Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7503 del 10 settembre 2024, ha confermato la legittimità di una sanzione imposta dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) nei confronti di un operatore per pratiche commerciali scorrette relative alla vendita di biglietti di trasporto durante l’emergenza pandemica. Le pratiche contestate riguardavano due condotte distinte: da un lato, l’offerta di un servizio di trasporto senza informare i consumatori dell’impossibilità di garantirne l’effettiva fornitura; dall’altro, la proposta di un voucher come unica o principale modalità di ristoro per i biglietti annullati, senza possibilità di optare per il rimborso in denaro. Il Consiglio di Stato ha ritenuto queste pratiche autonome e distinte, poiché violavano due differenti diritti: il primo, relativo alla correttezza dell’offerta commerciale, e il secondo, concernente il diritto all’informazione del consumatore. La sentenza ha altresì ribadito la correttezza della sanzione ex art. 23, comma 1, lett. e) del Codice del Consumo, sottolineando come la violazione non riguardasse la mera indisponibilità del servizio, bensì la mancata comunicazione della probabile impossibilità di fornirlo. Quanto alla pratica del voucher, il Consiglio ha chiarito che, anche nel contesto delle misure straordinarie previste durante la pandemia (art. 88-bis del d.l. n. 18/2020), il consumatore conserva il diritto di scegliere tra il rimborso e l’accettazione del voucher, e che imporre quest’ultimo senza opzioni costituiva una violazione del diritto del consumatore.

Pubblicato il 10/09/2024

  1. 07503/2024REG.PROV.COLL.
  2. 07108/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7108 del 2022, proposto da
– OMISSIS -, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Francesco Scanzano, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via dei Tre Orologi 14/A;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Associazione Codici – Centro per i Diritti del Cittadino, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n.  – OMISSIS -, resa tra le parti, per l’annullamento del provvedimento n. 28557 (prot. 22132) dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“Autorità” o “AGCM”), adottato nell’adunanza del 2 febbraio 2021 e notificato il 18 febbraio 2021 a conclusione del procedimento n.  – OMISSIS – –  – OMISSIS –GESTIONE EMERGENZA STRAORDINARIA, con il quale l’Autorità ha ritenuto  – OMISSIS – responsabile di due diverse pratiche commerciali scorrette, rispettivamente in violazione degli artt. 23, comma 1, lettera e), del Codice del Consumo e 20, 21, comma 1, lettera b), 22, 24 e 25 del Codice e le ha conseguentemente irrogato una sanzione complessiva di €1.500.000.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 luglio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti gli avvocati Francesco Scanzano e l’avv. dello Stato Pietro Garofoli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

  1. È appellata la sentenza del Tar Lazio 5 maggio 2022, n. 5598 di reiezione del ricorso proposto da  – OMISSIS – s.r.l. avverso la sanzione comminata (in data 18 febbraio 2021) dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito “Autorità”) pari a complessivi 1.500.000,00 euro per due distinte pratiche commerciali vietate dagli artt. 20, 21, comma 1, lett. b), 22, 23, comma 1, lett. e), 24 e 25 del codice del consumo (cod. cons.).

L’Autorità ha sanzionato le pratiche commerciali scorrette individuate nell’avere continuato a vendere titoli di viaggio durante il periodo marzo-giugno 2020 nonostante i vari provvedimenti governativi Covid che avrebbero determinato la scelta del professionista di annullare le corse, nonché, una volta venduti i biglietti, nel non aver prestato adeguata informazione e assistenza.

Segnatamente: la prima (“Pratica A”) è consistita nella “perdurante accessibilità ai propri canali di vendita on line per l’acquisto dei servizi di trasporto, inerenti al periodo da marzo a maggio 2020, anche nei giorni immediatamente successivi all’entrata in vigore dei vari decreti governativi di limitazione alla circolazione susseguitisi a causa del Coronavirus”, pratica tramite la quale il vettore avrebbe continuato “di volta in volta, ad acquisire regolarmente prenotazioni e pagamenti per servizi che […] non avrebbe successivamente prestato in virtù di cancellazione unilaterale”, agendo così in violazione dell’art. 23, comma 1, lett. e), del Codice.

La seconda pratica (“Pratica B”) ha ad oggetto le “molteplici condotte consistenti nella fornitura di informazioni lacunose e intempestive sulla cancellazione dei servizi e sui diritti spettanti alla clientela in caso di soppressione delle corse, nella proposta immediata del voucher sostitutivo in luogo del rimborso in denaro, nell’applicazione di oneri ulteriori ed imprevisti sui ristori erogati e, in particolare, sull’utilizzo successivo del voucher”, in violazione degli artt. 20, 21, comma 1, lett. b), 22, 24 e 25 codice del consumo.

L’Autorità, a conclusione del procedimento istruttorio, ha inflitto a  – OMISSIS – la sanzione complessiva pari a €1.500.000.

  1. Nei motivi d’impugnazione  – OMISSIS – ha dedotto:
  2. I) la violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 21, 22, 23, 24 e 25 del codice, eccesso di potere sotto vari profili c.d. sintomatici per esserle state contestate due distinte pratiche in presenza di una condotta caratterizzata da una “evidente unitarietà finalistica e strutturale”.

Da cui l’errata duplicazione della sanzione inflittale riferibile ad una condotta sostanzialmente unica, non scindibile in due distinte pratiche commerciali;

  1. II) la violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del codice, nonché l’eccesso di potere sotto vari profili, per aver valutato le condotte di  – OMISSIS – con riferimento a un parametro di diligenza inesigibile nel contesto della grave ed eccezionale contingenza creata dall’emergenza legata al coronavirus.

La diligenza professionale, ordinariamente attendibile dalle imprese del settore, non sarebbe applicabile al caso di specie dovendo la condotta essere valutata alla luce delle circostanze di volta in volta considerate. Tant’è che, nel periodo del primo “Lockdown” marzo-giugno 2020, l’Autorità – ha sottolineato la ricorrente – non avrebbe ravvisato alcuna violazione delle norme del codice del consumo e le condotte poste in essere sarebbero risultate del tutto legittime;

III) la violazione e falsa applicazione dell’art. 23, comma 1, lett. e), del codice, eccesso di potere per erronea rappresentazione dei fatti e dei presupposti per l’applicazione della norma in questione e sotto altri profili, per non aver ritenuto la condotta di cui alla pratica a) scusabile nel contesto della grave ed eccezionale contingenza creata dall’emergenza coronavirus.

L’indisponibilità dei servizi di trasporto non sarebbe dipesa dall’impossibilità di offrirli ad un certo prezzo, ma unicamente dai provvedimenti limitativi adottati dal Governo per contenere la grave emergenza sanitaria.

Sicché, la condotta non avrebbe avuto alcuna finalità di sfruttamento dei clienti, né, per altro, le avrebbe garantito alcun vantaggio, in quanto in tutti i casi di cancellazione ad essa corrispondeva un rimborso in denaro oppure tramite buono;

  1. IV) la violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 21, 22 24 e 25 del codice, eccesso di potere per erronea rappresentazione dei fatti e dei presupposti per l’applicazione delle norme in questione e sotto altri profili, per non aver ritenuto la condotta di cui alla pratica b) scusabile nel contesto della grave ed eccezionale contingenza creata dall’emergenza coronavirus.

La ricorrente ha affermato di aver informato la clientela tramite un’apposita comunicazione, con l’ulteriore supporto del sito internet della società messo a disposizione dei clienti.

Mentre, l’erogazione di voucher come modalità di rimborso per i biglietti acquistati era più che legittima, in quanto la soppressione delle corse dipendeva dai numerosi interventi limitativi ad opera dei vari decreti.

In relazione, infine, all’applicazione di ulteriori oneri sui rimborsi erogati, la ricorrente ha sostenuto che si trattava di casi isolati, dipesi dalla condotta dei clienti, i quali, procedendo alla cancellazione della corsa prima della soppressione ad opera della società, si vedevano applicare un addebito sul proprio rimborso;

  1. V) violazione degli artt. 27, comma 9, del codice nonché 11 della l. 689/1981, eccesso di potere, contraddittorietà, difetto assoluto di motivazione, violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza con riferimento alla sanzione comminata e alla sua quantificazione.

L’Autorità avrebbe proceduto ad una quantificazione della sanzione sproporzionata rispetto ai fatti effettivamente commessi;

  1. VI) la violazione e falsa applicazione dell’art. 101 TFUE e dell’art. 14-ter della l. 287/1990; eccesso di potere per travisamento e carenza dei presupposti di fatto, difetto di istruttoria, contraddittorietà per il rigetto degli impegni.

Si deduce l’illegittimità del rigetto degli impegni da parte dell’Autorità, motivato solo con la manifesta scorrettezza e gravità delle fattispecie di pratiche commerciali. Gli impegni, invece, sarebbero stati di per sé idonei a superare le presunte criticità che avevano spinto l’Autorità ad aprire il procedimento, e comunque sarebbe mancata una motivazione sulla loro inidoneità.

  1. Premesso che l’Autorità non ha adottato alcun provvedimento cautelare, sul rilievo che la ricorrente forniva adeguata prova di aver autonomamente interrotto la pratica contestata prima dell’emanazione di un provvedimento inibitorio, il Tar ha respinto il ricorso.
  2. Le due pratiche scorrette, ad avviso dei giudici di prime cure, sono autonome, sostanziandosi nell’aver continuato a vendere titoli di viaggio nonostante i provvedimenti governativi che avrebbero determinato la scelta del professionista di annullare le corse, senza aver prestato adeguata assistenza post vendita.

Tanto che i due interessi creditori lesi, pur contigui, sono separati e distinti. Il primo interesse, precisa il Tar, “è quello precontrattuale di non essere il consumatore coinvolto in un rapporto negoziale «inutile in quanto inattuabile, mentre il secondo è quello di vedersi riconosciuti i normali rimedi risolutori e restitutori”.

S’aggiunge in sentenza che: “Era infatti certo e comunque ben prevedibile che la circolazione sarebbe stata limitata e che vi sarebbero state forti criticità nel trasporto; inoltre rileva pure il fatto che le cancellazioni sono avvenute anche per scelta unilaterale della società stessa, la quale ha evidentemente ritenuto poco conveniente apprestarle in un periodo di scarsa affluenza da parte degli usuali passeggeri”.

E che, con riferimento a entrambe le pratiche, “Il professionista era […] consapevole di poter cancellare determinate corse, sia appellandosi alle limitazioni governative, sia per propria valutazione economica; di contro, i clienti confidavano nella certezza del trasporto, segnatamente in funzione delle esigenze primarie di movimento, che la normativa emergenziale manteneva comunque integre”.

Con riguardo allo standard di diligenza esigibile, la società, precisa il Tar, “avrebbe potuto improntare la condotta alla massima attenzione, evitando di offrire servizi che non erano più realizzabili ovvero che era verosimile che non lo fossero”.

Il professionista, si legge nella motivazione della sentenza, non ha tenuto un livello di diligenza professionale adeguato a quanto il consumatore medio si sarebbe atteso soprattutto in un momento così delicato come quello dell’emergenza pandemica.

La violazione dell’art. 23, comma 1, lett. e), cod. cons. s’è concretata nella condotta del professionista che ha invitato all’acquisto di prodotti o servizi senza rivelare l’esistenza di ragionevoli motivi ostativi per lo stesso professionista all’esecuzione di essi.

Relativamente alla condotta successiva alla vendita, il Tar ha evidenziato come “la Società non sempre ha avvisato tempestivamente i consumatori dell’avvenuta soppressione del viaggio già prenotato e pagato (risultano casi di viaggiatori che hanno appreso della cancellazione solo all’atto della partenza o solo per aver chiamato casualmente il call center)”; e che “il professionista non ha esaurientemente illustrato al cliente le varie scelte circa le modalità di rimborso per il biglietto cancellato”.

Il comportamento scorretto in fase post vendita non s’è esaurito al piano informativo, poiché il Professionista, sottolinea il Tar, ha fatto ricorso allo strumento del voucher anche per fattispecie estranee all’ambito applicativo della normativa emergenziale, precludendo così ai consumatori il dovuto ristoro in denaro: “la Società, a fronte della cancellazione del viaggio, subito proponeva il voucher sostitutivo, quale esclusivo ristoro della perdita della prestazione, così tentando di indurre i clienti ad accettare una prestazione “in natura” (di incerto riutilizzo) sostitutiva del rimborso diretto del denaro”.

Quanto all’entità della sanzione pecuniaria impugnata, il giudice di prime cure ha considerato che l’Autorità ha preso in esame le dimensioni della Società e le conseguenze economiche della crisi pandemica, concludendo che “il quantum sanzionatorio risulta in linea con la funzione deterrente propria delle sanzioni per pratiche commerciali scorrette”.

Da ultimo, il Tar dà conto del fatto che l’Autorità ha valutato anche la conseguenza economica dell’appellante con riferimento all’emergenza pandemica considerando adeguata una sanzione da 1.5 milioni di euro, peraltro oggetto di richiesta – accolta – di rateizzazione.

  1. Appella la sentenza  – OMISSIS – Resiste l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
  2. Alla pubblica udienza del 18 luglio 2024, la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.
  3. Nel primo motivo d’appello, la società ricorrente lamenta l’errore di giudizio in cui sarebbe incorso il Tar nel non rilevare che, a fronte dell’unica condotta contestatale ritenuta scorretta, sono state comminate due sanzioni, per due pratiche commerciali distinte non affatto ravvisabili nel comportamento complessivo imputato alla società.

Il dato positivo, precisa l’appellante, sarebbe al riguardo dirimente: l’art. 19, comma 1, codice del consumo – nel definire il significato di “pratica commerciale” – ricomprende unitariamente le condotte poste in essere “prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto”.

Sicché, il prodotto offerto da  – OMISSIS – non poteva che essere unitario, constando nel solo servizio di viaggio, costituente oggetto unico ed esclusivo tanto della condotta consistente nell’induzione alla sottoscrizione del contratto che di quella, logicamente successiva, di rimborso dell’utente a fronte della mancata fruizione del servizio.

Viceversa, denuncia la società appellante, la sentenza gravata ha frazionato la fase genetica, per quanto riguarda la prima contestazione, da quella esecutiva, per quanto concerne la seconda contestazione, dell’unico rapporto contrattuale inerente alla vendita del prodotto.

  1. Il motivo è infondato.

Per la migliore comprensione della vicenda dedotta in giudizio ed il proficuo scrutinio del motivo d’appello in esame – sostanzialmente riproduttivo del motivo d’impugnazione dedotto in prime cure – va sinteticamente definito nel dettaglio il fatto da cui originano le sanzioni impugnate.

Attraverso i propri canali di vendita on line (sito internet aziendale e App), la ricorrente ha consentito l’acquisto dei servizi di trasporto, offerti nell’arco del suddetto periodo, anche nei giorni immediatamente successivi all’entrata in vigore dei vari decreti governativi di limitazione alla circolazione (susseguitisi da febbraio 2020 in poi a causa del Coronavirus), continuando, di volta in volta, ad acquisire regolarmente le prenotazioni e il pagamento dei relativi corrispettivi per prestazioni che, invece, non avrebbe successivamente erogato.

Nella fase successiva, l’assistenza post-vendita prestata ai passeggeri, incisi dalla cancellazione unilaterale dei viaggi in concomitanza con la pandemia, s’è connotata per la diffusione di informazioni lacunose ed intempestive in merito alla soppressione dei servizi acquistati e ai diritti e ristori spettanti, in base alle vigenti normative comunitaria e nazionale.

Ad essa hanno fatto seguito modalità disomogenee, incongruenti e intempestive adottate per la gestione delle istanze di rimborso, concretantesi nella proposta di un voucher sostitutivo quale esclusiva o prioritaria modalità di ristoro, rispetto al rimborso in denaro per il biglietto annullato; nonché, infine, nell’applicazione di ulteriori addebiti ai clienti all’atto del successivo utilizzo del voucher, a titolo di c.d. diritti di cancellazione o di prenotazione.

8.1 Questa la ricostruzione sul piano fenomenologico delle pratiche commerciali contestate, che, ancorché teleologicamente riconducibili al prodotto-servizio di trasporto commercializzato dalla società, sono ontologicamente eterogenee e, per quel che qui più rileva, ledono due distinti interessi: il primo, incentrato sulla correttezza nell’offerta del prodotto in vista dell’esecuzione della prestazione pattuita; il secondo, lesivo del diritto all’informazione.

È significativo che in apicibus il titolo XV del Trattato sul funzionamento dell’UE, quanto alla protezione dei consumatori, elenca, distinguendoli, “la promozione dei loro interessi, la tutela della salute, la sicurezza e gli interessi economici, il diritto all’informazione, all’educazione e all’organizzazione per la salvaguardia dei loro interessi”.

Sicché, l’interesse economico, la salvaguardia dell’interesse, dedotto in contratto, del consumatore e il diritto all’informazione, ai sensi dell’art. 12 TFUE e della Carta dei diritti fondamentali (art. 38) – laddove si prevede: “…nelle politiche dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione dei consumatori” – assurgono a principi autonomi e distinti che conformano la tutela apprestata dall’ordinamento nazionale.

Principii tanto più precettivi laddove, come nel caso in esame, allo status professionale, comportante ex se asimmetria informativa scaturente dal possesso delle informazioni tipiche dello status, s’accompagni la preponderanza regolativa nei confronti del consumatore, esercitata nell’offerta di un prodotto che, per congiunture socio-sanitarie ed economiche, si ipotizzi di non (potere o volere) eseguire, senza fornire un adeguato livello informativo che riequilibri il rapporto con riguardo al significato economico e al significato giuridico del contratto offerto.

A riguardo è paradigmatica la vicenda in esame.

Il Professionista ha messo in vendita biglietti quando “era già in grado di sapere che non avrebbe reso la prestazione pattuita” rimborsando i consumatori non già in denaro – il che avrebbe sicuramente mitigato la frustrazione dell’interesse del consumatore – bensì tramite voucher.

Offrire in vendita biglietti per corse che il Professionista – consapevole che il grado di incertezza normativa avrebbe presumibilmente reso antieconomico eseguire, sì da riservarsi la potestà unilaterale di cancellazione, senza informare di tale eventualità il consumatore – integra una duplice violazione: all’effetto “aggancio” del cliente, consistito nella stessa disponibilità e “vendibilità” del servizio di trasporto, non ha fatto riscontro l’informazione sull’eventuale indisponibilità dello stesso, bensì la previsione dell’utilizzo dei voucher con l’applicazione di penali sul rimborso in denaro.

La prima condotta viola l’art. 23, comma 1, lett. e), cod. cons., poiché la società ha offerto l’acquisto del servizio senza rivelare l’esistenza di ragionevoli motivi per ritenere che non sarà in grado di fornirlo, ledendo l’affidamento del consumatore nell’esecuzione della prestazione pattuita; il secondo, oltre a compromettere i rimedi risolutori e restitutori tipici del contratto, viola il diritto all’informazione del consumatore costituente pendant dell’obbligazione gravante sul professionista nella particolare congiuntura sociale ed economica d’offerta del prodotto.

Vale a dire che trova applicazione a fortiori l’orientamento giurisprudenziale a mente del quale sussiste l’obbligo del professionista di chiarezza nei confronti dei consumatori affinché i potenziali destinatari del messaggio pubblicitario siano in grado di valutare consapevolmente l’intera operazione (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 19 settembre 2017, n. 4878; Id., sez. VI, 6 settembre 2017, n. 4245) anche nella fase post vendita.

E che, come già precisato, nel caso di specie avrebbero richiesto un livello di completezza e chiarezza maggiore in ragione dell’emergenza, evocata dalla società appellante come una impropria sorta di scriminante, ma che, al contrario, ha innalzato lo standard di perizia che i consumatori si sarebbero ragionevolmente attesi in quel momento.

  1. Con il secondo e terzo motivo d’appello, l’appellante ha lamentato error in judicando per avere il Tar, per un verso (cfr., secondo motivo), travisato il contenuto precettivo dell’art. 23, comma 1, lett. e), codice del consumo, richiamato dal provvedimento quale fondamento normativo della decisione adottata; e, per l’altro (cfr., terzo motivo), omesso di scrutinare la censura sul contenuto testuale della norma fatto proprio dall’Autorità.

Ad avviso dell’appellante, l’art. 23, comma 1, lett. e), codice del consumo non riguarderebbe l’indisponibilità tout court del bene promesso, ma più limitatamente e specificamente l’indisponibilità del bene al prezzo molto conveniente, come pubblicizzato, e che ha costituito l’effettivo elemento di induzione al relativo acquisto.

Il dato testuale, si sottolinea nella censura, tenuto in non cale dal Tar, sarebbe in proposito dirimente, consistendo la pratica commerciale finalizzata ad “invitare all’acquisto di prodotti ad un determinato prezzo senza rivelare l’esistenza di ragionevoli motivi che il professionista può avere per ritenere che non sarà in grado di fornire […] quei prodotti o prodotti equivalenti a quel prezzo entro un periodo e in quantità ragionevoli in rapporto al prodotto, all’entità della pubblicità fatta del prodotto e al prezzo offerti”.

  1. I motivi, sostanzialmente coincidenti sì da essere trattati congiuntamente, sono infondati.

Quanto al denunciato omesso scrutino del Tar della censura sul contenuto (testuale) dell’art. 23, comma 1, lett. e), codice del consumo, va, in contrario, rilevato che la sentenza nella parte motiva dà conto della sussunzione del fatto contestato, individuando puntualmente la ratio della disposizione applicata, enucleabile dal dato positivo-letterale del precetto violato: la società ha offerto in vendita corse istituite nel pieno dell’emergenza pandemica nella ragionevole previsione che la circolazione sarebbe stata limitata e compromessa da forti criticità nel trasporto, tanto che le corse, acquistate dai consumatori, sono state unilateralmente cancellate dalla società in quanto ritenute diseconomiche.

Né, venendo al motivo d’impugnazione sull’interpretazione della norma adottata dall’Autorità ed avallata dal Tar, è condivisibile l’affermazione, dedotta a sostegno della censura, che oggetto della norma non sarebbe l’indisponibilità del bene promesso bensì “l’indisponibilità del bene al prezzo conveniente pubblicizzato”.

La norma, come già precisato, di scaturigine comunitaria, estende la tutela del consumatore fino al punto di ricomprendervi – in ciò differenziandosi e qualificandosi rispetto alla tutela ordinariamente apprestata dal codice civile all’acquirente del prodotto – il prezzo del bene o servizio messo in vendita, sull’implicito presupposto che il prodotto messo in vendita, oggetto del contratto, debba essere, a fortiori, disponibile.

Interpretazione che, oltre ad obbedire alla ratio che informa la norma, riposa sul dato testuale laddove l’entità della pubblicità è, per l’appunto, (alla lettera) riferita al “prodotto e al prezzo offerti”.

  1. Con il quarto e quinto motivo d’appello, si denuncia l’errore di giudizio in cui sarebbe incorso il Tar nel ritenere che “l’andamento della curva pandemica e l’incertezza in ordine alla libera circolazione sul territorio erano eventi facilmente prevedibili”.

La società appellante, oltre a ribadire l’insussistenza in fatto delle violazioni contestatele, nei motivi d’appello in esame lamenta: per un verso, di non avere avuto modo di prevedere, in contrario di quanto ritenuto dal Tar, l’evolversi della emergenza sanitaria e l’impatto prodotto sulle modalità di spostamento delle persone, radicanti la responsabilità per le cancellazioni dei servizi che essa ha dovuto disporre; e, per l’altro, l’assenza della negligenza o, in positivo, la presenza della diligenza professionale attendibile dalle imprese del settore “in una situazione – quale la pandemia di COVID 19 – per definizione, eccezionale, non ordinaria né prevedibile”.

Il dato normativo di riferimento conforterebbe la censura: ai sensi dell’art. 20 del codice del consumo, la diligenza, lungi dal configurarsi quale elemento astratto ed immutabile, avrebbe dovuto “essere parametrata alla condotta concretamente esigibile nella particolare fattispecie in considerazione”.

La stessa prassi decisionale dell’Autorità, sottolinea la ricorrente, ha, in un caso assimilabile a quello attuale, escluso la sussistenza di qualsiasi pratica commerciale scorretta, ritenendo che i “disservizi a carico dei consumatori” – caratterizzati peraltro da una “significatività in termini quantitativi” –, potevano “trovare spiegazione in aspetti fisiologici legati […] al particolare settore di riferimento [e alla situazione concreta del caso] con tutte le problematiche di natura economica, politica e sociale connesse” ad essa (cfr., provv. AGCM 22.4.2010, caso PS3874, §§33-38).

  1. I motivi, omogenei quanto alle censure denunciate, sono infondati.

Nella cognizione di essi, non va passato sotto silenzio che la società ricorrente, in narrativa dell’atto d’appello, ha rivendicato la (propria) dimensione europea di vettore “con l’ampliamento della domanda di trasporto su gomma, sia da parte dell’utenza nazionale, che da parte dell’utenza turistica di provenienza estera”: ruolo che, oltre consentirle economie di scala legate ad un maggiore volume di tratte di trasporto offerte in ambito unionale e non, ha dato alla società il vantaggio competitivo, rispetto ad aziende minori, di programmare corse in paesi nei quali l’emergenza pandemica non è stata dichiarata o non ha determinato alcuna prescrizione limitativa dei diritti sociali e civili degli utenti.

Pertanto, l’impresa appellante ha avuto modo di programmare la propria attività d’impresa nella cornice emergenziale extranazionale, modulando i servizi messi in vendita secondo i regimi prescrittivi previsti dai paesi interessati dalle tratte di traporto offerti.

Nella cornice congiunturale descritta, la società – già sul piano gnoseologico non solo congetturale – era in grado di conoscere, in modo capillare, l’effetto prodotto dall’emergenza sanitaria sulle modalità di spostamento delle persone nell’ambito territoriale extranazionale oggetto dei servizi offerti.

Sicché la cancellazione di essi era evento ragionevolmente prevedibile, tanto che, in fase precontrattuale, la società era onerata dell’obbligazione di specifica informazione “a riguardo”; e, nella successiva fase esecutiva, su di essa incombeva l’obbligazione restitutoria di corrispondere – anziché i voucher che garantiscono alla società costanti flussi di cassa anche in presenza di prestazioni “pagate” e non eseguite – i rimborsi dovuti per le cancellazioni disposte dalla società, ancorché adottate in ottemperanza ai provvedimenti limitativi del servizio offerto.

In definitiva il comportamento contrattuale descritto tradisce, sul piano oggettivo, la violazione di regole di condotta in cui consta la negligenza imputata alla società e, sul piano soggettivo, l’esigibilità di una condotta diversa da quella concretamente adottata, inadeguata allo standard di diligenza della situazione congiunturale che ha fatto da cornice all’offerta dei servizi.

Né, sul punto, è condivisibile l’affermazione dell’appellante secondo cui l’emissione dei voucher, poiché espressamente consentita dalla novella recata dall’art. 88-bis, comma 12, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, si sottrae alla violazione contestata.

In realtà, sebbene, ai sensi della norma richiamata, “l’emissione dei voucher […]non richiede alcuna forma di accettazione da parte del destinatario”, il comma 11 dell’art. 88-bis d.l. cit. ha cura di precisare che: “… per tutti i rapporti inerenti ai contratti di cui al presente articolo instaurati con effetto dall’11 marzo 2020 al 30 settembre 2020, in caso di recesso esercitato entro il 31 luglio 2020, anche per le prestazioni da rendere all’estero e per le prestazioni in favore di contraenti provenienti dall’estero, quando le prestazioni non sono rese a causa degli effetti derivanti dallo stato di emergenza epidemiologica da COVID-19, la controprestazione già ricevuta può essere restituita mediante un voucher di pari importo emesso entro quattordici giorni dalla data di esercizio del recesso e valido per trenta mesi dall’emissione.

La novella normativa, rimasta sostanzialmente immutata, prevede(va) espressamente l’alternativa fra il rimborso e l’emissione di voucher di pari importo nei confronti del consumatore.

Viceversa, nel caso in esame, la società non ha offerto la possibilità di scelta al consumatore.

Opzione – va sottolineato – in linea con la disciplina comunitaria, tanto da essere assunta a paradigma del diritto al rimborso del consumatore nel settore in questione.

È significativo che sia nelle Guidelines rilasciate il 18 marzo 2020 che nella Raccomandazione del 13 maggio 2020, la Commissione, pur nella consapevolezza delle gravi perdite del settore viaggi e turismo, non ha mancato di rimarcare che se il Professionista “può offrire al viaggiatore un rimborso sotto forma di buono, tale possibilità non priva tuttavia i viaggiatori del diritto al rimborso in denaro”.

Al fine di garantire adeguata tutela ai viaggiatori a fronte del rischio di insolvenza da parte dei vettori e nell’ottica di un contemperamento dei diritti dei consumatori con le esigenze di liquidità dei Professionisti nel periodo pandemico, la Commissione ha, altresì, individuato le caratteristiche raccomandate per i buoni affinché questi possano essere considerati dai passeggeri quale valida e affidabile alternativa al rimborso in denaro.

In definitiva, la scelta fra diritto al rimborso e voucher – tale da sostanziare ex art. 1285 c.c. obbligazione alternativa ex lege in cui l’ius elegendi è riservato al consumatore – è l’indispensabile presupposto di tutela, tanto più, laddove, come nel caso in esame, il voucher sia impropriamente utilizzato dal professionista.

Va ricordato che lo strumento è stato congegnato dal legislatore per evitare che, a seguito dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione programmata prima dell’emergenza pandemica, i professionisti dovessero adempiere all’obbligo di restituzione in denaro, con conseguente irreversibile crisi di liquidità.

Coerentemente alla sua ratio, il ricorso allo strumento del voucher non può trovare applicazione nel pieno dell’emergenza pandemica, ossia nella situazione congiunturale nella quale il professionista programma corse, fa pagare i biglietti ai consumatori, cancella le corse e, senza alcuna possibilità di opzione in favore del diritto al rimborso del tantundem, corrisponde il voucher.

Tra l’altro, il voucher era previsto dalla legge nell’ipotesi in cui la corsa non poteva più avvenire causa Covid, ma spesso nella specie questo non accadeva perché in parte i trasporti erano comunque consentiti.

Di qui l’infondatezza anche di parte del sesto motivo di appello.

  1. Con i residui motivi d’appello (sesto e settimo), la società ricorrente denuncia gli errori di giudizio in cui sarebbe incorso il Tar nell’omettere di prendere in esame, valutandone il relativo impatto, le modalità concrete con cui  – OMISSIS – ha effettivamente inteso informare i propri clienti a fronte della situazione e della decisione di sospendere il proprio servizio, fino a formulare specifici impegni nei confronti dell’Autorità, da essa non tenuti in considerazione; nonché nel giustificare l’entità della sanzione e le modalità con cui l’AGCM è pervenuta a quantificarla.

Sotto il primo profilo, l’appellante fa presente in fatto: di avere abbinato all’informativa generale anche un’informativa individuale, rivolta a ciascun cliente interessato dalle cancellazioni; di avere predisposto il sistema al quale i clienti potevano accedere alle informazioni relative all’assistenza post-vendita attraverso la pagina di gestione della prenotazione; e che i disservizi lamentati dagli utenti appaiono quindi riconducibili a situazioni isolate e sporadiche.

Pertanto, conclude la ricorrente, “appare obiettivamente incomprensibile la ragione per la quale il Giudice di prime cure abbia comunque ritenuto che il comportamento imputato alla società non fosse sufficiente ad integrare lo standard di diligenza nel caso di specie esigibile”.

  1. Il motivo d’appello è infondato.

S’è già avuto modo di precisare che il diritto all’informazione del cliente su una sorta di ius poenitendi riservato alla società avrebbe dovuto essere assolto in fase precontrattuale. Diritto la cui tutela avrebbe richiesto l’espressa informazione individuale ex ante, non affatto supplita dal possibile ricorso a mezzi d’informazione attivabili ex post, ovvero a contratto concluso.

Quanto al grado del livello di diligenza imputato, oltre a doversi ribadire che il comportamento negligente s’estende alla condotta complessiva tenuta dalla società, la censura sindaca la valutazione tecnica di merito espressa dall’Autorità, che esula dal sindacato di legittimità non incorrendo la relativa valutazione in illogicità manifesta o travisamento dei fatti.

  1. Ad analoga decisione deve giungersi quanto all’entità della sanzione inflitta.

Va ribadito, in conformità all’univoco indirizzo giurisprudenziale qui condiviso, che la quantificazione della sanzione comminata in materia deve essere parametrata alla funzione deterrente da essa assolta.

La quantificazione della sanzione, coerentemente alla finalità deterrente ad essa sottesa, è stata ragguagliata alle dimensioni della società, al suo fatturato, nonché al disvalore dei fatti imputati, concretantesi in due distinte pratiche commerciali scorrette da cui il cumulo materiale di sanzioni.

Del resto – in compenso – l’Autorità ha, ragionevolmente, tenuto conto delle conseguenze economiche negative della crisi pandemica sopportate dal professionista, riducendo l’ammontare complessivo della sanzione originariamente quantificata.

  1. Viene censurata, infine, l’omessa pronuncia da parte del Tar sul sesto motivo del ricorso di primo grado, con cui si era contestata l’illegittimità della decisione dell’Autorità di rigetto degli impegni proposti dalla società appellante “stante la mancanza di ogni motivazione al riguardo”.

Il Collegio premette che, ai sensi dell’art. 27, comma 7, cod. cons., l’assunzione degli impegni è esclusa nei “casi di manifesta scorrettezza e gravità della pratica commerciale”.

Nella specie l’Autorità ha rigettato gli impegni (delibera resa nell’adunanza del 15 settembre 2020 e relativa comunicazione) in applicazione della norma suddetta, ritenendo trattarsi di “fattispecie di pratiche commerciali manifestamente scorrette e gravi”.

Il Collegio ritiene – a prescindere dalla mancata pronuncia sul motivo da parte del primo giudice, inidonea per ciò solo a provocarne la riforma – non solo la sussistenza di una motivazione addotta dall’Autorità ma anche che la stessa sia sufficiente e, quindi, esente dalle censure svolte, sulla base di quanto statuito in precedenza e delle specifiche circostanze enunciate nel relativo provvedimento di rigetto, consistenti:

  1. a) nella “vendita di servizi in realtà non fruibili dagli utenti, a causa di provvedimenti pubblici di limitazione della circolazione, e quindi cancellati senza rimborso del corrispettivo versato (con invece l’emissione di un voucher)”;
  2. b) nella “predisposizione di informazioni e modalità di assistenza post vendita inidonee a garantire i diritti dei passeggeri”;
  3. c) nell’alto grado di offensività delle condotte e nella loro suscettibilità di “incidere su un numero elevato di consumatori”.
  4. Conclusivamente, l’appello deve essere respinto.

Sussistono giustificati motivi, individuabili nella particolare congiuntura socio economica nella quale s’è radicata la vicenda dedotta in causa, per compensare le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa le spese del grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 luglio 2024 con l’intervento dei magistrati:

Carmine Volpe, Presidente

Oreste Mario Caputo, Consigliere, Estensore

Stefano Toschei, Consigliere

Roberto Caponigro, Consigliere

Giovanni Gallone, Consigliere

 

 

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Oreste Mario Caputo

Carmine Volpe

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO