Il TAR per la Puglia, (sentenza n. 981 del 17 settembre 2024), pronunciandosi sul ricorso promosso contro il divieto imposto dalla Prefettura di Bari per l’esercizio di un’attività di autorimessa, ha annullato il decreto del Prefetto, ritenendo che il provvedimento non rispettasse i requisiti di legge previsti dal Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773 (TULPS) e dalla legge n. 241/1990. In particolare, il Tribunale ha evidenziato come il diniego dell’autorizzazione fosse basato su elementi indiretti, quali le frequentazioni del coniuge e i precedenti amministrativi di un dipendente, piuttosto che su una valutazione diretta della buona condotta della ricorrente stessa. Il TAR ha sottolineato che, secondo l’art. 11 del TULPS, le autorizzazioni di polizia possono essere negate solo se vi è una prova concreta della mancanza di buona condotta dell’interessato, e non per comportamenti di terzi non direttamente rilevanti. Richiamando la sentenza della Corte Costituzionale n. 440 del 16 dicembre 1993 e la giurisprudenza del Consiglio di Stato, il Tribunale ha affermato che il provvedimento amministrativo deve essere supportato da motivazioni specifiche e direttamente collegate all’attività per cui si richiede l’autorizzazione.

Pubblicato il 18/09/2024

  1. 00981/2024 REG.PROV.COLL.
  2. 00231/2024 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 231 del 2024, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avv. Vito Guerra e dall’avv. Sabrina Sbiroli, con domicilio digitale p.e.c., come da Registri di Giustizia;

contro

Prefettura di Bari – U.T.G., in persona del Prefetto p. t., e Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p. t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio legale in Bari, via Melo n. 97,

per l’annullamento

previa sospensione dell’efficacia

dei seguenti atti: 1) il decreto del Prefetto della Provincia di Bari, prot. n. 1400548 del 31.01.2024, proc. n. 15110/2023/SPA/ Area 1 O.P., notificato in data 08.02.2024, con cui “è fatto divieto alla Sig.ra -OMISSIS- di esercitare l’attività di autorimessa, per le motivazioni di cui in premessa, che qui si intendono integralmente riportate“; 2) ogni atto comunque presupposto, connesso e consequenziale, ancorché non conosciuto dalla ricorrente, ivi compresa la nota della Prefettura di Bari, prot. n. 0149530 del 13.11.2023, proc. n. 15110/2023/SPA/Area 1 O.P., consegnata all’istante in data 21.11.2023, avente a oggetto la comunicazione di avvio del procedimento di divieto di esercizio dell’attività di autorimessa, ex art. 7 della legge n. 241/1990;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di U.T.G. – Prefettura di Bari;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 17 settembre 2024, il dott. Orazio Ciliberti e uditi l’avv. Sabrina Sbiroli, anche su delega orale dell’avv. Vito Guerra, per la ricorrente, e l’Avvocato dello Stato Fabiola Roccotelli, per la difesa erariale;

Ritenuto e considerato, in fatto e diritto, quanto segue.

FATTO e DIRITTO

I – Con s.c.i.a. presentata il 20.01.2023 al Comune di Bari, la ricorrente, in qualità di legale rappresentante della ditta individuale “-OMISSIS-”, segnalava l’inizio dell’attività di autorimessa, presso la sede della ditta in Bari, via -OMISSIS-.

A seguito della trasmissione della segnalazione da parte del Comune, la Prefettura di Bari, in data 21.11.2023, le notificava comunicazione di avvio del procedimento di divieto di esercizio dell’attività di autorimessa, ex art. 7 legge n. 241/1990.

Tale procedimento era avviato perché, a conclusione dell’istruttoria esperita da organi di polizia, era stato effettuato un giudizio prognostico negativo, incidente sfavorevolmente sulla capacità della titolare di assicurare il corretto esercizio dell’attività di autorimessa. In particolare, si deduceva che il coniuge della ricorrente, -OMISSIS-, dal 2014 al 2019, fosse stato controllato in compagnia di soggetti gravati da procedimenti penali, mentre il figlio della ricorrente, -OMISSIS-, già titolare del garage, fosse stato assunto presso la ditta, insieme ad altro soggetto destinatario di sequestri amministrativi per mancata copertura assicurativa.

La ricorrente formulava per iscritto le proprie osservazioni, deducendo di essere in possesso dei requisiti soggettivi e allegando idonea documentazione.

Faceva seguito, tuttavia, l’impugnato provvedimento di diniego. La Prefettura di Bari, con il citato decreto del 31.01.2024, riteneva che le osservazioni formulate non potessero trovare accoglimento, stanti le esigenze di tutela della pubblica sicurezza, a fronte del un quadro familiare connotato dalla convivenza con -OMISSIS- e della sussistenza di dati sull’oggettiva materiale gestione dell’attività da parte del figlio.

Insorge la ricorrente, con il ricorso notificato il 20.02.2024 e depositato il 27.02.2024, per impugnare gli atti in epigrafe indicati.

Deduce i seguenti motivi di diritto: 1) violazione art. 3 del D.P.R. n. 480/2001, art. 11, comma 2, del Regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza); 2) ulteriore violazione art. 3 D.P.R. n. 480/2001 e art. 11 del T.u.l.p.s.; 3) difetto di motivazione; 4) violazione ed erronea applicazione dell’art. 11 T.u.l.p.s., in rapporto agli artt. 1 e 3 legge n. 241/1990, eccesso di potere per erroneità dei presupposti in fatto e in diritto, carente istruttoria, illogicità e ingiustizia manifesta, nonché difetto e omissione di istruttoria e di motivazione; 5) violazione artt. 3 e 6 legge n. 241/1990; 6) violazione art. 11 R.D. n. 773/1931, in combinato disposto con l’art. 2 D.P.R. n. 481/2001 e art. 27 Cost.; eccesso di potere per illogicità, arbitrarietà ed irragionevolezza della motivazione, difetto di istruttoria; 7) difetto di istruttoria e di motivazione.

Si costituisce l’Amministrazione, per resistere nel giudizio. Deduce, anche con successiva memoria, l’infondatezza del gravame.

Con ordinanza collegiale n. 134 del 19.03.2024, questa Sezione accoglie la domanda cautelare della ricorrente.

Con successiva memoria, la ricorrente ribadisce e precisa le proprie deduzioni e conclusioni.

All’udienza pubblica del 17 settembre 2024, la causa è introitata per la decisione.

II – Il ricorso è fondato.

III – A tenore dell’art. 11, comma 2, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), “Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all’autorità, e a chi non può provare la sua buona condotta”.

A mente del successivo art. 131 T.u.l.p.s., le autorizzazioni di polizia non possono essere concesse a chi sia incapace di obbligarsi.

Nel caso di specie, non ricorre alcuna delle elencate evenienze, non potendo ricondursi il giudizio negativo sulla condotta della titolare di licenza di polizia alle dubbie frequentazioni del coniuge, né tampoco alla circostanza che il gestore di fatto della autorimessa sia il figlio, da poco assunto come dipendente della ditta.

Peraltro, nella specie, non risulta (o quantomeno non viene espressamente dedotto nel provvedimento impugnato) che il coniuge e il figlio della ricorrente abbiano a carico precedenti o pendenze penali. Ed è del tutto inconferente che un dipendente dell’autorimessa sia stato soggetto destinatario di sequestri amministrativi per mancata copertura assicurativa.

Le autorizzazioni di polizia possono essere negate, quando è provata la mancanza della buona condotta dell’istante, non quando è carente la buona condotta di soggetti terzi, come i familiari conviventi (cfr.: T.a.r. Palermo I, n. 3389 del 06.12.2021).

Nel caso di specie, non è provato neppure che i familiari e i conviventi della ricorrente abbiano sinora tenuto condotte non confacenti. Né viene dedotto (o provato) che l’esercizio del titolo di polizia possa subire una qualche negativa influenza dalla qualità o dalla posizione ricoperta dal soggetto che lo chiede e dai suoi familiari.

IV – La Corte costituzionale, con sentenza del 16 dicembre 1993 n. 440, ebbe a osservare che il profilo attinente alla prova della esistenza della buona condotta in capo all’interessato rappresenta la base per giudizi di affidabilità devoluti all’autorità amministrativa ma, come tale, non può essere giudicato in sé lesivo di quei principi di ragionevolezza ai quali ogni ordinamento è tenuto ad ispirarsi. Tuttavia – precisò ancora la Corte – la latitudine di apprezzamento che a tale requisito è connessa esige, per non confliggere con inderogabili esigenze di determinatezza e perché sia evitato il pericolo di sconfinare nell’arbitrio, una specificazione finalistica, riferita alle particolari esigenze che l’accertamento deve soddisfare per le finalità correlate con il tipo di abilitazione o di autorizzazione richiesta. Il bisogno di evitare ogni genericità – sottolinea il Giudice delle leggi – ha portato l’ordinamento successivo alla Costituzione ora a forme di obsolescenza di concetti precedentemente ricorrenti nelle leggi, ora, più radicalmente, alla eliminazione del requisito stesso della provata “buona condotta” da quei settori nei quali esso si poneva con caratteri apparsi incompatibili all’accesso a posizioni che per criteri di eguaglianza e pari dignità debbano essere ottenute sulla base di condizioni chiare e oggettivamente determinabili. Del resto, secondo la Consulta, la giurisprudenza amministrativa in tema di autorizzazioni di polizia, pur attenta a rimarcare, in base a criteri di lodevole permissività relativamente all’onere della prova, il requisito della buona condotta, ha continuato a riconoscere alla pubblica Amministrazione un ampio potere valutativo in presenza di dati sfavorevoli quanto al comportamento dell’interessato; così venendo a gravare quest’ultimo dell’onere di rimuovere l’effetto preclusivo conseguente alla verifica compiuta dall’Autorità amministrativa.

Se è vero che resterebbe preclusa la possibilità che il potere discrezionale dell’Amministrazione trasmodi in arbitrio, non soltanto esaminando la progressiva evoluzione giurisprudenziale che ha svincolato la nozione di buona condotta dalle connotazioni socio-politiche caratterizzanti il sistema precostituzionale, tentando di storicizzarne la portata, è anche vero che si è trattato, di frequente, di un’operazione interpretativa priva di risultati favorevoli in concreto, rimanendo demandato ai soli titolari della potestas decidendi il compito di determinare il contenuto dei presupposti e imponendosi così all’interessato una probatio diabolica volta a contrastarne la forza cogente.

Che sia necessario, quindi, esaminare la stretta connessione tra le condotte tenute e la tipologia di attività da esercitare, è stato, successivamente, affermato dal Consiglio di Stato (cfr.: Sez. VI, sentenza n. 3813 del 22 giugno 2006). Con tale sentenza si è statuito che persino l’eventuale condanna per reati che non abbiano attinenza con l’attività oggetto della richiesta non privi del requisito della buona condotta, né imponga il diniego dell’autorizzazione di polizia. Invero – ha affermato quell’alto Consesso – il fatto che, ai sensi dell’art. 11, comma 2, R.D. n. 773/1931, le autorizzazioni di polizia possono essere negate anche “a chi non può provare la sua buona condotta”, non è di per sé ragione sufficiente per precludere il rilascio dell’autorizzazione di polizia, laddove manchi la prova di un comportamento o di uno stile di vita inadeguato al parametro etico che la licenza di polizia impone. La norma, infatti, deve essere letta congiuntamente alla sentenza della Corte costituzionale 16 dicembre 1993, n. 440, la quale l’ha dichiarata incostituzionale nella parte in cui pone a carico dell’interessato l’onere di provare il possesso del requisito etico.

L’Autorità di pubblica sicurezza dispone di ampio potere di apprezzamento discrezionale, in funzione dell’attività soggetta ad autorizzazione e della delicatezza degli interessi pubblici coinvolti, tuttavia essa deve sempre fornire la prova del venir meno del requisito della buona condotta (cfr.: Cons. Stato III, 21.07.2022 n. 6417; Idem III, 24.06.2021 n. 4820). Nel caso in esame, tale prova non è stata fornita.

V – In conclusione, il ricorso è accolto. Le spese del giudizio, stante la particolarità del caso, possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, come da motivazione.

Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità.

Così deciso in Bari, nella camera di consiglio del giorno 17 settembre 2024, con l’intervento dei magistrati:

Orazio Ciliberti, Presidente, Estensore

Giacinta Serlenga, Consigliere

Donatella Testini, Consigliere

 

 

IL PRESIDENTE, ESTENSORE

Orazio Ciliberti

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO