Con la sentenza n. 184 del 21 novembre 2024, la Corte costituzionale ha escluso l’incostituzionalità dell’art. 1, commi 148 e 149, della legge 4 agosto 2017, n. 124, che ha riconosciuto la validità dei contratti stipulati tra società di ingegneria e soggetti privati dopo l’entrata in vigore della legge n. 266 del 1997. La norma, qualificata come interpretativa, è stata adottata per chiarire gli effetti dell’abrogazione, avvenuta nel 1997, del divieto di esercizio in forma societaria dell’attività professionale, disciplinata dalla legge n. 266 del 1997, che aveva rinviato a un regolamento mai emanato la regolazione dell’attività delle società professionali. La Corte ha rilevato che l’intervento legislativo del 2017 ha risolto le incertezze interpretative derivanti dalla mancata emanazione del regolamento, chiarendo che le società di ingegneria, di capitali e cooperative, potevano operare anche in ambito privato, in continuità con la possibilità, già riconosciuta, di contrattare con la pubblica amministrazione.
La Corte ha sottolineato come la norma interpretativa non sia irragionevole, in quanto chiarisce retroattivamente il quadro normativo senza violare principi costituzionali, tra cui la tutela dell’affidamento legittimo dei soggetti privati e il diritto alla tutela giurisdizionale. Inoltre, l’intervento legislativo rispetta i limiti all’iniziativa economica privata sanciti dall’art. 41 Cost., non ledendo interessi meritevoli di protezione e risultando coerente con l’obiettivo di assicurare certezza giuridica. In definitiva, la Corte ha giudicato l’intervento del legislatore rispettoso dei principi costituzionali e volto a sanare un’incertezza normativa che avrebbe potuto pregiudicare l’operatività delle società di ingegneria in ambito privato.
SENTENZA N. 184
ANNO 2024
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 148 e 149, della legge 4 agosto 2017, n. 124 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza), promosso dalla Corte d’appello di L’Aquila, sezione civile, nel procedimento vertente tra Condominio G. e A. M. srl e altri, con ordinanza del 14 febbraio 2024, iscritta al n. 54 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2024.
Visti gli atti di costituzione di A. M. srl e Condominio G., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udita nell’udienza pubblica del 16 ottobre 2024 la Giudice relatrice Emanuela Navarretta;
uditi gli avvocati Anna Rossi per Condominio G., Rosario Panebianco per A. M. srl, nonché l’avvocato dello Stato Massimo Santoro per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 16 ottobre 2024.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 14 febbraio 2024, iscritta al n. 54 del registro ordinanze 2024, la Corte d’appello di L’Aquila, sezione civile, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 148 e 149, della legge 4 agosto 2017, n. 124 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza), per violazione degli artt. 3, 24 e 41, commi secondo e terzo, della Costituzione.
2.– Il rimettente riferisce che la società A. M. srl e i suoi soci avevano convenuto in giudizio il Condominio G., innanzi al Tribunale ordinario di L’Aquila, al fine di ottenere il risarcimento dei danni conseguenti alla «revoca», ritenuta «illegittima», di un incarico professionale. Questo era stato conferito sulla base di un contratto inizialmente stipulato con i progettisti e poi ceduto alla A. M. srl con il consenso del Condominio stesso; il contratto aveva a oggetto lo svolgimento delle attività propedeutiche e di quelle necessarie a ottenere un contributo pubblico per la riparazione dell’edificio condominiale, danneggiato dal sisma del 2009.
La società di ingegneria presentava al Condominio un progetto, ma questi, adducendo inadempienze contrattuali, «deliberava la revoca dell’incarico», sicché la società A. M. e i suoi soci, nel contestare tale assunto, chiedevano il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.
Nel corso del giudizio di primo grado, il Condominio eccepiva, in via preliminare, la nullità del contratto, in quanto contrario al divieto previsto dalla legge 23 novembre 1939, n. 1815 (Disciplina giuridica degli studi di assistenza e di consulenza) e successive modifiche. Tale divieto – a detta del Condominio – sarebbe venuto meno solo con l’entrata in vigore della legge 12 novembre 2011, n. 183, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2012)».
2.1.– Il rimettente riporta che il Tribunale di L’Aquila escludeva la nullità del contratto, in linea con il principio di diritto affermato da una sentenza della Corte di cassazione del 2022 (sezione seconda civile, sentenza 18 luglio 2022, n. 22534), e riconosceva la fondatezza della pretesa risarcitoria fatta valere dalla A. M. srl e dai suoi soci.
2.2.– Il rimettente espone che avverso la sentenza di primo grado il Condominio proponeva appello, sostenendo, anzitutto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 148 e 149, della legge n. 124 del 2017 e la conseguente nullità del contratto d’opera intellettuale intercorso con la A. M. srl.
3.– La Corte d’appello di L’Aquila ha, dunque, sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 148 e 149, della legge n. 124 del 2017, in riferimento agli artt. 3, 24 e 41, commi secondo e terzo, Cost.
3.1.– A sostegno della rilevanza delle questioni, il rimettente precisa che la sentenza di primo grado, oggetto di gravame, ha escluso la nullità del contratto di cui si controverte, attribuendo natura di norme di interpretazione autentica alle previsioni di cui alla legge n. 124 del 2017; natura della quale la Corte d’appello dubita, ritenendo, pertanto, di non poter definire il giudizio «indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale della normativa medesima».
3.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo premette una ricostruzione della normativa che ha regolato nel tempo la materia, richiamando: l’iniziale divieto di svolgere attività professionale in forma societaria disposto dall’art. 2 della legge n. 1815 del 1939; la sua abrogazione ad opera dell’art. 24, comma 1, della legge 7 agosto 1997, n. 266 (Interventi urgenti per l’economia); il rinvio operato dall’art. 24, comma 2, della medesima legge a un apposito regolamento per l’individuazione dei requisiti per l’esercizio delle attività professionali in forma societaria. Dalla mancata adozione di tale regolamento il rimettente desume «l’impossibilità di fatto, da parte delle società di ingegneria, di operare nei confronti dei privati» (in proposito, cita le sentenze della Corte di cassazione, sezione seconda civile, 22 marzo 2017, n. 7310 e sezione terza civile, 18 aprile 2007, n. 9236).
Anche i successivi provvedimenti che richiama (il decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale», convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2006, n. 248, e il decreto-legge 22 dicembre 2008, n. 200, recante «Misure urgenti in materia di semplificazione normativa», convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 2009, n. 9) non avrebbero consentito alle società di ingegneria costituite nelle forme delle società di capitali o cooperative di esercitare attività professionale.
A parere del giudice a quo, solo con l’art. 10 della legge n. 183 del 2011 sarebbe stato abrogato il divieto di svolgere attività professionale tecnica in forma societaria.
Pertanto, la legge n. 124 del 2017 avrebbe avuto l’effetto di far retroagire all’entrata in vigore della legge n. 266 del 1997 la validità dei contratti conclusi con privati dalle società di ingegneria costituite in forma di società di capitali o cooperative.
In sostanza, il «combinato disposto dei commi 148 e 149 dell’art. 1 della L. n. 124/2017» avrebbe determinato «una sorta di convalida o sanatoria operata dalla legge in ordine ai contratti nulli conclusi coi privati dalle società di ingegneria in forma di società di capitali negli anni dal 1997 al 2012».
3.3.– Rispetto a tale quadro normativo, il ricorrente esclude che sussistesse una situazione di «grave incertezza normativa e/o [di] forti contrasti giurisprudenziali nell’applicazione» della legge n. 266 del 1997, tali da giustificare il ricorso a norme di interpretazione autentica.
Richiama, di seguito, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che avrebbe censurato il ricorso a una «legge interpretativa [ove] utilizzata dallo Stato come strumento di intromissione nel corretto svolgimento dell’amministrazione della giustizia». Riferisce, inoltre, come questa Corte, richiamandosi proprio alla giurisprudenza della Corte EDU, avrebbe enumerato quali motivi idonei a giustificare un intervento legislativo retroattivo: il ricorrere di «ragioni storiche epocali» o l’esigenza di «ristabilire un’interpretazione più aderente all’originaria volontà del legislatore, al fine di porre rimedio ad un’imperfezione tecnica della legge interpretata» (richiama, in proposito, le sentenze n. 308 e n. 170 del 2013, n. 78 del 2012 e n. 1 del 2011).
Secondo il giudice a quo, nessuna di tali ragioni sarebbe ravvisabile a supporto dell’art. 1, commi 148 e 149, della legge n. 124 del 2017.
3.4.– Da ultimo, il rimettente rileva che la norma abrogatrice del divieto generale di esercitare tutte le attività professionali in forma societaria, salvo demandare alla fonte di rango secondario l’individuazione delle forme e modalità di svolgimento di tali attività, non avrebbe potuto contenere in sé il precetto secondo cui le sole società di ingegneria costituite in forma di società di capitali o cooperative potessero concludere validi contratti coi privati, a partire dall’entrata in vigore della legge, senza la necessità di ulteriore regolamentazione.
La norma censurata avrebbe, quindi, portata innovativa e avrebbe determinato «una ingiustificata disparità di trattamento non solo con le altre società di professionisti, ma anche con le società di ingegneria nella forma della società di persone».
4.– Il 30 aprile 2024 si è costituito in giudizio il Condominio che ha speso argomenti analoghi a quelli dedotti nell’ordinanza di rimessione a sostegno della fondatezza delle questioni.
L’introduzione nell’ordinamento del combinato disposto dei commi 148 e 149 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2017 avrebbe avuto l’unico obiettivo della «convalida ope legis» dei contratti nulli conclusi con i privati dalle società d’ingegneria in forma di società di capitali o cooperative dal 1997 al 2012.
Tale sanatoria, a parere del Condominio, non potrebbe superare il vaglio di costituzionalità.
In primo luogo, non ricorrerebbero i presupposti per riconoscere una norma di interpretazione autentica, tant’è che «l’ambito di applicazione soggettivo ed oggettivo della norma “interpretativa”» sarebbe diverso «da quello della norma interpretata».
In secondo luogo, in quanto disciplina innovativa e con efficacia retroattiva, essa non sarebbe sostenuta da interessi capaci di supportarne la ragionevolezza. Non sussisterebbero, infatti, ragioni imperative di interesse generale idonee a giustificare l’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia, ma anzi l’intervento normativo avrebbe avuto l’unica funzione di evitare la nascita di contenziosi relativi alle attività svolte dalle società di ingegneria prima del 2012.
Le norme censurate avrebbero, inoltre, determinato un’ingiustificata disparità di trattamento «non solo con le altre società di professionisti, ma anche con le società di ingegneria nella forma della società di persone».
5.– Il 30 aprile 2024, la A. M. srl si è costituita in giudizio, facendo valere, anzitutto, l’inammissibilità delle questioni sollevate.
5.1.– La società riporta che nel giudizio a quo la parte appellata aveva eccepito il difetto di legittimazione attiva dell’amministratore del Condominio, sul presupposto che la delibera assunta dall’assemblea dei condomini in favore della proposizione del gravame fosse stata adottata in carenza del quorum deliberativo richiesto dall’art. 1136 del codice civile.
La società ritiene che tale eccezione preliminare avrebbe dovuto essere vagliata con priorità rispetto alle altre riguardanti il merito della vicenda, sicché tale omessa verifica comporterebbe l’inammissibilità per irrilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate.
5.2.– La società deduce, di seguito, il difetto di rilevanza della censura concernente l’irragionevole disparità di trattamento. Ritiene, infatti, che tale questione non possa essere risolta annullando le disposizioni censurate, ma «al più dichiara[ndone] l’incostituzionalità nella parte in cui non estendono la previsione di favore alle altre società di professionisti diverse da quelle di ingegneria in forma di società di capitali».
In tal caso, però, l’esito del giudizio di legittimità costituzionale non produrrebbe effetti nel processo a quo, nel quale continuerebbero a trovare applicazione le disposizioni censurate.
5.3.– Quanto al merito, la società ritiene, in premessa, «fuorviante» la ricostruzione delle fonti normative dedotta nell’ordinanza di rimessione, in quanto il divieto di cui all’art. 2 della legge n. 1815 del 1939 non sarebbe mai stato reintrodotto dopo il 1997. Pertanto, «dall’entrata in vigore della l. n. 266/1997 alla data dell’entrata in vigore della l. n. 183/2011, o comunque della l. n. 124/2017, non vi [sarebbe] mai stato un intermezzo temporale in cui sia stato nuovamente vigente il divieto di esercitare l’attività professionale in forma societaria».
A parere della società, la giurisprudenza di questa Corte escluderebbe un contrasto con i principi costituzionali tanto di disposizioni di interpretazione autentica, quanto di norme innovative con efficacia retroattiva, ove la retroattività trovi un’adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza, compresa l’esigenza di porre rimedio a imperfezioni tecniche della legge (è richiamata, in proposito, la sentenza n. 308 del 2013).
In particolare, l’art. 24 della legge n. 266 del 1997 avrebbe prodotto l’effetto di «consentire o quanto meno suscitare negli operatori professionali l’affidamento (principio di rilevanza costituzionale) di poter esercitare il diritto di svolgere l’attività professionale in forma societaria e di agire secondo la legge in un ambito più vasto rispetto a quello precedentemente ammesso».
Proprio a tutela di tali interessi il legislatore del 2017 sarebbe, dunque, intervenuto onde rimuovere una «imperfezione tecnica» e preservare l’intenzione del legislatore del 1997, che sarebbe stata quella di aprire le attività professionali anche all’esercizio in forma societaria.
La mancata adozione del decreto attuativo non avrebbe, pertanto, privato di ogni efficacia il comma 1 dell’art. 24, che «non ha attribuito ai destinatari una nuova situazione di vantaggio da definire in via di dettaglio, ma ha rimosso un divieto posto alla preesistente e garantita libertà di iniziativa economica e all’autonomia contrattuale». Viceversa, secondo la società, l’interpretazione proposta dal rimettente dell’art. 24 della legge n. 266 del 1997 renderebbe costituzionalmente illegittima tale disposizione, poiché consentirebbe a una fonte secondaria di sospendere l’esercizio di un’attività, già ammessa da una fonte di rango primario.
La società A. M. considera, dunque, l’art. 10, comma 3, della legge n. 183 del 2011 – secondo cui è «consentita la costituzione di società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile. Le società cooperative di professionisti sono costituite da un numero di soci non inferiore a tre» – una norma meramente ricognitiva della disciplina già in vigore.
6.– Il 30 aprile 2024 è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha, anzitutto, sollevato eccezioni di rito.
6.1.– La difesa statale reputa inammissibili le questioni concernenti la violazione degli artt. 24 e 41 Cost., in quanto il rimettente non avrebbe «motivato in ordine alle ragioni del ritenuto contrasto con le disposizioni invocate».
Inoltre, la censura di ingiustificata disparità di trattamento rispetto alle altre società di professionisti, nonché alle società di ingegneria costituite nella forma di società di persone, oltre a non fare esplicito riferimento alla violazione dell’art. 3 Cost., sarebbe comunque carente di motivazione. Infatti, il giudice a quo non individuerebbe «le ragioni per le quali dovrebbe essere assicurato un analogo trattamento […] rispetto alle altre società considerate».
6.2.– Nel merito, l’Avvocatura generale sostiene la non fondatezza della censura sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. e rileva il carattere isolato della sentenza della Corte di cassazione n. 7310 del 2017, che ha ritenuto nullo il contratto con cui veniva affidata a una società l’esecuzione di incarichi rientranti nell’attività tipica del libero professionista ingegnere. Ne desume che «– nell’obiettiva incertezza determinatasi a seguito, da un lato, dell’abrogazione, ad opera del comma 1 dell’art. 24 della legge n. 266 del 1997, del divieto di esercizio in forma societaria delle professioni (contenuto all’articolo 2 della legge n 1815 del 1939) e, dall’altro, dalla mancata adozione del D.M. previsto al comma 2 del medesimo articolo 24 – […] la conclusione fatta propria dalla sentenza n. 7310 del 2017 non fosse l’unica sostenibile».
Del resto – secondo la difesa statale – il comma 2 dell’art. 24, richiamando le «attività di cui all’art. 1 della legge 23 novembre 1939, n. 1815» per la fissazione dei relativi requisiti, non potrebbe ritenersi riferito esclusivamente all’esercizio in forma societaria delle suddette professioni, ma sarebbe estensibile anche alla forma delle associazioni, «l’unica […] prevista dall’articolo 1». Pertanto, ad avviso dell’Avvocatura, «l’interpretazione secondo la quale, in assenza del decreto del Ministro di grazia e giustizia, non sarebbe stato possibile l’esercizio in forma societaria delle professioni contemplate dall’articolo 1 della legge non appare l’unica percorribile, ben potendosi ritenere che, pur in assenza del suddetto decreto, l’esercizio in forma societaria risultasse consentito, al pari di quello in forma associata, esplicitamente previsto dall’articolo 1 della legge n. 1815 del 1939, pur in mancanza del decreto ministeriale».
6.3.– La ritenuta natura interpretativa delle norme censurate consentirebbe, inoltre, a giudizio dell’Avvocatura generale dello Stato, un’interpretazione della disciplina dell’esercizio in forma societaria delle professioni liberali che estenda la possibilità di tale esercizio anche alle altre forme societarie previste dal codice civile, quale conseguenza dell’abrogazione del divieto di cui all’art. 2 della legge n. 1815 del 1939, ad opera dell’art. 24, comma 1, della legge n. 266 del 1997. Ne conseguirebbe, secondo la difesa statale, la validità dei contratti stipulati dalle suddette società, in qualsiasi forma costituite, e l’insussistenza della disparità di trattamento denunciata dal giudice rimettente.
7.– Il 24 settembre 2024 il Condominio ha depositato memoria in prossimità dell’udienza, con la quale ha replicato alle principali argomentazioni dell’Avvocatura generale dello Stato e della società A. M.
7.1.– In rito, il Condominio sostiene la manifesta infondatezza delle eccezioni sollevate dall’Avvocatura dello Stato. Quanto al merito, giudica non ragionevole l’interpretazione, secondo la quale, pur in assenza del decreto ministeriale, sarebbe stato consentito l’esercizio dell’attività professionale in forma societaria al pari di quello in forma associata. Tale interpretazione non terrebbe conto dell’evoluzione normativa che dapprima ha riconosciuto la possibilità di costituire società di ingegneria nelle due forme del commercial e del consulting engineering e che solo con la legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici) ha previsto la possibilità di costituire società di capitali per lo svolgimento di attività di ingegneria, ma limitatamente ai contratti pubblici. Il successivo d.l. n. 223 del 2006, come convertito, avrebbe poi consentito di svolgere attività professionali in forma interdisciplinare alle società di persone e alle associazioni, ma senza estendere il superamento del divieto per le società di capitali.
La conferma della persistenza del divieto viene poi ravvisata nella ritenuta “nuova” abrogazione dell’art. 2 della legge n. 1815 del 1939, che sarebbe stata introdotta, a decorrere dal 1° gennaio 2012, con l’art. 10, comma 11, della legge n. 183 del 2011 (norma, che, a parere del Condominio, non avrebbe portata unicamente ricognitiva).
Di conseguenza, esso ribadisce che le norme censurate avrebbero operato «una sanatoria politica, su pressione delle associazioni di categoria, di contratti nulli conclusi, in piena consapevolezza, dalle società di ingegneria nelle forme di società di capitali o cooperative, la cui operatività era ex lege limitata agli appalti pubblici».
7.2.– In replica alle deduzioni svolte in rito da A. M. srl, il Condominio sostiene che la Corte d’appello rimettente avrebbe già vagliato e implicitamente rigettato, con l’ordinanza che ha sospeso l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, l’eccezione di carente legittimazione attiva, ritenendola non fondata.
Il Condominio rileva, inoltre, che sarebbe «volutamente distorsiva delle ragioni di censura dedotte dalla Corte rimettente dell’ordinanza di rimessione» l’eccezione di irrilevanza delle questioni concernenti l’irragionevolezza per disparità di trattamento.
Nel merito, difende poi la ricostruzione normativa svolta dal giudice a quo, reputando l’operazione ermeneutica prospettata da A. M. srl «una evidente forzatura del dato normativo».
Contesta, infine, che nella legge n. 266 del 1997 sia rinvenibile un «difetto tecnico della legislazione», tale da rendere non irragionevole l’intervento operato dalla legge n. 124 del 2017, tenuto conto anche della giurisprudenza della Corte EDU in merito all’art. 6 CEDU. Per converso, a parere del Condominio, le disposizioni censurate avrebbero unicamente la finalità di condizionare i giudizi in corso, contrastando un orientamento maggioritario in giurisprudenza.
8.– Il 24 settembre 2024, l’Avvocatura generale dello Stato ha presentato una memoria, in cui ha richiamato e fatto propria l’eccezione di inammissibilità, già sollevata dalla società di ingegneria, relativa al difetto di legittimazione processuale nel giudizio a quo dell’amministratore di condominio.
Secondo la difesa statale, in mancanza di un previo scrutinio «dell’eccezione di carenza di legittimazione al processo, [scrutinio] che non risulta essere avvenuto, viene meno il requisito della rilevanza della questione di costituzionalità».
Richiamate, poi, le altre eccezioni di inammissibilità già riportate nell’atto di intervento, l’Avvocatura ribadisce, nel merito, gli argomenti a sostegno della non fondatezza, soffermandosi, in particolare, sulla circostanza che la gran parte delle sentenze della Corte di cassazione riportate dall’ordinanza avevano a oggetto prestazioni professionali rese prima dell’entrata in vigore della legge n. 266 del 1997 e che la sentenza n. 7310 del 2017 risulterebbe un precedente isolato.
Pertanto, riafferma l’ammissibilità di una diversa interpretazione, vòlta a estendere la possibilità di esercitare in forma societaria l’attività professionale «come conseguenza dell’abrogazione del divieto contenuto all’articolo 2 della legge n. 1815 del 1939 ad opera dell’art. 24 della legge n. 266 del 1997». Infine, sottolinea come la natura interpretativa della legge n. 124 del 2017 fosse stata sostenuta dalla stessa Corte di cassazione nella sentenza n. 22534 del 2022.
9.– Infine, il 25 settembre 2024, anche la società A. M. ha depositato una memoria difensiva, nella quale ha ribadito il difetto di rilevanza della questione concernente l’irragionevole disparità di trattamento rispetto a società di capitali che svolgono attività professionali diverse da quelle proprie degli ingegneri e rispetto a società di persone di ingegneri.
A suo parere, anche per tali società l’art. 24 della legge n. 266 del 1997 avrebbe rimosso «il divieto posto alla preesistente e garantita libertà di iniziativa economica e all’autonomia contrattuale, già dotate di una regolamentazione afferente a un articolato statuto costituzionale e ordinario».
La norma abrogativa sarebbe, dunque, autoapplicativa, posto che «se il legislatore avesse inteso subordinare l’abrogazione del divieto all’adozione del decreto attuativo avrebbe dovuto differirne l’efficacia alla data di entrata in vigore dello stesso». Ma – continua la società – se «il divieto di esercizio di tutte le attività professionali in forma societaria (società di persone e società di capitali) ha decorrenza ex se […] dall’entrata in vigore della l. n. 266/1997, la questione di costituzionalità dell’art. 1 comma 148 e 149 della l. n. 124/2017 non ha rilevanza nel giudizio a quo perché la Corte rimettente dovrà far applicazione diretta del citato art. 24».
Sulla base di tale argomento, la società A. M. ritiene, dunque, che non vi sia alcuna disparità di trattamento, censura che, in ogni caso, non sarebbe stata supportata da motivazioni sufficienti.
Quanto al merito della questione relativa alla violazione dell’art. 3 Cost. per irragionevolezza, precisa che, «[o]ve si ritenga […] che l’efficacia del citato art. 24 a far data dalla entrata in vigore della legge n. 266/1997 abbia titolo nel predetto comma 148 e si applichi solo alle società di ingegneria in forma di società di capitali – escluse tutte le altre – si ribadisce che si tratta di una scelta di principio conforme al sistema di liberalizzazione del mercato dei servizi economici di derivazione comunitaria – che non tollera restrizioni neanche temporanee – con la conseguenza che l’eventuale, non motivato profilo di disparità di trattamento dedotto dal rimettente dovrebbe essere emendato con una sentenza additiva che censuri la disposizione nella parte in cui non si applica alle situazion[i] considerate analoghe».
10.– Nell’udienza del 16 ottobre 2024, sono intervenute le parti costituite in giudizio, nonché la difesa statale, insistendo per le conclusioni rassegnate negli scritti difensivi.
Considerato in diritto
1.– Con ordinanza del 14 febbraio 2024, la Corte d’appello di L’Aquila, sezione civile, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 148 e 149, della legge n. 124 del 2017, per violazione degli artt. 3, 24 e 41, commi secondo e terzo, Cost.
1.1.– La Corte d’appello di L’Aquila era stata chiamata a decidere sul rapporto contrattuale intercorrente tra il Condominio G. e la società di ingegneria A. M., cessionaria di un contratto avente a oggetto attività propedeutiche e necessarie a ottenere il contributo pubblico per la riparazione dell’edificio condominiale, danneggiato dal sisma del 2009.
Il Condominio recedeva dal contratto, adducendo inadempienze della società di ingegneria, sicché quest’ultima e i suoi soci agivano in giudizio per contestare simile assunto e per chiedere il risarcimento dei danni. Avverso tale domanda, il Condominio – costituitosi in giudizio – eccepiva, tra l’altro, la nullità della cessione del contratto nei confronti della società, per contrasto con il divieto di svolgere l’attività professionale nelle forme delle società commerciali. Quel divieto, previsto dalla legge n. 1815 del 1939, sarebbe venuto meno, a parere del convenuto, solo con la legge n. 183 del 2011, successiva alla cessione del contratto avvenuta in data 9 aprile 2009.
1.2.– In primo grado, il Tribunale di L’Aquila ha escluso la nullità dedotta dal Condominio, richiamando, a sostegno di tale impostazione, la sentenza della Corte di cassazione n. 22534 del 2022, che aveva avallato la tesi della norma di interpretazione autentica con riguardo alla disciplina censurata.
1.3.– Il Condominio ha impugnato la sentenza di primo grado e la Corte d’appello di L’Aquila ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 148 e 149, della legge n. 124 del 2017, che considera validi i contratti conclusi, a partire dall’entrata in vigore della legge n. 266 del 1997, fra società di ingegneria di capitali o cooperative e soggetti privati.
2.– Il giudice a quo ravvisa, nelle citate previsioni, una «sorta di convalida o sanatoria» retroattiva di contratti, altrimenti nulli. A suo parere, le norme censurate non potrebbero essere qualificate come di interpretazione autentica e non risponderebbero ad alcun interesse pubblico prioritario.
Difetterebbero, pertanto, i presupposti necessari a rendere l’intervento legislativo retroattivo compatibile con il principio «di “ragionevolezza”», con conseguente violazione degli artt. 3, 24 e 41, commi secondo e terzo, Cost.
La Corte d’appello ritiene, inoltre, che la norma avrebbe determinato «una ingiustificata disparità di trattamento non solo con le altre società di professionisti, ma anche con le società di ingegneria nella forma della società di persone».
3.– Occorre esaminare, anzitutto, le eccezioni in rito.
3.1.– La società A. M. e l’Avvocatura generale dello Stato riferiscono che nel giudizio a quo era stato contestato il difetto di legittimazione attiva dell’amministratore del Condominio, sul presupposto che la delibera dell’assemblea dei condomini, assunta a favore della proposizione del gravame, fosse carente del quorum deliberativo richiesto dall’art. 1136 cod. civ.
A parere della richiamata parte e della difesa statale, tale eccezione avrebbe dovuto essere vagliata con priorità rispetto alle altre questioni attinenti al merito, sicché l’omessa verifica, da parte del giudice a quo, determinerebbe l’inammissibilità per irrilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate.
L’eccezione non è fondata.
L’ordinanza di rimessione, nel dare puntualmente atto della richiamata eccezione sollevata dai resistenti, consente di ritenere che il giudice a quo abbia svolto implicitamente il vaglio concernente la legittimazione ad agire dell’appellante, ritenendola sussistente.
Pertanto, in difetto dell’evidenza ictu oculi del vizio processuale, «l’ammissibilità della questione non è inficiata dalla mancanza di una motivazione espressa» (così sentenze n. 156 del 2023 e n. 79 del 2022; nello stesso senso sentenze n. 65 del 2021, n. 267, n. 99 e n. 24 del 2020, n. 189 del 2018 e n. 269 del 2016).
3.2.– Ulteriori eccezioni di rito sono state, poi, sollevate in riferimento alla censura di ingiustificata disparità di trattamento fra le società prese in considerazione dalle norme censurate e le società di ingegneria costituite nella forma delle società di persone, nonché le altre società di professionisti.
3.2.1.– La A. M. srl adduce, in proposito, un difetto di rilevanza della questione, in quanto tale profilo di irragionevolezza non potrebbe essere risolto annullando le disposizioni censurate, bensì dichiarandone «l’incostituzionalità nella parte in cui non estendono la previsione di favore alle altre società di professionisti».
Adottando simile prospettiva, eccepisce l’irrilevanza della questione, in quanto il suo eventuale accoglimento non inciderebbe sulla norma applicabile al giudizio a quo.
L’eccezione non è fondata.
Il rimettente invoca l’irragionevole disparità di trattamento con l’intento di conseguire l’ablazione delle norme censurate e non per prospettarne l’estensione ad altre società di professionisti. Ritiene, infatti, imprescindibile una regolamentazione concernente l’esercizio dell’attività professionale, in mancanza della quale difende la persistenza del divieto a svolgere detta attività nelle forme societarie.
Inoltre, deve ritenersi non ostativo di una pronuncia di natura ablativa il carattere favorevole delle norme censurate, poiché questa Corte ha già in passato dichiarato costituzionalmente illegittimi trattamenti di favore, ove ha ravvisato «[l]’esigenza di ripristinare criteri di equità e di ragionevolezza e di rimuovere le sperequazioni e le incongruenze» (sentenze n. 200 del 2023, n. 182 del 2022 e n. 240 del 2019).
L’eccezione di inammissibilità per irrilevanza della questione concernente l’irragionevole disparità di trattamento non è, pertanto, fondata.
3.2.2.– È, viceversa, fondata, rispetto alla medesima censura, l’eccezione di inammissibilità per carente motivazione in punto di non manifesta infondatezza, sollevata dall’Avvocatura dello Stato e, in memoria, anche dalla società A. M.
Il rimettente si limita, infatti, ad asserire che le norme censurate comporterebbero «un’ingiustificata ed irrazionale disparità di trattamento non solo tra le stesse società di ingegneria, ma anche tra le società tra professionisti in diversi settori».
Simile affermazione risulta apodittica e non si confronta con la peculiare disciplina dettata con riferimento all’esercizio dell’attività professionale da parte delle società di ingegneria costituite nelle forme delle società di capitali o delle società cooperative.
Di riflesso, il rimettente dà per presupposta e non motiva la necessaria parità di trattamento che dovrebbe condurre all’ablazione delle norme censurate.
La questione è, pertanto, inammissibile per carenza di motivazione sulla non manifesta infondatezza (sentenze n. 128 del 2024, n. 184 del 2023 e n. 181 del 2021) e, ab imis, per inadeguata ricostruzione del quadro normativo, che compromette l’iter logico argomentativo della censura (sentenze n. 201 del 2021 e 134 del 2018, nonché ordinanza n. 261 del 2020).
3.3.– Infine, a parere dell’Avvocatura generale dello Stato, sarebbero inammissibili per difetto di motivazione anche le questioni concernenti la violazione degli artt. 24 e 41 Cost., «atteso che i suddetti parametri costituzionali [sarebbero] stati solo menzionati dal Giudice rimettente, che tuttavia non ha motivato in ordine alle ragioni del ritenuto contrasto con le disposizioni invocate».
Le eccezioni non sono fondate.
Dalla motivazione dell’ordinanza è dato inferire una questione unitaria, posta in riferimento agli artt. 3, 24 e 41, commi secondo e terzo, Cost., con la quale si contesta una irragionevolezza intrinseca della disciplina, che andrebbe a pregiudizio degli interessi sottesi alle citate previsioni.
Il rimettente sostiene, infatti, da un lato, che le norme censurate determinerebbero un irragionevole meccanismo retroattivo, che inciderebbe sul diritto di agire in giudizio di cui all’art. 24 Cost., tant’è che sono evocati gli orientamenti della giurisprudenza della Corte EDU concernenti l’art. 6 CEDU.
Da un altro lato, nel ritenere leso il secondo comma dell’art. 41 Cost., il giudice a quo assume che la validità dei contratti affermata dalle norme censurate, in assenza della disciplina di fonte secondaria che avrebbe dovuto regolamentare l’esercizio dell’attività professionale da parte di soggetti costituiti nelle forme societarie, vìoli i limiti imposti dalla Costituzione all’iniziativa economica privata.
4.– In via preliminare, si rende necessario ripercorrere l’articolata evoluzione del quadro normativo che ha condotto alla introduzione dell’art. 1, commi 148 e 149, della legge n. 124 del 2017. Tali disposizioni si raccordano all’art. 24 della legge n. 266 del 1997, il cui comma 1 ha previsto l’abrogazione del divieto disposto dall’art. 2 della legge n. 1815 del 1939, norma quest’ultima, a sua volta, correlata con l’art. 1 della medesima legge.
4.1.– Occorre, dunque, risalire alla legge n. 1815 del 1939, oggi integralmente abrogata dall’art. 10, comma 11, della legge n. 183 del 2011 (infra, punto 4.5. del Considerato in diritto).
4.1.1.– L’art. 1 della legge n. 1815 del 1939 disciplinava l’ipotesi in cui persone, munite dei necessari titoli di abilitazione professionale, ovvero autorizzate all’esercizio di specifiche attività in forza di particolari disposizioni di legge, «si associa[va]no per l’esercizio delle professioni o delle altre attività per cui sono abilitate o autorizzate». In tal caso, esse dovevano «usare, nella denominazione del loro ufficio e nei rapporti coi terzi, esclusivamente la dizione di “studio tecnico, legale, commerciale, contabile, amministrativo o tributario”, seguit[a] dal nome e cognome, coi titoli professionali, dei singoli associati» (primo comma). L’esercizio associato delle professioni o delle altre attività, ai sensi del comma precedente, doveva essere «notificato all’organizzazione sindacale da cui [erano] rappresentati i singoli associati» (secondo comma).
L’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 1 della legge n. 1815 del 1939 si è orientata nel senso di una limitazione dell’esercizio dell’attività professionale all’ipotesi degli studi associati, «ove ad un contratto associativo con rilevanza interna, si sovrappone[va] il principio della personalità della prestazione professionale nei rapporti con i clienti» (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 3 marzo 1994, n. 2077). Pertanto, anche allorquando i giudici di legittimità hanno ritenuto che gli studi professionali associati, pur privi di personalità giuridica (in tal senso, Corte di cassazione, sezione terza civile, ordinanza 13 luglio 2018, n. 18527), avessero «la capacità di porsi come autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici» (Corte di cassazione, sezione terza civile, ordinanza 19 ottobre 2022, n. 30730 e sezione seconda civile, ordinanza 26 gennaio 2022, n. 2332), tale soggettività veniva ammessa al solo scopo di consentire rapporti giuridici non professionali (per garantire, ad esempio, la continuità di un rapporto di locazione dell’ufficio, pur al variare degli associati).
Parimenti, il ricorso alla forma delle società di persone veniva riconosciuto per fini meramente strumentali, quali la regolamentazione delle prestazioni del personale ausiliario, delle spese di studio, dell’uso di beni condivisi (Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 10 ottobre 2008, n. 24911; sezione prima civile, sentenza 13 luglio 1993, n. 7738).
4.1.2.– Così ricostruito il raggio applicativo dell’art. 1 della legge n. 1815 del 1939, veniva correlativamente a definirsi la portata precettiva dell’art. 2 della medesima legge, riferito a soggetti che agissero «sotto qualsiasi forma diversa da quella di cui al precedente articolo».
Per tali soggetti il citato art. 2 disponeva il divieto di «costituire, esercire o dirigere […] società, istituti, uffici, agenzie od enti, i quali abbiano lo scopo di dare, anche gratuitamente, ai propri consociati od ai terzi, prestazioni di assistenza o consulenza in materia tecnica, legale, commerciale, amministrativa, contabile o tributaria».
La ratio del divieto risultava inizialmente ispirata soprattutto a finalità di tipo repressivo: inibire ai non professionisti di celi dietro lo schermo di una società.
Nel tempo sono state, invece, valorizzate finalità differenti, che questa stessa Corte ha riconosciuto, allorché è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale del divieto: la finalità protezionistica, vale a dire la «tutela degli interessi, non soltanto economici o corporativi, delle categorie professionali», e la finalità protettiva, ossia la «garanzia del corretto esercizio delle professioni intellettuali, nei confronti dei clienti, dei terzi, della collettività in generale, garanzia che si ritiene fornita essenzialmente dalla qualificazione professionale e soprattutto dalla responsabilità personale del professionista» (sentenza n. 17 del 1976 e, di seguito, sentenza n. 54 del 1977, nonché ordinanza n. 71 del 1988).
La violazione del divieto, tramite la stipula di contratti d’opera intellettuale con società alle quali era inibito l’esercizio dell’attività professionale, comportava – secondo il diritto vivente – la nullità dei contratti, ai sensi dell’art. 1418, primo comma, cod. civ., per contrarietà alle norme imperative, di cui agli artt. 2 della legge n. 1815 del 1939 e 2231 cod. civ., in base al quale «[q]uando l’esercizio di un’attività professionale è condizionato all’iscrizione in un albo o elenco, la prestazione eseguita da chi non è iscritto non gli dà azione per il pagamento della retribuzione» (così Cass. n. 7310 del 2017, che richiama Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 29 novembre 2007, n. 24922; sezione prima civile, sentenze 2 ottobre 1999, n. 10937 e 1° ottobre 1999, n. 10872).
4.2.– Il superamento della disciplina del 1939 ha avuto luogo gradualmente attraverso un processo di apertura dell’attività professionale, da parte di soggetti costituiti nelle forme societarie, che ha inizialmente interessato ambiti settoriali. In particolare, con riferimento alle società di ingegneria, si segnalano due gruppi di discipline.
4.2.1.– Dapprima, sono state previste società di ingegneria costituite nelle due forme del commercial e del consulting engineering. A queste era permesso concludere contratti che non avessero a oggetto un’opera di progettazione di ingegneria civile interamente rientrante nell’attività professionale tipica dell’ingegnere o dell’architetto, sicché l’apporto intellettuale di tali professionisti doveva essere solo uno dei fattori del più complesso risultato promesso (art. 13 della legge 2 maggio 1976, n. 183, recante «Disciplina dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno per il quinquennio 1976-80»; art. 1 del decreto-legge 30 gennaio 1979, n. 20, recante «Proroga al 30 giugno 1979 delle disposizioni relative al contenimento del costo del lavoro nonché norme in materia di obblighi contributivi», convertito, con modificazioni, in legge 31 marzo 1979, n. 92; art. 11 della legge 12 febbraio 1981, n. 17, recante «Finanziamento per l’esecuzione di un programma integrativo di interventi di riclassamento, potenziamento ed ammodernamento delle linee, dei mezzi e degli impianti e per il proseguimento del programma di ammodernamento e potenziamento del parco del materiale rotabile della rete ferroviaria dello Stato»).
4.2.2.– Successivamente, con la legge n. 109 del 1994, si è consentito l’esercizio dell’attività professionale a società di ingegneria costituite nelle forme delle società di capitali o cooperative, permettendo loro di stipulare contratti con la pubblica amministrazione.
L’art. 17 della citata legge faceva, infatti, riferimento a società di ingegneria «costituite nelle forme di cui ai capi V, VI e VII del titolo V e al capo I del titolo VI del libro quinto del codice civile che eseguono studi di fattibilità, ricerche, consulenze, progettazioni, direzione dei lavori, valutazioni di congruità tecnico-economica e studi di impatto ambientale e che non esercitino le attività di produzione di beni» (comma 8).
Rispetto a tali società, l’art. 17 disponeva l’abrogazione del «divieto previsto dall’articolo 2 della legge 23 novembre 1939, n. 1815» (comma 8), stabilendo che le pubbliche amministrazioni potessero affidare loro «la redazione del progetto preliminare, nonché del progetto definitivo ed esecutivo o di parti di essi nonché lo svolgimento di attività tecnico-amministrative connesse alla progettazione» (comma 4).
Quanto alla regolamentazione dell’esercizio dell’attività professionale, l’art. 17, comma 9, della legge n. 109 del 1994 stabiliva che «l’attività di progettazione d[oveva] far capo ad uno o più professionisti iscritti negli appositi albi, nominativamente indicati e personalmente responsabili», rinviando a un regolamento la disciplina concernente i «requisiti organizzativi, professionali e tecnici delle società di ingegneria».
Il regolamento è stato emanato nel 1999, con il decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554 (Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni), fermo restando che la circolare del Ministero dei lavori pubblici 7 ottobre 1996, n. 4488/UL, recante «Indirizzi operativi e chiarimenti sulla disciplina transitoria di talune norme della legge quadro sui lavori pubblici (legge 11 febbraio 1994, n. 109, come modificata dalla legge 2 giugno 1995, n. 216)» aveva disposto che, «[f]ino all’entrata in vigore del Regolamento, per garantire l’imparzialità dell’azione amministrativa», fosse comunque possibile «ammettere alle gare per l’affidamento degli incarichi di progettazione le società di ingegneria». Ha ritenuto, infatti, che i requisiti demandati al regolamento riguardassero «elementi inerenti [a]l funzionamento della società che nulla [avevano] a che vedere con […] la possibilità di essere controparti dell’Amministrazione».
A tal fine, appariva, dunque, sufficiente che l’art. 17 assicurasse, al comma 9, l’esecuzione personale della prestazione da parte del professionista e la sua responsabilità personale, stabilendo, al contempo – in base a quanto precisava il comma 14 del medesimo art. 17 – che nei progetti preliminari, definitivi ed esecutivi dovesse essere indicato il nome del progettista inteso come persona fisica. Se poi i progettisti erano più di uno, essi dovevano essere nominativamente indicati ed erano responsabili in solido, per le attività professionali globali o specialistiche per cui erano incaricati.
Le norme della citata legge n. 109 del 1994 sono state, di seguito, abrogate e riprodotte nei codici dei contratti pubblici, che si sono succeduti nel tempo, e nei relativi regolamenti di attuazione (art. 90 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE»; art. 254 del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, recante «Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”»; art. 46 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, recante «Codice dei contratti pubblici»; art. 66 del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, recante «Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici»).
4.3.– Dopo che la legge n. 109 del 1994 aveva, dunque, regolamentato, sia pure al fine della stipula di contratti pubblici, le modalità di esercizio dell’attività professionale da parte di società di ingegneria costituite nella forma delle società di capitali o delle società cooperative, è intervenuta la legge n. 266 del 1997.
L’art. 24, comma 1, di tale legge ha abrogato l’art. 2 della legge n. 1815 del 1939, eliminando, in generale, il divieto di costituire società professionali e di esercitare l’attività professionale nelle forme delle società di persone, di capitali e cooperative.
Al contempo, però, il comma 2 del medesimo art. 24 ha stabilito che: «[a]i sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Ministro di grazia e giustizia, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato e, per quanto di competenza, con il Ministro della sanità, fissa con proprio decreto, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i requisiti per l’esercizio delle attività di cui all’articolo 1 della legge 23 novembre 1939, n. 1815».
Il decreto ministeriale cui si riferisce il comma 2 non è stato mai adottato.
4.4.– Successivamente – nel solco dell’accresciuta consapevolezza dell’esigenza di rimuovere ingiustificati ostacoli alla libera concorrenza, alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei servizi nell’esercizio dell’attività professionale – ulteriori tappe dell’evoluzione legislativa hanno ancora riguardato ambiti settoriali, consentendo l’esercizio dell’attività professionale di rappresentanza, assistenza e difesa in giudizio nella forma della società in nome collettivo (decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96, recante «Attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale»), nonché l’esercizio dell’attività professionale interdisciplinare ad associazioni e a società di persone (d.l. n. 223 del 2006, come convertito).
4.5.– All’esito di tale complessa evoluzione si giunge, alfine, con l’art. 10, comma 11, della legge n. 183 del 2011 all’abrogazione integrale della legge n. 1815 del 1939. Si realizza, in tal modo, quanto era stato già previsto dal d.l. n. 200 del 2008, ma che era stato poi espunto dalla legge di conversione n. 9 del 2009.
L’art. 10 della legge n. 183 del 2011 non si limita, comunque, a svolgere una funzione demolitiva, ma in chiave costruttiva regolamenta la costituzione delle società di professionisti e l’esercizio in tale forma dell’attività, facendo, nondimeno, salve le tipologie associative e societarie già in precedenza disciplinate da altre leggi.
L’art. 10, comma 3, contempla, in generale, la possibile «costituzione di società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile. Le società cooperative di professionisti sono costituite da un numero di soci non inferiore a tre».
Di seguito, il comma 4, del medesimo art. 10, stabilisce che possono assumere la qualifica di società di professionisti quelle il cui atto costitutivo preveda: l’esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci; l’ammissione in qualità di soci dei soli professionisti iscritti a ordini, albi e collegi, nonché dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea, purché in possesso del titolo di studio abilitante; le modalità di esclusione dalla società del socio che sia stato cancellato dal rispettivo albo con provvedimento definitivo; la designazione del socio professionista da parte dell’utente o, in mancanza, la previa comunicazione per iscritto all’utente di tale nominativo; la stipula di polizza di assicurazione per la copertura dei rischi derivanti dalla responsabilità civile per i danni causati ai clienti dai singoli soci professionisti nell’esercizio dell’attività professionale.
Completano la disciplina delle società di professionisti i successivi commi 5, 6, 7 e 8 dell’art. 10, mentre la regolamentazione delle modalità di esercizio dell’attività professionale viene demandata dal comma 10 a un regolamento del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico: il decreto n. 34 è stato emanato l’8 febbraio 2013 (Regolamento in materia di società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico, ai sensi dell’articolo 10, comma 10, della legge 12 novembre 2011, n. 183).
Infine, come già anticipato, sempre l’art. 10 fa salve le associazioni professionali, nonché i diversi modelli societari già vigenti alla data di entrata in vigore della legge (comma 9, come modificato dall’art. 9-bis, comma 1, lettera e, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 2012, n. 27).
Analoga previsione si rinviene nell’art. 2, comma 2, del citato d.m. n. 34 del 2013.
4.6.– È, dunque, a valle di tale complessa evoluzione normativa che si perviene al censurato art. 1, commi 148 e 149, della legge n. 124 del 2017, che si fa carico di intervenire sull’incerta sorte di contratti conclusi dopo l’entrata in vigore della legge n. 266 del 1997.
In particolare, il primo periodo del comma 148 prevede che, «[i]n applicazione dell’articolo 24, comma 1, della legge 7 agosto 1997, n. 266, sono validi a ogni effetto i rapporti contrattuali intercorsi, dalla data di entrata in vigore della medesima legge, tra soggetti privati e società di ingegneria, costituite in forma di società di capitali di cui ai capi V, VI e VII del titolo V del libro quinto del codice civile, ovvero in forma di società cooperative di cui al capo I del titolo VI del medesimo libro quinto del codice civile».
Il secondo periodo del comma 148 si riferisce, invece, ai contratti che coinvolgono le stesse società evocate nel primo periodo, ma che vengono conclusi a partire dall’entrata in vigore della legge n. 124 del 2017. La previsione stabilisce, infatti, che, «[c]on riferimento ai contratti stipulati a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, le società di cui al presente comma sono tenute a stipulare una polizza di assicurazione per la copertura dei rischi derivanti dalla responsabilità civile conseguente allo svolgimento delle attività professionali dedotte in contratto e a garantire che tali attività siano svolte da professionisti, nominativamente indicati, iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti professionali».
Infine, il comma 149 dispone che «[i]l comma 2 dell’articolo 24 della legge 7 agosto 1997, n. 266, è abrogato»: viene, cioè, abrogata la previsione che demandava a un decreto ministeriale la regolamentazione dei requisiti per l’esercizio dell’attività professionale da parte delle società di professionisti.
5.– Alla luce del richiamato quadro normativo, devono ritenersi non fondate le questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 1, commi 148 e 149, della legge n. 124 del 2017, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24 e 41, commi secondo e terzo, Cost.
6.– Anzitutto, occorre precisare che i commi 148, secondo periodo, e 149 dell’art. 1 della legge n. 124 del 2017 non hanno efficacia ex tunc e, pertanto, non rientrano nel perimetro delle censure poste dal rimettente, che lamenta l’irragionevolezza, lesiva degli artt. 24 e 41 Cost., di disposizioni che reputa retroattive.
Il secondo periodo del comma 148 si riferisce, infatti, ai contratti conclusi dopo l’entrata in vigore della legge n. 124 del 2017.
Parimenti, il comma 149 abroga ex nunc l’art. 24, comma 2, della legge n. 266 del 1997, posto che le norme che producono un effetto abrogativo hanno sempre efficacia dall’entrata in vigore della legge, salvo che il legislatore disponga altrimenti.
La previsione del comma 149 sembra, dunque, rispondere all’esigenza di escludere che possa essere tardivamente emanato il d.m. di cui all’art. 24, comma 2, fonte secondaria che andrebbe a sovrapporsi a quanto stabilito dal secondo periodo del comma 148.
7.– Quanto all’art. 1, comma 148, primo periodo, della legge n. 124 del 2017, esso palesa i tratti di una norma di interpretazione autentica.
7.1.– Benché manchi una espressa qualificazione in tal senso, la previsione detta un contenuto precettivo che testualmente opera «in applicazione dell’art. 24, comma 1», della legge n. 266 del 1997.
Pertanto, posto che – come si dirà (infra, punto 7.2. del Considerato in diritto) – nell’interpretazione del richiamato art. 24, comma 1, risultava incerta proprio la sua stessa applicabilità (e, dunque, l’operatività dell’avvenuta abrogazione del divieto di cui all’art. 2 della legge n. 1815 del 1939), la previsione di una disciplina operante «in applicazione» di tale disposizione palesa il chiaro intento di fornire una interpretazione autentica dello stesso art. 24 della legge n. 266 del 1997.
Del resto, riconoscono all’art. 1, comma 148, primo periodo, della n. 124 del 2017 i caratteri tipici della norma di interpretazione autentica anche i lavori preparatori della medesima legge, nei quali si rileva che essa è stata chiamata a «risolvere, per via interpretativa, una situazione di incertezza normativa, chiarendo che le società di ingegneria costituite in forma di capitali o di cooperativa [potessero, già a seguito della legge n. 266 del 1997,] operare legittimamente con committenti sia pubblici che privati» (si vedano il resoconto stenografico della seduta n. 496 del 6 ottobre 2015 dell’Assemblea della Camera dei deputati – XVII legislatura, nonché l’analisi tecnico-normativa del disegno di legge A.C. 3012 – XVII legislatura).
7.2.– Quanto all’incertezza interpretativa, è innegabile che l’art. 1, comma 148, primo periodo, della legge n. 124 del 2017 sia intervenuto rispetto a una disciplina – recata dai commi 1 e 2 dell’art. 24 della legge n. 266 del 1997 – che suscitava forti dubbi ermeneutici, in specie con riguardo all’esercizio dell’attività professionale da parte di società di ingegneria.
Infatti, dall’art. 24 della legge n. 266 del 1997, comma 1, si desumeva la possibilità di esercitare l’attività professionale in forma societaria, in virtù dell’abrogazione del divieto di cui all’art. 2 della legge n. 1815 del 1939.
Tuttavia, il comma 2 del medesimo art. 24, ora abrogato, prevedeva che l’esercizio dell’attività professionale da parte di soggetti collettivi costituiti nelle forme societarie fosse regolamentato da un decreto ministeriale, che non è stato mai adottato.
Tale disciplina ha, dunque, aperto un’alternativa ermeneutica fra l’ipotesi volta a considerare la previsione della normativa secondaria un elemento condizionante la stessa possibilità di esercitare l’attività professionale, con conseguente nullità degli eventuali contratti stipulati da società di professionisti, e la tesi orientata, viceversa, a superare tale ostacolo: o in via generale o, quanto meno, in contesti nei quali non si giustificasse l’attesa di una regolamentazione di fonte secondaria, concernente i requisiti per l’esercizio dell’attività professionale da parte di società, sussistendo una disciplina della materia a livello settoriale.
Era questo il caso delle società di ingegneria costituite nelle forme delle società di capitali o delle società cooperative, rispetto alle quali già la legge n. 109 del 1994 (di seguito riprodotta nei codici dei contratti pubblici, che si sono susseguiti nel tempo, supra, punto 4.2.2. del Considerato in diritto), regolamentava, sia pure limitatamente alla conclusione di contratti con la pubblica amministrazione, i requisiti per l’esercizio dell’attività professionale.
Non a caso, la stessa sentenza della Corte di cassazione n. 7310 del 2017 – che poi è giunta a ritenere nulli i contratti conclusi, prima dell’entrata in vigore della legge n. 183 del 2011, da società di ingegneria con soggetti di diritto privato (infra, punto 7.3. del Considerato in diritto) – ha prospettato anche la tesi secondo cui la «trasposizione dei principi […] affermati [nella legge n. 109 del 1994] fuori dal settore dei lavori pubblici sarebbe in tesi possibile in forza dell’ulteriore intervento del legislatore, attuato con la legge n. 266 del 1997, che all’art. 24, comma 1, ha abrogato espressamente il divieto risalente al 1939. Sarebbe stata così sancita la definitiva liberalizzazione delle attività professionali regolamentate, e ciò avrebbe reso possibile, dal 1997 in avanti, lo svolgimento di tali attività anche in forma di società di capitali, sicché non poteva ritenersi precluso alle società di ingegneria già esistenti, costituite ai sensi dell’art. 17 della legge n. 109 del 1994, di operare a tutti gli effetti e senza limitazioni anche nel mercato privato».
7.3.– Vero è che quella stessa sentenza è pervenuta, alfine, in linea con un altro precedente della Corte di cassazione (sezione seconda civile, ordinanza 22 gennaio 2015, n. 1184), a ritenere la mancata adozione della normativa secondaria, prevista dall’art. 24, comma 2, della legge n. 266 del 1997, una condizione comunque ostativa dell’avvenuta abrogazione del divieto di cui all’art. 2 della legge n. 1815 del 1939, anche nel caso delle società di ingegneria. La sentenza ha, infatti, ritenuto che una «società di ingegneria costituita in forma di società di capitali non [possa] svolgere attività coincidente con quella riservata ai professionisti iscritti all’albo anche dopo il 1997, e che, di conseguenza, […] i contratti di affidamento sono nulli per contrasto con l’art. 2231 cod. civ.».
Nondimeno, occorre segnalare che la stessa Corte di cassazione, dopo l’introduzione della legge n. 124 del 2017, ha, viceversa, ipotizzato una possibile diversa interpretazione, quale quella prospettata dal legislatore, tant’è che ha sostenuto la natura di norma di interpretazione autentica della disciplina censurata nel presente giudizio (sentenza n. 22534 del 2022, richiamata anche dalla Seconda sezione civile, con ordinanza 27 giugno 2023, n. 18342). Peraltro, a sostegno di tale tesi, la sentenza n. 22534 del 2022 ha evocato anche l’obiter dictum di un precedente sempre della Corte di cassazione (sezione seconda civile, sentenza 29 febbraio 2016, n. 3926), che ha ammesso, a far data dall’11 agosto 1997, l’abrogazione, da parte dell’art. 24, comma 1, della legge n. 266 del 1997, dell’art. 2 della legge n. 1815 del 1939.
7.4.– In ogni caso, la prevalente giurisprudenza contraria alla validità dei contratti d’opera intellettuale conclusi, prima dell’entrata in vigore della legge n. 183 del 2011, da società di professionisti, comprese le società di ingegneria nel loro negoziare con privati, non è ostativa della possibile qualificazione dell’art. 1, comma 148, primo periodo, della legge n. 124 del 2017, quale norma di interpretazione autentica.
Secondo questa Corte è, infatti, possibile adottare una norma interpretativa «anche in mancanza di contrasti giurisprudenziali, purché la scelta “imposta” dalla legge interpretativa rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario (ex plurimis, sentenze n. 167 del 2018, n. 15 del 2018 e n. 525 del 2000)» (sentenza n. 133 del 2020 e, nello stesso senso, sentenze n. 227 del 2014, n. 271 del 2011, n. 209 del 2010 e n. 170 del 2008).
A questa Corte «non è demandato un giudizio di fondatezza circa le divergenti interpretazioni emerse prima dell’intervento legislativo chiarificatore, che ad una di esse accorda la preferenza» (sentenza n. 127 del 2015, nello stesso senso, sentenza n. 170 del 2008). Le compete, invece, verificare che la disposizione abbia natura interpretativa sul piano sostanziale, accertando che il suo fine sia quello «di chiarire il senso di norme preesistenti ovvero di escludere o di enucleare uno dei sensi fra quelli ritenuti ragionevolmente riconducibili alla norma interpretata, allo scopo di imporre a chi è tenuto ad applicare la disposizione considerata un determinato significato normativo» (sentenze n. 77 del 2024, n. 70 del 2020, n. 15 del 2018, n. 73 del 2017 e n. 132 del 2016; nello stesso senso, sentenze n. 4 del 2024, n. 108 del 2019 e n. 127 del 2015).
7.5.– Ebbene, a fronte delle richiamate incertezze interpretative in merito ai contratti conclusi da società di professionisti, a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 266 del 1997, il significato sostenuto dal legislatore con l’art. 1, comma 148, primo periodo, della legge n. 124 del 2017 può ritenersi compatibile con il testo dell’art. 24 della legge n. 266 del 1997, ricostruito a livello sistematico.
Anzitutto, il primo periodo del comma 148 plausibilmente riconosce che l’art. 24, comma 1, della legge n. 266 del 1997 poteva avere un’«applicazione», così escludendo che tale previsione, contemplata in una norma primaria, fosse privata di qualsivoglia portata precettiva per effetto dell’inerzia da parte del potere esecutivo nell’adozione della fonte secondaria.
In particolare, la norma interpretativa assume che la suddetta inerzia non ha inibito l’abrogazione dell’art. 2 della legge n. 1815 del 1939, da parte dell’art. 24, comma 1, della legge n. 266 del 1997, rispetto a quelle società, per le quali l’esercizio dell’attività professionale in forma societaria – cioè, quanto avrebbe dovuto regolamentare in generale la fonte secondaria – risultava già disciplinato da una legge di settore.
Infatti, l’ambito applicativo del comma 148, primo periodo, della legge n. 124 del 2017 corrisponde esattamente a quello della legge n. 109 del 1994, il cui art. 17 (di seguito trasfuso nei codici dei contratti pubblici, che si sono susseguiti nel tempo) regolamentava i requisiti per l’esercizio dell’attività professionale da parte di società di ingegneria costituite nella forma delle società di capitali, ovvero delle società cooperative.
Non a caso, l’art. 17, comma 8, della citata legge n. 109 del 1994 già abrogava, limitatamente alla conclusione dei contratti pubblici, il divieto di cui all’art. 2 della legge n. 1815 del 1939.
L’art. 24, comma 1, della legge n. 266 del 1997 estende l’abrogazione anche alla stipula di contratti con soggetti privati. Ed è proprio quel che sancisce l’art. 1, comma 148, primo periodo, della legge n. 124 del 2017.
La tesi della validità dei richiamati contratti non viene, del resto, contraddetta dal riferimento agli artt. 2231 e seguenti cod. civ. Una volta superato il divieto di cui all’art. 2 della legge n. 1815 del 1939, deve, infatti, prendersi atto che gli artt. 2231 e seguenti cod. civ. si preoccupano essenzialmente di imporre che la prestazione sia eseguita personalmente dal professionista, iscritto all’eventuale albo, e che dell’adempimento sia personalmente responsabile il medesimo professionista.
Di tali esigenze si faceva espressamente carico l’art. 17, commi 9 e 14, della legge n. 109 del 1994, il cui contenuto normativo è stato riprodotto nei codici dei contratti pubblici, che si sono susseguiti nel tempo (supra, punto 4.2.2. del Considerato in diritto). Nelle fonti richiamate, si prevede che l’attività di progettazione faccia capo a uno o più professionisti iscritti negli appositi albi, nominativamente indicati e personalmente responsabili, e che nei progetti preliminari, definitivi ed esecutivi sia indicato il nome del progettista inteso come persona fisica; dopodiché se i progettisti sono più di uno, essi devono essere nominativamente indicati e sono responsabili in solido, per le attività professionali globali o specialistiche di cui sono incaricati.
In ogni caso, gli stessi artt. 2231 e seguenti cod. civ. mettono a disposizione un apparato di rimedi, a tutela dell’utente, che opera sul piano dell’esecuzione del contratto e dell’adempimento della prestazione professionale.
In conclusione, il significato che l’art. 1, comma 148, primo periodo, della legge n. 124 del 2017 assegna all’art. 24 della legge n. 266 del 1997, relativamente ai riverberi che tale previsione produce sui contratti conclusi da soggetti privati con società di ingegneria costituite nelle forme delle società di capitali o cooperative, risulta compreso fra quelli che poteva esprimere la portata testuale della citata disposizione, letta in raccordo con le leggi che regolano l’esercizio dell’attività professionale da parte di società di ingegneria (a partire dalla legge n. 109 del 1994).
Fra l’art. 1, comma 148, primo periodo, della legge n. 124 del 2017 e l’art. 24 della legge n. 266 del 1997 viene, dunque, a crearsi un «rapporto duale», tale per cui «il sopravvenire della norma interpretativa non fa venir meno, né sostituisce, la disposizione interpretata, ma l’una e l’altra si saldano dando luogo a un precetto normativo unitario» (sentenza n. 133 del 2020 e, nello stesso senso, sentenza n. 397 del 1994).
Da ultimo, il carattere interpretativo dell’art. 1, comma 148, primo periodo, della legge n. 124 del 2017 si coniuga perfettamente anche con quanto dispone la legge n. 183 del 2011, il cui art. 10, comma 9, fa salvi i diversi modelli societari già vigenti alla data di entrata in vigore della legge.
8.– Verificata la natura interpretativa dell’art. 1, comma 148, primo periodo, della legge n. 124 del 2017, occorre, di seguito, puntualizzare che, secondo questa Corte, anche le norme di interpretazione autentica sono sottoposte a un vaglio di non irragionevolezza (e di non sproporzione).
Se è vero, infatti, che la natura interpretativa si fonda sul presupposto che il significato accolto dal legislatore già rientri nel perimetro testuale della disposizione interpretata, nondimeno non può tacersi che l’intervento interpretativo del legislatore – che vincola il giudice – potrebbe frustrare interessi meritevoli di tutela, specie ove il legislatore accogliesse un’interpretazione della disposizione non sostenuta dalla maggioranza della giurisprudenza (in tal senso, ex plurimis, sentenze n. 55 del 2024, n. 104 del 2022 e n. 127 del 2015).
L’efficacia ex tunc delle norme di interpretazione autentica ha indotto, dunque, questa Corte a ritenere che esse debbano essere sottoposte a un vaglio di non irragionevolezza, a tutela, in particolare, degli eventuali affidamenti ingenerati da una diversa, precedente interpretazione della medesima disposizione (sentenze n. 77 del 2024, n. 70 del 2020 e n. 73 del 2017).
8.1.– Ciò precisato, risulta non irragionevole la scelta del legislatore di dare preferenza a una interpretazione idonea a preservare un sicuro ambito di vincolatività all’art. 24, comma 1, della legge n. 266 del 1997, che altrimenti risulterebbe integralmente svuotato del suo contenuto precettivo per effetto della mera inerzia del potere esecutivo nel dare attuazione all’art. 24, comma 2, della citata legge.
L’art. 1, comma 148, primo periodo, della legge n. 124 del 2017 ha voluto, dunque, «ristabilire un’interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore» (sentenza n. 78 del 2012), correggendo quella che era una imperfezione del dato normativo, che non aveva previsto le conseguenze dell’eventuale mancata adozione della disciplina secondaria.
In particolare, il legislatore ha inteso chiarire che l’omessa previsione di tale disciplina secondaria, concernente i requisiti per l’esercizio dell’attività professionale, certamente non può inibire lo svolgimento di detta attività, ai sensi dell’art. 24, comma 1, della legge n. 266 del 1997, ove sussista – come nel caso delle società di ingegneria costituite nelle forme delle società di capitali o cooperative – una regolamentazione di fonte legale relativa ai requisiti di esercizio dell’attività da parte di società di professionisti.
La non irragionevolezza dell’intervento trova, del resto, conforto anche adottando quella visione sinergica del rapporto fra principi costituzionali interni e principi contenuti nella CEDU che, nel sindacato di costituzionalità su leggi che hanno un’efficacia ex tunc, questa Corte ha di recente sostenuto (sentenze n. 4 del 2024 e n. 145 del 2022).
La richiamata esigenza di correggere una imperfezione del dato normativo integra, infatti, una ragione che, anche secondo la Corte EDU, giustifica la previsione di norme retroattive (Corte EDU, sentenza 27 maggio 2004, OGIS-Institut Stanislas e altri contro Francia, punto 69, e Corte EDU, sentenza 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society ed altri contro Regno Unito; richiamate dalle sentenze n. 145 del 2022, n. 12 del 2018 e n. 308 del 2013).
8.2.– Le motivazioni che depongono per la non irragionevolezza della norma di interpretazione autentica dimostrano, al contempo, che essa non vìola l’art. 41 Cost.
Anzitutto, la norma interpretativa, nel riferirsi alle società di ingegneria, la cui attività professionale era già regolamentata (dall’art. 17 della legge n. 109 del 1994 e poi dalle disposizioni che hanno riprodotto la stessa disciplina nei codici dei contratti pubblici, susseguitisi nel tempo), è conforme all’istanza di un corretto esercizio delle professioni intellettuali «nei confronti dei clienti, dei terzi, della collettività in generale, garanzia che si ritiene fornita essenzialmente dalla qualificazione professionale e soprattutto dalla responsabilità personale del professionista» (sentenza n. 17 del 1976, nello stesso senso, ordinanza n. 71 del 1988).
Risultano, pertanto, tutelate le esigenze riconducibili ai limiti dell’iniziativa economica privata, di cui all’art. 41, secondo comma, Cost.
Una volta assicurate tali istanze, la nullità non appare necessaria e, anzi, si palesa un rimedio sproporzionato al fine di assicurare la tutela dell’utilità sociale e degli altri interessi contemplati dal secondo comma dell’art. 41 Cost.
Pertanto, l’affermata validità dei contratti stipulati con soggetti privati da società di ingegneria costituite nelle forme delle società di capitali o di società cooperative rispetta i limiti di cui all’art. 41, secondo comma, Cost. ed è coerente con una piena tutela della libera iniziativa economica privata, di cui all’art. 41, primo comma, Cost., anche per come interpretato alla luce dei principi concorrenziali desumibili dal diritto dell’Unione europea.
Nella normativa del diritto dell’Unione europea (in particolare, l’art. 25 e il considerando 101 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi del mercato interno), così come nella giurisprudenza della Corte di giustizia, gli obiettivi di tutela dei destinatari di servizi, di garanzia della qualità dei servizi e di tutela della salute costituiscono, infatti, motivi imperativi di interesse generale idonei a giustificare restrizioni alle libertà garantite dal diritto dell’Unione, ma non a vietarne del tutto l’esercizio (in tal senso, Corte di giustizia, sentenze 3 ottobre 2000, in causa C-58/98, Corsten, punto 38, e 1° marzo 2018, in causa C-297/16, CMVRO, punto 58).
8.3.– Quanto agli altri interessi implicati, a fronte dell’efficacia ex tunc della norma interpretativa, occorre rilevare che l’art. 1, comma 148, della legge n. 124 del 2017, non soltanto non è irragionevole, in quanto – come già sopra evidenziato (supra, punto 8.1. del Considerato in diritto) – persegue l’obiettivo di correggere, per quanto possibile, una imperfezione della tecnica legislativa, evitando che si traggano indebiti vantaggi da un «effet d’aubaine», dovuto a tale imperfezione (sentenza Corte EDU, OGIS-Institut Stanislas, punto 69), ma oltretutto non frustra interessi giuridicamente rilevanti o, comunque, meritevoli di tutela, né lede l’art. 24 Cost.
La norma di interpretazione autentica garantisce, infatti, che sia preservata la validità di contratti, la cui conclusione è idonea a ingenerare un affidamento sulla loro vincolatività ed efficacia.
Per converso, non si può configurare un affidamento nella nullità del contratto. Questa Corte ha già reputato non fondate questioni sollevate in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., con le quali si lamentava che una norma interpretativa incidesse «sulla certezza dei rapporti giuridici danneggiando chi aveva fatto legittimo affidamento sulla nullità del contratto». Ha ritenuto, infatti, «improponibile» che chi abbia concluso un contratto «pretend[a] di sottrarsi alle conseguenti obbligazioni assumendo di aver fatto affidamento (e cioè, scientemente) su un difetto […] del contratto stesso» (sentenza n. 26 del 2003).
D’altro canto, anche a voler ipotizzare un affidamento nell’interpretazione prevalente di una disciplina (orientata nel senso dell’invalidità radicale di taluni contratti), che induca ad avviare un’azione giudiziaria e risulti poi frustrato dall’introduzione della norma di interpretazione autentica (orientata a favore della validità), si tratta comunque di un interesse destinato a soccombere, se «il diverso modello di decisione imposto dalla legge sopravvenuta è ragionevolmente prospettabile, in relazione ai rapporti anteriormente costituiti, in alternativa a quello applicato dalla giurisprudenza» (sentenza n. 402 del 1993). Di conseguenza, in tal caso, è ben possibile che una norma di interpretazione autentica incida su una precedente regola di giudizio, formulata dalla giurisprudenza a favore della nullità, per sostenere, viceversa, la validità degli atti. Ciò «non determina» – come sempre questa Corte ha avuto modo di affermare – «la reviviscenza di clausole nulle, bensì elimina in radice la precedente valutazione di nullità» (sentenze n. 402 del 1993).
E questo vale specie in presenza di una norma di interpretazione autentica che incide su rapporti fra soggetti privati, rispetto ai quali – come nella disciplina in esame –non può presumersi alcun intento del legislatore di favorire una delle parti nei giudizi pendenti (in relazione ai casi in cui parte dei giudizi pendenti sia, viceversa, un soggetto pubblico si vedano, ex plurimis, le sentenze n. 4 del 2024, n. 145 del 2022 e n. 12 del 2018).
Da ultimo, non è lesa la tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost., posto che il diritto di azione in giudizio – come più volte affermato da questa Corte – è «un posterius rispetto alla sussistenza del diritto sul piano sostanziale [e, dunque,] non può dirsi violato in ragione della portata, più o meno favorevole, della disciplina sostanziale» (sentenza n. 46 del 2021 e, nello stesso senso, sentenze n. 15 del 2012, n. 303 del 2011, n. 401 del 2008, n. 29 del 2002 e n. 419 del 2000).
9.– Per le ragioni esposte, deve, dunque, ritenersi non irragionevole, né lesiva degli artt. 24 e 41 Cost. la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 148, primo periodo, della legge n. 124 del 2017.
10.– In conclusione, non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 148 e 149, della legge n. 124 del 2017, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24 e 41, commi secondo e terzo, Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara non fondate, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 148 e 149, della legge 4 agosto 2017, n. 124 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza), sollevate, in riferimento agli artt. 3, sotto il profilo della intrinseca irragionevolezza, 24 e 41, commi secondo e terzo, della Costituzione, dalla Corte d’appello di L’Aquila, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 148 e 149, della legge n. 124 del 2017, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento, dalla Corte d’appello di L’Aquila, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 ottobre 2024.
F.to:
Augusto Antonio BARBERA, Presidente
Emanuela NAVARRETTA, Redattrice
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 21 novembre 2024
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
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