Il Consiglio di Stato si è pronunciato sulla legittimità di un’ordinanza sindacale contingibile e urgente con cui era stata disposta la sospensione dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande a causa della vendita di alcolici a un minore. Il Collegio ha chiarito che tali ordinanze, disciplinate dagli articoli 50 e 54 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo Unico degli Enti Locali), devono rispettare precisi limiti e presupposti. L’adozione di un’ordinanza ex art. 54 è giustificata solo in presenza di emergenze di sicurezza urbana, che ricadono nella competenza del Sindaco in qualità di ufficiale di governo, distinguendosi dagli interventi a tutela della vivibilità cittadina, regolati dall’art. 50. Tuttavia, il Collegio ha rilevato che nel caso di specie l’ordinanza aveva natura sostanzialmente sanzionatoria, risultando, quindi, inammissibile come strumento per accelerare l’applicazione di sanzioni già disciplinate dall’art. 14-ter della legge 30 marzo 2001, n. 125. Tale norma prevede sanzioni amministrative per la vendita di alcolici a minori di età compresa tra i sedici e i diciotto anni, mentre per i minori di sedici anni opera il regime penale di cui all’art. 689 c.p.

Il Consiglio di Stato ha inoltre sottolineato che, in base al principio di precauzione sancito dal diritto comunitario (art. 7 Reg. CE n. 178/2002), un’ordinanza sindacale contingibile e urgente può intervenire anche in presenza di un pericolo potenziale, purché si dimostri che non vi siano alternative ordinarie per fronteggiare la situazione. Nel caso concreto, mancava una dimostrazione adeguata e specifica della pericolosità immediata della condotta sanzionata, rendendo l’ordinanza viziata per incompetenza dell’autorità sindacale.

Con questa sentenza, il Consiglio di Stato riafferma il principio secondo cui l’utilizzo delle ordinanze contingibili e urgenti deve essere strettamente limitato a situazioni di effettiva urgenza non altrimenti gestibili, distinguendo nettamente tra poteri di gestione amministrativa e attribuzioni straordinarie del Sindaco. La pronuncia si colloca in linea con un orientamento consolidato che tutela l’equilibrio tra l’esercizio del potere amministrativo e le garanzie difensive dei destinatari, ribadito anche da precedenti quali Cons. Stato, sez. V, sentenza n. 5288/2014.

Pubblicato il 06/11/2024

  1. 08864/2024REG.PROV.COLL.
  2. 00772/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 772 del 2021, proposto dal Comune di Lazise, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Giorgio Cugola, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

la Società -OMISSIS- s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fabrizio Bruni, Riccardo Ruffo e Tito Zilioli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, (Sezione Terza), 24 agosto 2020, n. 748, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Società -OMISSIS- s.r.l. e del Ministero dell’Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 2 ottobre 2024 il Cons. Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato Giorgio Cugola e l’avvocato Riccardo Ruffo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

  1. Con atto notificato in data 22 gennaio 2021 e depositato il successivo 29 gennaio 2021 il Comune di Lazise ha interposto appello avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo per il Veneto, sez. III, 24 agosto 2020, n. 748, con cui è stato accolto il ricorso – n.r.g. 1252/2018 – proposto dalla Società -OMISSIS- s.r.l. (d’ora in avanti, solo la Società) per l’annullamento dell’ordinanza prot. n. -OMISSIS- del 3 agosto 2018, notificata in pari data. Con tale atto il Sindaco del Comune di Lazise aveva intimato alla Società, nella sua qualità di gestrice del locale ubicato alla via -OMISSIS-, all’insegna “-OMISSIS-”, la sospensione dell’attività di trattenimento danzante (discoteca) e di quella congiunta di somministrazione di alimenti e bevande, ivi esercitate in forza di regolari autorizzazioni, per quindici giorni. Quanto detto in dichiarata applicazione degli artt. 50 e 54 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), congiuntamente evocati, nonché degli artt. 14-ter della legge 30 marzo 2001, n. 125, 5, 9, 10 e 17 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (T.u.l.p.s.) e 117 del relativo regolamento di esecuzione, r.d. 6 maggio 1940, n. 635.

1.1. Alla base dell’ordinanza si poneva un verbale di contestazione di illecito amministrativo – prot. n. -OMISSIS- del 29 luglio 2018, pure impugnato – redatto dal personale della Stazione Carabinieri di Lazise per l’accertata violazione dell’art. 14-ter della legge n. 125/2001, legge quadro in materia di alcol e di problemi alcol correlati, consistita nell’avere somministrato bevande alcoliche a persona di età compresa tra i sedici e i diciotto anni.

1.2. In ragione della non perspicua natura del provvedimento, la Società proponeva ricorso al Prefetto di Verona, e, congiuntamente, impugnativa innanzi al T.a.r. per il Veneto, lamentando innanzi tutto l’incompetenza del Sindaco che avrebbe sostanzialmente irrogato la sanzione accessoria della sospensione dell’attività prevista dal richiamato art. 14-ter, comma 2, della l. 125/2001 per il caso di recidiva specifica. Lamentava altresì plurimi vizi ulteriori di violazione di legge e eccesso di potere.

  1. Il Tribunale adito ha accolto il ricorso anche alla luce delle precisazioni fornite in corso di causa dalla difesa civica che ha inteso enfatizzare soltanto la natura contingibile e urgente dell’atto impugnato, insistendo nel rivendicare il potere in tal senso conferito al Sindaco per tutte le emergenze sanitarie e di igiene pubblica, tra le quali rientrerebbero pure quelle legate alla somministrazione di alcolici a minori. Il primo giudice ha dunque ritenuto che nella specie non siano state « […]minimamente indicate le ragioni in base alle quali l’evidenziata situazione (nemmeno qualificata in termini di pericolo per l’incolumità pubblica) non poteva essere affrontata e risolta in maniera efficace con gli ordinari strumenti previsti e messi a disposizione dall’Ordinamento [né] è specificato quali sarebbero gli elementi costituenti ipotesi di emergenza sanitaria o di igiene pubblica ovvero di pericolo per l’incolumità pubblica e per la sicurezza urbana ex artt. 50, comma 5 e 54, comma 4, del D.Lgs. n. 267/2000, che fondano il potere di cui si tratta, consentendo, alle condizioni ed in base ai presupposti ivi previsti, l’adozione di ordinanze contingibili e urgenti». Ove peraltro, sotto distinto ma connesso profilo, si fosse ritenuto – diversamente da quanto sostenuto dalla difesa dell’Amministrazione comunale – che l’ordinanza impugnata non fosse qualificabile quale provvedimento contingibile e urgente, riportandola nell’alveo delle scelte ordinarie, avrebbe dovuto dichiararsi l’incompetenza del Sindaco ad assumerla.
  2. Il Comune di Lazise ha articolato un’unica censura.

In primo luogo ha insistito sulla riconducibilità dell’atto al paradigma di cui agli artt.50 e 54 del T.u.e.l., e segnatamente ai commi 4 e 5 del primo e 4 e 4-bis del secondo, ancorché non indicati espressamente nello stesso. Indi ne ha rimarcato le ragioni, desumibili per relationem anche dai presupposti accertamenti di polizia, ovvero l’esigenza di intervenire su un’attività che di anno in anno si era rivelata fonte di problematiche sul territorio, come dimostrato dal fatto che già nel 2017 era stata oggetto di diffida, titolare di autorizzazione limitata ai soli mesi di luglio e agosto, sicché per potere incidere efficacemente sulla stessa era necessario agire con tempestività, senza attendere le lungaggini del procedimento sanzionatorio di cui alla legge 24 novembre 1981, n, 689. La scelta, peraltro, della durata minima della sospensione dell’attività rispetto alle possibilità accordate dalla forbice edittale contenuta nel richiamato art. 14-ter della l. 125 del 2001 (che ne avrebbe consentito l’irrogazione fino a tre mesi) dimostrerebbe l’avvenuta attenzione anche al rispetto del principio di proporzionalità. Infine, a copertura del provvedimento si porrebbe la totale discrezionalità sottesa all’apprezzamento della situazione di fatto e degli “eventi” che, ai sensi dell’art. 2, lettera c), della legge 24 febbraio 1992, n. 225, possono determinare la dichiarazione dello stato d’emergenza, che legittima l’individuazione dei rimedi per fronteggiarla da parte del Sindaco (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 8 marzo 2006, nr. 1270; sez. IV, 19 aprile 2000, nr. 2361).

  1. Si è costituita in giudizio la Società -OMISSIS- s.r.l. con memoria in controdeduzione. Dopo avere ricordato l’anomalia del procedimento, che avrebbe dovuto rispettare le scansioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, dando seguito ai propri scritti difensivi e alla richiesta di audizione (ex art. 18 della stessa), ha in primo luogo eccepito la inammissibilità del gravame per genericità, non ravvisandovi alcuna specifica censura alla sentenza impugnata. Nel merito, ha ribadito la correttezza di quest’ultima laddove ha escluso la sussistenza dei presupposti per l’adozione di un’ordinanza contingibile e urgente, per giunta priva finanche del richiamo all’articolo preciso e al comma in forza del quale il Sindaco avrebbe agito.

4.1. Ha quindi riproposto le domande ed eccezioni non valutate in primo grado in quanto assorbite nella motivazione ritenuta dirimente ai fini dell’accoglimento del ricorso e segnatamente:

i- violazione degli articoli 50 e 54 del d.lgs. n. 267/2000, incompetenza e carenza di potere in concreto anche in relazione all’art. 14-ter, comma 2, del d.l. 20 febbraio 2017, n. 14 (nullità e/o illegittimità del provvedimento impugnato per l’incompetenza e/o l’eccesso di potere del comune di Lazise ad emettere l’ordinanza di sospensione dell’attività di trattenimento danzante e di somministrazione di bevande, sanzione accessoria in relazione alla violazione contestata nel verbale d’accertamento, stante che il nuovo comma 7-bis dell’art. 50 consente di incidere sugli orari di vendita e somministrazione di bevande alcoliche, ma non di far cessare l’attività, peraltro oggetto di diversa licenza, come il trattenimento danzante);

ii- sviamento di potere e difetto dei presupposti di fatto in ordine al requisito dell’urgenza; eccesso di potere; violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990 per omissione e/o carenza di motivazione; difetto di istruttoria per violazione dell’art. 18 della legge n. 689/81, illogicità manifesta e grave ingiustizia, stante che il verbale di contestazione dell’illecito principale sarebbe stato acquisito all’esito di accesso agli atti, non a seguito di regolare notifica. Il precedente che avrebbe fatto “scattare” la recidiva, inoltre, sarebbe stato impropriamente ravvisato in una risalente denuncia per il reato di cui all’art. 689 c.p. (cui non aveva fatto seguito al momento alcuna condanna);

iii-violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli articoli 14-ter della l. n. 125/2001 e 20 della l. n. 689/81 (Nullità del provvedimento impugnato), stante che la disciplina delle sanzioni accessorie non ne consente l’irrogazione in pendenza del procedimento (e nella specie la Società aveva presentato memorie e chiesto l’audizione), nonché sulla base di un precedente di natura diversa (il reato di cui all’art. 689 c.p.), privo del necessario requisito della definitività.

  1. In data 21 dicembre 2023 il Comune di Lazise ha confermato il proprio interesse alla decisione della causa.
  2. Si è costituito in giudizio con atto di stile il Ministero dell’Interno, chiedendo il rigetto del ricorso.
  3. Con memoria in data 31 luglio 2024 la Società, nel ribadire le proprie argomentazioni, ha insistito in particolare sulla non configurabilità nel caso di specie di un’ipotesi di reiterazione della violazione, tale da giustificare l’applicazione della sanzione accessoria della sospensione dell’attività, giusta la diversa natura del precedente richiamato nel rapporto dei carabinieri (denuncia per art. 689 c.p.) e la risalenza nel tempo dell’episodio ad esso sotteso.
  4. La causa è stata trattenuta in decisione all’esito dell’udienza di smaltimento del 2 ottobre 2024.

DIRITTO

  1. Il Collegio ritiene l’appello infondato, con conseguente assorbimento nel merito dell’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Società.
  2. In via preliminare va disposta l’estromissione dal giudizio del Ministero dell’Interno, in quanto privo di legittimazione passiva. A prescindere, infatti, dall’esatta qualificazione dell’ordinanza impugnata – che ove ricondotta all’art. 50 del T.u.e.l. vedrebbe estranea l’amministrazione dello Stato, siccome sostenuto dalla difesa della stessa nel corso del giudizio di primo grado – quand’anche la si voglia inquadrare nel paradigma di cui all’art. 54 del medesimo d.lgs. n. 267/2000, va comunque ascritta al Sindaco del Comune. In pratica, l’imputazione giuridica allo Stato degli effetti dell’atto ha natura formale, restando l’organo monocratico incardinato nel complesso organizzativo dell’Ente locale, senza alcuna modifica del suo status (Cons. Stato, sez. IV, 29 aprile 2014, n.2221; id., 3 marzo 2009, n. 1209, 7 settembre 2007, n. 4718 e 13 agosto 2007, n. 4448; sez. V, 17 settembre 2008, n. 4434).
  3. Ciò detto, occorre ora fornire, sia pure in maniera sintetica, una ricostruzione della cornice normativa sottesa al provvedimento impugnato, che in quanto interseca plurime disposizioni di legge pone problemi di rapporti tra le stesse, che l’Amministrazione procedente pare non avere considerato.
  4. Va in primo luogo chiarito che la riconduzione dell’atto sindacale alla fattispecie disciplinata all’art. 50 piuttosto che a quello di cui all’art. 54 del Testo unico non è affatto neutra e non si risolve in una mera indicazione nominalistica, stante che il legislatore ha inteso diversificare il procedimento di adozione dell’atto, prevedendone l’esecutorietà solo nel secondo caso (supportata dal Prefetto, quale organo preposto al coordinamento delle forze dell’ordine sul territorio provinciale).
  5. L’art. 50 disciplina i poteri di ordinanza del Sindaco quale capo dell’amministrazione locale, sia in forma contingibile e urgente, sia a livello ordinario. La prima ipotesi, che assume rilievo ai fini di causa, è correlata ad emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale, ovvero – e questa è una delle novità introdotte con il d.l. 20 febbraio 2017, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017, n. 48 – «all’urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche» (comma 5). Il decreto legge n. 14 del 2017 ha altresì introdotto la novella di cui al comma 7-bis, successivamente integrato dal d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla l. 1° dicembre 2018, n. 132, che consente, a condizioni date, di incidere sull’orario della vendita, anche per asporto, e della somministrazione di alimenti e bevande.

Norma che, per un verso, ha esteso la platea dei destinatari includendovi le « attività artigianali di produzione e vendita di prodotti di gastronomia pronti per il consumo immediato e di erogazione di alimenti e bevande attraverso distributori automatici»; e, per l’altro, ha circoscritto il perimetro d’applicazione a «determinate aree delle città interessate da afflusso particolarmente rilevante di persone, anche in relazione allo svolgimento di specifici eventi, o […ad] altre aree comunque interessate da fenomeni di aggregazione notturna», e la durata della limitazione non può superare i trenta giorni.

13.1. I poteri di ordinanza del Sindaco quale ufficiale di governo sono, invece, disciplinati dall’art. 54 del t.u.e.l. e in linea generale rispondono all’esigenza di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la «sicurezza urbana» (comma 4). In ragione del loro inserirsi nel sistema di sicurezza integrata che vuole la valorizzazione della partecipazione alla gestione della stessa anche dei governi locali, il legislatore ne prevede la previa comunicazione al Prefetto «anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione».

13.2. L’incerta linea di demarcazione tra ciò che costituisce tutela della vivibilità cittadina e ciò che invece afferisce, ad esempio, alla sicurezza urbana vera e propria, trova soluzione nel fatto che la seconda rientra nella sicurezza pubblica, ancorché “dell’urbe”, come da etimologia della parola (v. al riguardo Corte cost., 7 aprile 2011, n. 115. In generale, la Corte Costituzionale, chiamata ad intervenire più volte sulla legittimità del potere di ordinanza, ha sempre salvaguardato l’esistenza delle norme primarie attributive della competenza, affrontando, oltre la questione dell’ammissibilità della deroga alla normativa primaria, anche quella dei limiti al suddetto potere). L’avvenuta legificazione del concetto di sicurezza urbana (comma 4-bis), la cui declinazione era in passato rimessa ad apposito decreto ministeriale, la lega indissolubilmente alla sussistenza di fenomeni criminosi o di illegalità, quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, l’accattonaggio con impiego di minori e disabili, ovvero a fenomeni di abusivismo, quali l’illecita occupazione di spazi pubblici, o di violenza, anche legati all’abuso di alcool o all’uso di sostanze stupefacenti. Circostanze queste non riscontrate, o comunque non evidenziate, quali presupposti dell’atto impugnato.

Il legislatore, dunque, contrappone in una sorta di endiadi definitoria, la tutela dell’incolumità pubblica (già “dei cittadini”) a quella della sicurezza urbana (non più della sicurezza pubblica), per integrare l’una nell’altra, sicché nella declinazione dei poteri del Sindaco quale ufficiale di governo, in quanto organo con competenza comunque territorialmente limitata al suo comune, la sicurezza pubblica è ontologicamente per lo più sicurezza urbana.

13.3. Anche nell’ambito della disciplina del potere di ordinanza del Sindaco quale ufficiale di governo viene prevista la possibilità di intervenire sulle attività commerciali, egualmente limitandone l’orario. L’art. 54, infatti, consente tale evenienza: «In casi di emergenza, connessi con il traffico o con l’inquinamento atmosferico o acustico, ovvero quando a causa di circostanze straordinarie si verifichino particolari necessità dell’utenza o per motivi di sicurezza urbana […]».

  1. Diversamente da quanto affermato dalla Società, tuttavia, tali indicazioni costituiscono una mera esemplificazione delle possibilità contenutistiche dell’atto, a carattere evidentemente non tassativo, inserita peraltro, per quanto consta dai lavori preparatori della novella del 2017, al preciso scopo di rafforzare il potere del Sindaco disciplinando ex iure positivo un rimedio già in uso nella prassi, ma non sempre strutturato in modo tale da resistere ai contenziosi che ne sono conseguiti (si pensi ai numerosi provvedimenti di limitazione degli orari di singoli pubblici esercizi di somministrazione di alimenti e bevande adottati per fronteggiare fenomeni di c.d. movida molesta, annullati in verità in quanto non motivati correttamente sotto il profilo della contingibilità e urgenza, ovvero formulati in modo da “ribaltare” sul gestore attività che il giudice ha reputato spettassero al Comune medesimo).

In linea teorica, niente vieta che per le ragioni elencate nella norma si addivenga a soluzioni più drastiche nei confronti del pubblico esercizio o dell’attività commerciale in genere, quale la sospensione della stessa, sub specie di intimazione della sua chiusura temporanea. La limitazione degli orari, cioè, non può essere disposta in assenza dei presupposti di contingibilità e urgenza previsti dalle norme, in una con la ravvisata idoneità finalistica a risolvere i problemi di sicurezza pubblica (art. 54) o di vivibilità urbana (art. 50); così come, in senso diametralmente opposto, essa non costituisce l’unico rimedio accordato ai sindaci per fronteggiare problematiche di sicurezza, lato sensu intese, andando ad incidere su attività economiche.

  1. Va ora ricordato che, come da costante e risalente giurisprudenza del Consiglio di Stato, dai cui principi non è ragione di discostarsi, i presupposti per l’adozione di un’ordinanza contingibile e urgente risiedono nella sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente per il bene protetto dalla norma (la pubblica incolumità, la sicurezza urbana, la vivibilità cittadina ovvero la quiete, quale valore considerato a parte, l’igiene pubblica, ecc.), ma purché lo stesso non sia altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall’ordinamento. A ciò si aggiunge la provvisorietà e temporaneità degli effetti, non essendo consentita l’adozione di ordinanze contingibili e urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e/o permanenti o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile (cfr., Cons. Stato, sez. V, 5 gennaio 2024, n. 190; sez. III, 29 maggio 2015, n. 2697; sez. II, 11 luglio 2020, n. 4474). In altri termini, il potere di urgenza, di cui agli artt.50 e 54 d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, può essere esercitato solo in presenza di circostanze di carattere eccezionale e imprevisto, costituenti un’effettiva minaccia per gli interessi pubblici tutelati dalle norme e unicamente in presenza di un preventivo accertamento delle condizioni concrete, fondato su prove empiriche e non su mere presunzioni.

15.1. Nondimeno, va precisato, le ordinanze sindacali possono essere adottate anche a fronte di un pericolo potenziale. Depone in tale senso il principio di precauzione, la cui applicazione esige l’intervento restrittivo da parte della pubblica amministrazione in presenza di un rilevante pericolo per interessi pubblici particolarmente sensibili anche in assenza di una evidenza scientifica del nesso di causalità, secondo lo standard del c.d. più probabile che non, tra la circostanza fattuale su cui si interviene e il pregiudizio che potrebbe arrecare. Il principio di derivazione comunitaria (art. 7, Regolamento n. 178 del 2002) impone che, nel concorso di situazioni di fatto fonti di ragionevole dubbio riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, possono essere adottate misure di protezione senza dover attendere che sia previamente accertata l’effettiva esistenza della gravità del rischio occorso.

Sicché, ancorché non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei pubblici poteri, non solo non è inibita, ma può essere esercitata ex ante al consolidamento delle conoscenze scientifiche (cfr., Cons. di Stato, sez. III, 3 ottobre 2019, n. 6655).

15.2.Viceversa, i presupposti di fatto e i parametri nomativi appena richiamati non ricorrono laddove il Sindaco può far fronte alla situazione con rimedi di carattere corrente nell’esercizio ordinario dei suoi poteri (v., Cons. Stato, sez. V, 10 novembre 2022, n. 9846). In tali ipotesi è il legislatore che ha, a monte, valutato gli effetti di una situazione data e ha individuato i rimedi avverso la sua pericolosità, effettiva o potenziale. Il che avviene tipicamente laddove esista un sistema punitivo comprensivo di sanzioni principali, sanzioni accessorie capaci ex se di cauterizzare l’attività pericolosa, appunto, e misure cautelari, finalizzate al medesimo obiettivo prescindendo finanche dall’accertamento in via definitiva della responsabilità. Il rapporto tra rimedio (contenutisticamente atipico) approntabile con le ordinanze sindacali e rimedio riveniente dall’atto sanzionatorio (ontologicamente tipico, perché soggetto al principio di legalità che riguarda anche l’illecito amministrativo) è di evidente alternatività, nel senso che ove operi il secondo non è possibile accedere al primo, salvo per colmare lacune di disciplina che si risolvano in motivati e circostanziati vuoti di tutela, non identificabili in alcun modo con la tempistica del procedimento, ove non ne venga evidenziata l’incidenza sulla situazione di pericolo. La forma dell’ordinanza contingibile e urgente non è fungibile con quella del provvedimento sanzionatorio, nel senso che non è possibile, né previsto dall’ordinamento, che la prima venga utilizzata per applicare sanzioni espressamente previste e pure richiamate in premessa. In sintesi, o si tratta di un’ordinanza contingibile e urgente, o si tratta di un provvedimento sanzionatorio: tertium non datur. Diversamente opinando, le ordinanze contingibili e urgenti, anziché rimanere nell’ambito del rimedio extra ordinem e di chiusura del sistema, finirebbero per privare i destinatari dell’atto delle garanzie difensive e partecipative che connotano doverosamente l’applicazione di sanzioni. Solo laddove fosse dimostrata in concreto la pericolosità, anche potenziale, del differimento dell’irrogazione della misura sanzionatoria prevista, il Sindaco potrà di fatto anticiparne gli effetti: ma la identità contenutistica della intimazione – nella specie, a chiudere il locale, genericamente – consegue alla ritenuta efficacia della stessa a risolvere il problema, non costituendo in alcun modo l’irrogazione di una sanzione, inammissibile al di fuori dei casi e delle modalità tipizzate dal legislatore.

  1. Elementi tutti estranei al contenuto del provvedimento impugnato che individua la durata della sospensione non nel tempo necessario a risolvere la problematica, ma nel minimo edittale previsto dalla norma per i casi di accertamento della specifica violazione che ha determinato l’intervento, ritenendo sufficiente che ciò avvenga sotto l’egida dell’art. 50 e/o 54 del T.u.e.l., indifferentemente.
  2. Con l’ordinanza impugnata, il Sindaco del Comune di Lazise ha inteso fronteggiare problematiche di sostanziale mala gestio del locale oggetto della stessa, astrattamente idonee a generare preoccupazioni in termini di vivibilità della zona ovvero finanche di pericolosità sociale del locale.

Il provvedimento non fa alcun cenno ai fattori di rischio che ha inteso ravvisare nell’accertamento effettuato dai Carabinieri della violazione del divieto di vendita di alcolici a minore degli anni diciotto, alla luce dei precedenti evidenziati nel relativo rapporto degli stessi. Né tali fattori di rischio possono essere desunti, come preteso dall’appellante, dal mero richiamo in premessa alla nota prot. 56/2-2/2018 del 30 luglio 2018, recante in oggetto «Proposta di chiusura temporanea della discoteca -OMISSIS- per violazione art. 7 DL 158/2012», con la quale il Sindaco e gli uffici comunali sono stati resi edotti «Per l’adozione dei provvedimenti di rispettiva competenza» dell’illecito accertato in data 29 luglio 2018. L’elencazione dei precedenti (due violazione degli artt. 2, 7-bis e 9 del T.u.l.p.s. per aver consentito l’accesso in discoteca a minore degli anni 14 in violazione delle prescrizioni contenute nella licenza (accertate rispettivamente il 19 agosto 2006 e il 3 agosto 2017 e due denunce ex art. 689 c.p. in data 30 luglio 2015 e 3 agosto 2017 per somministrazione di alcolici a minori di anni 16) non è infatti sufficiente a spostare l’asse della decisione dalla punizione alla prevenzione, così come sembrerebbe voler fare l’atto impugnato.

Nessuna indicazione, pertanto, è dato trarre, neppure per relationem, sull’urgenza di intervenire al di fuori del sistema sanzionatorio delineato dal legislatore per fronteggiare la condotta accertata, alla luce dei precedenti illeciti commessi. Né tale urgenza può conseguire alla semplice stagionalità del titolo di legittimazione, come preteso da parte appellante, tenuto conto che proprio la natura non permanente dello stesso ben avrebbe consentito al Comune di attivarsi negli anni individuando possibili rimedi nello strumentario giuridico fornito dall’ordinamento con riferimento alle autorizzazioni di polizia (si pensi alle previsioni dell’art. 9 del T.u.l.p.s. sulle prescrizioni aggiuntive per ragioni di pubblico interesse).

  1. Va sottolineato che il legislatore – in un’ottica di tutela della salute del minore – è intervenuto più volte negli anni prevedendo strumenti utili a sanzionare, penalmente e amministrativamente, le varie condotte di somministrazione e vendita di bevande alcoliche a soggetti di età inferiore ai 18 e ai 16 anni, commisurando il trattamento sanzionatorio all’effettiva portata lesiva della condotta.

18.1. Per quanto qui di interesse, il decreto legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito con modificazioni dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, con l’aggiunta dell’art. 14-ter al testo della vecchia legge n. 125 del 30 marzo 2001 (esso pure modificato dal più volte ricordato d.l. n. 14/2017), ha previsto una sanzione pecuniaria che va dai 250 ai 1.000 euro da comminare nei confronti di chiunque «venda o somministri» bevande alcoliche a soggetti minori di 18 anni, nonché la sanzione accessoria della sospensione dell’attività da quindici giorni a tre mesi «se il fatto è commesso più di una volta».

18.2. Sulla somministrazione di bevande alcoliche ai minorenni, il trattamento sanzionatorio più aspro – previsto dall’art. 689 c.p. – è invece limitato ai casi in cui l’esercente un’osteria o un altro pubblico spaccio di cibi o di bevande, somministri, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, bevande alcoliche a un minore degli anni sedici (o ad un soggetto infermo di mente). Trattandosi di una contravvenzione, la pena che la legge prevede per questa fattispecie di reato è l’arresto fino ad un anno, ma anche in questo caso, qualora il fatto venga commesso più di una volta, si aggiunge la sanzione amministrativa pecuniaria nell’importo che va dai 1.000 ai 25.000 euro e la sospensione dell’attività per tre mesi. Alla medesima pena soggiace l’esercente che effettui la somministrazione mediante distributori automatici «che non consentano la rilevazione dei dati anagrafici dell’utilizzatore mediante sistemi di lettura ottica dei documenti e in assenza di personale incaricato di effettuare il controllo dell’età degli utilizzatori».

  1. Va da sé che oggetto della tutela penale è la salute dei minori (e degli infermi di mente). Inoltre, trattandosi di un reato di pericolo, il legislatore non ha subordinato la punibilità dell’esercente all’effettiva consumazione della bevanda alcolica da parte del minore: il reato è integrato dalla condotta attiva della somministrazione della bevanda. Analoghi criteri sono stati estesi all’accertamento dell’illecito amministrativo di cui alla legge n. 125 del 2001.
  2. La mancata “saldatura” terminologica e, conseguentemente, definitoria, tra le due fattispecie di illecito, fa sì che la prima (art. 14-ter della l. n. 125 del 2001) operi in tutti i casi di vendita di alcolici a minorenne (ipotesi estranea alla formulazione dell’art. 689 c.p.) nonché di somministrazione a maggiore degli anni sedici ma minore di anni diciotto (stante che per il minore di anni sedici trova invece applicazione la norma penale, estensibile a qualunque tipologia di somministrazione ovunque effettuata, dovendo necessariamente essere attualizzati i riferimenti ai locali ivi indicati come osterie e spacci).

20.1. La evidenziata differenza tra i due illeciti, crea anche un ulteriore problema di configurabilità della c.d. recidiva, in quanto declinata peraltro in maniera autonoma rispetto al generale istituto della reiterazione delle violazioni amministrative di cui all’8-bis della l. n. 689 del 1981. Il richiamo, infatti, all’avvenuta commissione «più di una volta» del fatto, se da un lato consente di dare rilevanza anche ad accertamenti non ancora definiti con l’atto conclusivo del procedimento sanzionatorio, dall’altro parrebbe fare riferimento esclusivo all’illecito previsto nella medesima norma e non alla distinta ipotesi di reato di cui all’art. 689 c.p. Quand’anche, poi, l’Amministrazione abbia inteso, al contrario, valorizzare l’omogeneità dell’oggetto della tutela (la salute e la sicurezza del minorenne), avrebbe dovuto esplicitarlo nell’atto impugnato, evidenziando le ragioni di urgenza che lo hanno indotto a derogare dal procedimento sanzionatorio di cui all’art. 14-ter della l. n. 125 del 2001, sia in termini di tempistica, sia, soprattutto, di ritenuta inadeguatezza a fronteggiare la specificità della situazione riscontrata, tale cioè da non essere risolvibile secondo il paradigma delineato dal legislatore. Essendosi al contrario limitato a intimare la sospensione dell’attività in sostanziale applicazione dell’art. 14-ter della l. n. 125 del 2001, ne consegue anche l’inevitabile corollario che ad una riqualificazione dell’atto impugnato in senso sanzionatorio (peraltro contrastata dalla difesa civica) osta l’incompetenza del firmatario dello stesso in quanto organo politico di vertice del governo locale, trattandosi di normale atto gestionale.

  1. La Società lamenta altresì che l’applicazione della sanzione accessoria di cui all’art. 14-ter della l. n. 125/2001 sarebbe stata irrogata anche in violazione dell’art. 20 della legge 24 novembre 1981, n. 689. Tale norma si occupa in generale delle c.d. sanzioni “accessorie”, appunto, diverse dalla confisca, prevedendone la possibile applicazione da parte dell’autorità amministrativa competente qualora esse già conseguissero al reato soggetto a depenalizzazione ad opera della medesima legge. Il dato letterale, dunque, al pari di quanto avviene per tutto il sistema della legge in questione, sembrerebbe legare la disciplina al contesto di generalizzata decriminalizzazione di precedenti illeciti operata dalla normativa del 1981 sulla base della tipologia di pena per gli stessi prevista. Sotto tale profilo, quindi, solo nel caso in cui un reato, divenuto illecito amministrativo, già prevedesse l’applicazione, in via accessoria, di sanzioni consistenti nella privazione o sospensione di diritti e facoltà derivanti da provvedimenti dell’amministrazione, esse possono facoltativamente essere applicate dall’amministrazione con l’ordinanza ingiunzione che commina anche la sanzione amministrativa pecuniaria.

21.1. La lacunosità di tale riferimento letterale spiega peraltro il tentativo di parte della dottrina di sottrarre dall’ambito sanzionatorio le misure consistenti nella privazione o nella sospensione di diritti e facoltà (le sanzioni interdittive, appunto, quale quella di cui è causa) che non siano accessorie rispetto ad un illecito amministrativo da depenalizzazione, individuandone la ratio nella protezione e realizzazione diretta degli interessi dell’Amministrazione in quanto permetterebbero l’ “interdizione” di un soggetto o di una sua attività in ragione della ritenuta inidoneità a soddisfarli, avuto riguardo alla condotta preventivamente tenuta. La finalità di garanzia sottesa a tale opzione ermeneutica non consente comunque di astrarre dalla tipicità dei relativi presupposti, attraendole nella sfera delle ordinanze sindacali.

21.2. Senza addentrarsi nel merito della complessa questione della esatta portata dei principi di cui alla legge n. 689 del 1981 in relazione alla generalità degli illeciti amministrativi (su cui si rinvia a Cons. Stato, sez. II, 4 giugno 2020, n. 3548), certo è che anche gli interpreti più rigorosi hanno attinto alla stessa per individuare un codice, più o meno esteso, di garanzie sostanziali e procedurali a tutela del trasgressore. Ferma restando, dunque, la competenza ad irrogare la sanzione accessoria con l’ordinanza ingiunzione o con la sentenza di condanna – e dunque unitamente all’accertamento della responsabilità per l’illecito e alla conseguente applicazione della sanzione principale – quelle accessorie «non sono applicabili fino a che è pendente il giudizio di opposizione contro il provvedimento di condanna o, nel caso di connessione con un reato, fino a che il provvedimento stesso non sia divenuto esecutivo». Ciò, rileva ancora il Collegio, da un lato ne conferma la natura afflittiva e la funzione deterrente, dall’altro evidenzia l’attenzione del legislatore al principio -sebbene fortemente temperato- di colpevolezza del destinatario del provvedimento. L’applicazione della sanzione accessoria, infatti, avviene, almeno di regola (costituiscono una generalizzata eccezione le violazioni in materia di circolazione stradale, caratterizzate da una sorta di anticipazione immediata degli effetti della sanzione) solo al momento in cui il soggetto è riconosciuto responsabile, a seguito di un giudizio a cognizione piena, della violazione amministrativa.

21.3. Anche sotto tale profilo, dunque, l’ordinanza si palesa illegittima in quanto ha di fatto anticipato l’irrogazione di una sanzione accessoria, senza motivare sull’esigenza di tale deroga al sistema.

  1. Per completezza, il Collegio ricorda come la finalità, eterogenea rispetto alle esigenze di sicurezza eccezionali e imprevedibili da fronteggiare con atto contingibile e urgente, trova conferma anche negli ulteriori richiami normativi contenuti nell’epigrafe dell’atto (5, 9, 10 e 17; il richiamo all’art. 117 del regolamento di esecuzione è addirittura errato, sia in quanto la norma è stata abrogata dal d.l. 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, nella legge 7 ottobre 2013, n. 112, sia perché comunque aveva ad oggetto la disciplina delle sale cinematografiche). Se si eccettua, infatti, il contenuto dell’art. 5, che afferisce alla esecuzione dei provvedimenti di polizia, esso attinge ancora una volta ad una cornice sanzionatoria che egualmente avrebbe consentito al Comune di intervenire nel solco della tipicità dei poteri conferitigli. L’art. 10 del r.d. del 1931 consente infatti la sospensione (oltre che la revoca) della autorizzazione di polizia «nel caso di abuso della persona autorizzata», laddove ridetto abuso si ritiene sussista anche in caso di inosservanza delle prescrizioni aggiuntive «che l’autorità di pubblica sicurezza ritenga di imporgli [al soggetto che ottenga un’autorizzazione di polizia, n.d.r.] nel pubblico interesse». Circa la natura giuridica del potere di cui all’art. 10 del T.u.l.p.s. la giurisprudenza ha chiarito che si tratta di «un potere ampiamente discrezionale, che ha natura tipicamente preventiva e cautelare, a garanzia di interessi pubblici primari quali la sicurezza e l’ordine pubblico, di talché la sospensione della licenza deve ritenersi legittimamente adottata a prescindere dalla colpa del titolare dell’esercizio » (cfr. T.a.r. per la Sicilia, 5 settembre 2023, n. 2697; Cons. Stato, sez. VI, 6 aprile 2007, n. 1563; id., 21 maggio 2007, n. 2534). La relativa dizione «comprende ogni violazione di legge, di regolamenti o di ordini dell’Autorità, indipendentemente dalla qualificazione come reato del comportamento sanzionato» ( Cons. Stato, sez. IV, 27 settembre 1997, n. 772, richiamata in Cons. Stato, sez. III, 6 settembre 2018, n. 5263). Pertanto: «È legittima la sospensione della licenza, ai sensi dell’art. 10 t.u.l. p.s. (r.d. n. 773 del 1931), non solo nel caso di abuso del titolo ma anche per la mera violazione delle modalità di svolgimento del servizio. Infatti l’autorizzazione di polizia va utilizzata conformemente alle prescrizioni contenute nelle leggi e nelle altre varie fonti sub-primarie e la loro violazione costituisce un uso anomalo e quindi un abuso del titolo, da sanzionare alla stregua dell’art. 10 richiamato» (Cons. Stato, sez. VI, 29 settembre 2010, n. 7185). In linea di massima, si tende ad incidere sul titolo specificamente “abusato”, in quanto si ritiene venuto meno il rapporto fiduciario che aveva giustificato la sua adozione, il che tipicamente accade con il venir meno delle condizioni che ne avevano consentito il rilascio.

22.1. Qualora, tuttavia, il Comune abbia inteso ravvisare nella commissione dell’illecito accertato dai Carabinieri, congiuntamente peraltro agli altri commessi nel corso degli anni, una figura sintomatica di “abuso” della licenza, ben avrebbe potuto attivarsi dando applicazione a tali norme, che egualmente gli avrebbero consentito di far cessare l’attività, addirittura in via definitiva, senza attendere l’esito del procedimento sanzionatorio. La discrezionalità di cui gode l’Amministrazione in merito consente di valutare la complessiva personalità del richiedente, apprezzando se lo stesso possieda la specifica attitudine e dia sicura affidabilità nell’attività autorizzata in relazione ai riflessi che tale attività viene ad avere ai fini di una efficace protezione dei due beni giuridici di primario interesse pubblico, quali l’ordine e la sicurezza pubblica (così Cons. Stato, sez. III, 27 luglio 2012, n. 4278; C.G.A.R.S. sez. I, 21 febbraio 2019, n. 167). In tali casi, neppure può attribuirsi carattere inficiante dell’apparato motivazionale e dell’attività istruttoria ivi riflessa alla circostanza che le vicende penali alla base della scelta non siano sfociate in pronunce sul «merito» della contestata reità.

Non vi è dubbio infatti che sia l’autorizzazione alla somministrazione di alimenti e bevande, per altri aspetti oggetto di autonoma disciplina di settore, anche regionale, sia quella per l’attività di trattenimento, sono ancora oggi riconducibili al mai soppresso genus delle autorizzazioni di polizia per le quali tali norme, inserite nel Capo III del Titolo I del r.d. del 1931, trovano applicazione.

22.2. La violazione delle prescrizioni contenute nella prima, in quanto comunque riconducibile al genus dei pubblici esercizi di cui all’art. 86 del T.u.l.p.s. è sanzionata amministrativamente dall’art. 17-bis, comma 2; quella relativa alle attività di trattenimento, come le discoteche, oggetto di autorizzazione ex art. 68, rientrano invece nell’ipotesi di reato a carattere residuale di cui all’art. 17 del T.u.l.p.s. (evidentemente per tale ragione richiamata essa pure in epigrafe).

Nella specie, tuttavia, manca qualsiasi riferimento all’illecito presupposto, non risultando in atti né un verbale di accertamento riferibile alla fattispecie di cui all’art. 17-bis, comma 2 del T.u.l.p.s., né, men che meno, l’inoltro di una comunicazione di notizia di reato ex art. 17 del medesimo Testo unico. Anzi, a ben guardare, non risulta allegata o dichiarata la specifica prescrizione inclusa nel titolo, sicché essa va desunta dalle previsioni della legge n. 125 del 2001: ma anche seguendo tale percorso ricostruttivo, la sospensione, per giunta per un tempo prestabilito, non avrebbe potuto essere contenuta in un’ordinanza contingibile e urgente.

  1. Del tutto inconferente, infine, si palesa il richiamo alla normativa sulla protezione civile e segnatamente sui presupposti che legittimano la dichiarazione dello stato di emergenza: anche a tacere del fatto che il richiamato art. 2, lett. c) della legge 24 febbraio 1992, n. 225 era già stato abrogato al momento dell’adozione dell’atto impugnato dal d.lgs. 2 gennaio 2018, n. 1, trattasi di situazioni del tutto diverse e non sovrapponibili. Nel sistema della protezione civile, infatti, nella quale tale dichiarazione ancora oggi si inserisce, la contingenza eccezionale che legittima l’esercizio di poteri eccezionali consegue ad un evento – quale una catastrofe naturale, ma anche una situazione che comunque genera un massiccio afflusso di persone in un determinato luogo – individuato come tale attraverso un procedimento ad hoc dal quale discende a cascata la possibilità di agire, anche in deroga al regime ordinario; nel sistema delle autonomie locali, invece, l’ordinanza del sindaco presuppone una precisa istruttoria ma poi delinea autonomamente il rimedio, trovando legittimazione non nella dichiarazione formale che ci si trovi di fronte ad una situazione eccezionale, ma nella descrizione della stessa e nell’individuazione del rimedio per fronteggiarla, una volta escluso che ve ne siano di diversi e tipici già previsti dall’ordinamento.
  2. In sintesi, il provvedimento impugnato non è motivato in relazione ai presupposti che legittimano il potere di ordinanza extra ordinem del Sindaco, che non può essere utilizzato per irrogare sanzioni o misure cautelari espressamente previste dall’ordinamento al solo scopo di aggirarne la tempistica imposta dal legislatore a tutela delle garanzie di difesa del trasgressore/indagato, così individuando rimedi a specifici illeciti, amministrativi (come nella specie) o penali, al di fuori della tipicità degli atti amministrativi e segnatamente di quelli afferenti il diritto punitivo.
  3. Per quanto sopra detto l’appello deve essere respinto e, per l’effetto, deve essere confermata la sentenza impugnata.
  4. La particolarità della vicenda dedotta in causa giustifica la compensazione delle spese del grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il legale rappresentante della Società appellante.

Così deciso nella camera di consiglio del giorno 2 ottobre 2024 tenutasi in modalità da remoto in videoconferenza con la continuativa e contemporanea presenza dei magistrati:

Oreste Mario Caputo, Presidente FF

Giovanni Sabbato, Consigliere

Antonella Manzione, Consigliere, Estensore

Carmelina Addesso, Consigliere

Roberta Ravasio, Consigliere

 

 

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Antonella Manzione

Oreste Mario Caputo

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO