Il Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento, con la sentenza in esame, si è pronunciato sulla legittimità dell’abbattimento di un orso ritenuto pericoloso, chiarendo i presupposti giuridici e i limiti che ne disciplinano l’attuazione. La controversia verteva sulla costituzionalità della normativa provinciale in materia e sulla compatibilità con la tutela animale prevista dalla Costituzione e dalla normativa europea. La questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Provincia autonoma di Trento n. 9/2018, sollevata per contrasto con l’art. 9 della Costituzione – riformato dalla legge costituzionale n. 1/2022 – è stata dichiarata manifestamente infondata. Il Tribunale ha sottolineato che la norma costituzionale, pur integrando il principio di tutela degli animali, contiene una clausola di salvaguardia per le competenze legislative riconosciute agli enti a statuto speciale, escludendo effetti retroattivi rispetto alla legislazione previgente.

In relazione al provvedimento di abbattimento, la decisione è stata ritenuta legittima in quanto basata su indici di pericolosità previsti dal “Piano d’azione interregionale per la conservazione dell’orso bruno” (Pacobace), tra cui la presenza ripetuta dell’animale in aree abitate e il comportamento minaccioso nei confronti delle persone. Il Tribunale ha ribadito che, in base all’art. 13 del TFUE e all’art. 9 della Costituzione, la tutela degli animali non implica il riconoscimento di diritti propri paragonabili a quelli umani. Pertanto, il bilanciamento tra la vita dell’animale e la sicurezza pubblica pende a favore di quest’ultima, in quanto prioritariamente garantita dalle norme costituzionali e penali, che considerano prevalenti la vita e l’integrità fisica delle persone.

La valutazione della pericolosità dell’orso è stata definita espressione di discrezionalità amministrativa, sindacabile solo per manifesta irragionevolezza o travisamento dei fatti. Inoltre, il Tribunale ha respinto la tesi secondo cui la captivazione permanente dovrebbe essere sempre preferita all’abbattimento, precisando che tale misura può risultare non praticabile quando comporti sofferenze ingiustificate per l’animale o sia inidonea a garantire la sicurezza pubblica. Il provvedimento adottato è stato ritenuto conforme alle condizioni previste dall’art. 16 della Direttiva Habitat 92/43/CEE, ossia l’assenza di alternative valide e la non compromissione dello stato di conservazione della specie.

La decisione si inserisce in un orientamento consolidato, che privilegia un approccio caso per caso, con giudizi prognostici basati su criteri tecnico-scientifici e supportati da una motivazione congrua. In tal senso, il Collegio ha richiamato anche l’interpretazione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (C-601/22), che consente deroghe alle misure di protezione della fauna in presenza di una forte probabilità di danni gravi, senza richiedere il loro verificarsi preliminare. La sentenza rappresenta un importante contributo alla definizione dei limiti giuridici per interventi di gestione della fauna selvatica in contesti di emergenza

Pubblicato il 30/09/2024

  1. 00144/2024 REG.PROV.COLL.
  2. 00049/2024 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento

(Sezione Unica)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 49 del 2024, proposto da
– OMISSIS -, in persona dei rispetti rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Michele Pezone e Paolo Emilio Letrari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Provincia Autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Marialuisa Cattoni, Danilo Cabras, Enrico Menapace, con domicilio eletto presso la sede dell’Avvocatura provinciale in Trento, piazza Dante n. 15;

per ottenere

il risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 2043 c.c. causati alle associazioni ricorrenti in forza dell’abbattimento dell’orso M90 avvenuto in data 6 febbraio 2024, previo accertamento dell’illegittimità del decreto del Presidente della Provincia Autonoma di Trento n. 1 del 6 febbraio 2024 avente ad oggetto “Legge provinciale 11 luglio 2018, n. 9. Autorizzazione al prelievo dell’esemplare di orso M90 tramite uccisione”.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia Autonoma di Trento;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 settembre 2024 il dott. Stefano Mielli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il Presidente della Provincia Autonoma di Trento, con decreto n. 1 del 6 febbraio 2024, adottato ai sensi dell’art. 1 della legge provinciale 11 luglio 2018, n. 9, di attuazione della direttiva Habitat 92/43/CEE, allo scopo di garantire l’interesse della sanità e della sicurezza pubblica, ha disposto la rimozione dell’esemplare M90, mediante abbattimento, e il provvedimento è stato eseguito nella stessa giornata in cui è stato adottato.

Il provvedimento motiva sui presupposti volti a giustificare la decisione di disporre la rimozione dell’esemplare, facendo riferimento sul piano istruttorio ai rapporti tecnici concernenti il monitoraggio intensivo svolto sull’orso e sulle situazioni problematiche ad esso collegate (vengono citati gli atti prot. 765005 dell’11 ottobre 2023, prot. 811683 del 30 ottobre 2023, prot. 965836 del 27 dicembre 2023, prot. 73349 del 29 gennaio 2024) e alle relazioni istruttorie del servizio faunistico (vengono citati gli atti prot. n. 91791 e n. 93476 del 5 febbraio 2024).

Il provvedimento in particolare sottolinea che l’attività istruttoria ha evidenziato un’eccessiva e ripetuta confidenza e frequentazione di aree urbane e periurbane da parte dell’esemplare, consistenti in comportamenti per i quali il Piano d’Azione interregionale per la Conservazione dell’Orso Bruno sulle Alpi Centro-Orientali (d’ora in poi Pacobace) prevede la rimozione, ovvero 12 eventi relativi alla fattispecie n. 13 (Orso ripetutamente segnalato in centro residenziale o nelle immediate vicinanze di abitazioni stabilmente in uso) e 3 eventi relativi alla fattispecie n. 16 (Orso segue intenzionalmente persone).

Circa il carattere particolarmente pericoloso della modalità comportamentale consistente nell’inseguimento delle persone, già affermata dal Pacobace che la pone al livello di pericolosità di 16 su una scala da 1 a 18, il provvedimento fonda le proprie valutazioni su un dato d’esperienza. Viene citato il caso di un altro orso denominato M57, che al pari di M90 è un individuo giovane, maschio, molto confidente, il quale nel 2020, dopo diversi casi di inseguimento di persone senza atteggiamenti aggressivi, ha effettuato un attacco deliberato all’uomo nei pressi dell’abitato di Andalo il 22 agosto 2020.

Per quanto riguarda gli episodi di inseguimento di persone attribuiti ad M90, il provvedimento richiama in particolare quello accaduto in data 28 gennaio 2024, descritto nel dettaglio mediante la riproduzione di uno stralcio del rapporto istruttorio del Servizio Faunistico, dal quale risulta che l’esemplare ha compiuto un inseguimento insistito e prolungato di due persone che stavano passeggiando su una strada forestale per Malga Monte in comune di Mezzana (Val di Sole).

In quell’occasione l’inseguimento è durato circa 10 minuti, su uno sviluppo della strada forestale di circa 700 metri, ed è avvenuto ad una distanza minima di 10 metri. L’esemplare si è allontanato solo al sopraggiungere dei rumori delle motociclette di alcuni amici delle persone inseguite, contattati con urgenza per prestare soccorso.

Tale inseguimento inoltre, precisa il provvedimento, è avvenuto dopo altri due precedenti avvenuti il 7 ottobre 2023 ed il 13 ottobre 2023, nonostante gli interventi di dissuasione posti in essere “evidenziando una crescita graduale della gravità degli accadimenti nel tempo, sia in termini di accresciuta confidenza ed insistenza nel seguire le persone, sia in termini di mancata risposta alle azioni di dissuasione nel tempo effettuate”.

Il provvedimento dà altresì atto di avere acquisito il parere favorevole alla rimozione dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (d’ora in poi Ispra) prot. n. 90334 del 5 febbraio 2024.

Nel parere l’esemplare viene definito “ad alto rischio” e si osserva che “l’abbattimento dell’individuo M90 rientra tra le azioni previste dal Pacobace in caso di comportamenti come quelli evidenziati dall’esemplare” e “tale opzione non risulta confliggere con le condizioni richieste dalla normativa comunitaria relative alle misure alternative ed al mantenimento della popolazione in uno stato di conservazione soddisfacente”.

Circa l’assenza di alternative alla rimozione dell’esemplare dall’ambiente naturale, il provvedimento dà atto che già alcuni mesi prima, nella notte tra il 14 e 15 settembre 2023, erano state attuate le misure previste dal Pacobace mediante la radiocollarizzazione dell’esemplare, a cui sono seguite venti azioni di dissuasione con cani, munizioni in gomma, dardi esplodenti, luci e rumori senza che nel corso di cinque mesi si sia raggiunto un qualche risultato nella diminuzione del grado di confidenza del plantigrado, che è risultato attivo e con atteggiamento pericoloso anche durante i mesi invernali.

In relazione all’insufficienza della radiocollarizzazione o di eventuali ulteriori misure dissuasive al fine di salvaguardare la sicurezza e l’incolumità pubblica, il provvedimento osserva che per la fattispecie n. 16 (Orso segue intenzionalmente persone), evento ripetutosi per tre volte per questo esemplare, il Pacobace non contempla neppure eventuali azioni di dissuasione, tecnicamente ritenute inidonee perché non è possibile prevedere i luoghi ed il momento in cui questi comportamenti vengono realizzati, diversamente, ad esempio, dal comportamento consistente nell’ingresso in centri abitati.

Quanto all’assenza di rischi per il mantenimento della popolazione della specie in uno stato di conservazione soddisfacente, condizione alla quale la direttiva 92/43CEE subordina la possibilità di disporre la rimozione dell’esemplare dall’ambiente naturale, il provvedimento, afferma di aver considerato “lo stato di conservazione dell’orso bruno in Trentino, costantemente monitorato geneticamente da oltre 20 anni e documentato con i Rapporti annuali dell’amministrazione provinciale, dai quali fra l’altro si può evincere che la condizione della popolazione trentina risulta in continuo miglioramento, sebbene alcuni (pochi) casi problematici come quello in parola abbiano richiesto interventi energici” e che, tenendo conto anche degli effetti cumulativi derivanti dagli interventi realizzati su altri esemplari problematici, la sottrazione di un esemplare maschio e giovane non incide sulla demografia della popolazione presente.

Nello stesso senso, prosegue il provvedimento, si è espresso l’Ispra il quale in un rapporto redatto per il ministero dell’Ambiente nel 2023, ha evidenziato che, al fine di non incidere in maniera negativa sulla traiettoria della popolazione, è possibile ipotizzare la rimozione complessiva massima di otto capi all’anno, eventualità questa che non si verifica per effetto della rimozione di M90, tenuto conto che nel 2023 sono deceduti due esemplari, M62 ed F36, ed è stata disposta la capitvazione permanente di JJ4, mentre questo sarebbe il primo caso nell’anno solare 2024.

Il provvedimento infine evidenzia le ragioni per le quali, nel caso concreto, tra la captivazione permanente e l’abbattimento, ritiene preferibile quest’ultima alternativa, osservando in primo luogo che sotto un profilo strettamente precauzionale per l’incolumità pubblica, l’abbattimento rappresenta la procedura di rimozione dell’esemplare M90 che garantisce la maggior tempestività possibile e conseguentemente persegue al massimo grado l’interesse connesso alla sicurezza pubblica, in relazione alla maggior celerità che caratterizza le procedure di abbattimento rispetto a quelle di cattura (con trappola tubo, in free-ranging o con lacci).

In proposito il provvedimento riproduce uno stralcio del rapporto istruttorio del Servizio faunistico n. 93476 del 5 febbraio 2024, in cui si evidenzia che “1. la cattura con trappola tubo presuppone che l’orso target individui il sito nel vasto ambiente nel quale un plantigrado si muove, sia attratto dall’esca in modo sufficiente ad entrare nella trappola (verso la quale ogni animale nutre più o meno diffidenza) ed azionare il meccanismo di scatto. Ciò può richiedere, in generale, tempi anche molto lunghi ed imprevedibili (nell’ordine di settimane/mesi). Nel periodo invernale, le attività con tubo sono complicate dall’azione delle basse temperature sui meccanismi di scatto e, inoltre, la presenza di neve-ghiaccio impedisce la loro collocazione in posizione idonea;

  1. La cattura con telenarcosi (sparando l’anestetico all’orso allo stato libero) richiede di trovare ed approcciare l’animale a distanze molto ridotte (non più di 15 m ca) oltre le quali il fucile lanciasiringhe non garantisce la precisione di tiro e la pressione di inoculo. Avvicinare un orso a tale distanza non è assolutamente facile, dunque potrebbe richiedere molto tempo, e comporta notevoli rischi per gli operatori.
  2. La cattura con lacci su sito di attrazione richiede, come nel punto 1, che l’orso target individui il sito nel vasto ambiente nel quale un plantigrado si muove, sia attratto dall’esca in modo sufficiente e la approcci facendo scattare il meccanismo. Anche in questo caso inoltre vi sono dei rischi per gli operatori. Anche nel caso del laccio, le basse temperature possono inficiare i meccanismi di scatto. Anche i metodi n. 2 e 3 richiedono dunque solitamente tempi lunghi e difficilmente prevedibili. Nel caso specifico di M90 e dell’attuale contingenza ci sono due fattori ulteriori da considerare: a) M90 è un maschio giovane molto mobile, attivo anche in inverno; b) in questa stagione gli orsi che rimangono un po’ attivi non hanno particolari esigenze alimentari, contrariamente a quanto si potrebbe credere. Dunque l’efficacia di eventuali esche a livello attrattivo, se è un’incognita in generale, lo è ancora di più in questo preciso periodo. L’opzione abbattimento su un esemplare collarato invece consente di provare la rimozione ogni giorno, rimanendo anche a distanze considerevoli (il tiro utile arriva a centinaia di metri di distanza) e di massima sicurezza per il personale. La ricerca delle condizioni buone può dunque richiedere ore (nei casi più fortunati) o alcuni giorni, dunque in un ordine temporale che di norma è assai più ridotto di quello che caratterizza le catture. Ed anche qui il caso specifico di M90 fa propendere ancora di più per questa opzione: la relativa confidenza dell’animale ed il suo essere attivo anche di giorno aumentano di fatto la possibilità di localizzarlo ed avvistarlo rispetto ad altri orsi più elusivi (maschi e femmine adulte per es.)”.

Con il ricorso in epigrafe due Associazioni ambientaliste che perseguono nei propri statuti anche lo scopo della tutela degli animali delle specie selvatiche, – OMISSIS – (d’ora in poi – OMISSIS -) e – OMISSIS – – OMISSIS – (d’ora in poi – OMISSIS -), agiscono per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa dell’illegittima adozione del provvedimento di abbattimento dell’esemplare M90 e per l’impossibilità di ottenere una tutela cautelare innanzi alla giustizia amministrativa in quanto l’Amministrazione ha dato immediata attuazione al provvedimento.

Le ricorrenti deducono in particolare di aver subito un pregiudizio alla propria immagine e al proprio ruolo per la frustrazione dello scopo sociale, e di voler far valere i danni dovuti alla sofferenza morale provata dalle persone rappresentate, chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali e morali subiti.

– OMISSIS – e la – OMISSIS – chiedono, per ciascuna associazione, il risarcimento di € 100.000,00 per il danno di immagine e di ulteriori € 50.000, per il danno da perdita di chance per i mancati introiti che sarebbero potuti derivare dalle donazioni a sostegno delle attività sociali in caso di esito favorevole dell’azione giudiziaria volta ad impedire in via cautelare l’ingiustificata uccisione dell’esemplare.

Con il primo motivo, le ricorrenti lamentano la violazione degli articoli 12 e 16 della direttiva 92/43/CEE, dell’art. 11 del D.P.R. n. 357 del 1997, dell’art. 19 della legge n. 157 del 1992, nonché degli articoli 9, comma 2 e 117, comma 2 lettera s) della Costituzione, la carenza, l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione e lo sviamento, ai sensi del combinato disposto dell’art. 97 Costituzione e dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990.

Le associazioni ricorrenti in primo luogo richiamano la normativa unionale e nazionale di recepimento che classificano la specie dell’orso tra quelle per le quali è necessaria una protezione rigorosa, ed in base alle quali è vietata ogni forma di cattura o uccisione deliberata se non per una serie di fattispecie tipizzate, e ricordano che la detenzione, la cattura o l’uccisione di esemplari di questa specie, sono vietate e determinano l’irrogazione di una sanzione penale.

Le ricorrenti proseguono affermando che l’integrazione dell’art. 9 della Costituzione, operata dall’art. 1, comma 1, della legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1, ha inserito tra i principi fondamentali della Repubblica quello della necessaria tutela della vita degli animali, con la conseguenza che ora anche l’interesse alla salvaguardia della sicurezza pubblica non gode più di una tutela assoluta, ma deve essere bilanciato con l’interesse, anch’esso di rango costituzionale, della tutela degli animali.

A supporto della propria tesi, le Associazioni ricorrenti si richiamano a dei passaggi motivazionali contenuti in alcune pronunce giurisprudenziali (in particolare nelle ordinanze cautelari del Consiglio di Stato, Sez. III, 14 luglio 2023, nn. 2913, 2914, 2915, 2916, 2917, 2918, 2919 e 2920).

Le ricorrenti affermano che l’art. 13 del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea (di seguito TFUE) tutela direttamente gli animali come esseri senzienti, e che anche l’art. 9 della Costituzione, tutela ora direttamente la vita degli animali, ponendo questo obiettivo tra i principi fondamentali della Repubblica.

Da tali premesse normative, le Associazioni ricorrenti ricavano la conclusione che la protezione della vita degli animali oggi è un bene giuridico costituzionalmente protetto che gode di una tutela rafforzata nell’ordinamento, con la conseguenza che è possibile derogare al principio della necessaria tutela degli animali con il sacrificio della vita del singolo esemplare, solo in presenza di circostanze ben definite e a condizione che non esista un’altra soluzione percorribile.

Secondo le ricorrenti, pertanto, può ricorrersi all’abbattimento di un animale solo nell’ipotesi estrema e di rara verificazione, di impossibilità oggettiva, non solo temporanea e soggettiva, da valutarsi secondo i criteri generali dell’ordinamento giuridico, di ricorrere ad azioni meno cruente, in aderenza al principio di proporzionalità (da declinare nella sua struttura tripartita dell’idoneità, ossia dell’attitudine dei mezzi impiegati a far conseguire lo scopo perseguito, della necessità, ossia nel ricorso alla misura meno restrittiva tra quelle egualmente appropriate, e dell’adeguatezza o proporzionalità in senso stretto), da parametrare all’obiettivo di tutelare il bene costituzionalmente protetto della vita del singolo animale.

In definitiva secondo le ricorrenti, poiché l’uccisione dell’animale e in particolare dell’orso che è una specie particolarmente protetta, nell’attuale quadro normativo e giurisprudenziale può costituire solamente un’extrema ratio, salvo casi eccezionali di rara verificazione, deve essere sempre preferita la captivazione permanente.

Le associazioni oltre a contestare in radice, con il primo gruppo di censure appena illustrato, l’illegittimità del decreto in relazione ai suoi presupposti normativi, con un secondo gruppo di censure lamentano sotto molteplici profili anche l’incompletezza dell’istruttoria e l’incongruità della motivazione.

In primo luogo le associazioni ricorrenti lamentano che il provvedimento si fonda solamente sulla circostanza che l’esemplare M90 si è reso responsabile dell’episodio di inseguimento di due persone avvenuto il 28 gennaio 2024, e non ha considerato che l’esemplare si è spontaneamente allontanato al sopraggiungere di altre persone, in ciò dimostrando la mancanza di una spiccata indole aggressiva, e di conseguenza la mancanza di una pericolosità maggiore di quella di altri animali.

Secondo le ricorrenti pertanto, facendo un uso sviato dei propri poteri, l’Amministrazione avrebbe in realtà inteso rassicurare la collettività dalla preoccupazione di possibili rischi connessi ad aggressioni dell’orso, riducendone il numero di quelli presenti, senza perseguire effettivamente lo scopo della tutela della pubblica incolumità.

A supporto di tale assunto, le ricorrenti affermano che il decreto inquadra apoditticamente la pericolosità dell’orso al livello n. 18, ovvero al massimo grado previsto dal Pacobace, e che il decreto, laddove afferma la mancanza di alternative all’abbattimento, costituisce in realtà un’ammissione delle carenze organizzative ed omissioni dell’Amministrazione nell’adottare in via preventiva le misure necessarie ad evitare il verificarsi di emergenze.

Le ricorrenti contestano anche l’affermazione contenuta nel decreto, secondo cui la rimozione dell’esemplare non comporterebbe un pregiudizio per il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, della popolazione dell’orso.

Secondo le ricorrenti è infatti necessario tener conto che nel corso del 2023 sono stati rimossi dall’ambiente naturale o sono stati rinvenuti morti cinque esemplari, e che in realtà il tasso riproduttivo è incerto, con la conseguenza che un’uccisione non necessaria può rivelarsi dannosa a causa della sottrazione dall’ambiente del patrimonio genetico dell’esemplare rimosso, con possibili ricadute negative sui livelli di incremento della popolazione ursina e aumento della deriva genetica per consanguineità.

Per quanto riguarda il vizio di carenza di istruttoria, le ricorrenti rilevano una contraddizione, perché nel provvedimento vengono citati altri due precedenti episodi di inseguimento di persone da parte dell’esemplare, ma dal rapporto tecnico dell’evento del 7 ottobre 2023, risulta che non è stato possibile chiarire con certezza l’intenzionalità dell’orso nel seguire la persona, mentre per l’evento del 13 ottobre 2023, dal rapporto tecnico risulta che parimenti non vi è certezza che l’esemplare fosse effettivamente interessato alle persone, e in altri casi che si sono verificati con questo esemplare inquadrati nelle categorie 10, 12 e 13 del grado di pericolosità codificato dal Pacobace è stato escluso vi sia stata un’interazione tra uomo e animale.

Al termine del primo motivo le Associazioni ricorrenti sostengono che la legge provinciale n. 9 del 2018 è divenuta incostituzionale per violazione della riserva di legge statale nella materia della tutela degli animali contenuta nell’art. 9, terzo comma, della Costituzione come integrato dalla legge costituzionale n. 1 del 2022.

Con il secondo motivo le associazioni ricorrenti, in relazione all’avvenuta immediata esecuzione del decreto con l’abbattimento dell’orso, argomentano la domanda risarcitoria, precisando di essere delle associazioni che tutelano statutariamente la vita dell’animale inteso come essere senziente non umano, nella comune convinzione etica e morale di salvaguardare in ciò un insieme valoriale comune a molte persone, dato che contano migliaia di associati, e di aver svolto in passato delle azioni giudiziarie che hanno impedito la captivazione o l’abbattimento di orsi ritenuti pericolosi dall’Amministrazione.

Le ricorrenti deducono che l’immediata esecuzione del decreto ha impedito loro di ricorrere alla giustizia amministrativa per ottenere una tutela cautelare e ciò viola i principi di giustiziabilità dell’azione amministrativa sanciti dagli articoli 24 e 113 della Costituzione, danneggiando l’immagine delle associazioni che hanno in tal modo visto vanificato l’impegno profuso a difesa degli animali.

Tale danno di immagine, proseguono le Associazioni ricorrenti, ha avuto gravi ripercussioni anche sul piano economico, perché dovranno affrontare un calo delle donazioni a sostegno delle attività sociali che, come in passato, avrebbero invece ricevuto in caso di esito favorevole delle azioni giudiziarie a tutela degli orsi.

Nell’ultima memoria depositata in giudizio, le Associazioni ricorrenti, sulla base della lettura dei rapporti tecnici del Servizio Faunistico, contestano la sussistenza dei presupposti fattuali che hanno indotto l’Amministrazione a classificare l’esemplare come “ad alto rischio”, e chiedono di disporre l’acquisizione delle schede incontri uomo-orso degli episodi del 7 e del 13 ottobre 2023, ai sensi dell’art. 210 cod. proc. civ..

Insistono altresì sulla domanda di risarcimento del danno patrimoniale subito, allegando delle e-mail per dimostrare l’esistenza di un disappunto da parte dei cittadini a causa del mancato esercizio di un’efficace difesa in giudizio dell’esemplare M90, e che tale disaffezione comproverebbe la diminuzione delle donazioni normalmente ricevute in tali occasioni. La quantificazione del danno patrimoniale nell’ultima memoria viene chiesta in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 cod. civ..

Si è costituita in giudizio la Provincia Autonoma di Trento replicando alle censure proposte e concludendo per la reiezione del ricorso.

Alla pubblica udienza del 19 settembre 2024, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

  1. Viene all’esame la controversia con la quale le Associazioni ambientaliste ed animaliste – OMISSIS – e – OMISSIS – chiedono il risarcimento del danno d’immagine subito a causa dell’adozione, da parte del Presidente della Provincia Autonoma di Trento, del decreto n. 1 del 6 febbraio 2024, emanato ai sensi dell’art. 1 della legge provinciale 11 luglio 2018, n. 9, di attuazione della direttiva Habitat 92/43/CEE, allo scopo di garantire l’interesse della sanità e della sicurezza pubblica.

Secondo le ricorrenti tale provvedimento ha causato dei danni patrimoniali e non patrimoniali alle Associazioni, perché ha illegittimamente disposto l’abbattimento dell’esemplare di orso M90, ed è stato eseguito nella stessa giornata in cui è stato adottato, impedendo alle Associazioni di agire in giudizio in sede cautelare per tutelare la vita dell’esemplare, frustrando in tal modo il raggiungimento del proprio scopo sociale volto alla tutela degli animali.

  1. Preliminarmente deve essere affermata la legittimazione delle Associazioni ricorrenti a proporre in giudizio la domanda risarcitoria azionata.

L’ordinamento riconosce la legittimazione degli enti esponenziali ad esperire azioni a tutela degli interessi legittimi collettivi di determinate comunità o categorie e degli interessi diffusi o superindividuali, mediante l’azione generale di annullamento in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità, indipendentemente da un’espressa previsione di legge in tal senso (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen. 20 febbraio 2020, n. 6).

Allo stesso modo, tali enti devono ritenersi legittimati a chiedere anche il risarcimento dei danni che assumono di aver subito per effetto della lesione di un interesse legittimo oppositivo determinata da un provvedimento che ritengono illegittimamente adottato dall’Amministrazione, frustrando le finalità perseguite con la propria attività e con i propri scopi statutari.

Tale pregiudizio, come dedotto nel ricorso, configurandosi come danno all’immagine o danno reputazionale assimilabile ai diritti fondamentali della persona, può dar luogo al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, anche quando non sussista un fatto – reato (cfr. Cass. pen., Sez. I, 25 settembre 2018, n. 44528, punto 3.4.1. in diritto; Cass. Pen. Sez. III, 17 gennaio 2012, n. 19439).

La giurisprudenza ha chiarito che “anche nei confronti della persona giuridica è configurabile la risarcibilità del danno non patrimoniale allorquando il fatto lesivo incida su una situazione giuridica dell’ente che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana garantiti dalla Costituzione; che fra tali diritti rientra l’immagine della persona giuridica o dell’ente, allorquando si verifichi la lesione di tale immagine” e che tale lesione consiste “nella diminuzione della considerazione nella quale si esprime la sua immagine: sia sotto il profilo della incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell’agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi dell’ente e, quindi, nell’agire di questo, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica di norma interagisca (Cass. 18082/2013; 12929/2007; 7642/1991)” (in questi termini si esprime la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, 24 febbraio 2023, n. 1933).

  1. Sempre in via preliminare il Collegio ritiene di chiarire le ragioni per le quali non dispone la sospensione del giudizio in attesa della definizione di alcune questioni pendenti in Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Come è noto questo Tribunale con otto ordinanze di rinvio ha posto alla Corte di Giustizia dei quesiti interpretativi volti a chiarire se gli articoli 12 e 16 della direttiva 92/43/CEE devono essere interpretati nel senso che, una volta accertata la sussistenza delle condizioni che giustificano la rimozione dall’ambiente di un esemplare di orso pericoloso, le misure in concreto adottabili della soppressione o della captivazione permanente, siano poste su un piano di parità o se, in aderenza al principio di proporzionalità da parametrare alla tutela della vita del singolo esemplare, sussista una gerarchia tra tali misure, che di fatto comporterebbe l’obbligo di disporre solamente la captivazione permanente (si tratta delle cause pendenti C-24/24, C-25/24, C-26/24 e C-27/24 relative all’esemplare JJ4, e delle cause C-28/24, C-29/24, C-30/24 e C-31/24 relative all’esemplare MJ5).

Il Collegio ritiene che le questioni pendenti non siano rilevanti per definire la controversia in esame.

In proposito è opportuno ricordare che in quei contenziosi erano impugnati da diverse associazioni ambientaliste due decreti con i quali era stato disposto l’abbattimento dell’esemplare denominato JJ4 (si tratta dei ricorsi r.g. n. 66 del 2023, r.g. n. 67 del 2023, r.g. n. 68 del 2023, nonché dei ricorsi riuniti r.g. n. 49, 52 e 53 del 2023) e dell’esemplare denominato MJ5 (si tratta dei ricorsi r.g. n. 56 del 2023, r.g. n. 58 del 2023, r.g. n. 60 del 2023, r.g. n. 70 del 2023).

In particolare il decreto del Presidente della Provincia Autonoma di Trento n. 10 del 27 aprile 2023, aveva disposto la soppressione dell’esemplare JJ4 che in quel momento era già stato rimosso dall’ambiente naturale e si trovava in uno stato di captivazione nel Centro del Casteller di proprietà della Provincia.

Il decreto del Presidente della Provincia Autonoma di Trento n. 9 del 19 aprile 2023, aveva invece disposto la rimozione tramite abbattimento, attraverso cattura preliminare, dell’esemplare identificato come MJ5.

In entrambi i casi la scelta di disporre la rimozione mediante l’abbattimento anziché mediante la captivazione permanente, era stata motivata con riferimento all’esistenza di limiti strutturali, gestionali ed economici che rendevano la captivazione nel Centro del Casteller non sostenibile, data la scarsità di spazi e risorse, e perché non risultava l’esistenza di una soluzione alternativa per la captivazione permanente al di fuori del territorio provinciale.

Nell’ambito di quei giudizi in sede di appello cautelare il Consiglio di Stato Sez. III, con le ordinanze 14 luglio 2023, nn. 2913, 2914, 2915, 2916, 2917, 2918, 2919 e 2920, aveva accolto le domande cautelari proposte in primo grado dalle Associazioni ambientaliste allora ricorrenti, affermando che, secondo il principio di proporzionalità da parametrare alla tutela della vita del singolo animale, può ricorrersi all’abbattimento solo nell’ipotesi – estrema e di rara verificazione – di impossibilità oggettiva, non solo temporanea e soggettiva, da valutarsi secondo i criteri generali dell’ordinamento giuridico, di ricorrere ad azioni meno cruente, tenendo conto che “la mancanza di adeguate strutture per l’accoglimento e la gestione di animali ‘problematici’ non può legittimare una misura che viola il principio di proporzionalità e che rischia di autorizzare un uso seriale, indiscriminato della decisione estrema e più cruenta che – come detto – deve costituire l’extrema ratio” disponendo che l’Amministrazione avrebbe dovuto “rivalutare – sussistendone i requisiti – le proposte provenienti dal mondo dell’Associazionismo nell’ottica di valorizzazione delle forme di sussidiarietà orizzontale, nel rispetto dei vincoli della Costituzione”.

Il decreto del Presidente della Provincia di Trento n. 1 del 6 febbraio 2024, di cui le Associazioni odierne ricorrenti lamentano l’illegittimità con il ricorso in epigrafe, a supporto della decisione di disporre la rimozione dall’ambiente naturale dell’esemplare denominato M90 mediante l’abbattimento, contiene una motivazione completamente diversa, sopra riportata nella parte narrativa in fatto, in quanto non esclude la captivazione permanente con riferimento ai limiti derivanti dalla struttura del Centro del Casteller o l’inesistenza di altri luoghi idonei al di fuori del territorio provinciale ma, con specifico riguardo all’esemplare M90, giustifica l’abbattimento, in luogo della captivazione permanente, quale unica modalità nel caso concreto per tutelare con efficacia la sicurezza pubblica, la vita e l’integrità fisica delle persone che potrebbero entrare in contatto con l’esemplare, e degli operatori durante le operazioni eventualmente necessarie a disporne la cattura.

Pertanto, mentre i provvedimenti impugnati con i ricorsi nell’ambito dei quali sono state adottate le ordinanze di rinvio hanno indicato un’impossibilità di captivazione permanente con riferimento ai limiti derivanti dalla struttura del Centro del Casteller, impossibilità qualificata come temporanea e soggettiva dal Consiglio di Stato in sede cautelare, il provvedimento impugnato con il ricorso in epigrafe indica un’impossibilità oggettiva, perché afferma che nel caso in esame l’abbattimento costituisce un intervento determinato dalla necessità, ritenuta non altrimenti fronteggiabile, di tutelare la sicurezza pubblica, la vita e l’integrità fisica delle persone.

Pertanto, anche a voler ipotizzare effettivamente l’esistenza di un principio di proporzionalità da parametrare alla tutela della vita del singolo esemplare di orso, anziché, come sostenuto dalle ordinanze di rinvio di questo Tribunale, all’obiettivo primario della direttiva 92/43/CEE della tutela del mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, della specie interessata, alla luce di quanto verrà di seguito meglio illustrato, non rilevano le questioni pendenti ai fini della definizione della controversia in esame, in ragione del valore prioritario ed indefettibile riconosciuto dall’ordinamento giuridico sovranazionale e nazionale alla vita e all’integrità fisica delle persone.

  1. Sempre in via preliminare deve essere evidenziato che il provvedimento che le Associazioni ritengono illegittimo, è stato adottato in base all’art. 1 ter della legge provinciale 11 luglio 2018, n. 9, nel testo successivo alle modifiche apportate dalla legge provinciale 8 agosto 2023, n. 9, ed antecedente alle modifiche apportate dalla legge provinciale 7 marzo 2024, n. 2, da ultimo ulteriormente modificato dalla legge provinciale 5 agosto 2024, n. 9.

Il testo attualmente vigente demanda la scelta circa l’eventuale abbattimento di un esemplare, a seguito della sua rimozione dall’ambiente naturale, ad una decisione da prendere caso per caso.

Diversamente il testo della medesima legge vigente al momento dell’adozione del decreto oggetto di contestazione con il ricorso in epigrafe, prevedeva sempre l’abbattimento dell’esemplare al verificarsi di alcune condizioni, tra le quali era menzionato il comportamento consistente nell’inseguimento intenzionale delle persone.

Con riferimento a tale diposizione è privo di rilevanza l’approfondimento dei dubbi di incompatibilità con la direttiva 92/43/CEE (che potrebbe essere fatto valere come incidente di costituzionalità per violazione dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, di cui la direttiva costituisce una norma interposta), nella parte in cui consente in modo automatico la rimozione di un esemplare mediante l’abbattimento senza prescrivere una valutazione da compiere in modo specifico caso per caso.

Infatti il provvedimento di cui le Associazioni ricorrenti chiedono l’accertamento dell’illegittimità, non ha applicato l’automatismo previsto dalla legge provinciale allora in vigore (nel capoverso segnato con il ventottesimo puntino, viene espressamente specificato che questo capo di motivazione viene reso “al netto del dato testuale della legge provinciale n. 9 del 2018”), e ha motivato in concreto sulle ragioni per le quali ha ritenuto in questo caso di preferire l’abbattimento anziché la captivazione permanente.

Poiché, come verrà in seguito precisato, nel caso in esame la motivazione del provvedimento a giudizio del Collegio risulta sufficiente a sorreggerne la legittimità, l’eventuale questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1 ter, della legge provinciale n. 9 del 2018, nel testo ratione temporis applicabile al provvedimento all’esame, non è rilevante.

  1. Al fine di delimitare l’oggetto del giudizio, è opportuno precisare che, conformemente alle norme che disciplinano il processo amministrativo, l’oggetto della controversia in esame riguarda esclusivamente lo scrutinio della legittimità o meno del decreto contestato dalle Associazioni ricorrenti, nei limiti delle censure proposte nel ricorso introduttivo e alla luce delle norme di legge applicabili alla fattispecie.

Esulano invece dal giudizio in esame le più ampie e controverse questioni, oggetto di un intenso dibattito a livello locale e nazionale, circa l’opportunità o meno della reintroduzione della specie Ursus arctos in un territorio in cui si era estinta, e circa la sufficienza o meno delle azioni poste in essere dai poteri pubblici per prevenire i conflitti tra orso e uomo, finalizzate a consentire l’accettazione della presenza della specie da parte della popolazione.

  1. Esaminate le questioni preliminari, deve essere prioritariamente valutata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, della legge provinciale n. 9 del 2018, che è la norma attributiva del potere esercitato in questa fattispecie, sollevata dalle Associazioni ricorrenti.

Le ricorrenti premettono che l’art. 9, terzo comma, della Costituzione, integrato dalla legge costituzionale n. 1 del 2022, ha previsto una riserva di legge statale in materia di tutela degli animali, con la conseguenza che dovrebbe essere dichiarata l’illegittimità costituzionale sopravvenuta della legge provinciale n. 9 del 2018, che disciplina questa materia, in base alla quale è stato adottato il decreto di rimozione dell’orso.

La questione è manifestamente infondata per due concorrenti motivi.

In primo luogo perché l’attribuzione allo Stato della competenza ad emanare leggi a tutela degli animali, per il principio tempus regit actum, non può incidere retroattivamente sulle disposizioni di legge emanate sulla base delle norme attributive del potere vigenti prima della sua entrata in vigore.

In secondo luogo perché la legge costituzionale n. 1 del 2022, che ha integrato l’art. 9 della Costituzione, contiene essa stessa una norma espressa di salvaguardia delle competenze legislative riconosciute dagli statuti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome.

Tale norma dispone che “La legge dello Stato che disciplina i modi e le forme di tutela degli animali, di cui all’articolo 9 della Costituzione, come modificato dall’articolo 1 della presente legge costituzionale, si applica alle regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano nei limiti delle competenze legislative ad esse riconosciute dai rispettivi statuti”.

Al riguardo va ricordato che la legge provinciale n. 9 del 2018 era stata impugnata dallo Stato che rivendicava la propria competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. s) della Costituzione.

La Corte Costituzionale con sentenza 27 settembre 2019, n. 215, ha respinto il ricorso dello Stato riconoscendo la competenza della Provincia Autonoma di Trento a legiferare in questa materia.

La pronuncia ha osservato che il regolamento attuativo della “direttiva habitat”, di cui al D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, all’art. 1, comma 4, attribuisce proprio alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e Bolzano la competenza a dare attuazione agli obiettivi del regolamento nel rispetto di quanto previsto dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione, e che la competenza della Provincia Autonoma di Trento trova la sua legittimazione nello statuto speciale, perché attiene in misura rilevante a materie sulle quali l’ente esercita una competenza legislativa primaria, ovvero quelle di cui all’art. 8, n. 16 (alpicoltura e parchi per la protezione della flora e della fauna) e n. 21 dello statuto (agricoltura, foreste e corpo forestale, patrimonio zootecnico ed ittico, istituti fitopatologici, consorzi agrari e stazioni agrarie sperimentali, servizi antigrandine, bonifica).

La questione di illegittimità costituzionale prospettata dalle Associazioni ricorrenti è pertanto manifestamente infondata.

  1. Nel merito il ricorso deve essere respinto.

Il decreto che le Associazioni ricorrenti ritengono illegittimo ha disposto la rimozione, mediante abbattimento, di un esemplare di orso, al fine di salvaguardare la sicurezza pubblica e quindi la vita e l’integrità fisica delle persone da un attacco ritenuto, in base al suo comportamento valutato alla stregua di criteri tecnici e scientifici, come probabile.

Tutte le contestazioni proposte sono legate da un unico filo conduttore, secondo cui oggi dovrebbe ritenersi oggetto di autonoma considerazione l’interesse alla tutela del bene costituzionalmente tutelato della vita degli animali, da bilanciare con gli altri interessi di rango costituzionale, compreso quello della tutela della sicurezza pubblica e della tutela della vita delle persone, che in taluni casi, nelle valutazioni dell’Amministrazione, potrebbero risultare recessivi.

Il tenore delle censure proposte impone pertanto di esaminare, compiendo un approfondito esame della normativa vigente, quale sia attualmente il rapporto tra il livello di tutela che deve essere accordato a un animale, per di più appartenente ad una specie particolarmente protetta, quando entri in effettivo conflitto con le esigenze di tutela della sicurezza pubblica e della vita dell’integrità fisica delle persone.

Cercando di sintetizzare il ragionamento da cui muovono le censure proposte dalle Associazioni ricorrenti, si parte dalla premessa secondo cui la vita di ciascun animale è oggi direttamente tutelata dall’art. 13 TFUE e dall’art. 9 della Costituzione, e gode pertanto di una tutela rafforzata da parte dell’ordinamento, potendo essere sacrificata solo in presenza di condizioni che sono da interpretarsi in maniera rigorosa e restrittiva, secondo i criteri generali dell’ordinamento giuridico e quindi il principio di proporzionalità da parametrare alla tutela della vita del singolo animale, in comparazione con gli altri interessi costituzionalmente rilevanti.

Da tale assunto le Associazioni ricorrenti traggono due conseguenze:

  1. a) la pericolosità del singolo esemplare, prima di disporre un provvedimento di rimozione, dovrebbe essere accertata secondo il principio, di matrice penalistica, dell’oltre ogni ragionevole dubbio, ossia quando la pericolosità si sia già manifestata con un’azione aggressiva concretamente tangibile, come se si trattasse di punire un comportamento dell’esemplare solo qualora sia classificabile come assolutamente anomalo dal punto di vista etologico;
  2. b) nel caso in cui vi sia la necessità di disporre la rimozione dall’ambiente naturale di un orso pericoloso per la pubblica incolumità e le persone, la vita del singolo esemplare dovrebbe essere tutelata secondo una logica graduata che risponda al principio di proporzionalità, con la conseguenza che si può ricorrere all’abbattimento solo nell’ipotesi – di estrema e rara verificazione – di impossibilità oggettiva, non solo temporanea e soggettiva, di ricorrere ad azioni meno cruente, dovendosi di fatto sempre preferire l’alternativa della captivazione permanente rispetto all’abbattimento.

Come si avrà modo di evidenziare, un’analisi del corretto significato da attribuire all’art. 13 del TFUE e all’art. 9 della Costituzione e alla normativa nazionale di rango primario, porta ad escludere che attualmente gli animali possano essere riconosciuti come soggetti di diritto titolari di diritti, e che sia effettivamente configurabile una tutela diretta della vita dell’animale da parte del TFUE e della Costituzione da bilanciare con interessi di rango costituzionale, quali la sicurezza pubblica o la vita e l’integrità delle persone.

L’erroneità della premessa del ragionamento proposto dalle Associazioni ricorrenti, comporta la non condivisibilità delle conclusioni nei termini di seguito specificati.

  1. In primo luogo è necessario esaminare il tenore letterale della norma di cui all’art. 13 del TFUE ricordando che nel testo attuale è stato inserito dal Trattato di Lisbona ed è entrato in vigore ormai da diversi anni, il 1° dicembre 2009.

La disposizione prevede che “Nella formulazione e nell’attuazione delle politiche dell’Unione nei settori dell’agricoltura, della pesca, dei trasporti, del mercato interno, della ricerca e sviluppo tecnologico e dello spazio, l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti, rispettando nel contempo le disposizioni legislative o amministrative e le consuetudini degli Stati membri per quanto riguarda, in particolare, i riti religiosi, le tradizioni culturali e il patrimonio regionale”.

Si tratta sicuramente di una norma di fondamentale importanza nel percorso volto a riconoscere un livello di maggiore tutela degli animali, perché stabilisce che, nell’attività delle istituzioni comunitarie e nazionali, è necessario tenere pienamente conto delle esigenze connesse al benessere degli animali, dal momento che viene espressamente riconosciuto che si tratta, con un’affermazione dall’alto valore simbolico, di esseri senzienti, con una formulazione che pone le premesse per consentire il superamento della possibilità di considerare gli animali solamente come beni.

Tuttavia non appare corretta l’affermazione dei ricorrenti secondo cui si tratterebbe di una norma che riconosce gli animali come soggetti titolari di diritti o di una norma che tutela direttamente la vita degli stessi.

In primo luogo perché si tratta di una disposizione che è priva di valore direttamente precettivo, dato che a livello testuale si pone solamente l’obiettivo di orientare l’attività delle istituzioni comunitarie e nazionali nel senso di tener conto delle esigenze di benessere degli animali come esseri senzienti, ed inoltre perché contiene delle eccezioni talmente numerose ed ampie che oggettivamente depotenziano la valenza espansiva del principio affermato.

Per sua espressa previsione, la norma afferma infatti di trovare un limite nelle disposizioni legislative, amministrative e nelle consuetudini degli Stati membri, specie per quanto riguarda – e l’elenco è esemplificativo – i riti religiosi, le tradizioni culturali e il patrimonio regionale.

Al riguardo va ricordato che per parte dei commentari la disposizione ha un carattere prevalentemente ricognitivo del complesso di norme del diritto secondario unionale dettate nella materia del benessere animale, il cui scopo è quello di risparmiare agli animali dolore, ansia, paura o sofferenze di altro tipo che siano evitabili, non quello di tutelare la vita dell’animale in sé.

Possono essere ricordate in tal senso la direttiva 1998/58/CE sulla protezione degli animali negli allevamenti, la direttiva 1999/75/CEE sulle norme minime per la protezione delle galline ovaiole, la direttiva 2007/43/CE sulle norme minime per la protezione dei polli allevati per la produzione di carne, la direttiva 2008/119/CE che stabilisce norme minime per la protezione dei vitelli, la direttiva 2008/120/CE che stabilisce norme minime per la protezione dei suini, il regolamento (CE) sulla protezione degli animali durante il trasporto e le operazioni correlate, il regolamento (CE) n. 1099/2009 relativo alla protezione degli animali durante l’abbattimento.

  1. L’altra disposizione richiamata dalle ricorrenti per fondare la tesi secondo cui l’ordinamento attuale riconoscerebbe una tutela degli animali come soggetti di diritto o riconoscerebbe una tutela diretta della loro vita, imponendo un bilanciamento con altri interessi di rango costituzionale in modo ormai irretrattabile perché la disposizione è contenuta tra i principi fondamentali della Costituzione, è l’art. 9 della Costituzione come integrato dalla legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1.

Il testo attuale della norma è il seguente:

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.

Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.

La legge costituzionale 1 del 2022 ha introdotto il terzo comma.

Anche in questo caso va osservato che si tratta di una disposizione dal forte valore simbolico, sicuramente importante nel percorso verso una tutela del mondo animale maggiore di quella attuale, perché per la prima volta gli “animali” vengono espressamente menzionati nella Costituzione, e questo avviene nella parte prima tra i principi fondamentali della Repubblica, con una disposizione che demanda espressamente allo Stato il compito di disciplinare i modi e le forme di tutela degli stessi considerati come un elemento a sé, separato dall’ambiente, dalla biodiversità e dagli ecosistemi.

Si tratta obiettivamente di una disposizione che prefigura la possibilità, de iure condendo, di una rivisitazione della legislazione vigente, al fine di individuare l’opportunità di eventuali modifiche per far evolvere l’ordinamento verso un livello di maggiore tutela degli animali, e che può fornire criteri interpretativi della legislazione vigente laddove vi siano vuoti normativi o disposizioni suscettibili di più interpretazioni.

Risulta tuttavia innegabile che la norma nel suo tenore letterale, dal quale l’interprete non può prescindere, risulta priva di qualsiasi immediata valenza precettiva ed ha un carattere meramente programmatico, perché si limita a demandare al legislatore l’individuazione dei modi e delle forme di tutela degli animali.

Peraltro va anche sottolineato che dai lavori preparatori (sono stati proposti otto disegni di legge confluiti in un unico testo unificato) risulta che la legge costituzionale n. 1 del 2022, su questo tema ha volutamente assunto una formulazione di compromesso, priva della predeterminazione dei contenuti delle forme e dei modi di tutela degli animali, e priva altresì di enunciazioni di principio o di carattere definitorio.

Si è preferito demandare interamente al legislatore ordinario l’individuazione dei modi e delle forme di tutela degli animali al fine di poter raggiungere, eliminando eventuali elementi divisivi, l’approvazione della legge costituzionale con un ampio consenso (nella seconda lettura la legge è stata approvata con la maggioranza di oltre due terzi in entrambi i rami del Parlamento, con un solo voto contrario alla Camera e nessun voto contrario al Senato).

Pertanto la tesi proposta dai ricorrenti secondo cui la legge costituzionale n. 1 del 2022 avrebbe espressamente introdotto nella Costituzione un vero e proprio principio fondamentale animalista declinabile secondo le teorie etico filosofiche antispeciste per le quali tutti gli esseri viventi, umani e non umani, sarebbero meritevoli della stessa tutela, risulta priva di fondamento.

Tale risultato non sembra poter essere raggiunto neppure in via interpretativa, in modo implicito, dalla mera collocazione della norma di cui alla legge Costituzionale n. 1 del 2022 tra i principi fondamentali della Costituzione.

Vi è infatti un sicuro limite alla possibilità di affermare in via interpretativa l’esistenza, nell’ordinamento, di un principio animalista nel senso prospettato dai ricorrenti, da bilanciare con le esigenze di tutela della sicurezza pubblica e della vita e dell’integrità delle persone, che deriva dal principio personalista che permea la Costituzione, secondo il quale la persona umana è un valore etico in sé.

Come afferma in giurisprudenza la Corte Costituzionale, la tutela della vita umana “si colloca in posizione apicale nell’ambito dei diritti fondamentali della persona» (sentenza n. 50 del 2022, punto 5.2. del Considerato in diritto).

Pur in assenza di riconoscimento esplicito nel testo della Costituzione, la giurisprudenza di questa Corte riconduce la vita all’area dei diritti inviolabili della persona riconosciuti dall’art. 2 Cost., «e cioè tra quei diritti che occupano nell’ordinamento una posizione, per dir così, privilegiata, in quanto appartengono – per usare l’espressione della sentenza n. 1146 del 1988 – ‘all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana’» (sentenza n. 35 del 1997, punto 4 del Considerato in diritto). La vita, si aggiunge, è del resto «presupposto per l’esercizio di tutti gli altri» diritti inviolabili (ordinanza n. 207 del 2018, punto 5 del Considerato in diritto).

Il diritto alla vita, inoltre, è oggetto di tutela espressa da parte di tutte le carte internazionali dei diritti umani, che menzionano per primo tale diritto rispetto a ogni altro (art. 2 CEDU, art. 6 del Patto internazionale sui diritti civili e politici), ovvero immediatamente dopo la proclamazione della dignità umana (art. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea). Da tali disposizioni scaturiscono obblighi che vincolano anche l’ordinamento nazionale, per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost. (nonché, per quanto concerne la CDFUE, dell’art. 11 Cost.).

Dal riconoscimento del diritto alla vita scaturisce, infine, il corrispondente dovere dell’ordinamento di assicurarne la tutela attraverso la legge (oltre che, più in generale, attraverso l’azione di tutti i pubblici poteri)” (in questi termini la recente sentenza della Corte Costituzionale, 18 luglio 2024, n. 135, punto 5.1 in diritto).

Pertanto va affermato che la Costituzione riconosce direttamente carattere prioritario ed indefettibile alla vita umana la cui tutela costituisce un dovere per il legislatore e per tutti i pubblici poteri, mentre si limita a demandare al legislatore la scelta della disciplina dei modi e delle forme di tutela degli animali.

Non vi è dubbio pertanto che, sul piano valoriale, la Costituzione vigente, ove si configuri un effettivo conflitto tra la vita e l’integrità fisica di un essere umano e la vita o l’integrità fisica di un animale, impone in via prioritaria ed indefettibile la tutela dell’essere umano.

  1. Come sopra ricordato l’art. 9, terzo comma, della Costituzione, demanda al legislatore la disciplina dei modi e delle forme di tutela degli animali.

Poiché nel caso in esame rileva un conflitto tra le esigenze di tutela della sicurezza pubblica, della vita e dell’integrità fisica delle persone rispetto al livello di tutela riconosciuto dall’ordinamento alla vita degli animali, è necessario procedere ad una disamina delle norme della legge ordinaria per verificare quale sia effettivamente il livello di tutela ad oggi accordato agli animali.

Un esame della normativa vigente porta ad affermare che l’assunto dei ricorrenti secondo cui nell’ordinamento vigente la protezione della vita degli animali godrebbe di una tutela rafforzata, risulta privo di riscontri.

Un primo profilo da indagare è il livello di tutela riconosciuto alla tutela degli animali dal codice penale.

Da un punto di vista formale, va osservato che il bene giuridico protetto dal Titolo IX-bis del Codice penale, introdotto dalla legge 20 luglio 2004, n. 189, che disciplina i reati che riguardano gli animali, in aderenza ad una visione marcatamente antropocentrica, è il “sentimento per gli animali”, ovvero il sentimento dell’essere umano per gli animali, e non l’animale in sé.

L’art. 544 bis cod. pen., punisce “chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale”, ove la mancanza della “necessità” rappresenta un elemento costitutivo del reato, con la conseguenza che la morte di un animale qualificabile come necessaria esclude la configurabilità del reato.

Riguardo all’elemento della necessità la giurisprudenza costante afferma che “in tema di delitti contro il sentimento per gli animali, la nozione di ‘necessità’ che esclude la configurabilità del reato di uccisione di animali di cui all’art. 544-bis c.p. comprende non solo lo stato di necessità di cui all’art. 54 c.p., ma anche ogni altra situazione che induca all’uccisione dell’animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l’aggravamento di un danno alla persona propria o altrui o ai propri beni, quando tale danno l’agente ritenga altrimenti inevitabile” (in questi termini Cassazione penale, Sez. III, 15 giugno 2023, n. 37847; id. 29 ottobre 2015, n. 50329).

Allo stesso modo l’art. 544 ter cod. pen., punisce “chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche”, ribadendo come elemento costituivo della fattispecie la mancanza di una “necessità”.

Un’altra norma da tenere in considerazione per comprendere quale sia effettivamente il livello di tutela accordato dall’ordinamento vigente agli animali, è l’art. 3 della legge n. 189 del 2004, legge quest’ultima che come sopra ricordato ha introdotto il Titolo XI-bis al codice penale.

Questa disposizione esenta anche da queste forme di tutela previste dai sopra menzionati articoli 544 bis e 544 ter interi ambiti in cui si esplica la relazione tra gli esseri umani e gli animali, ponendo ampie e molteplici eccezioni.

La norma infatti dispone che “le disposizioni del titolo IX-bis del libro II del codice penale non si applicano ai casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia, di pesca, di allevamento, di trasporto, di macellazione degli animali, di sperimentazione scientifica sugli stessi, di attività circense, di giardini zoologici, nonché dalle altre leggi speciali in materia di animali. Le disposizioni del titolo IX-bis del libro II del codice penale non si applicano altresì alle manifestazioni storiche e culturali autorizzate dalla regione competente”.

Uscendo dall’ambito penale, deve essere richiamato l’art. 2, comma 6, della legge 14 agosto 1991, n. 281, integrato dalle norme regionali sugli animali da affezione, il quale prevede che i cani di comprovata pericolosità per i quali non siano attuabili con successo interventi rieducativi, devono essere soppressi in modo eutanasico ad opera di medici veterinari.

Ancora va considerato che costituisce un dato di comune esperienza la circostanza che chiunque, guidando un’automobile senza rispettare i limiti di velocità, involontariamente investa una persona, è chiamato a rispondere a titolo colposo delle lesioni o dell’eventuale omicidio causati.

Altrettanto non avviene nell’ipotesi di investimento di un animale.

Dal punto di vista giuridico questo accade perché l’ordinamento ritiene la vita e l’integrità fisica delle persone beni meritevoli di una tutela rafforzata, che implica l’imposizione di elevati obblighi di diligenza, prudenza, perizia al fine di evitarne la lesione. La violazione di tali obblighi determina una responsabilità colposa.

Non altrettanto accade per la tutela della vita e dell’integrità fisica degli animali, rispetto ai quali la legge punisce solamente le condotte dolose in cui l’evento è voluto, e non contempla invece fattispecie a titolo di colpa.

Il D.lgs. 4 marzo 2014, n. 26, di attuazione della direttiva 2010/63/UE, pur ponendo rigorose limitazioni, ammette la sperimentazione su animali vivi a fini scientifici ove sia necessaria a tutelare la salute umana, quella animale e l’ambiente nelle ipotesi contemplate dall’art. 5 del decreto legislativo.

Analoghi elementi si possono trarre dalla disciplina sulla tutela della fauna selvatica, che è accordata dal legislatore alle singole specie in modo graduale a seconda di una scelta compiuta in funzione dell’utilità per l’essere umano o per l’ambiente.

Infatti la legge n. 157 del 1992, accorda una tutela massima come specie particolarmente protette per quelle in via di estinzione, come il lupo o l’orso (art. 2, comma 1, lett. a, b e c), accorda una tutela di intensità minore per i mammiferi e gli uccelli viventi allo stato naturale (art. 2, comma 1, primo alinea) e non riconosce alcuna tutela per alcune specie, quali i topi, i ratti, le talpe, le nutrie o le arvicole, che come tutte le altre specie alloctone, sono soggette ad interventi di eradicazione o comunque di stretto controllo della popolazione.

La stessa direttiva Habitat 92/43/CEE all’art. 16 prevede che la tutela della vita degli esemplari di specie particolarmente protette, alla duplice condizione che non esista un’altra soluzione valida e che la rimozione non pregiudichi il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, della popolazione della specie interessata nella sua area di ripartizione naturale, debba avere carattere recessivo a fronte di interessi dell’essere umano meritevoli di tutela, quali la conservazione degli habitat, la necessità di prevenire gravi danni alle colture, all’allevamento, ai boschi, al patrimonio ittico e alle acque e ad altre forme di proprietà, nonché la tutela dell’interesse della sanità e della sicurezza pubblica, da intendersi come inclusivi di motivi di natura sociale o economica, e la tutela della ricerca.

Alla luce di tale disamina, è pertanto possibile affermare che, benché l’art. 13 TFUE e il nuovo art. 9 della Costituzione possano costituire in futuro la base giuridica ed il nucleo normativo fondamentale per l’introduzione nell’ordinamento di forme di maggiore tutela per gli animali, nell’ordinamento vigente non può ritenersi superata una visione prevalentemente antropocentrica del rapporto tra uomini ed animali, ed attualmente la vita degli animali non gode di una tutela rafforzata da parte dell’ordinamento giuridico, dato che questa si arresta e recede quando entri in conflitto con interessi meritevoli di tutela dell’essere umano e tra questi, primo fra tutti, il diritto alla vita e all’integrità fisica.

Venendo meno la premessa del ragionamento da cui muovono le censure delle Associazioni ricorrenti, risulta pertanto erronea la conclusione secondo cui l’attività dei pubblici poteri dovrebbe improntarsi, nell’interpretare le norme e nell’attuarle, alla necessità di tutelare in via prioritaria ed inderogabile la vita dell’orso anche quando questa entri in effettivo conflitto con le esigenze di tutela della sicurezza pubblica, della vita e dell’integrità fisica delle persone.

  1. Alla luce di tali considerazioni che consentono di chiarire che, contrariamente a quanto dedotto dalle Associazioni ricorrenti, l’ordinamento vigente non accorda in linea generale una tutela rafforzata all’animale quando questo entri in effettivo conflitto con esigenze di tutela della sicurezza pubblica, della vita e dell’integrità fisica delle persone, è possibile esaminare le circostanze relative alla fattispecie sottoposta a giudizio.

11.1 Al fine di consentire una migliore comprensione dei termini della controversia, è opportuno chiarirne brevemente gli antefatti ed il contesto.

Nell’ambito del progetto denominato Life Ursus, volto a ricostituire la presenza di orsi nelle Alpi Centrali dove la specie si era sostanzialmente estinta, tra il 1999 e il 2002 il Parco Adamello Brenta, con la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale della Fauna Selvatica, usufruendo di un finanziamento dell’Unione Europea, ha rilasciato, nel territorio gestito dal Parco, dieci orsi che erano nati in libertà in Slovenia, preconizzando la loro dispersione in un ambito molto ampio anche al di fuori del territorio della Provincia.

Il Servizio Faunistico della Provincia Autonoma di Trento, predispone annualmente un documento denominato “Rapporto Grandi Carnivori” con il quale vengono presentati i dati aggiornati sulla presenza dell’orso registrati sulla base di dati scientifici.

Dal rapporto del 2023 emerge attualmente la presenza di circa 98 esemplari, con un’approssimazione da un minimo di 86 ad un massimo di 120 esemplari, ed un tasso di crescita della popolazione dal 2015 al 2023 del valore medio annuo dell’11%, sceso al 7% nel biennio 2021-2023 (nell’originario piano di fattibilità era previsto un numero significativamente inferiore di plantigradi).

Nel 2023 risultano nati 22 esemplari.

Attualmente la presenza degli orsi si concentra nella sola parte occidentale del territorio della Provincia Autonoma di Trento, ad ovest del fiume Adige e dell’autostrada del Brennero A22 parallela al fiume, in un’area non eccessivamente vasta e che è significativamente antropizzata, in cui si svolgono attività agricole, zootecniche, turistiche ed escursionistiche particolarmente praticate in queste zone montane. Nel tempo si è registrata una limitatissima propensione degli esemplari a spostarsi nei territori delle province confinanti, e l’estrema difficoltà a raggiungere la parte orientale della Provincia, in cui gli orsi di fatto non sono presenti, per la barriera fisica rappresentata dal fiume Adige e dall’autostrada.

Come illustrato dal sopra menzionato “Rapporto Grandi Carnivori“, nel corso del 2023 si sono registrati cinque casi di problematicità degli orsi.

In tre episodi vi è stato un attacco all’uomo.

L’attacco in un caso ha causato la morte di un giovane (l’orsa JJ4 ha attaccato il giovane il 5 aprile 2023 nei boschi sopra Caldes, in val di Sole), in due casi ha causato ferite che hanno richiesto il ricovero in ospedale (l’orso MJ5 ha attaccato un uomo il 5 marzo 2023 all’ingresso della Val di Rabbi, e l’orsa F36 il 30 luglio 2023 ha attaccato un uomo sui monti sopra Roncone nelle Giudicarie).

In altri due casi si è trattato di esemplari (M90 e M62) la cui pericolosità è stata determinata da atteggiamenti molto confidenti con l’uomo.

Per la gestione di questa specie è stato redatto il Pacobace, predisposto da un tavolo tecnico interregionale costituito dalla Provincia Autonoma di Trento, dalla Provincia Autonoma di Bolzano, dalla Regione a Statuto speciale Friuli Venezia Giulia, dalla Regione Lombardia, dalla Regione Veneto, dal Ministero dell’Ambiente e dall’Ispra, formalmente adottato dalle predette Amministrazioni ed approvato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare con decreto direttoriale n. 1810 del 5 novembre 2008.

Il Pacobace al capitolo 3 detta apposite disposizioni, redatte sulla base di criteri scientifici e tecnici, volte ad individuare i criteri e le procedure d’azione da intraprendere nei confronti degli orsi problematici e d’intervento in situazioni critiche.

Tra gli orsi problematici vengono definiti come “dannosi” gli esemplari che arrecano ripetutamente danni materiali alle cose, quali la predazione di bestiame domestico, la distruzione di alveari o danni alle coltivazioni e alle infrastrutture, o che utilizzano ripetutamente fonti di cibo legate alla presenza umana, quali alimenti per l’uomo, alimenti per il bestiame o per il foraggiamento della fauna selvatica, rifiuti o frutta coltivata nei pressi di abitazioni.

Vengono invece definiti come pericolosi gli orsi che assumono una serie di comportamenti che lasciano prevedere la possibilità che l’esemplare costituisca una fonte di pericolo per l’uomo. Infatti da un punto di vista scientifico è acclarato che “salvo casi eccezionali e fortuiti, un orso dal comportamento schivo, tipico della specie, non risulta pericoloso e tende ad evitare gli incontri con l’uomo. La pericolosità di un individuo è, in genere, direttamente proporzionale alla sua ‘abituazione’ (assuefazione) all’uomo. In altri casi la pericolosità prescinde dall’assuefazione all’uomo ed è invece correlata a situazioni particolari, ad esempio un’orsa avvicinata quando è coi piccoli o un orso avvicinato quando difende la sua preda o la carcassa su cui si alimenta” (in questi termini si esprime il Pacobace, al paragrafo 3.4.1 quinto periodo).

11.2 Al fine di tipizzare attraverso un’apposita griglia di valutazione il grado di pericolosità dei possibili comportamenti di un orso, il Pacobace ha redatto una tabella (il testo vigente è quello modificato nel 2015: cfr. tab. 3.1 “grado di problematicità dei possibili comportamenti di un orso e relative azioni”).

Gli atteggiamenti di cui ai numeri 13 (orso è ripetutamente segnalato in centro residenziale o nelle immediate vicinanze di abitazioni stabilmente in uso), 14 (orso provoca danni ripetuti a patrimoni per i quali l’attivazione di misure di prevenzione e/o di dissuasione risulta inattuabile o inefficace), 15 (orso attacca, con contatto fisico, per difendere i propri piccoli, la propria preda o perché provocato in altro modo), 16 (orso insegue intenzionalmente persone), 17 (orso cerca di penetrare in abitazioni, anche frequentate solo stagionalmente) e 18 (orso attacca, con contatto fisico, senza essere provocato), giustificano l’adozione di azioni di controllo, volte a risolvere i rischi connessi alla presenza di un orso problematico, previste dalla lett. i (cattura con rilascio allo scopo di spostamento e/o radiomarcaggio), dalla lett. j (cattura per captivazione permanente) e k (abbattimento).

La tabella è accompagnata dalla precisazione che “per definire un orso ‘pericoloso’ è importante conoscere la storia del soggetto e tener conto dei suoi eventuali precedenti comportamenti anomali; il grado di pericolosità aumenta quando ci sia una ripetizione di comportamenti potenzialmente pericolosi da parte dello stesso individuo” (in questi termini il paragrafo 3.4.1, settimo periodo), e che “nell’imprevedibilità e varietà delle possibili situazioni che si possono verificare, il soggetto decisore deve potersi muovere con sufficiente autonomia per la realizzazione d’interventi il più possibile preconfigurati e codificati. É importante, infatti, evitare che, a causa di ritardi decisionali connessi ad aspetti burocratici e/o organizzativi, gli stati di crisi degenerino in situazioni che possono rivelarsi pericolose per la sicurezza e l’incolumità pubblica” (in questi termini il paragrafo 3.4.2, secondo periodo).

  1. Va ricordato che l’art. 16 della direttiva 92/43/CEE ammette una deroga al principio secondo cui le specie particolarmente protette non possono essere catturate o uccise “nell’interesse della sanità e della sicurezza pubblica”, alla duplice condizione che non esista un’altra soluzione valida e che la rimozione non pregiudichi il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, della popolazione della specie interessata nella sua area di ripartizione naturale.

Le Associazioni ricorrenti sostengono che vi è una contraddittorietà tra la motivazione del provvedimento impugnato nella parte in cui ha classificato l’esemplare come pericoloso e ad alto rischio, e l’effettiva consistenza dei comportamenti del plantigrado, documentati dai rapporti del Servizio Forestale che invece utilizzerebbero formule dubitative o comunque non certe circa l’effettiva ascrivibilità di tali comportamenti alle fattispecie tipizzate come di maggiore pericolosità dal Pacobace.

Tali censure non colgono nel segno.

Va premesso che la giurisprudenza della Corte di Giustizia è concorde nel ritenere che dalla formulazione stessa dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 92/43/CEE “risulta che tale disposizione non richiede il verificarsi di gravi danni preliminarmente all’adozione delle misure derogatorie (sentenza del 14 giugno 2007, Commissione/Finlandia, C 342/05, EU:C:2007:341, punto 40). Infatti, poiché detta disposizione mira a prevenire gravi danni, la forte probabilità che questi ultimi si verifichino risulta sufficiente al riguardo” (in questi termini la recente sentenza CGUE Umweltverband WWF Österreich/Tiroler Landesregierung, Sez. I, 11 luglio 2024, resa nella causa C-601/22). Il principio è affermato dalla Corte di Giustizia con riguardo alla finalità di prevenire danni alle “cose” (l’art. 16, comma 1, lett. b, indica, quali beni da tutelare, le colture, l’allevamento, i boschi, il patrimonio ittico, le acque e altre forme di proprietà), ma chiaramente a maggior ragione deve valere per le deroghe disposte nell’interesse della sanità e della sicurezza pubblica.

Alla stregua di tale principio, l’Amministrazione, nei casi in cui si renda necessario tutelare la sicurezza pubblica e prevenire rischi effettivi per la vita o la salute delle persone, come per tutto il diritto amministrativo della prevenzione incentrato su una fattispecie di pericolo per la sicurezza pubblica (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 4 febbraio 2019, n. 866, punto 9.3 in diritto; id. 30 gennaio 2019, n. 758, punti 11.5, 11.6. 11.7 e 12 in diritto), è chiamata a svolgere un giudizio di tipo prognostico – probabilistico, che non richiede di attingere ad un livello di certezza secondo il criterio “dell’oltre ogni ragionevole dubbio”, tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di elementi gravi, precisi e concordanti, tali da far ritenere “più probabile che non” l’esistenza di una pericolosità dell’esemplare (circa la necessità di ricorrere a questo criterio nell’esercizio dell’attività amministrativa sulla sicurezza pubblica ex plurimis cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 7 giugno 2024, n. 5112; Consiglio di Stato, Sez. I, parere 479 spedito il 14 aprile 2024, punto 2 del considerato; Consiglio di Stato, Sez. III, 2 agosto 2023, n. 7486; id. 16 giugno 2023, n. 5964; id. 22 maggio 2023, n. 5024; Consiglio di Stato, Sez. III, 7 gennaio 2022, n .45; T.A.R., Veneto, sez. II , 1 dicembre 2023 , n. 1798; T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I , 14 giugno 2023 , n. 522).

Nel caso in esame l’Amministrazione ha ritenuto l’esemplare pericoloso perché ha accertato 12 eventi relativi alla fattispecie n. 13 della scala di pericolosità prevista dal Pacobace (Orso ripetutamente segnalato in centro residenziale o nelle immediate vicinanze di abitazioni stabilmente in uso) e 3 eventi relativi alla fattispecie n. 16 (Orso segue intenzionalmente persone), con un episodio del 28 gennaio 2024, che rappresenta una crescita nella gravità dei comportamenti, di inseguimento insistito e prolungato di due persone che stavano passeggiando su una strada forestale.

Inoltre risulta che questo esemplare, già radiocollarato, ha realizzato l’inseguimento nonostante fossero state in precedenza realizzate, senza sortire l’effetto sperato, venti azioni di dissuasione con cani, munizioni in gomma, dardi esplodenti, luci e rumori.

L’Amministrazione inoltre afferma di fondare il proprio giudizio su un dato dell’esperienza, perché in passato è accaduto che l’orso denominato M57, che al pari di M90 è un individuo giovane, maschio, molto confidente, nel 2020, dopo diversi casi di inseguimento a persone senza atteggiamento aggressivi, ha effettuato un attacco deliberato all’uomo nei pressi dell’abitato di Andalo il 22 agosto 2020.

Questi elementi sono stati vagliati anche in sede tecnica dall’Ispra, quale organo di consulenza tecnico scientifica, che ha espresso il proprio parere favorevole alla rimozione dell’esemplare definito “ad alto rischio”.

In tale contesto va anche evidenziato che, proprio con riferimento a questa materia (la controversia aveva ad oggetto l’esemplare M49), la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha chiarito che “la valutazione in ordine alla pericolosità degli episodi di cui si è reso protagonista il plantigrado (…) ha carattere prettamente discrezionale ed è quindi sindacabile in sede giurisdizionale solo in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo rimane estraneo l’accertamento della gravità degli episodi posti a base delle due ordinanze. Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato di questo giudice solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati” (in questi termini Consiglio di Stato, Sez. III, 19 gennaio 2021, n. 571, punto 9 in diritto).

Alla luce di tali presupposti e della documentazione versata in atti, il Collegio ritiene che, contrariamente a quanto dedotto dalle Associazioni ricorrenti, le valutazioni svolte dall’Amministrazione circa la pericolosità dell’esemplare, nel caso di specie siano prive di vizi logici, tenuto conto che risultano suffragate oltre che dal parere dell’Ispra, anche dalla loro aderenza ai criteri di valutazione predisposti ex ante dal Pacobace, dalle Linee guida per l’attuazione della legge provinciale n. 9 del 2018, approvate con deliberazione della Giunta provinciale n. 1091 del 25 giugno 2021, e dallo studio “Orsi problematici in provincia di Trento: conflitti con le attività umane, rischi per la sicurezza pubblica e criticità gestionali. Analisi della situazione attuale e previsioni per il futuro”, del gennaio 2021, predisposto dall’Ispra in collaborazione con il Museo delle scienze di Trento (MUSE), documenti questi che si fondano su basi tecnico scientifiche.

  1. Venendo alle specifiche contestazioni, le Associazioni ricorrenti sostengono che l’Amministrazione avrebbe errato a non considerare che nell’episodio dell’inseguimento del 28 gennaio 2024, l’esemplare si è allontanato spontaneamente senza dimostrare aggressività.

La censura non coglie nel segno perché in realtà dalla documentazione versata in atti risulta che non vi è stato un allontanamento spontaneo dell’esemplare, ma che “I protagonisti hanno nel frattempo contattato il 112 ed alcuni amici che erano non lontani con delle motociclette; quando questi sono sopraggiunti sul luogo sono riusciti a spaventare l’orso e a farlo allontanare grazie al rumore delle moto e ad alcuni petardi da loro esplosi” (cfr. la relazione di servizio del 5 febbraio 2024 di cui al doc. 9 depositato in giudizio dalla Provincia Autonoma di Trento l’8 luglio 2024).

Nella memoria depositata in giudizio in prossimità dell’udienza pubblica, le ricorrenti lamentano un difetto di istruttoria sotto altri profili, perché nel rapporto tecnico sul primo periodo di monitoraggio intensivo (cfr. doc. 6 depositato in giudizio dall’Amministrazione) e nei successivi, sono presenti delle affermazioni in cui il redattore ipotizza che la frequentazione da parte dell’esemplare delle aree urbane e periurbane fosse dovuta più “alla necessità di spostamento all’interno di un fondovalle stretto e antropizzato che alla ricerca di fonti trofiche all’interno dei paesi o all’interesse verso le persone” e che ad un certo punto gli interventi di dissuasione “sembravano averlo reso più schivo e reattivo nel fuggire in presenza di persone o fonti di disturbo”, anche in conseguenza di un investimento da parte di un’automobile avvenuto nel mese di ottobre 2023.

Rispetto a queste deduzioni, il Collegio, ricordato nuovamente che il provvedimento impugnato persegue la finalità di prevenire rischi per la sicurezza pubblica in base ad un giudizio di tipo prognostico per il quale risulta sufficiente la presenza di elementi gravi, precisi e concordanti, evidenzia che nel caso di specie, lo stesso parere dell’Ispra ha ritenuto l’esemplare M90 ad alto rischio a causa dell’intensificarsi degli episodi, perché ha “esibito una crescente confidenza nella sequenza degli eventi di categoria 16, che si sono verificati prima e dopo l’investimento, e ha avuto contemporaneamente comportamenti che indicano tolleranza verso l’uomo e il suo ambiente delle categorie 10, 11 e 13 del PACOBACE”.

In tale contesto appare incongrua la pretesa delle Associazioni ricorrenti di attendere il verificarsi di un evento di ancora maggiore gravità rispetto a quelli oggetto delle diverse relazioni intervenute nel tempo prima di assumere la decisione di rimuovere l’orso.

Infatti in base al Pacobace e agli altri documenti tecnici, l’ultimo episodio denota un comportamento che di per sé, anche se isolato, risulterebbe idoneo a giustificare la rimozione dell’esemplare, e oggettivamente consente di interpretare retrospettivamente come maggiormente problematici anche i precedenti comportamenti per i quali potevano sussistere alcuni margini di dubbio.

Tenuto conto che nel caso in esame la decisione dell’Amministrazione è stata determinata dall’intensificarsi degli episodi che denotano una problematicità dell’esemplare, il Collegio ritiene di non accogliere l’istanza istruttoria formulata dalle Associazioni ricorrenti nell’ultima memoria, con la quale chiedono di ordinare il deposito in giudizio delle schede degli incontri uomo – orso relativi agli episodi del 7 e del 13 ottobre 2023, perché si tratta di documenti che risultano inidonei a fornire ulteriori elementi necessari ai fini della definizione del giudizio.

Le censure di difetto di istruttoria e di motivazione rispetto alla valutazione di pericolosità dell’esemplare sono pertanto infondate.

Parimenti infondata è la censura con la quale le Associazioni ricorrenti deducono l’erroneità della classificazione della pericolosità dell’esemplare al livello n. 18, previsto dal Pacobace, perché in realtà l’Amministrazione non ha mai effettuato una tale valutazione (si è sempre riferita al livello n. 16).

  1. Le Associazioni ricorrenti contestano il decreto anche nella parte in cui ha affermato che deve ritenersi integrato il presupposto previsto dall’art. 16, comma 1, della direttiva 92/43/CEE dell’assenza di un’altra soluzione valida alternativa alla rimozione dell’esemplare dall’ambiente naturale.

La censura si rivela infondata tenuto conto che dal decreto e dalla documentazione versata in atti, emerge che nel caso di specie sono state svolte molteplici e ripetute azioni c.d. non energiche, consistenti nella radiocollarizzazione e nello svolgimento di venti azioni di dissuasione con cani, munizioni in gomma, dardi esplodenti, luci e rumori senza che nel corso di cinque mesi si sia raggiunto l’obiettivo di diminuire il grado di confidenza dell’orso, che invece è andato via via aumentando fino all’episodio dell’inseguimento del 28 gennaio 2024.

Le censure con le quali le Associazioni ricorrenti contestano la mancata valutazione di un’altra soluzione valida alternativa alla rimozione dell’esemplare dall’ambiente naturale risultano pertanto prive di riscontri.

  1. Le Associazioni ricorrenti contestano anche il capo di motivazione del decreto, con cui l’Amministrazione ritiene integrato l’ulteriore presupposto previsto dall’art. 16, comma 1, della direttiva 92/43/CEE, dell’assenza di un pregiudizio per il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, della popolazione della specie.

In particolare le ricorrenti affermano che l’Amministrazione avrebbe dovuto tener conto della circostanza che nel corso del 2023 sono stati rimossi dall’ambiente naturale o rinvenuti morti complessivamente cinque esemplari, e che il tasso riproduttivo sarebbe incerto.

Sul punto va osservato che, come controdedotto dall’Amministrazione nelle proprie difese, lo stato di conservazione dell’orso in Trentino è costantemente monitorato e documentato anche dal punto di vista genetico con rapporti annuali da molto tempo, e sono oggetto di osservazione anche gli effetti cumulativi derivanti dalla rimozione degli orsi problematici.

Nel caso in esame l’Ispra nel parere del 5 febbraio 2024, reso per la rimozione dell’esemplare, si è espresso nel senso che l’attuazione del provvedimento non avrebbe arrecato alcun significativo impatto sulla popolazione di orsi bruni delle Alpi centro orientali. Tali conclusioni trovano conferma nelle analisi effettuate nel rapporto “La popolazione di orsi del trentino: analisi demografica a supporto della valutazione delle possibili opzioni gestionali” redatto su richiesta del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, nell’ambito dei lavori del tavolo tecnico sulla emergenza Plantigradi in Trentino, istituito in data 12 aprile 2023, il quale ha evidenziato “che al fine di non incidere in maniera negativa sulla traiettoria della popolazione (i.e., non determinare una inversione del trend), è possibile ipotizzare la rimozione di un numero massimo di 2 femmine riproduttive all’anno, nell’ambito di un prelievo complessivo di massimo 8 capi (e.g. in totale, 4 subadulti equamente distribuiti tra maschi e femmine, 2 maschi adulti e 2 femmine riproduttive)”, parametri che non sono minacciati dai dati del 2023 e del 2024.

Il Collegio, tenendo conto che tali valutazioni ricadono in un ambito di discrezionalità tecnico – scientifica, ritiene di dover respingere le censure dedotte dalle Associazioni ricorrenti sul punto, perché sono formulate in modo generico, e non sono supportate dall’allegazione di alcun elemento idoneo a dimostrare l’eventuale inattendibilità e non correttezza delle operazioni tecniche eseguite nelle stime, quanto all’eventuale illogicità dei criteri tecnici adottati o al procedimento applicativo utilizzato.

Anche la censura con la quale le Associazioni ricorrenti sostengono che l’abbattimento dell’esemplare comporterebbe un pregiudizio per il mantenimento della popolazione della specie in uno stato di conservazione soddisfacente si rivela pertanto infondata.

  1. Con un ultimo gruppo di censure le Associazioni ricorrenti contestano la scelta dell’Amministrazione di realizzare la rimozione dell’esemplare pericoloso mediante l’abbattimento anziché mediante la captivazione permanente, sostenendo che l’uccisione dell’animale e in particolare dell’orso che è una specie particolarmente protetta, nell’attuale quadro normativo e giurisprudenziale, deve costituire solamente un’extrema ratio, dato che può ricorrersi all’abbattimento di un animale solo nell’ipotesi estrema e di rara verificazione, di impossibilità oggettiva – non solo temporanea e soggettiva, da valutarsi secondo i criteri generali dell’ordinamento giuridico – di ricorrere ad azioni meno cruente, in aderenza al principio di proporzionalità da parametrare alla vita del singolo animale con la conseguenza che di fatto deve essere sempre preferita la captivazione permanente.

Tali censure non sono condivisibili.

Come sopra esposto, l’affermazione delle Associazioni ricorrenti secondo cui nell’ordinamento vigente l’uccisione di animali in generale, o dell’orso in particolare che costituisce una specie particolarmente protetta, costituirebbe solo un’extrema ratio di rara verificazione, contrasta con quelli che sono i modi e le forme di tutela degli animali riconosciuti dall’ordinamento vigente.

Contrariamente a quanto dedotto dalle Associazioni ricorrenti, la normativa sovranazionale e nazionale vigente, non prevede una tutela rafforzata della vita degli animali quando questa entri in una condizione di effettivo conflitto con interessi meritevoli di tutela dell’uomo e tra questi, primo fra tutti, il diritto alla vita e all’integrità fisica.

Ne consegue che la tesi secondo cui la captivazione permanente dovrebbe di fatto essere sempre preferita al fine di salvaguardare la vita dell’animale anche a discapito della sicurezza pubblica e della vita e dell’integrità fisica delle persone, non può essere condivisa.

L’affermazione delle Associazioni ricorrenti secondo cui la captivazione permanente dell’orso sarebbe sempre comunque da preferire, non persuade anche perché si pone in contrasto con le norme, in primis l’art. 13 del TFUE, che impongono di tener conto delle esigenze in materia di benessere degli animali, al fine di risparmiargli sofferenze inflitte senza necessità o senza una giustificazione ragionevole.

In proposito va evidenziato che anche la legge ordinaria impone di considerare le esigenze proprie della singola specie animale, che possono differire da quelle di altre specie.

L’art. 544 ter cod. pen, punisce infatti chi “per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche”, introducendo il concetto che è necessario tener conto delle specifiche caratteristiche etologiche per individuare quali situazioni in concreto possano determinare sofferenze per l’animale.

L’art. 727, comma 2, cod. pen., punisce chi “detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze”, in cui ancora viene richiamata la necessità di valutare le specifiche esigenze della specie.

L’art. 30 del codice deontologico veterinario approvato dal Consiglio Nazionale FNOVI il 15 novembre 2019, prevede che l’eutanasia degli animali possa “essere effettuata al fine di evitare all’animale paziente sofferenza psico-fisica e/o dolore inaccettabili”, giustificando in casi particolari l’eventuale soppressione dell’animale.

La giurisprudenza, facendo applicazione della norma incriminatrice di cui all’art. 544 ter cod. pen., ha ad esempio condannato un soggetto, oltre che per aver esercitato l’attività venatoria su un capriolo in un periodo non consentito, anche per il reato di maltrattamenti “sul rilievo che all’animale era stata inflitta una non necessaria e inutile sofferenza conseguente alla mancata uccisione con un colpo di grazia che, se prontamente intervenuto, avrebbe impedito ulteriori sofferenze all’animale, avendolo rinchiuso, ancora in vita, all’interno del cassone del veicolo che lo trasportava sottoponendolo a sevizie” (in questi termini si esprime Cass. Pen., Sez. III, 27 ottobre 2020, n. 29816).

Dalle disposizioni citate e dai principi affermati da questa pronuncia, deriva pertanto l’indicazione che devono essere impedite all’animale le sofferenze evitabili e che non abbiano una giustificazione ragionevole, e che, laddove risulti che tali sofferenze siano inaccettabili per l’animale, può risultare giustificata anche la sua soppressione piuttosto che il mantenimento in vita.

Anche alla luce di queste indicazioni che si rinvengono nella legislazione e nella giurisprudenza citate, la tesi delle Associazioni ricorrenti secondo la quale sarebbe sempre e comunque da preferire la captivazione permanente di un animale selvatico come l’orso, senza una valutazione da compiere caso per caso, non risulta condivisibile.

In definitiva il Collegio ritiene corretto affermare che la rimozione di un esemplare di orso dall’ambiente naturale è possibile, purché sussista la duplice condizione che non esista un’altra soluzione valida e che la rimozione non pregiudichi il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, della popolazione della specie, nei casi in cui venga verificata l’esigenza di salvaguardare la sicurezza pubblica, come previsto dall’art. 16, comma 1, lett. c), della direttiva 92/43/CEE, subordinatamente all’accertamento dell’effettiva pericolosità dell’esemplare, da svolgere secondo un giudizio prognostico probabilistico da condurre sulla base di elementi gravi, precisi e concordanti esaminati alla luce di criteri tecnico scientifici, tali da far ritenere “più probabile che non” l’esistenza di un’effettiva pericolosità per la sicurezza pubblica dell’esemplare.

Ove si siano verificati tutti questi presupposti, la decisione di attuare la rimozione dell’esemplare pericoloso dall’ambiente naturale mediante l’alternativa della captivazione permanente o dell’abbattimento, deve essere presa caso per caso in relazione alla situazione concreta e alle specifiche caratteristiche della singola fattispecie, in base a valutazioni il cui iter logico deve essere congruamente evidenziato nella motivazione.

Nel caso in esame il decreto impugnato motiva in modo circostanziato sulle ragioni che in questo caso specifico hanno indotto l’Amministrazione a preferire l’abbattimento alla captivazione permanente, e alla necessità di eseguire l’abbattimento in tempi rapidi al fine di ridurre i rischi alla sicurezza pubblica derivanti dall’eventuale mantenimento in uno stato di libertà di un esemplare classificato come pericoloso e ad alto rischio, e a ridurre altresì i pericoli per l’incolumità degli operatori impegnati nell’esecuzione delle operazioni necessarie ad un’eventuale captivazione, parimenti meritevole di tutela.

Infatti il decreto riporta uno stralcio del rapporto istruttorio del Servizio faunistico n. 93476 del 5 febbraio 2024, già riprodotto nella parte narrativa in fatto, ma che per comodità di lettura si riporta in questa sede.

Nel rapporto si osserva che “1. la cattura con trappola tubo presuppone che l’orso target individui il sito nel vasto ambiente nel quale un plantigrado si muove, sia attratto dall’esca in modo sufficiente ad entrare nella trappola (verso la quale ogni animale nutre più o meno diffidenza) ed azionare il meccanismo di scatto. Ciò può richiedere, in generale, tempi anche molto lunghi ed imprevedibili (nell’ordine di settimane/mesi). Nel periodo invernale, le attività con tubo sono complicate dall’azione delle basse temperature sui meccanismi di scatto e, inoltre, la presenza di neve-ghiaccio impedisce la loro collocazione in posizione idonea;

  1. La cattura con telenarcosi (sparando l’anestetico all’orso allo stato libero) richiede di trovare ed approcciare l’animale a distanze molto ridotte (non più di 15 m ca) oltre le quali il fucile lanciasiringhe non garantisce la precisione di tiro e la pressione di inoculo. Avvicinare un orso a tale distanza non è assolutamente facile, dunque potrebbe richiedere molto tempo, e comporta notevoli rischi per gli operatori.
  2. La cattura con lacci su sito di attrazione richiede, come nel punto 1, che l’orso target individui il sito nel vasto ambiente nel quale un plantigrado si muove, sia attratto dall’esca in modo sufficiente e la approcci facendo scattare il meccanismo. Anche in questo caso inoltre vi sono dei rischi per gli operatori. Anche nel caso del laccio, le basse temperature possono inficiare i meccanismi di scatto. Anche i metodi n. 2 e 3 richiedono dunque solitamente tempi lunghi e difficilmente prevedibili. Nel caso specifico di M90 e dell’attuale contingenza ci sono due fattori ulteriori da considerare: a) M90 è un maschio giovane molto mobile, attivo anche in inverno; b) in questa stagione gli orsi che rimangono un po’ attivi non hanno particolari esigenze alimentari, contrariamente a quanto si potrebbe credere. Dunque l’efficacia di eventuali esche a livello attrattivo, se è un’incognita in generale, lo è ancora di più in questo preciso periodo. L’opzione abbattimento su un esemplare collarato invece consente di provare la rimozione ogni giorno, rimanendo anche a distanze considerevoli (il tiro utile arriva a centinaia di metri di distanza) e di massima sicurezza per il personale. La ricerca delle condizioni buone può dunque richiedere ore (nei casi più fortunati) o alcuni giorni, dunque in un ordine temporale che di norma è assai più ridotto di quello che caratterizza le catture. Ed anche qui il caso specifico di M90 fa propendere ancora di più per questa opzione: la relativa confidenza dell’animale ed il suo essere attivo anche di giorno aumentano di fatto la possibilità di localizzarlo ed avvistarlo rispetto ad altri orsi più elusivi (maschi e femmine adulte per es.)”.

Le Associazioni ricorrenti non deducono alcun elemento idoneo a confutare l’attendibilità e la correttezza di tali affermazioni che non appaiono manifestamente illogiche, perché ispirate dalla finalità di tutelare la sicurezza pubblica, nonché la vita e l’integrità fisica degli operatori, rispetto al pericolo di un attacco da parte di un orso altamente confidente classificato come problematico ed altamente a rischio in base a criteri tecnico scientifici.

Ne consegue che la domanda risarcitoria deve essere respinta perché la motivazione posta a fondamento del decreto risulta sufficiente a sorreggerne la legittimità in relazione alle censure proposte, e la legittimità del provvedimento esclude il presupposto dell’ingiustizia del danno che le Associazioni ricorrenti deducono di aver subito.

Nonostante l’esito della lite, le spese di giudizio devono essere integralmente compensate tra le parti, tenuto conto della complessità delle questioni trattate e della mancanza di univoci orientamenti giurisprudenziali su alcuni aspetti della controversia.

P.Q.M.

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 19 settembre 2024 con l’intervento dei magistrati:

Alessandra Farina, Presidente

Stefano Mielli, Consigliere, Estensore

Cecilia Ambrosi, Consigliere

 

 

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Stefano Mielli

Alessandra Farina

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO