Il TAR per la Lombardia, sezione di Milano, ha respinto il ricorso proposto da una ditta contro l’interdittiva antimafia disposta dalla Prefettura di Milano e l’inserimento della medesima nel Casellario informatico degli operatori economici, sostenendo che le misure adottate erano giustificate in base agli articoli 84, comma 4, 89-bis e 91, comma 6, del D.lgs. n. 159/2011 e all’art. 213, comma 10, del D.lgs. n. 50/2016. La decisione del TAR si fonda sulla valutazione che il sistema della prevenzione antimafia, ai sensi del Codice Antimafia, non richiede la prova di condanne definitive per l’adozione di provvedimenti interdittivi, bensì la considerazione di elementi sintomatici e indiziari che manifestano un pericolo di infiltrazione mafiosa. Il Collegio ha ritenuto che la Prefettura avesse adeguatamente motivato la propria decisione sulla base di una serie di indici, tra cui i legami familiari stretti con una famiglia nota nell’ambiente e la condivisione della sede sociale con imprese già colpite da provvedimenti interdittivi. L’analisi ha confermato che la vicinanza tra il ricorrente e membri di una famiglia coinvolta in condotte mafiose, nonché la presenza di lavoratori con precedenti penali gravi, sono indici sufficienti per ritenere probabile il rischio di infiltrazione mafiosa. Il TAR ha concluso che tali elementi giustificano il giudizio di probabilità, non manifestamente irragionevole, che la ditta del ricorrente possa essere utilizzata per la continuazione degli affari della consorteria mafiosa, respingendo pertanto il ricorso.
Pubblicato il 16/09/2024
- 02418/2024 REG.PROV.COLL.
- 01997/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1997 del 2021, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ernesto Stajano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via Dogana n. 3;
contro
Ministero dell’Interno, Autorità Nazionale Anticorruzione, non costituiti in giudizio;
U.T.G. – Prefettura di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata in Milano, via Freguglia, 1;
per l’annullamento
– della nota prot. n. -OMISSIS- del 28 settembre 2021, con la quale la Prefettura di Milano ha disposto l’interdittiva antimafia ai sensi degli artt. 84, c. 4, 89-bis e 91, c. 6, del D.lgs. n. 159/2011 nei confronti della ditta individuale -OMISSIS- di -OMISSIS-;
– del provvedimento prot. uscita n. -OMISSIS-, fasc. ANAC n. -OMISSIS-/2021, del 4 ottobre 2021, con cui l’ANAC ha comunicato alla -OMISSIS- di -OMISSIS- l’inserimento nel Casellario informatico degli operatori economici, ai sensi dell’art. 213, c. 10, del D.lgs. n. 50/2016;
– di ogni altro atto presupposto, collegato, connesso e conseguente ancorché non conosciuto.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di U.T.G. – Prefettura di Milano;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 maggio 2024 il dott. Alberto Di Mario e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
- La ricorrente ditta individuale ha impugnato la nota prot. n. -OMISSIS- del 28 settembre 2021 con la quale la Prefettura di Milano ha disposto nei suoi confronti l’interdittiva antimafia ai sensi degli artt. 84, c. 4, 89-bis e 91, c. 6, del D.lgs. n. 159/2011 e l’atto con il quale ANAC ha comunicato alla -OMISSIS- di -OMISSIS- l’inserimento nel Casellario informatico degli operatori economici, ai sensi dell’art. 213, c. 10, del D.lgs. n. 50/2016.
Contro i suddetti atti ha sollevato i seguenti motivi di ricorso.
I Violazione e falsa applicazione degli artt. 84, c. 4, 89-bis e 91, c. 6, del d.lgs. n. 159/2011; violazione degli artt. 3 e 6 della legge 241/1990; violazione dei principi di imparzialità e buon andamento ex art. 97 cost; violazione del principio di proporzionalità; difetto di istruttoria e di motivazione; eccesso di potere nelle figure sintomatiche del travisamento di fatto, irragionevolezza ed illogicità manifesta.
Secondo la ricorrente gli elementi a sostegno dell’interdittiva antimafia non sono ex sé idonei, secondo la regola causale del “più probabile che non”, a dimostrare la sussistenza di un concreto pericolo di infiltrazione mafiosa, mancando del tutto la prova in ordine al ruolo della -OMISSIS- quale strumento di realizzazione degli interessi mafiosi.
Sulla condanna del sig. -OMISSIS- al reato di cui all’art. 256, c. 3, del D.lgs. 152/2006 la ricorrente sostiene che la gestione di rifiuti non autorizzata è un reato contravvenzionale, punito con pene lievi, che non richiede la presenza di un’organizzazione per la sua consumazione. Si tratta inoltre di una sentenza emessa su espressa richiesta delle parti che ha condotto ad una pena lieve. Deve quindi escludersi l’“affinità con il modus operandi della famiglia -OMISSIS-”.
Per quanto riguarda i rapporti di parentela con la famiglia -OMISSIS-, l’amministrazione non avrebbe motivato in ordine alla concreta influenza della famiglia -OMISSIS- sulle decisioni assunte dalla società -OMISSIS-. Inoltre la residenza formale del sig. -OMISSIS- nel medesimo stabile di quella del suocero -OMISSIS- -OMISSIS- sarebbe irrilevante in quanto il sig. -OMISSIS- e la famiglia -OMISSIS- (suocero, moglie e figlio) vivono in appartamenti diversi.
Non vi sarebbe inoltre alcun riferimento, nel provvedimento impugnato, a rapporti commerciali, anche indiretti, ovvero di controllo, tra le società colpite da interdittiva in quanto riconducibili ai -OMISSIS- e la ditta -OMISSIS-.
L’unico elemento richiamato dalla Prefettura che “accomuna” le società della famiglia -OMISSIS- e la -OMISSIS- è la sede legale, sempre presso il medesimo immobile, ma si tratta evidentemente di un elemento privo di alcun rilievo, in specie tenuto conto che la -OMISSIS- è una ditta individuale.
Per quanto attiene alle frequentazioni del ricorrente con soggetti condannati o sottoposti a misure di sicurezza, anche per delitti di stampo mafioso, la ricorrente sostiene che la circostanza che il sig. -OMISSIS- sia stato oltre dieci anni fa visto in presenza di soggetti successivamente condannati per il reato di traffico di stupefacenti, non sembra un elemento idoneo a supportare, anche solo in via prognostica, un pericolo di infiltrazioni mafiose nella -OMISSIS-.
La difesa dello Stato ha chiesto la reiezione del ricorso.
All’udienza del 24 maggio 2024 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
- Il ricorso è infondato.
2.1 Il Collegio rileva come la misura sia stata adottata ai sensi degli artt. 84, 89-bis e 91 del Codice Antimafia, i quali non richiedono né la sussistenza di condanne, quale presupposto preclusivo al giudizio complessivo sugli altri indici-spia, né la necessità di altri provvedimenti del giudice penale (rinvio a giudizio, misure cautelari, misure di prevenzione) ai fini della complessiva valutazione sul grado di permeabilità della criminalità organizzata. Invero, il sistema della prevenzione – per come disciplinato dal Codice Antimafia – si presenta come “binario”, inducendo in via automatica da alcune categorie di reati il rischio di infiltrazione mafiosa e lasciando, invece, negli altri casi, al prudente apprezzamento dell’autorità prefettizia la valutazione “atipica” di una serie di elementi sintomatici elaborati dalla giurisprudenza. Invero, i presupposti per l’emanazione di un provvedimento interdittivo sono un catalogo aperto da cui l’Autorità può desumere gli indizi corroboranti il giudizio prognostico sotteso all’apprezzamento del rischio infiltrativo; quindi, la sussistenza di un provvedimento di condanna, ancorché non definitivo, non è presupposto tassativo, potendo essere doppiato e traguardato dalle altre situazioni sintomatico-presuntive di cui all’art. 84, comma 4°, del D.lgs. n. 159/2011 o dalla clausola aperta compendiata nei “concreti elementi” di cui all’art. 91, 6° comma, D.lgs. n. 159/2011.
Al riguardo, la giurisprudenza è da tempo consolidata nel ritenere che i provvedimenti prefettizi interdittivi possano essere adeguatamente motivati con riferimento a riscontri che danno vita a valutazioni che sono espressione di ampia discrezionalità e che non devono necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull’esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazioni malavitose (e, quindi, del condizionamento in atto dell’attività di impresa), ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergono sufficienti elementi di pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata (cfr. tra le tante: C.G.A. 14 maggio 2021, n. 431; Cons. Stato, sez. III 4 giugno 2021, n. 4293; 27 aprile 2021, n. 3379; T.A.R. Sicilia – Catania, Sez. I, 19 gennaio 2018, n. 148 e 29 settembre 2017 n. 2258). Il “tentativo di infiltrazione” deve essere, quindi, valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa (Cons. Stato, Ad. Plen. 6 aprile 2018, n. 3; Cons. Stato, Sez. III, 25 novembre 2021, n. 7890; 30 gennaio 2019, n. 758; 18 aprile 2018, n. 2343). Lo stesso legislatore, del resto, laddove fa riferimento (art. 84, comma 3°, D.lgs. n. 159 del 2011) agli “eventuali tentativi” di infiltrazione mafiosa “tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate” richiama nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori. Il pericolo di infiltrazione mafiosa è, dunque, la probabilità che si verifichi l’evento secondo una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire un’ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso (cfr. in termini, tra le più recenti, Cons. Stato Sez. III, 6 settembre 2021, n. 6225 e 3 agosto 2021, n. 5734 con ampi richiami giurisprudenziali).
2.2 Venendo al caso di specie occorre rilevare che gli indici di permeabilità mafiosa individuati dal Prefetto attengono alla condotta del titolare dell’impresa individuale sig. -OMISSIS-, agli stretti legami familiari e di vita del medesimo con la famiglia -OMISSIS- ed ai legami tra l’impresa da lui esercitata e le altre imprese dei -OMISSIS- già raggiunte tra provvedimenti interdittivi amtimafia.
In merito occorre rilevare che assume particolare rilievo il fatto della sostanziale vicinanza tra il -OMISSIS- ed i membri della famiglia -OMISSIS- riconosciuti responsabili di condotte penali di tipo mafioso sia sotto il profilo personale che lavorativo.
Assume rilievo a tal fine non solo il legame matrimoniale con la figlia di -OMISSIS- -OMISSIS- ma anche il fatto che essi vivano nello stesso immobile, seppur in appartamenti diversi. Tale vicinanza assume rilievo in quanto è indice di un legame familiare molto forte che rende altamente probabile che la vicinanza parentale e fisica trasmodi nel pericolo che le condotte del -OMISSIS- si ispirino o siano condizionate dall’ambiente mafioso della famiglia -OMISSIS-.
A tale elemento, di per sé non sufficiente, si aggiunge che l’impresa del ricorrente e quelle della famiglia -OMISSIS- hanno la stessa sede sociale ed operano nello stesso settore. Anche se le relazioni economiche formali risultano scarse in quanto le fatture tra le imprese sono poche e datate, l’identità di sede è indice di un sistema economico a conduzione familiare molto coeso e quindi facilmente permeabile alle logiche mafiose che permeano esponenti di rilevo della famiglia. L’identità di sede comporta infatti la condivisione degli spazi, delle spese e quindi una vicinanza tra i titolari delle stesse che è indice sintomatico del pericolo del formarsi e rafforzarsi di una consorteria mafiosa.
Tali elementi di vicinanza fisica e lavorativa sono rafforzati dal fatto che il ricorrente nel passato ha avuto alle sue dipendenze persone condannate per gravi reati, a conferma del fatto che è organico ad un certo ambito di soggetti membri di consorterie della ‘ndrangheta site nella periferia milanese o comunque sussiste il grave rischio che lo diventi. Offrire lavoro anche per tempi ridotti ad esponenti del gruppo malavitoso significa infatti fornire un aiuto a tutta la consorteria e dimostrare la propria organicità al sistema.
Ne consegue che la valutazione della Prefettura in merito alla possibilità che la ditta del ricorrente, dopo i provvedimenti giudiziari che hanno colpito le altre ditte dei -OMISSIS- sottraendole al loro controllo, diventi lo strumento privilegiato per la continuazione degli affari della cosca non pare manifestamente irragionevole od in contrasto con il principio del “più probabile che non”.
In definitiva quindi il ricorso va respinto.
- Sussistono giustificati motivi per compensare le spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 24 maggio 2024 con l’intervento dei magistrati:
Antonio Vinciguerra, Presidente
Alberto Di Mario, Consigliere, Estensore
Luca Iera, Referendario
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L’ESTENSORE |
IL PRESIDENTE |
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Alberto Di Mario |
Antonio Vinciguerra |
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IL SEGRETARIO