin da epoca risalente questa Corte ha affermato che «oggi, riconosciuta dalla Costituzione l’eguaglianza di diritto a tutti senza distinzione di sesso, la regola è l’eguaglianza»: il legislatore può tener conto, «nell’interesse dei pubblici servizi, delle differenti attitudini proprie degli appartenenti a ciascun sesso, purché non resti infranto il canone fondamentale dell’eguaglianza giuridica» (sentenza n. 56 del 1958).

9.– La parità di trattamento tra uomo e donna è anche «un principio fondamentale del diritto comunitario, ai sensi dell’articolo 2 e dell’articolo 3, paragrafo 2, del trattato, nonché ai sensi della giurisprudenza della Corte di giustizia. Le suddette disposizioni del trattato sanciscono la parità fra uomini e donne quale “compito” e “obiettivo” della Comunità e impongono alla stessa l’obbligo concreto della sua promozione in tutte le sue attività» (direttiva 2006/54/CE, Considerando n. 2).

Le eccezioni al principio di parità di trattamento devono «essere limitate alle attività professionali che necessitano l’assunzione di una persona di un determinato sesso data la loro natura o visto il contesto in cui si sono svolte, purché l’obiettivo ricercato sia legittimo e compatibile con il principio di proporzionalità» (direttiva 2006/54/CE, Considerando n. 19).

Nell’odierno scrutinio, riveste preminente rilievo la previsione dell’art. 14 della direttiva 2006/54/CE, ai sensi della quale «è vietata qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene: a) alle condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonché alla promozione».

In forza dell’art. 14, paragrafo 2, della direttiva citata, «una differenza di trattamento basata su una caratteristica specifica di un sesso» non assume carattere discriminatorio solo quando, «per la particolare natura delle attività lavorative di cui trattasi o per il contesto in cui esse vengono espletate, tale caratteristica costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e il requisito proporzionato».

10.– Il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e le prescrizioni poste dal diritto dell’Unione europea convergono nel rendere effettiva la parità di trattamento, in una prospettiva armonica e complementare, che consente di cogliere appieno l’integrazione tra le garanzie sancite dalle diverse fonti.

11.– È in quest’orizzonte che si collocano le questioni sollevate dal Consiglio di Stato.

L’indissolubile correlazione tra i princìpi evocati impone di scrutinare congiuntamente le censure formulate in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 14 della direttiva 2006/54/CE.

12.– La legge 15 dicembre 1990, n. 395 (Ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria) attua il principio di eguaglianza tra uomo e donna con precipuo riguardo all’espletamento dei servizi di istituto. Tra il personale maschile e quello femminile del Corpo di Polizia penitenziaria vi è piena parità di attribuzioni, di funzioni, di trattamento economico e di progressione di carriera (art. 6, comma 1).

La valenza generale della regola è poi presidiata dalla delimitazione dell’ambito applicativo e delle ragioni giustificatrici delle deroghe.

All’interno delle sezioni, il personale del Corpo di Polizia penitenziaria da adibire ai servizi di istituto «deve essere dello stesso sesso dei detenuti o internati ivi ristretti» (art. 6, comma 2).

13.– A tali esigenze, tuttavia, non si raccorda il trattamento differenziato in base al genere nella dotazione organica del ruolo degli ispettori, che si associa alla netta preponderanza della presenza maschile: per i sostituti commissari, 590 sono gli uomini e 50 le donne; per gli ispettori superiori, per gli ispettori capo, per gli ispettori e per i vice ispettori, la dotazione organica è di 2640 uomini e 375 donne (Tabella 37, allegata al d.lgs. n. 95 del 2017 e destinata a modificare la Tabella A, allegata a sua volta al d.lgs. n. 443 del 1992).

14.– La preponderanza censurata non trova riscontro nelle caratteristiche dei compiti svolti.

Il personale incardinato nel ruolo degli ispettori, ruolo scandito nelle cinque qualifiche di vice ispettore, di ispettore, di ispettore capo, di ispettore superiore, di sostituto commissario, svolge «funzioni che richiedono una adeguata preparazione professionale e la conoscenza dei metodi e della organizzazione del trattamento penitenziario nonché specifiche funzioni nell’ambito dei servizi istituzionali della Polizia penitenziaria secondo le direttive e gli ordini impartiti dal comandante di reparto dell’istituto o della scuola ovvero dal funzionario del Corpo responsabile» (art. 23, comma 2, primo periodo, del d.lgs. n. 443 del 1992).

Gli ispettori svolgono anche «funzioni di coordinamento di una o più unità operative dell’area della sicurezza, dei nuclei e degli uffici e servizi ove sono incardinati nonché la responsabilità per le direttive e le istruzioni impartite nelle predette attività» (ancora, art. 23, comma 2, primo periodo, del d.lgs. n. 443 del 1992).

Gli appartenenti al ruolo degli ispettori hanno la facoltà di «partecipare alle riunioni di gruppo di cui agli articoli 28 e 29 del regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230» (art. 23, comma 2, secondo periodo), riunioni finalizzate all’osservazione scientifica della personalità delle persone sottoposte a pena o a misura di sicurezza e alla compilazione dei programmi individualizzati di trattamento.

Il personale appartenente al ruolo degli ispettori svolge, inoltre, «in relazione alla professionalità posseduta, compiti di formazione o di istruzione del personale di Polizia penitenziaria» (art. 23, comma 2, terzo periodo).

L’art. 39, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 15 febbraio 1999, n. 82 (Regolamento di servizio del Corpo di polizia penitenziaria) così identifica i compiti dei preposti ai singoli servizi, scelti di regola proprio tra gli appartenenti ai ruoli degli ispettori e dei sovrintendenti: «1) assistere personalmente al passaggio delle consegne durante il cambio dei turni e verificare l’esatta conoscenza, da parte del personale dipendente, delle norme e delle disposizioni di servizio; 2) controllare l’esatto adempimento dei compiti assegnati al predetto personale; 3) informare il diretto superiore sull’andamento del servizio e sulle eventuali infrazioni commesse dal personale stesso, nonché su ogni altro fatto rilevante; 4) assistere alla perquisizione dei detenuti e degli internati, nonché dei locali e degli spazi da essi utilizzati; 5) presenziare ai movimenti di gruppi di detenuti o internati; 6) fornire collaborazione ai superiori nello svolgimento dei compiti propri di questi ultimi; 7) distribuire ed illustrare il servizio al personale dipendente; 8) eseguire frequenti controlli sullo svolgimento del servizio e disporre, nei casi di necessità, la sostituzione del personale, richiedendone l’altro occorrente; 9) osservare e far osservare al personale dipendente scrupolosamente le disposizioni contenute nell’ordine di servizio di cui all’articolo 29 e chiamare il comandante del reparto, ove occorra».

15.– Alla collaborazione con i superiori si affianca, dunque, il controllo sui servizi svolti dal personale dipendente. Il diretto e continuativo contatto con i detenuti non assurge a connotazione qualificante e indefettibile del lavoro prestato.

L’evoluzione normativa ha accresciuto l’importanza dei compiti di coordinamento e direttivi, destinati a proiettarsi anche nell’ambito della formazione e dell’istruzione, e ha delineato per gli ispettori un’essenziale funzione di raccordo tra il ruolo degli agenti e degli assistenti e dei sovrintendenti, da un lato, e il ruolo dei funzionari, dall’altro.

16.– Il notevole divario tra la presenza maschile e quella femminile ricalca, in un contesto radicalmente diverso, un assetto che si riconnette alle particolarità del ruolo degli agenti e degli assistenti, deputati a svolgere compiti eminentemente operativi, in costante contatto con i detenuti delle sezioni.

Alla luce dei compiti di direzione e di coordinamento, che contraddistinguono le mansioni assegnate agli ispettori, la più esigua rappresentanza femminile non rinviene alcuna ragionevole giustificazione in un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa, nei termini rigorosi enucleati dall’art. 14, paragrafo 2, della direttiva 2006/54/CE.

La sperequazione censurata non persegue, dunque, un obiettivo legittimo, legato all’esigenza di preservare la funzionalità e l’efficienza del Corpo di Polizia penitenziaria, e confligge con il canone di proporzionalità, proprio per l’ampiezza del divario che genera.

17.– Inoltre, le discriminazioni nell’accesso a un ruolo, che prelude al conseguimento degli incarichi più prestigiosi, vìolano il diritto delle donne di svolgere, a parità di requisiti di idoneità, un’attività conforme alle loro possibilità e alle loro scelte e di concorrere così al progresso della società.

Il sistema censurato, in antitesi con ogni criterio meritocratico, esclude da una collocazione utile in graduatoria anche donne che abbiano conseguito una votazione più elevata, sol perché gli uomini sono rappresentati in misura più consistente nella dotazione organica e nei posti messi a concorso.

Come la difesa della parte ha specificato nel corso della discussione, tale evenienza si è verificata in concreto e non appartiene al rango di un mero e remoto inconveniente di fatto. L’incongruenza, addotta a fondamento delle censure, è connaturata allo stesso meccanismo prefigurato dalla legge e ne rivela l’intrinseca irragionevolezza.

La disparità di trattamento ingenera, dunque, effetti distorsivi che si ripercuotono sull’efficienza stessa dell’amministrazione.

18.– Emblematica è la circostanza che, per la carriera dei funzionari del Corpo di Polizia penitenziaria. il decreto legislativo 21 maggio 2000, n. 146 (Adeguamento delle strutture e degli organici dell’Amministrazione penitenziaria e dell’Ufficio centrale per la giustizia minorile, nonché istituzione dei ruoli direttivi ordinario e speciale del Corpo di polizia penitenziaria, a norma dell’articolo 12 della legge 28 luglio 1999, n. 266) abbia già superato la distinzione basata sul genere.

19.– Rimossa ogni irragionevole disparità di trattamento, le differenze saranno determinate dal punteggio che ciascun candidato di volta in volta ottiene e non da un meccanismo aleatorio, condizionato dalla più cospicua presenza maschile nella dotazione organica e nei posti messi a concorso.

20.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 44, commi da 7 a 11, del d.lgs. n. 95 del 2017, dell’allegata Tabella 37 e della Tabella A, allegata al d.lgs. n. 443 del 1992, nella parte in cui distinguono secondo il genere, in dotazione organica, i posti da mettere a concorso nella qualifica di ispettore del Corpo di Polizia penitenziaria. Resta fermo il totale della dotazione organica, stabilito dal legislatore.

21.– Sono assorbite le altre censure.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile l’intervento in giudizio di S. S., A. R., A. L.M. e E.O. C.;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 44, commi da 7 a 11, del decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95, recante «Disposizioni in materia di revisione dei ruoli delle Forze di polizia, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», dell’allegata Tabella 37 e della Tabella A, allegata al decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443 (Ordinamento del personale del Corpo di polizia penitenziaria, a norma dell’art. 14, comma 1, della legge 15 dicembre 1990, n. 395), nella parte in cui distinguono secondo il genere, in dotazione organica, i posti da mettere a concorso nella qualifica di ispettore del Corpo di Polizia penitenziaria.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 ottobre 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Giovanni PITRUZZELLA, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 19 novembre 2024

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

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