La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 28268 del 4 novembre 2024, ha affrontato il tema della presunzione di condominialità di una parte comune all’interno di un condominio e la possibilità di superarla attraverso la costituzione di una servitù di passaggio, analizzando le modalità per superare la presunzione mediante un titolo contrario inequivocabile. Nel caso di specie, alcuni proprietari di un immobile, utilizzato come cinema all’aperto, hanno proposto una domanda volta a ottenere l’accertamento della servitù di passaggio su una parte comune condominiale, rappresentata dall’androne, contestando nel contempo l’appartenenza del loro immobile al condominio.
La Corte di Appello, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva rigettato tale richiesta, accogliendo la domanda riconvenzionale del condominio, che mirava a ottenere l’accertamento della qualità di condomini in capo agli attori e l’obbligo di partecipare alle spese comuni. Gli attori hanno quindi proposto ricorso per cassazione. La Cassazione ha esaminato il caso chiarendo innanzitutto i principi di diritto applicabili, stabilendo che la presunzione di condominialità discende da un rapporto di strumentalità necessaria tra la parte comune e la proprietà privata, richiedendo, ai fini della comunione forzosa, l’accertamento della connessione necessaria tra i beni, come previsto dagli artt. 1117 e 1118 c.c., che regolano l’uso e la gestione delle parti comuni in un contesto condominiale. Tuttavia, per superare tale presunzione è necessario un titolo contrario che evidenzi, in maniera chiara e univoca, l’intenzione di escludere una parte dall’uso delle cose comuni o di riservare diritti esclusivi su di esse.
La Corte ha affermato che una servitù di passaggio non rappresenta di per sé un titolo contrario alla presunzione di condominialità, poiché non esclude che il bene rimanga nella disponibilità del condominio, consentendo anzi un utilizzo ampliato della proprietà comune da parte del condomino. Di conseguenza, la servitù non elimina l’obbligo del titolare dell’immobile di contribuire alle spese condominiali. In questo caso, gli attori hanno sostenuto l’esistenza di un titolo contrario fondato su specifiche diciture nel rogito notarile; tuttavia, il Giudice di legittimità ha ritenuto carente il contraddittorio, rilevando che gli attori avrebbero dovuto convenire in giudizio tutti i singoli condomini, e non solo l’amministratore, per accertare l’esclusione del loro immobile dal condominio.
Allo stesso modo, l’amministratore non era legittimato attivo per proporre la domanda riconvenzionale sull’appartenenza degli attori al condominio. Pertanto, a fronte della mancata corretta individuazione delle parti legittimate a stare in giudizio, la Corte ha dichiarato la nullità della sentenza e rinviato il giudizio alla fase di merito, affinché il giudice si attenga ai principi enunciati, ossia che la condominialità delle parti comuni si presume in base agli artt. 1117 e 1102 c.c., e che per superare tale presunzione occorre un titolo inequivoco, nel quale si dichiari esplicitamente la volontà di sottrarre un bene alla comunione condominiale.
Cass. civ., sez. II, sent., 4 novembre 2024, n. 28268
Presidente Falaschi – Relatore Scarpa
Fatti di causa
- – OMISSIS -, gli ultimi due quali aventi causa di – OMISSIS -, hanno proposto ricorso notificato il 23 aprile 2019 ed articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 369/2019 della Corte d’appello di Bologna, depositata il 5 febbraio 2019.
– OMISSIS – hanno proposto ricorso avverso la stessa sentenza anch’esso avviato per la notifica il 23 aprile 2019, articolato invece in otto motivi.
Resiste con distinti controricorsi il Condominio (OMISSIS), sito in (OMISSIS), Corso (OMISSIS).
- – OMISSIS -, – OMISSIS – e – OMISSIS – convennero il Condominio (OMISSIS), dichiarando di essere comproprietarie dell’immobile sito in (OMISSIS), Corso (OMISSIS) di (OMISSIS), identificato catastalmente al foglio (OMISSIS), nonché, unitamente a – OMISSIS -, dell’immobile destinato a cinema all’aperto, parimenti sito in Corso (OMISSIS), identificato catastalmente al foglio (OMISSIS), e chiedendo di accertare che tali unità immobiliari siano estranee al condominio, e piuttosto avvantaggiate da servitù prediale gravante sull’androne dell’edificio condominiale, e quindi non obbligate a partecipare alle spese per le parti comuni.
Il convenuto Condominio (OMISSIS) propose domanda riconvenzionale per sentir accertare la qualità di condomine in capo alle attrici e perciò anche di obbligate a concorrere alle spese per la manutenzione dell’androne e dell’ingresso.
Furono chiamate in causa altresì le altre comproprietarie – OMISSIS -, che chiesero il rigetto delle domande del Condominio (OMISSIS).
L’adito Tribunale di (OMISSIS), con sentenza del 27 febbraio 2013, accolse le domande delle attrici e respinse le domande del Condominio (OMISSIS), escludendo l’esistenza di un condominio unitario.
La Corte d’appello di Bologna, riformando la sentenza di primo grado in parziale accoglimento del gravame avanzato dal Condominio (OMISSIS), ha affermato che – OMISSIS -, – OMISSIS -, – OMISSIS -, – OMISSIS -, comproprietarie dell’immobile sito in Corso (OMISSIS), identificato catastalmente al foglio (OMISSIS), sono tenute a partecipare alle spese di manutenzione e conservazione dell’androne condominiale in misura pari a 2/3 del totale, così come stabilito nell’atto notaio G. del 2 febbraio 1953. La Corte d’appello ha altresì affermato che ad escludere l’appartenenza al condominio dell’immobile in part. (OMISSIS), destinato a cinema all’aperto, valesse, quale titolo contrario agli effetti dell’art. 1117 c.c., l’atto per rogito B./F. del 14 gennaio 1949, il quale conteneva menzione di una “servitù di passo attraverso l’ingresso e l’androne in favore degli spettatori del pubblico locale esistente nel terreno retrostante e dei fabbricati ivi esistenti”, mentre con il rogito del 2 febbraio 1953, che vide quale acquirente dell’immobile ora in mappale (OMISSIS) – OMISSIS -, non venne costituita alcuna nuova servitù. Non di meno, tale ultimo atto recava l’obbligo di – OMISSIS – di contribuire nella misura di 2/3 alle spese dell’androne, obbligo che trovava il proprio fondamento nella servitù di passaggio precedentemente costituita.
Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Stefano Pepe, ha depositato memoria, concludendo per il rigetto del ricorso.
Tutte le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
- Il primo motivo del ricorso di – OMISSIS – denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1029 e 1362 e ss. c.c., nonché l’omesso esame di fatto decisivo, quanto alla interpretazione dei due titoli del 14 gennaio 1949 e del 2 febbraio 1953.
Il secondo motivo del ricorso di – OMISSIS – denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1027 c.c., nonché l’omesso esame di fatto decisivo, in relazione alla contestualità del diritto di condominio e di servitù sull’androne.
Il terzo motivo del ricorso di – OMISSIS – denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 101 e 111 Cost., per vizi di motivazione della sentenza impugnata.
Il quarto motivo del ricorso di – OMISSIS – denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c., quanto alla interpretazione dei titoli circa l’obbligo di concorrere alle spese dell’androne.
- Il primo motivo del ricorso di – OMISSIS – deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., escludendo che ricorra nel caso in esame la presunzione di condominialità del portone e dell’androne con riferimento alle proprietà esclusive delle ricorrenti.
Il secondo motivo del ricorso di – OMISSIS – deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1127 e ss. c.c., per aver negato la Corte d’appello l’opponibilità al Condominio della servitù di passo in favore degli immobili acquistati dai signori – OMISSIS – oggetto del rogito del 2 febbraio 1953.
Il terzo motivo del ricorso di – OMISSIS – deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c., quanto alla interpretazione delle clausole contrattuali. Il quarto motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. e 2909 c.c., stante l’assenza di domanda nei confronti delle chiamate in causa di – OMISSIS -.
Il quinto motivo del ricorso di – OMISSIS – denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per l’erronea valutazione delle prove documentali e della CTU.
Il sesto motivo denuncia la violazione e degli artt. 113 e 132 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., per i vizi della motivazione della sentenza impugnata.
Il settimo motivo lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo, circa la preesistenza di una servitù costituitasi per destinazione del padre di famiglia.
L’ottavo motivo deduce la violazione degli artt. 342 c.p.c. e degli artt. 1324 e 1362 e ss. c.c., quanto alla formulazione dei motivi di appello.
- Non sussistono le ragioni di inammissibilità dei ricorsi eccepite dal controricorrente, in quanto i motivi soddisfano l’onere di specificità sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4) e n. 6), c.p.c., essendo indicate le norme di legge di cui le ricorrenti intendono lamentare la violazione, essendone esaminato il contenuto precettivo e raffrontato con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, ed essendo le censure corredate dalla indicazione del contenuto rilevante degli atti e dei documenti sui cui le stesse sono fondate.
Il controricorrente Condominio (OMISSIS) eccepisce anche che la legittimazione a proporre ricorso di – OMISSIS – va limitata alla soccombenza per le statuizioni inerenti alla part. (OMISSIS), di cui le stesse sono contitolari.
- I ricorsi sarebbero fondati nei limiti di seguito indicati.
Il riconoscimento in favore di immobili di proprietà individuale (nella specie, quelli di proprietà delle ricorrenti) di un diritto di servitù costituito per contratto e posto a carico di parti comuni di un condominio edilizio (nella specie, l’ingresso e l’androne del fabbricato del Condominio (OMISSIS) non vale di per sé a conferire (né a negare) al titolare di tale servitù la qualità di ‹‹condomino››, agli effetti della contitolarità delle parti comuni dell’edificio stabilita appunto dall’art. 1117 c.c., dell’attribuzione dei diritti sulle stesse in proporzione al valore della rispettiva unità immobiliare (art. 1118 c.c.) e dell’obbligo di contribuire alle spese per la conservazione e il godimento a norma dell’art. 1123 c.c.
Questa Corte ha comunque più volte affermato che la disciplina del condominio degli edifici, di cui agli artt. 1117 c.c. e ss., è ravvisabile ogni qual volta sia accertato in fatto un rapporto di accessorietà necessaria che lega alcune parti comuni, quale quelle elencate in via esemplificativa – se il contrario non risulta dal titolo – dall’art. 1117 c.c., a porzioni, o unità immobiliari, di proprietà singola, delle quali le prime rendono possibile l’esistenza stessa o l’uso.
La nozione di condominio si configura, pertanto, non solo nell’ipotesi di fabbricati che si estendono in senso verticale, ma anche nel caso di più unità immobiliari o più edifici adiacenti orizzontalmente, purché aventi in comune alcuna delle parti necessarie all’uso collettivo, o delle aree, delle opere, delle installazioni o dei manufatti destinati, per caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune ai sensi dell’art. 1117 c.c. (art. 1117-bis c.c.).
Quando, invece, manchi un così stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, la condominialità di un complesso immobiliare, che comprenda porzioni eterogenee per struttura e destinazione, può essere comunque frutto della autonomia privata.
L’uso delle parti comuni ex art. 1117 c.c., come ad esempio del portone di ingresso e dell’androne che siano strutturalmente e funzionalmente destinati al servizio di distinti corpi di fabbrica, appartenenti a proprietari diversi, ma costituenti un unico complesso immobiliare, è regolato dall’art. 1102 c.c.
La disciplina del condominio di edifici è, invero, costruita sulla base di un insieme di diritti e obblighi, armonicamente coordinati, contrassegnati dal carattere della reciprocità, che escludono la possibilità di fare ricorso alla disciplina in tema di servitù, presupponente, invece, fondi appartenenti a proprietari diversi, nettamente separati e posti uno al servizio dell’altro (Cass. n. 884 del 2018).
Se si ravvisa unicamente una servitù prediale su un bene condominiale (come, nell’esempio di causa, sul portone di ingresso e sull’androne del fabbricato del Condominio (OMISSIS), in favore di una proprietà esclusiva esterna al complesso immobiliare, tale proprietà non viene a partecipare al condominio, agli effetti degli artt. 1117,1102,1118 e 1123 c.c.; l’esercizio della servitù viene regolato, piuttosto, a norma degli artt. 1063 e ss. c.c. e le spese inerenti alle opere necessarie vanno sostenute secondo quanto prescrive l’art. 1069, comma 3, c.c. (Cass. n. 6653 del 2017).
E’ poi questione di fatto, apprezzabile in sede di interpretazione del titolo costitutivo, accertare se la “servitù di passo” attraverso l’ingresso e l’androne del fabbricato condominiale, esercitabile dagli spettatori del locale pubblico esistente nell’area retrostante, configuri una servitù industriale, nell’ampia accezione di cui all’ultima parte dell’art. 1028 c.c., essendo l’utilità inerente al fondo dominante destinato ad attività commerciale nella sua funzione, o, piuttosto, una servitù aziendale, ove l’utilità sia intesa inerente all’azienda che insiste sull’immobile (cfr. Cass. n. 11064 del 1994; n. 16427 del 2012).
3.1. I giudici del merito, pertanto, avrebbero dovuto ricostruire l’assetto dei rapporti oggetto di causa considerando i principi di seguito enunciati:
- a) ai sensi dell’art 1117 c.c., l’androne e il portone d’ingresso che siano strutturalmente e funzionalmente destinati (non oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari, quanto) al servizio di più corpi di fabbrica che si sviluppano orizzontalmente, appartenenti a proprietari diversi, ma costituenti un’unica entità immobiliare, devono presumersi oggetto di comunione dei predetti proprietari, se il contrario non risulti dal titolo (Cass. n. 4986 del 1977; Cass. n. 1737 del 1968);
- b) il titolo contrario ex art. 1117 c.c. alla presunzione di condominialità dell’androne, avente tale destinazione oggettiva all’uso comune, richiede una espressa ed inequivoca dichiarazione di volontà, contenuta nel primo atto di frazionamento costitutivo del condominio, che, in contrasto con l’esercizio del diritto comune, faccia ritenere che tale bene sia stato riservato dall’alienante o attribuito ad un singolo condomino in proprietà esclusiva;
- c) non configura ex se titolo contrario agli effetti dell’ 1117 c.c. la costituzione di una servitù a carico di parti comuni ed a vantaggio di una o più proprietà esclusive, in quanto l’esistenza di una siffatta servitù in favore della singola unità immobiliare non esclude la condominialità del fondo servente, del quale resta contitolare anche il proprietario della porzione individuale dominante. Alla ammissibilità di una servitù gravante su un bene condominiale e a favore di una proprietà individuale compresa nell’edificio non ostano, invero, né il principio nemini res sua servit, sussistendo sia la diversità dei fondi (dominante e servente), sia la (parziale) non coincidenza soggettiva dei titolari di tali fondi; né l’assunto difetto di utilità, sul presupposto che il vantaggio attribuito dalla servitù rientrerebbe già nel contenuto del diritto di condominio.
Piuttosto, se nell’ambito della relazione di accessorietà supposta dall’art. 1117 c.c., ciascun condomino si avvale delle parti comuni in virtù del diritto di condominio, nondimeno il godimento delle cose, dei servizi e degli impianti comuni, a vantaggio delle unità immobiliari in proprietà esclusiva, può attuarsi mediante l’ampliamento delle relative facoltà, altrimenti commisurate al valore della rispettiva proprietà, mediante un titolo attributivo di maggiori diritti ex art. 1118, primo comma, c.c.
Diversamente, se a beneficio di una o più unità immobiliari si impone sulle cose comuni un peso, che la destinazione delle cose in sé, o la misura dell’uso, non consentirebbero, vale a dire quando si assoggetta la parte comune, in favore di una o alcuna proprietà esclusiva, a fornire una utilità ulteriore e diversa, si dà luogo al sorgere di una servitù ex art. 1027 c.c., da costituire col consenso di tutti i partecipanti (Cass. n. 11207 del 1993; n. 3749 del 1999; n. 6994 del 1998; n. 22408 del 2004).
In definitiva, allorché al partecipante è attribuito convenzionalmente il diritto di utilizzare le cose, i servizi e gli impianti comuni in modo ulteriore e diverso, tale diritto non può che qualificarsi come servitù, costituita sulla cosa comune in favore della porzione di proprietà individuale.
- Nel valutare gli effetti della plausibile cassazione della sentenza impugnata, occorre tuttavia procedere ad un rilievo pregiudiziale.
4.1. – OMISSIS -, – OMISSIS – e – OMISSIS – hanno convenuto il Condominio (OMISSIS), chiedendo di accertare che le unità immobiliari al foglio (OMISSIS) e part. (OMISSIS), siano estranee al condominio, e piuttosto avvantaggiate da servitù prediale gravante sull’androne dell’edificio condominiale.
Il Condominio (OMISSIS) ha proposto domanda riconvenzionale per sentir accertare la qualità di condomine in capo alle attrici.
4.2. La domanda di accertamento della qualità di condomino, in quanto inerente all’esistenza (o all’inesistenza) del rapporto di condominialità ex art. 1117 c.c., non vede quale legittimato alla causa l’amministratore di condominio, in forza delle attribuzioni e del potere di rappresentanza di cui agli artt. 1130 e 1131 c.c., ed impone, piuttosto, la partecipazione di tutti i condomini in una situazione di litisconsorzio necessario, postulando la definizione della vertenza una decisione implicante una statuizione in ordine a titoli di proprietà configgenti fra loro, suscettibile di assumere valenza solo se, ed in quanto, data nei confronti di tutti i soggetti, asseriti partecipi del preteso unico condominio in discussione (Cass. n. 4697 del 2020; n. 35794 del 2021; n. 16679 del 2018; n. 24431 del 2017; n. 15550 del 2017; n. 6328 del 2003; n. 3119 del 1999).
Parimenti la domanda diretta ad ottenere l’accertamento di una servitù su un fondo di proprietà condominiale va proposta nei confronti di ciascuno dei condòmini, che soli possono disporre del diritto in questione, e non nei confronti dell’amministratore del condominio (Cass. n. 19566 del 2020).
4.3. La domanda di – OMISSIS -, – OMISSIS – e – OMISSIS – e del Condominio (OMISSIS), in quanto concerne l’esistenza, o meno, di un condominio unico in ordine ad una serie di unità immobiliari integranti porzioni di un complesso edilizio, e, quindi, la riconducibilità di talune delle strutture della costruzione di cui si tratta alla nozione di parti comuni dell’edificio condominiale di cui all’art. 1117 c.c., imponeva, dunque, la partecipazione quali legittimati alla causa di tutti i condomini in una situazione di litisconsorzio necessario.
4.4. Spetta al giudice di controllare d’ufficio il rispetto del principio del contraddittorio nei casi di litisconsorzio necessario, e tale potere- dovere deve essere esercitato con riferimento a tutte le domande sottoposte al suo giudizio.
Né la decisione della causa nel merito comporta ex se la formazione del giudicato implicito sulla legittimazione ad agire o a resistere o sulla integrità del contraddittorio, ove tali profili non siano stati sollevati dalle parti, posto che una questione può ritenersi decisa dal giudice di merito soltanto ove abbia formato oggetto di discussione in contraddittorio, e che la corretta individuazione delle parti attiene alla stessa finalità della funzione giurisdizionale, anche al fine di non pervenire ad una sentenza suscettibile della potenziale proposizione dell’opposizione di terzo ai sensi dell’art. 404 c.p.c. (cfr. Cass. Sez. Unite n. 7925 del 2019; Cass. n. 21703 del 2009).
- – La causa, ai sensi del combinato disposto degli artt. 383, comma 3, e 354 c.p.c., data la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dei restanti condomini del Condominio (OMISSIS), sito in (OMISSIS), Corso (OMISSIS), deve essere rimessa al Tribunale di Forlì, giudice di primo grado, che provvederà anche sulle spese di questa fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando sui ricorsi, cassa la sentenza impugnata, dichiara la nullità del giudizio e rinvia, anche per le spese del procedimento di cassazione, al Tribunale di Forlì in persona di diverso magistrato.