Il Consiglio di Stato, sezione IV, con la sentenza n. 9014 dell’11 novembre 2024, ha affrontato il tema dell’obbligo di provvedere sulle istanze di rinegoziazione di una convenzione di lottizzazione presentate dal privato in presenza di circostanze sopravvenute rilevanti. Nel caso esaminato, il Collegio ha chiarito che il principio di buona fede e correttezza, sancito dall’art. 1375 c.c. e richiamato dall’art. 11, comma 2, della legge n. 241/1990, può fondare un obbligo dell’amministrazione di esaminare l’istanza e pronunciarsi in modo espresso, motivando la propria decisione. Questo obbligo non implica necessariamente l’accoglimento delle richieste del privato, ma comporta il dovere di istruire la pratica e di fornire una motivazione che rispetti i canoni di proporzionalità e ragionevolezza. Tale principio si applica in particolare quando il privato, parte di un accordo, sia titolare di una posizione giuridica qualificata e differenziata, tale da giustificare un’aspettativa legittima a un riesame, purché adeguatamente motivato, dei termini pattuiti.
Tuttavia, il Collegio ha escluso che tale obbligo sussista in modo automatico e incondizionato. Nel caso concreto, il Comune aveva ribadito più volte l’interesse a mantenere inalterata la convenzione nei termini originariamente concordati, rilevando che il lottizzante principale era inadempiente rispetto agli obblighi di realizzazione delle opere di urbanizzazione. Il Comune aveva inoltre sottolineato che la situazione di stallo generata dall’inadempimento arrecava un grave pregiudizio all’interesse pubblico alla corretta pianificazione urbanistica dell’area. Il Consiglio di Stato ha condiviso questa posizione, evidenziando come, in tali circostanze, non sussista alcun obbligo di rinegoziazione fondato sulla buona fede e sulla cooperazione.
Un ulteriore elemento decisivo è stato individuato nella natura plurilaterale della convenzione di lottizzazione. Essa coinvolgeva non solo il lottizzante principale, ma anche altri soggetti, i cosiddetti lottizzanti minori, i cui diritti edificatori dipendevano dall’attuazione delle opere pubbliche previste nell’accordo. Secondo il Collegio, la natura plurilaterale dell’accordo impediva una rinegoziazione unilaterale o parziale dei termini pattuiti, poiché ciò avrebbe compromesso gli interessi legittimi di altre parti che avevano fatto affidamento sul rispetto della convenzione per esercitare lo ius aedificandi sui loro lotti.
La sentenza del Consiglio di Stato, quindi, non solo ribadisce l’obbligo dell’amministrazione di motivare le proprie determinazioni su istanze fondate, ma delimita con precisione i confini di tale obbligo, escludendolo nei casi in cui la rinegoziazione comprometta interessi pubblici superiori o posizioni giuridiche di altri contraenti. Inoltre, riafferma l’importanza della natura degli accordi di diritto pubblico, i quali, pur ispirati a una logica consensuale, restano caratterizzati dall’esercizio di poteri autoritativi vincolati al perseguimento dell’interesse pubblico.
Pubblicato il 11/11/2024
- 09014/2024REG.PROV.COLL.
- 0- OMISSIS -6/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale – OMISSIS -6 del 2024, proposto da – OMISSIS – in liquidazione, – OMISSIS -, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’avvocato Alessandro Ezechieli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di San Gervasio Bresciano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fiorenzo Bertuzzi, Gianpaolo Sina, Silvano Venturi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
– OMISSIS -, Provincia di Brescia, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) n. 00- OMISSIS -/2024, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di San Gervasio Bresciano;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2024 il Cons. Luca Monteferrante e uditi per le parti gli avvocati presenti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I fatti di causa sono puntualmente ricostruiti nelle sentenze del T.a.r. per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, n. 843 del 2017, n. 585 del 2020 e n. 1153 del 2022, quest’ultima confermata da Cons. Stato, sez. IV, n. 8328 del 2023, cui si rinvia, in applicazione del principio di sinteticità di cui all’art. 3 c.p.a..
I fatti rilevanti ai fini della decisione del presente appello possono essere sintetizzati nei seguenti termini.
Con deliberazione consiliare n. 36 del 29 dicembre 2006 il Comune di San Gervasio Bresciano ha approvato il programma integrato di intervento (d’ora innanzi PII) per realizzare un “Borgo giardino” residenziale.
In data 7 settembre 2007 i proprietari delle aree interessate dal PII e l’allora promissaria acquirente di alcuni lotti, la Pama Prefabbricati S.p.A., hanno sottoscritto con il Comune una convenzione urbanistica.
Con atto del 4 luglio 2013 la ricorrente – OMISSIS – è diventata proprietaria di circa i tre quinti del Sub-comparto 2.
In esecuzione degli obblighi contrattuali assunti – OMISSIS – ha consegnato al Comune la polizza fideiussoria n. 2016075 del 3 luglio 2013, emessa dalla Compagnia Francaise d’Assurance pour le Commerce Exterieur S.A.
– OMISSIS -, con ricorso al T.a.r. per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, notificato in data 3 novembre 2020 e depositato il successivo 5 novembre 2020, ha chiesto di accertare l’intervenuta scadenza della convenzione per decorso del termine decennale di validità della stessa, tenuto conto delle proroghe di legge via via intervenute, con esclusione di quelle non applicabili al caso di specie.
Conseguentemente ha chiesto di essere liberata dagli obblighi relativi alla realizzazione delle opere di urbanizzazione dedotte in convenzione, con impossibilità per il Comune di escutere la polizza fideiussoria prestata a garanzia dell’adempimento di tali obbligazioni.
Il T.a.r. Brescia ha respinto il ricorso con sentenza n. 1153 del 2022, confermata da questa Sezione con sentenza n. 8328 del 2023.
Nel frattempo il 16.1.2024 – OMISSIS – vendeva a Sorgente Solare i terreni di cui al Sub-comparto 2. Il giorno stesso Sorgente Solare li rivendeva a Officine Mak che il 14.2.2024 a sua volta li rivendeva a – OMISSIS -.
Poiché nella predetta sentenza di questa sezione n. 8328 del 2023 si afferma che è in astratto configurabile, in applicazione del principio di buona fede e correttezza, un obbligo di rinegoziazione dei contenuti della convenzione di lottizzazione in capo al Comune, in presenza di circostanze rilevanti sopravvenute, – OMISSIS – e – OMISSIS – hanno presentato in data 15 dicembre 2023 al Comune di San Gervasio Bresciano una istanza in tale senso e, avendo il Comune omesso di procedere al suo esame, hanno adito il T.a.r. di Brescia ai sensi dell’art. 31 c.p.a. per vedere dichiarare l’obbligo di provvedere su una tale istanza.
Con sentenza n. – OMISSIS – del 2024 il T.a.r. di Brescia ha respinto il ricorso, sul presupposto che non sussisterebbero circostanze sopravvenute idonee a giustificare la rinegoziazione della convenzione sottoscritta, essendo quelle addotte relative ad accadimenti tutti oggetto di esame nell’ambito del contenzioso definito con la sentenza Cons. Stato, Sez. IV, n. 8328 del 2023 e come tali inidonee a far sorgere un obbligo di provvedere in capo al Comune.
Avverso tale sentenza hanno interposto appello – OMISSIS – con la – OMISSIS – per chiederne la riforma in quanto errata in diritto per “error in iudicando in merito alla presunta “non rilevanza” delle circostanze sopravvenute alla base dell’istanza di rinegoziazione del 15 dicembre 2023 – violazione del principio di separazione dei poteri e dell’art. 31 c.p.a. – violazione dell’art. 48 della l.r. n. 31/2008 – travisamento dei fatti e dei presupposti – contraddittorietà della motivazione”.
Lamentano che il T.a.r. avrebbe omesso di valorizzare una serie di circostanze sopravvenute che bene avrebbero dovuto indurre il Comune ad esaminarle al fine di acclarare la eventuale sussistenza di spazi per una modifica del contenuto della convenzione di lottizzazione.
In particolare il T.a.r. avrebbe errato in quanto anziché limitarsi ad accertare la sussistenza di circostanze sopravvenute rilevanti ai fini dell’obbligo di procedere, si sarebbe spinto a valutarne la portata laddove la loro idoneità a giustificare la rinegoziazione costituirebbe il merito della valutazione riservata al Comune.
In definitiva il T.a.r. pur avendo, correttamente, riconosciuto che le circostanze ivi indicate fossero “sopravvenute”, le avrebbe, erroneamente, ritenute “non rilevanti”, sostituendosi in una valutazione riservata al Comune, in violazione dell’articolo 31, comma 3, c.p.a., perché il giudizio circa l’opportunità o meno di rinegoziare i contenuti di una convenzione urbanistica rappresenterebbe una attività ampiamente discrezionale che, nel rispetto del principio della separazione dei poteri, compete all’amministrazione, non al giudice.
Si è costituito in giudizio il Comune di San Gervasio Bresciano per resistere all’appello, concludendo per la sua reiezione nel merito e confermando l’intendimento del Comune di vedere eseguita la convenzione, obiettivo ostacolato dalle reiterate iniziative giudiziali di – OMISSIS -, tutte finalizzate ad impedire l’escussione della polizza fideiussoria concessa, contestata in distinti giudizi civili tutti sospesi per pregiudizialità necessaria, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in attesa della definizione dei collegati – nonché presupposti – giudizi amministrativi.
Eccepisce anche la temerarietà del giudizio in quanto strumentalmente finalizzato a neutralizzare la garanzia fideiussoria e quindi la possibilità per il Comune di eseguire i lavori di urbanizzazione in danno del contraente inadempiente.
All’esito della camera di consiglio del 24 ottobre 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
L’appello è infondato.
Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di tardività del deposito della memoria conclusiva del Comune sollevata dalla difesa della appellante in quanto avvenuta oltre le ore 12.00 (per la precisione alle 12.01) dell’ultimo giorno utile (8 ottobre 2024) e quindi con un minuto di ritardo.
Sul punto il Collegio ritiene di dover aderire all’indirizzo (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 4653 del 2024 e Cons. Stato, sez. II, n. 3873 del 2024) che, in presenza di orientamenti divergenti, ritiene sussistere i presupposti per il riconoscimento dell’errore scusabile per incertezza giurisprudenziale e quindi per la rimessione in termini anche perché parte appellante non ha eccepito che la violazione possa avere, in qualche modo, conculcato il diritto di difesa a causa di una compressione del termine entro cui la memoria difensiva è stata messa a disposizione mediante deposito nella piattaforma del processo amministrativo telematico.
In altre parole, ferma la scusabilità dell’errore, nel caso di specie, in presenza di un ritardo di appena un minuto, trova certamente applicazione il principio del raggiungimento dello scopo e di strumentalità delle forme e dei termini processuali, rispetto al diritto di difesa, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., applicabile al processo amministrativo in forza del rinvio contenuto nell’art. 39 c.p.a.
La possibilità di riconoscere l’errore scusabile in siffatta fattispecie è stata di recente riconosciuta anche dalla Sezione con la sentenza n. 4818 del 2024.
Venendo al merito della controversia il presente giudizio ha ad oggetto la verifica della sussistenza dell’obbligo di provvedere su di una istanza di rinegoziazione di una convenzione di lottizzazione.
In via preliminare e generale osserva il Collegio che nel tempo il giudice amministrativo ha progressivamente ampliato i presupposti per la sua configurabilità: la maggiore apertura si ricollega ad una nuova consapevolezza circa lo statuto giuridico della relazione procedimentale (su cui di recente cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. n. 7 del 2021) in quanto soggetta non solo alle c.d. regole di validità degli atti ma anche a quelle di comportamento (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., n. 5 del 2018), tra cui campeggia l’obbligo di buona fede, da tempo ritenuto cogente anche nell’ambito del diritto pubblico, quale regola generale non solo di interpretazione ma avente anche una concorrente funzione correttiva ed integrativa delle relazioni giuridicamente rilevanti, obbligo che incombe su entrambe le parti e, sull’amministrazione, in ragione del suo ruolo “servente”, in funzione del soddisfacimento dei bisogni della comunità, in attuazione del principio solidaristico e di quello democratico.
E’ accaduto dunque che, inizialmente, l’obbligo di provvedere è stato ritenuto sussistente in presenza di specifiche norme di legge attributive di poteri per l’adozione di atti e provvedimenti, cui corrisponda una situazione soggettiva protetta, qualificata come tale dall’ordinamento e differenziata, ma non nei casi, ad esempio, di mera attività materiale (per una recente riaffermazione del principio cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 26 maggio 2023, n. 5206), di istanza di riesame dell’atto inoppugnabile per lo spirare del termine di decadenza (per una recente riaffermazione del principio cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 16 aprile 2024 , n. 3469; tra le meno recenti, ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, n. 69 del 1999; Cons. Stato, Sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 355); di istanza manifestamente infondata (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, n. 6181 del 2000); di istanza di estensione “ultra partes” del giudicato (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI n. 4592 del 2001).
La posizione della giurisprudenza, di gran lunga dominante, era dunque nel senso di ritenere che “la fattispecie del c.d. silenzio-inadempimento riguarda le ipotesi in cui, di fronte alla formale richiesta di un provvedimento da parte di un privato – costituente atto iniziale di una procedura amministrativa normativamente prevista per l’emanazione di una determinazione autoritativa su istanza di parte – l’Amministrazione, titolare della relativa competenza, ometta di provvedere entro i termini stabiliti dalla legge; di conseguenza, l’omissione dell’adozione del provvedimento finale assume il valore di silenzio-inadempimento (o rifiuto) solo nel caso in cui sussista un obbligo giuridico di provvedere, cioè di esercitare una pubblica funzione attribuita normativamente alla competenza dell’organo amministrativo destinatario della richiesta, attivando un procedimento amministrativo in funzione dell’adozione di un atto tipizzato nella sfera autoritativa del diritto pubblico; presupposto per l’azione avverso il silenzio è, dunque, l’esistenza di uno specifico obbligo (e non di una generica facoltà o di una mera potestà) in capo all’Amministrazione di adottare un provvedimento amministrativo esplicito, volto ad incidere, positivamente o negativamente, sulla posizione giuridica e differenziata del ricorrente (così, ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, sentenza n. 5417/2019).” (così Cons. Stato, sez. IV, 26 maggio 2023, n. 5206).
Più di recente invece l’obbligo di provvedere è stato ritenuto sussistente anche in mancanza di una espressa disposizione normativa che tipizzi il potere del privato di presentare un’istanza e, dunque, anche in tutte le fattispecie particolari nelle quali “ragioni di giustizia e di equità” impongano l’adozione di un provvedimento ovvero le volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni – qualunque esse siano – dell’Amministrazione (così, a partire da Cons. Stato, sez. VI, 11 maggio 2007, n. 2318; cfr. tuttavia in precedenza già Cons. Stato, sez. IV, 14 dicembre 2004, n. 7975).
Inoltre, quanto alle istanze manifestamente infondate, l’art. 2, comma 1, della legge n. 241 del 1990 prevede oggi che le pubbliche amministrazioni “…Se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo.”, a conferma della vis espansiva dell’obbligo del clare loqui e della prevalenza del “diritto ad una risposta”, fosse anche di inammissibilità, rispetto al principio del buon andamento che, in chiave di efficienza ed economicità, osta al dispiego di attività amministrativa per l’esame di istanze palesemente infondate.
L’obbligo di provvedere è stato ritenuto configurabile anche in relazione agli atti generali e, segnatamente, a quelli di pianificazione e di programmazione, sul presupposto che la preclusione all’esperibilità del rito sul silenzio non deriva dal mero carattere regolamentare o generale dell’atto di cui si invoca l’adozione, e tanto meno dalla discrezionalità, più o meno ampia, del potere, quanto dal fatto che, in ragione dell’ordinario rivolgersi di tali atti a una pluralità indifferenziata di soggetti destinatari, non individuabili ex ante e destinati anche a cambiare nel corso del tempo, è molto complessa e delicata l’opera di individuazione dei requisiti della legittimazione e dell’interesse a ricorrere in capo a chi si attivi per l’adozione di provvedimenti di tal natura (in senso favorevole cfr. Cons. Stato, sez. IV, 17 dicembre 2018 n. 7090; Cons. Stato, sez. V, 22 gennaio 2015, n. 273 sulla approvazione di un piano cava; Cons. giust. amm. n. 905 del 2020; Cons. Stato, sez. V, 2 aprile 2020 n. 2212; Cons. Stato, sez. IV, 23 novembre 2020 n. 7316, in materia di Piano degli interventi di contenimento e abbattimento del rumore; Corte cost., sentenze n. 176 del 2004, n. 355 del 2002, nonché n. 262 del 1997; contra, di recente, Consiglio di Stato, sez. III, 12 marzo 2024, n. 2357 ma con mera formula tralaticia).
Da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 30 aprile 2024, n. 3945 è giunto a ritenere configurabile l’obbligo di provvedere alla adozione delle “opportune idonee” per prevenire il degrado degli habitat naturali.
In definitiva, pur in un quadro evolutivo articolato e progressivamente orientato a rafforzare il suddetto obbligo, l’inerzia della Pubblica Amministrazione rileva, ai fini della configurabilità del silenzio inadempimento, solo nel caso in cui sussista in capo all’Amministrazione uno specifico obbligo di provvedere attraverso un atto tipizzato, gravitante nella sfera autoritativa della Pubblica Amministrazione, volto ad incidere in maniera positiva o negativa sulla posizione giuridica e differenziata del ricorrente (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 26 maggio 2023, n. 5206; Cons. Stato, sez. V, 31 luglio 2019, n. 5417; Cons Stato, sez. III, 12 marzo 2024, n. 2357).
In altre parole, deve sussistere uno specifico obbligo giuridico di provvedere e quindi l’attività non deve essere discrezionale nell’an; siffatto obbligo deve avere ad oggetto l’esercizio di un potere pubblico – e non di autonomia negoziale – ed il potere deve incidere su di una posizione giuridica qualificata e differenziata, a prescindere dalla natura del potere (discrezionale, di programmazione, di pianificazione) o dei caratteri dell’atto (puntuale o generale).
Circa la sussistenza di un obbligo di provvedere, coercibile ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a., in tema di conclusione degli accordi amministrativi – quelli cioè aventi un oggetto pubblico, compresi quelli sull’esercizio del potere discrezionale – si rinvengono precedenti sporadici.
A fronte di dubbi prospettati da C.G.A.R.S. 13 marzo 2014, n. 121 – ma in forma di obiter dictum e in fattispecie di accordo non avente ad oggetto l’esercizio di un potere – favorevole alla configurabilità dell’obbligo di provvedere sulla proposta di formazione di un accordo procedimentale ex art. 11 della legge n. 241 del 1990 è invece T.a.r. per la Liguria, sez. I, 25 giugno 2007, n. 1233 con ampio e condivisibile approfondimento sul punto.
In una fattispecie peculiare di accordi transattivi procedimentalizzati, analogo obbligo di provvedere è stato affermato da Cons. Stato, 24 novembre 2011, n. 6244.
L’obbligo di provvedere – rilevante ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a. – è stato poi affermato rispetto alla adozione del provvedimento finale, che segue la stipula di accordi procedimentali ex art. 11 della legge n. 241 del 1990, da Cons. Stato, sez. III, 28 agosto 2013, n. 4309 e da Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2022, n. 2636.
La questione è stata infine, di recente, approfondita dalla Sezione con sentenza n. 4321 del 14 maggio 2024 dove l’obbligo di provvedere è stato confermato, in via generale, in presenza di fattispecie consensuali aventi ad oggetto l’esercizio di un potere pubblico.
E’ stato al riguardo precisato che: “Anche in presenza di un esercizio consensuale del potere pubblico la legge o la buona fede possono prevedere un obbligo di provvedere, senza che ciò escluda la natura bilaterale che connota gli accordi; l’accordo in questione è infatti stipulato nell’esercizio di un potere pubblico, con la conseguenza che l’attributo indefettibile di tale situazione giuridica non è quello della libertà, proprio della autonomia negoziale, bensì della doverosità cui si ricollega l’obbligo di provvedere nei casi in cui sussista una posizione differenziata e qualificata di pretesa ad una pronuncia espressa sulla proposta di stipula dell’accordo”.
In linea con i menzionati orientamenti, di recente la Sezione ha poi fondato l’obbligo giuridico di valutare una eventuale istanza di rinegoziazione di una convenzione urbanistica, alla luce di fatti sopravvenuti rilevanti, sul principio di buona fede, ritenendo astrattamente esperibile l’azione avverso il silenzio (Cons. Stato, sez. IV, 30 dicembre 2022, n. 11734).
In tale precedente, in particolare, al punto 9.3.4., è stato chiarito che: “Ciò non implica che il proprietario sia obbligato in modo perpetuo a quanto previsto nella convenzione poiché, come il comune può recedere dalla convenzione per sopravvenuti motivi di interesse pubblico ex art. 11, comma 4, della legge n. 241 del 1990, analogamente il privato può, in presenza di circostanze sopravvenute rilevanti, chiedere al comune di rinegoziare i contenuti della convezione o di singole sue parti, in applicazione del principio di buona fede e correttezza ex art. 1375 c.c., richiamato dall’art. 11, comma 2, della legge n. 241 del 1990, in forza del rinvio ivi contenuto ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti; inoltre, avendo il privato una posizione qualificata e differenziata in quanto parte dell’accordo, in presenza di una istanza di riesame dei contenuti della convenzione, motivata in ragione di circostanze sopravvenute, è ben possibile configurare un obbligo di provvedere, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990, in capo alla controparte pubblica che non necessariamente sarà tenuta ad assicurare il bene della vita cui aspira la parte privata ma che dovrà, in ogni caso, istruire l’istanza e motivare le proprie determinazioni nel rispetto del canone generale di ragionevolezza e di proporzionalità.”.
A tale principio si ispira il precedente di questa Sezione n. 8328 del 2023 che viene in rilievo nel presente giudizio ed invocato dalla appellante a fondamento della dedotta violazione dell’obbligo di provvedere, a suo dire erroneamente esclusa dal T.a.r.
Tanto premesso in via di inquadramento generale della problematica, il Collegio è dell’avviso che la sentenza del T.a.r. abbia correttamente statuito la insussistenza, anche solo di un obbligo di procedere sull’istanza di rinegoziazione presentata dalla appellante.
Il Comune di San Gervasio Bresciano attende infatti l’esecuzione della convenzione di lottizzazione dal settembre 2007.
Nel corso dei ben 17 anni trascorsi ha sempre ribadito il proprio interesse alla piena ed integrale attuazione dell’accordo che – è bene rammentarlo – rappresenta un atto di pianificazione urbanistica di livello secondario in quanto attuativo del programma integrato di intervento (d’ora innanzi PII) per realizzare un “Borgo giardino” residenziale, approvato con deliberazione consiliare n. 36 del 29 dicembre 2006 del Comune di San Gervasio Bresciano.
La realizzazione delle opere pubbliche dedotte in convenzione è altresì funzionale alla urbanizzazione dei lotti di proprietà degli altri contraenti (c.d. lottizzanti minori) che, allo stato, si vedono nella impossibilità di sfruttare i restanti due quinti del Sub-comparto 2.
Il buon diritto dei lottizzanti minori alla attuazione della convenzione è stato anche riconosciuto dal T.a.r. Brescia con sentenza n. 843 del 2017 cui si rinvia.
In tale situazione non è configurabile alcun obbligo di buona fede e di cooperazione – finalizzato ad una rinegoziazione della convezione – in capo al Comune che subisce una situazione di grave e persistente stallo, in pregiudizio dell’interesse pubblico alla corretta pianificazione dell’area.
Del resto è la stessa natura di accordo plurilaterale che osta ad una rinegoziazione della convenzione sui cui contenuti ed obblighi altre parti fanno, da tempo, affidamento per poter esercitare lo ius aedificandi inerente ai terreni in loro proprietà ricompresi nel medesimo sub comparto 2.
Inoltre nel caso di specie non è configurabile alcuna circostanza sopravvenuta “rilevante” poiché tutti gli accadimenti richiamati dalla appellante (1) vincolo ambientale di inedificabilità parziale dell’area conseguente alla approvazione del PIF; 2) entrata in vigore della legge regionale n. 31/2014 sul contenimento del consumo del suolo; 3) presenza di rifiuti nel Sub-comparto 2 da rimuovere preventivamente; 4) l’esigenza di dover realizzare un depuratore più grande di circa il doppio di quello originariamente previsto dal PII), per quanto successivi alla stipula della convezione, sono stati tutti oggetto di attento scrutinio nei numerosi giudizi instaurati che hanno sempre escluso la loro idoneità ad incidere sulla validità e persistente efficacia della convenzione, peraltro a fronte di motivate prese di posizione del Comune che già in quella sede ha sempre eccepito la loro inidoneità a modificare il quadro degli obblighi e dei diritti nascenti dalla convenzione sottoscritta e quindi a poter giustificare una sua possibile rinegoziazione.
La loro irrilevanza è stata dunque affermata dal T.a.r. non in assoluto bensì rispetto alla tematica controversa della loro idoneità a generare un obbligo di provvedere sulla istanza di rinegoziazione: ciò vuol dire che se resta ferma la vincolatività della convenzione, secondo i principi generali in materia di obbligazioni e contratti (in forza dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990 che richiama tra i principi in materia di obbligazioni e contratti anche l’art. 1372 c.c.), la eventuale rilevanza delle disposizioni sopravvenute (ad esempio in chiave integrativa o modificativa della convenzione, con riferimento in particolare alle previsioni del PIF o alla normativa sul consumo di suolo) saranno valutate dalle parti, in applicazione dei consueti principi valevoli in materia (ad esempio di eterointegrazione dei contratti in forza di disposizioni di legge imperative sopravvenute); al contempo la eventuale incidenze di circostanze sopravvenute (smaltimento dei rifiuti, realizzazione di maggiori opere pubbliche con riguardo al depuratore) sul sinallagma contrattuale potrà trovare risposta nei rimedi previsti in materia dalla disciplina generale sui contratti (risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, rescissione per lesione ecc….) pacificamente applicabile al caso di specie.
Non vi è stata pertanto una ingerenza del T.a.r. in valutazioni di merito riservate al Comune circa la idoneità delle predette circostanze a giustificare una modifica della convenzione bensì una verifica circa la manifesta infondatezza della pretesa delle società istanti di pervenire ad una modifica consensuale della convenzione nonostante il Comune avesse nel tempo assunto iniziative finalizzate alla sua attuazione e non alla sua modifica, sebbene fosse a conoscenza di tali circostanze sopravvenute.
Deve, in particolare, essere rammentato che una ipotesi di rinegoziazione era già stata valutata dalle parti in esecuzione della sentenza del T.a.r. Brescia n. 843 del 2017 (ne dà ampiamente conto T.a.r. Brescia n. 585 del 2020 cui si rinvia) e aveva condotto ad una ipotesi di stralcio funzionale del PII come consentito, senza variante urbanistica, dall’art. 93 comma 1-ter lett. b della legge regionale n. 12/2005.
Tuttavia il Comune, con deliberazione della Giunta n. 59 del 18 giugno 2019, formalizzava gli indirizzi politico-amministrativi della nuova amministrazione sulla vicenda in esame, sottolineando la volontà di attuare il PII nell’impostazione originaria e ciò nonostante a quella data fosse da tempo in vigore il Piano di Indirizzo Forestale (PIF) della Provincia di Brescia, approvato con delibera del consiglio provinciale n. 26 del 20 aprile 2009 e modificato con delibera dello stesso consiglio n. 49 del 16 novembre 2012 che quindi non è mai stato ritenuto ostativo dal Comune alla attuazione della convenzione anche in ragione della sua marginale incidenza sulle aree interessate dall’atto di pianificazione.
Era dunque chiaro da tempo che non vi fossero spazi per una rinegoziazione della convenzione e che la stessa ipotesi dello stralcio funzionale, pure approfondita successivamente alla entrata in vigore del PIF, era stata abbandonata.
Da quanto precede discende altresì la irrilevanza della affermazione del T.a.r. secondo cui le circostanze sopravvenute non sarebbero “rilevanti” “in quanto non sono idonee ad incidere sull’efficacia e sulla concreta attuabilità degli obblighi convenzionali” – su cui si soffermano le appellanti a p. 19 e 20 del ricorso in appello – poiché, ferma la efficacia e la vincolatività della convenzione accertate con sentenza passata in giudicato, va ribadito che le predette sopravvenienze non sono idonee neppure a generare un obbligo di provvedere sulla istanza di rinegoziazione, a fronte della chiara volontà del Comune di agire per la sua piena attuazione.
Alla luce delle motivazioni che precedono l’appello deve pertanto essere respinto, con conseguente integrale conferma della sentenza appellata.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con la precisazione che non sussiste la dedotta temerarietà della lite, ex art. 96 c.p.c., eccepita dal Comune, in quanto l’istanza di rinegoziazione si fonda su di un principio di diritto affermato, in astratto, da questa Sezione, anche se l’obbligo di provvedere, per le ragioni esposte, non può ritenersi sussistente nel caso di specie.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e condanna gli appellanti, in solido tra loro, alla rifusione in favore del Comune di San Gervasio Bresciano, delle spese di lite che si liquidano complessivamente in euro 4.000,00, oltre IVA, CAP e spese generali come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2024 con l’intervento dei magistrati:
Gerardo Mastrandrea, Presidente
Silvia Martino, Consigliere
Giuseppe Rotondo, Consigliere
Michele Conforti, Consigliere
Luca Monteferrante, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Luca Monteferrante | Gerardo Mastrandrea | |
IL SEGRETARIO